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DELL’ ENEIDE
DI VIRGILIO
LIBRO SETTIMO
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ARGOMENTO
Giunta a Laurento la Troiana armata
Dal re Latino ha pace ; e nuove mura
Disegna. Aleito , di Giunon ministra,
Sparge di guerra i semi: indi di Troia
Contra le genii s° arma il Lazio tutto.
Ed ancor tu, d' Enea fida nudrice
Caieta, a 1 nostri liti eterna fama
Desti morendo; ed essi anco a te diero
Sede onorata, se d’ onore a’ morti
È d' aver l' ossa consecrate e ’1 nome 5
Ne la famosa Esperia. Ebbe Caieta
Dal suo pietoso alunno esequie e lutto,
E sepoltura alteramente eretta.
Tu quoque litoribus nostris, aeneia nutrix,
A ternam moriens famam, Caieta, dedisti;
Et nunc servat honos sedem tuus, ossaque nomen
Hesperia in magna, si qua est ea gloria, signat.
At pius exsequiis /Eneas rite solutis, 5
Aggere composito tumuli, postquam alta quierunt
4Equora, tendit iter velis, portumque relinquit.
Eneide ol. II I
0 ENEIDE
Indi, già fatto il mar tranquillo e queto,
Spiegàr le vele a' venti, e i venti al corso 10
Eran secondi; e 'n sul calar del sole f
La luna, che sorgea lucente e piena,
Chiare l’ onde facea tremole e crespe.
Uscir del porto; e pria rasero i liti
Ove Circe del Sol la ricca figlia 19
Gode felice, e mai sempre cantando
Soavemente al periglioso varco
De le sue selve i peregrini invita:
E da la reggia, ove tessendo stassi
Le ricche tele, con l’ arguto suono 20
Che fan le spuole e i pettini e i telari,
E co’ fuochi de’ cedri e de’ ginepri
Porge lunge la notte indicio e lume.
Quinci là verso il di, lontano udissi
Ruggir lioni, urlar lupi, adirarsi, 25
E fremere e grugnire orsi e cignali,
Adspirant aurae in noctem; nec candida cursus
Luna negat: splendet tremulo sub lumine pontus.
Proxima circaeae raduntur litora terrae: 10
Dives inaccessos ubi solis filia lucos |
Assiduo resonat cantu, tectisque superbis
Urit odoratam nocturna in lumina cedrum,
Arguto tenues percurrens pectine telas.
Hinc exaudiri gemitus iraeque leonum 15
Vincla recusantum, et sera sub nocte rudentum:
Saetigerique sues, atque in praesepibus ursi
LIBRO SETTIMO 7
Ch’ eran uomini in prima; e ’n queste forme
Da lei con erbe e con malíe cangjati
Giacean di ferri e di ferrate sbarre
Ne le sue stalle incatenati e chiusi. jo
E perché ció non avvenisse a i Teucri
Che buoni erano e pii, da cotal porto
E da spiaggia sì ria Nettuno stesso
Spinse i lor legni, e diè lor vento e fuga,
Tal che fuor.d' ogni rischio li condusse. 35
Già rosseggiava d' Oriente il balzo,
E nel suo carro d' ostro ornata e d' oro
L' Aurora si traea de l’ onde fuori,
Quando subitamente ogni aura, ogni alito
Cessò del vento, e ne fu'| mare in calma 40
Sì ch'a forza ne gfan de’ remi appena.
Qui la terra mirando il padre Enea
Suevire, ac formae mag norum ululare luporum.
Quos hominum ex facie Dea saeva potentibus herbis
Induerat Circe in vultus ac terga ferarum. 20
Quae ne monstra pii paterentur talia Troes
Delati in portus, neu litora dira subirent,
Neptunus ventis implevit vela secundis,
"tque fugam dedit, et praeter vada fervida vexit.
Jamque rubescebat radiis mare, et aethere ab alto 25
Aurora in roseis fulgebat lutea bigis,
Quum venti posuere, omnisque repente resedit
Flatus, et in lento luctantur marmore tonsae.
"tque hic /Eneas ingentem ex aequore lucum
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8 ENEIDE
Vede un'ampia foresta, e dentro un fiume -
Rapido, vorticoso e queto insieme,
Che per l’ amena selva, e per la bionda 45
Sua molta arena si devolve al mare.
Questo era il Tebro, il tanto desiato,
Il tanto cerco suo Tebro fatale:
A le cui ripe, a le cui selve intorno,
E di sopra volando ivan le schiere 50
Di più canori suoi palustri augelli.
Allor, Via, dice a' suoi, volgete il corso,
Itene a riva. E tutti in un momento
Rivolti e giunti, de l' opaco fiume
Preser la foce, e lietamente entraro. 55
Porgimi, Erato, aita a dir quai regi,
Quai tempi, e quale stato avesse allora
L’ antico Lazio, quando prima i Teucri
Con questa armata a’ suoi liti approdaro;
Ch’ io dirò da principio le cagioni 60
Prospicit. Hunc inter fluvio Tiberinus amoeno, 30
Vorticibus rapidis, et multa flavus arena,
In mare prorumpit. Variae circumque supraque
Assuetae ripis volucres et fluminis alveo
ZEthera mulcebant cantu, lucoque volabant.
Flectere iter sociis, terraeque advertere proras 35
Imperat, et laetus fluvio succendit opaco.
Nunc age, qui reges, Erato, quae tempora rerum,
Quis Latio antiquo fuerit status, advena classem
Quum primum ausoniis exercitus appulit oris,
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LIBRO SETTIMO 9
E gli accidenti, onde con essi a l’ arme
Si venne in. pria: dirò battaglie orrende,
Dirò stragi d' eserciti, e duelli
De' regi stessi, e la Toscana tutta,
E tutta anco l’ Esperia in arme accolta. 65
Tu d' Elicona Dea, tu ciò mi detta,
Ch' altr’ ordine di cose, altro lavoro,
E maggior opra ordisco. Era signore,
Quando ciò fu, di Lazio il re latino,
Un re che véglio e placido gran tempo 70
Avea il suo regno amministrato in pace.
Questi nacque di Fauno e di Maríca
Ninfa di Láurento, e Fauno a Pico
Era figliuolo, e Pico a te, Saturno,
Del suo regio legnaggio ultimo autore. 73
Non avea questo re stirpe virile,
Com' era il suo destino; e quella ch' ebbe,
Expediam, et primae revocabo exordia pugnae. 40
T'u vatem, tu, Diva, mone. Dicam horrida bella;
Dicam acies, actosque animis in funera reges,
Tyrrhenamque manum, totamque sub arma coactam
Hesperiam. Maior rerum mihi nascitur ordo;
Maius opus moveo, Rex arva Latinus, et urbes ^ 45
Jam senior longa placidas in pace regebat.
Hunc Fauno, et nympha genitum Laurente Marica
Accipimus: Fauno Picus pater: isque parentem
Te, Saturne, refert; tu sanguinis ultimus auctor.
Filius huic, fato Divm, prolesque virilis 50
Eneide Zol. II 2
10 ENEIDE
Gli fu nel fior de' suoi verd' anni ancisa.
Sola d'un sangue tal, d' un tanto regno
Restava una sua figlia unica erede, 80
Che già d' anni matura, e di bellezza
Più d' ogni altra famosa era da molti
Eroi del Lazio e de l';: Ausonia tutta
Desiata e ricerca. Avanti a gli altri
La chiedea Turno, un giovine il più bello, 85
Il più possente e di più chiara stirpe
Che gli altri tutti; e più ch'a gli altri a lui,
Anzi a lui sol la sua regina madre
Con mirabile affetto era inchinats.
Ma che sua sposa fosse, avverso fato, 9o
. Varii portenti e spaventosi augurii
Facean contesa. Era un cortile in mezzo
A le stanze reali, ove un gran lauro
Già di gran tempo consecrato e colto
Con molta riverenza era serbato. 92
Nulla fut, primaque oriens erepta iuventa est:
Sola domum et tantas servabat filia sedes,
Jam matura viro, iam plenis nubilis annis.
Multi illam magno e Latio, totaque petebant
‘ Ausonia: petit ante alios pulcherrimus omnes 55
Turnus, avis atavisque potens: quem regia comux
Adiungi generum miro properabat amore:
Sed variis portenta Dem terroribus obstant.
Laurus erat tecti medio, in penetralibus altis,
Sacra comam, multosque metu servata per annos: 60
LIBRO SETTIMO IT
Si dicea che Latino esso re stesso
Nel designare i suoi primi edifizii,
Là've trovollo, di sua mano a Febo
L' avea dicato; e ch’ indi il nome diede
A' suoi Laurenti. À questo lauro in cima 100
Maravigliosamente di lontano
Romoreggiando a la sua vetta intorno
Venne d'api una nugola a posarsi;
E con l'ali e co’ piè l' una con l'altra,
E tutte insieme aggraticciate e strette 109
Stier d’ uva in guisa a le sue frondi appese.
Ciò l' indovino interpretando, Io veggo,
Disse, venir da lunge un duce esterno,
Ed una gente che d' un loco uscita
In un loco medesmo si raune, 110
Ed altamente ivi s' alloga e regna.
Stando un giorno, oltre a ciò, Lavinia virgo
Quam pater inventam, primas quum conderet arces,
Ipse ferebatur Phoebo sacrasse Latinus,
Laurentisque ab ta nomen posuisse colonis.
Huius apes summum densae (mirabile dictu),
Stridore ingenti, liquidum trans aethera vectae, 65
Obsedere apicem; et, pedibus per mutua nexis,
Examen subitum ramo frondente pependit. |
Continuo vates: Externum cernimus, inquit,
Adventare virum, et partes petere agmen easdem,
Partibus ex í(sdem, et summa dominarier arce. 70
Praeterea, castis adolet dum altaria taedis,
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EX E» Wsiie dal foco 15
Esa Li (S Lm appresi, :
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na Y alta reggia
ssp: orrendo mostro,
-hiunque il vide.
ape eite
EU fama illustre 125
lé de portendea;
zcEmerra a’ popoli.
t vinia virgo,
Sendere crinibus ignem,
pma crepitante cremari,
accensa Coronam 7
figna fatisque canebant
A porcendere bellum. 80
zoracula Fauni,
-ASosque sub alta
pis
niato Lh. Le.
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*
LIBRO SETTIMO 13
Suo genitor ne l' alta Albunea selva 130
Per consiglio ricorse. E questa selva
Immensa, opaca, ove mai sempre suona
Un sacro fonte, onde mai sempre esala
Una tetra vorago. Il Lazio tutto
E tutta Italia in ogni dubbio caso — . 135 |
Quindi certezza, aita e ’ndrizzo attende.
E Y oracolo è tale. Il sacerdote
Nel profondo silenzio de la notte
Si fa de l' immolate pecorelle
Sotto un covile, ove s' adagia e dorme. 140
Nel sonno con mirabili apparenze .
Si vede intorno i simulacri e l ombre -. ^.
Di ciò ch’ ivi si chiede, e varie voci
Ne sente, e con gli Dei parla e con gl’ Inferi.
In questa guisa il re Latino stesso. -. ...-.: 145
Al vaticinio del suo padre intento
Consulit Albunea, nemorum quae maxima sqcro
Fonte sonat, saevamgue exhalat opaca mephitim.
Hinc italae gentes, omnisque oenotria tellus . . 85
In dubiis responsa petunt. Huc dona sacerdos .
Quum tulit, et caesarum ovium sub nocte silenti
Pellibus incubuit stratis, somnosque petivit: .
Multa modis simulacra videt volitantia miris,
Et varias audit voces, fruiturque Deorum. ^ 9o
Colloquio, atque imis Acheronta affatur "vernis.
Hic et tum pater ipse petens responsa Latinus,
Centum lanigeras mactabat rite bidentes, ‘
14 ENEIDE
Cento pecore ancide, e i velli e i terghi
Nel suol ne stende, e vi s' involve e corca:
Ed ecco un’ alta repentina voce
Che, dc la selva uscendo, intuona e dice: 150
Invan, figlio, procuri, invan t immagini
Che tua figlia s' ammogli a sposo ausonio.
Vane e nulle saran le sponsalizie
Ch' or le prepari. Di lontano un genero
Venir ti veggio; per cui sopra a P etera 155
Salirà il nostro nome; e i nostri posteri
Ne vedran sotto i piè quanto l’ Oceano
D' ambi i lati circonda, e ’1 sole illumina.
Questa risposta e questi avvertimenti,
Perchè di notte e di secreta parte 160
Fosser da Fauno usciti, il re non tenne
In se stesso celati; anzi la fama
Per le terre d' Ausonia gli spargea,
"Atque harum effultus tergo stratisque iacebat
Velleribus. Subita ex alto vox reddita luco est: 95
Ne pete connubiis natam sociare latinis,
O mea progenies, thalamis neu crede paratis.
Externi veniunt generi, qui sanguine nostrum
Nomen in astra ferent, quorumque a stirpe nepotes
Omnia sub pedibus, qua sol utrumque recurrens
Adspicit Oceanum, vertique regique videbunt.
Haec responsa patris Fauni, monitusque silenti
Nocte datos , non ipse suo premit ore Latinus;
Sed circum late volitans iam fama per urbes
LIBRO SETTIMO 15
Quando la frigia armata al Tebro aggiunse.
Enea col figlio e co’ suoi primi duci 165
A l ombre d' un grand’ albero in disparte
Da gli altri a prender cibo insieme unissi.
Eran su l' erba egjati; (e come avviso
Creder si dee che del gran Giove fosse,)
Avean poche vivande; e quelle poche 170
Gran forme di focacce e di farrate
In vece avean di tavole e di quadre,
E la terra medesma e i solchi suoi
Ai pomi agresti eran fiscelle e nappi,
Altro per avventura allor non v' erà 175
Di che cibarsi. Onde, finiti i cibi,
Volser per fame .a quei Jor deschi i denti,
E motteggiando allora, O, disse Iulo,
Fino a le mense ancor ne divoriamo:
dusonias tulerat; quum laomedontia pubes 105
Gramineo ripae religavit ab aggere classem.
ZEneas, primique duces, et pulcher Iulus
Corpora sub ramis deponunt arboris altae,
Instituuntque dapes, et adorea liba per herbam
Subüciunt epulis, (sic Iuppiter ipse monebat) — 110
Et cereale solum pomis agrestibus augent.
Consumtis hic forte aliis, ut vertere morsus
Exiguam in Cererem penuria adegit edendi,
Et violare manu malisque audacibus orbem
Fatalis crusti, patulis nec paroere quadris: 115
Heus! etiam mensas consumimus? inquit Iulus.
16 ENRKIDE i
E rise e tacque. A questa voce Enea, 180
Sì come a fin de le fatiche loro, |
Avverti primamente, e stupefatto
Del suo misterio, subito inchinando
Disse: O da’ Fati a me promessa terra,
Io te devoto adoro: e voi ringrazio, 185
Santi numi di Troia, amiche e fide
Scorte de gli error mici. Questa è la patria
Quest’ è P albergo nostro e questo è ’1 segno
Che il mio padre lasciommi ( or mi ricordo
De gli occulti miei fati). Alor, dicendo, —190
Che saraf, figlio, in peregrina terra
Da fame a manducar le mense astretto,
Fia ’1 tuo riposo: allor fonda gli alberghi,
Allor le mura. Or questa è quella fame,
Ultimo rischio ad ultimar prescritto 199
Nec plura alludens. Ea vox audita laborum
Prima tulit finem; primamque loquentis ab ore
Eripuit pater, ac stupefactus numine pressit.
Continuo, Salve, fatis mihi debita tellus, 120
Vosque, ait, o fidi Troiae, salvete Penates.
Hic domus, haec patria est. Genitor mihitalia, namque
(Nunc repeto) Anchises fatorum arcana reliquit:
Quum te, nate, fames ignota ad litora vectum
Accisis coget dapibus consumere mensas: 129
T'um sperare domos defessus, ibique memento
Prima locare manu, molirique aggere tecta.
Haec erat illa fames: haec nos suprema manebant
LIBRO SETTIMO 17
Tutti i nostri altri perigliosi affanni.
Or via, dimane a l' apparir del sole
Per diversi sentier lungi dal porto
Tutti gioiosamente investighiamo
Che paese sia questo, da che gente 200
Sia colto, o dove sian le terre loro.
Ora a Giove si bea; faccinsi preci
Al padre Anchise; e sian le mense tutte
Di vin piene e di tazze. E, ciò dicendo,
Di frondi s' inghirlanda; e del paese 205
ll genio, e de la terra il primo nume
Primieramente inchina, e le sue - Ninfe,
E ’1 fiume ancor non conto. Indi la Notte,
E de la Notte le sorgenti stelle,
E Giove Idéo, e d' Ida la gran madre, 210
E la madre di lui dal cielo invoca,
Exitüs positura modum.
Quare agite, et primo laeti cum lumine solis, 130
Quae loca, quive habeant homines, ubi moenia gentis,
Vestigemus, et a portu diversa petamus.
Nunc pateras libate Iovi, precibusque vocate [
Anchisen genitorem, et vina reponite mensis. |
Sic deinde effatus frondenti tempora ramo 135
Implicat, et geniumque loci, primamque Deorum
Tellurem, Nymphasque, et adhuc ignota precatur |
Flumina: tum Noctem, Noctisque orientia signa, |
Idaeumque lovem, phrygiamque ex ordine matrem |
Invocat, et duplices caeloque Ereboque parentes. i
Eneide 7^ol. II |
1
|
|
|
|
18 ENEIDE
E da l'Erebo il padre. E qui di lampi
Cinto, di luce e d' oro, e di sua mano
Folgorando il gran Giove al ciel sereno
Tonò tre volte. In ciò repente nacque 215
Tra le squadre Troiane un lieto grido,
Cl! era già il tempo di fondar venuto
Le desiate mura. A tanto annunzio
Tutti commossi, a rinnovar le mense,
Ad invitarsi, a coronarsi, a bere 220
Lietamente si diero. Il dì seguente
Nel sorger dell’ aurora uscir diversi
A spiar del paese, che contrade
E che liti eran quelli, e di che genti.
Trovàr che di Numico era lo stagno, 225
E che] fiume era il Tebro, e la cittade
Da’ feroci Latini era abitata.
Allor d' Anchise il generoso figlio
Hic pater omnipotens ter caelo clarus ab alto
Intonuit, radiisque ardentem lucis et auro
Ipse manu quatiens ostendit ab aethere nubem.
Diditur hic subito troiana per agmina rumor,
Advenisse diem, quo debita moenia condant. 145
Certatim instaurant epulas, atque omine magno
Crateras laeti statuunt, et vina coronant.
Postera quum prima lustrabat lampade terras
Orta dies; urbem et fines et litora gentis
Diversi explorant: haec fontis stagna Numici, 150
JlIunc Thybrim fluvium, hic fortes habitare Latinos.
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Force mcm am am cm cm ma S
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LIBRO SETTIMO 19)
Cento fra tutti i più scelti oratori
D’ oliva incoronati al re destina 250
Con doni, con avvisi e con richieste
D' amicizia, di comodi e di pace.
Questi il viaggio lor sollecitando
Se ne van senza indugio. Ed egli intanto
Preso nel lito il primo alloggiamento 235
Di picciol fosso la muraglia insolca;
E "n sembianza di campo e di fortezza
D’ argini lo circonda e di steccato.
Seguon gl’ imbasciatori, € già da presso
La città, l’ alte torri e i gran palagi 240
Scoprono de’ Latini. Anzi a le mura
Veggono il fior de’ giovinetti loro
Su' cavalli e su’ carri esercitarsi,
Lotteggiar, tirar d' arco, avventar pali,
Tum satus Anchisa, delectos ordine ab omni,
Centum oratores augusta ad moenia regis
Ire iubet, ramis velatos Palladis omnes,
Donaque ferre viro, pacemque exposcere Teucris.
Haud mora; festinant iussi, rapidisque feruntur
Passibus. Ipse humili designat moenia fossa,
Moliturque locum; primasque in litore sedes,
Castrorum in morem, pinnis atque aggere cingit.
Jamque iter emensi, turres ac tecta Latinorum: 160
Ardua cernebant iuvenes, muroque subibant:
Ante urbem pueri, et primaevo flore iuventus ..
Exercentur equis, domitantque in pulvere currus;
20 ENEIDE
E cotali altre oprar contese e prove 249
Di corso, d’ attitudine e di forza.
Tosto che compariscono, un messaggio
Quindi si spicca in fretta, e precorrendo
Riporta al vecchio re, che nuova gente
Di gran sembiante e d' abito straniero 250
Vien dal mare a sua corte. Il re comanda
Che sieno ammessi; e ne l' antico seggio
Per ascoltarli in maestà si reca.
Era la corte un ampio, antico, augusto
Di più di cento colonnati estrutto ^. 255
In cima a la città sublime albergo.
Pico di Laürento il vecchio rege
L’ avea fondata. Era d' oscure selve,
Era de’ Numi de’ primi avi suoi i
Sovra d’‘ogni altra veneranda e sacra. 260
Qui de’ lor scettri, qui de’ primi fasci
Aut acres tendunt arcus, aut lenta lacertis
Spicula contorquent, cursuque ictuque lacessunt:
Quum. provectus equo longaevi regis ad aures
INuntius ingentes ignota in veste reportat
Advenisse viros. Ille intra tecta vocari
Imperat, et solio medius consedit avito.
Tectum augustum, ingens , centum sublime columnis,
Urbe fuit summa, Laurentis regia Pici,
Horrendum silvis, et relligione parentum.
Hic sceptra accipere, et primos attollere fasces
Regibus omen erat: hoc illis curia templum,
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LIBRO SETTIMO 2t
S' investivano i regi. In questo tempio
Era la curia, eran le sacre cene,
Eran de' padri i pubblici conviti
De l’ ucciso ariete. Avea d’ antico 265
Cedro nel primo entrar l’ un dietro a l’ altro
De’ suoi grand’ avi simolacri eretti.
Italo v' era, e il buon padre Sabino,
Saturno con la vite e con la falce,
Giano con le due teste, e gli altri regi 270
Tutti di mano in man, che combattendo
Non fur di sangue a la lor patria avari.
‘ Pendean da le pareti e da’ pilastri
Un gran numero d' armi e d' altre spoglie
Prese in battaglia. A i portici d’ intorno 275
Carri, trofei, catene, elmi e cimieri
E securi e corazze e scudi e lance
.E rostri di navilii e ferri e sbarre
Hae sacris sedes epulis: hic ariete caeso 175
Perpetuis soliti patres considere mensis.
Quin etiam veterum effigies ex ordine avorum
Antiqua ex cedro; Italusque, paterque Sabinus,
Vitisator, curvam servans sub imagine falcem,
Saturnusque senex, Ianique bifrontis imago, 180
Vestibulo adstabant, aliique ab origine reges,
Martia qui ob patriam pugnando vulnera passi: :
Multaque praeterea sacris in postibus arma,
Captivi pendent currus, curvaeque secures,
Et cristae capitum, et portarum ingentia claustra,
22 ENEIDE
Di fracassate porte erano affisse.
In abito succinto, e con la verga 280
Che fu poi di Quirino, e con l' ancile
Ne la sinistra esso re Pico assiso
V' era, pria cavaliero, e poscia augello;
Ch' in augello il cangió la maga Circe
Sdegnosa amante; e gli suoi regii fregi 285
Gli converse in colori, e'l manto in ali.
In questo tempio sovra al seggio agiato
De' suoi maggiori, a sé Latino i Teucri
Chiamar si fece; e dolcemente in prima
Cosi parló: Dite, Troiani amici, 290
A che venite? ché venite in luogo
Ch' ha di Troia e di voi contezza a pieno.
Siatevi, o per errore o per tempesta
Spiculaque, clypeique, ereptaque rostra carinis.
Ipse quirinali lituo, parvaque sedebat
Succinctus trabea, laevaque ancile gerebat
Picus equiám domitor: quem capta cupidine coniux
Aurea percussum virga, versumque venenis, 190
F'cit avem Circe, sparsitque coloribus alas.
Tali intus templo Diviim, patriaque Latinus
Sede sedens T'eucros ad sese in tecta vocavit;
"Atque haec ingressis placido prior edidit ore:
Dicite, Dardanidae, ( neque enim nescimus et urbem 195
Et genus, auditique advertitis aequore cursum )
Quid petitis? quae caussa rates, aut cuius egentes
Litus ad ausonium tot per vada caerula vexit?
LIBRO SETTIMO 23
O per bisogno .a questi liti addotti,
Come a gente di mar sovente avviene, 295
À buon fiume, a buon porto, a buon ospizio
Siete arrivati. Da Saturno scesi
Sono i Latini, ed ospitali e buoni,
Non per forza o per leggi, ma per uso
E per natura; e del buon vecchio Dio 300
Seguitiam l’ orme e de’ suoi tempi d' oro.
Io mi ricordo ( ancor che questa fama
Sia per molt anni omai debile e scura )
Che per vanto soleano i vecchi Aurunci
Dir che Dardano vostro in queste parti 305
Ebbe il suo nascimento; e quinci in Ida
Passò di Frigia, e ne la tracia Samo,
Ch’ or Samotracia è detta. Da’ Tirreni,
E da Corito uscio Dardano vostro,
Ch’ or fatto è Dio, e tra’ celesti in ‘cielo 310
Sive errore viae, seu tempestatibus acti
( Qualia multa mari nautae patiuntur in alto) 200
Fluminis intrastis ripas, portuque sedetis:
Ne fugite hospitium, neve ignorate Latinos,
Saturni gentem, haud vinclo nec legibus aequam,
Sponte sua, veterisque Dei se more tenentem.
tque equidem memini (fama est obscurior annis )
Auruncos ita ferre senes, his ortus ut agris
Dardanus idaeas Phrygiae penetrarit ad urbes,
T'hreiciamque Samum, quae nunc Samothracia fertur.
Hinc illum Corythi tyrrhena ab sede profectum,
24 ENEIDE
D' oro ha la sua magion, di stelle il seggio,
E qua giù tra’ mortali altari e voti.
Avea ciò detto, quando a' detti suoi
Il saggio Ilionéo cosi rispose:
Alto signor, di Fauno egregio figlio, 315
Non tempesta di mar, non venti avversi, —
Non di stelle, o di liti, o di nocchieri
Error qui n'ave, od ignoranza addotti.
Noi di nostro voler, di nostro avviso
Ci siam venuti, discacciati e privi 320
D'un regno de' maggiori e de’ più chiari,
Ch'unqua vedesse d’ oriente il sole.
Da Dardano e da Giove il suo legnaggio
Ha quella gente, e quel Troiano Enea
Ch’ a te ne manda. La tempesta, i Fati, 325
Aurea nunc solio stellantis regia caeli 210
Accipit, et numerum Divorum altaribus addit.
Dixerat: et dicta Ilioneus sic ore sequutus:
Rex, genus egregium Fauni, nec fluctibus actos
Atra subegit hiems vestris succedere terris,
Nec sidus regione viae litusve fefellit: 215
Consilio hanc omnes, animisgue volentibus urbem
Adferimur, pulsi regnis, quae maxima quondam .
Extremo veniens sol adspiciebat Olympo.
Ab Iove principium generis: love dardana pubes
Gaudet aeo: rex.ipse lovis de gente suprema — 220
Troius /Eneas tua nos ad limina misit.
Quanta per idaeos saevis effusa My cenis
| "AM
LIBRO SETTIMO 22
E la ruina che ne' campi Idéi
Venne di Grecia, onde !' Europa e l'Asia
E'l mondo tutto sottosopra andonne,
Cui non è conta? Chi sì-lunge è posto
Da noi, che non l'udisse? o che da l' acque 330
De l’estremo Oceáno, o che dal. foco
De la torrida zona sia diviso
Da la nostra notizia? Il nostro affanno
Tal fece intorno a sé diluvio e moto,
Che scosse ed allagó la terra tutta. 335
Da indi in qua dispersi e vagabondi
Per tanti mari, un sol picciol ridotto
A gli Dei nostri, un lito che n'accolga
Non da nemici, un poco d’acqua e d’aura
( Lassi! ) quel ch'ogn' uom'ha, cercando andiamo. 3.{0
Non disutili, credo, e non indegni
Sarem del regno vostro: a voi non lieve
Ne verrà fama; e d'un tal merto tanto
T'empestas ierit campos; quibus actus uterque
Europae atque Asiae fatis concurrerit orbis:
Audiit, et si quem tellus extrema refuso : 225
Submovet Oceano, et si quem extenta plagarum
Quatuor in medio dirimit plaga solis iniqui.
Diluvio ex illo tot vasta per aequora vecti
Dis sedem exiguam patriis, litusque rogamus
Innocuum, et cunctis undamque auramque patentem
Non erimus regno indecores; nec vestra feretur
Fama levis, tantive abolescet gratia facti:
Encide Vol. Il 4
26 ENEIDE
Vi sarem grati, che l'ausonia terra
Non mai si pentirà d'aver i figli 349
De la misera Troia in grembo accolti.
Io ti giuro, signor, per le fatiche, .
Per gli Fati d'Enea, per la possente
Sua destra (già per fede e per valore
Famosa al mondo) che da molte genti 350
Molte fiate (e cio vil non ti sembri,
Che da noi stessi a te ci proferiamo
E ti preghiamo) siam pregati noi,
E per compagni desiati e cerchi.
Ma da i Fati, signor, e da gli Dei 355
Siam qui mandati. Dardano qui nacque,
Qua Feho ne richiama. Febo stesso,
E quel di Delo è ch’ai Tirreni, al Tebro,
Al fonte di Numico, a voi c'invia.
Queste, oltre a ciò, poche reliquie, e segni 360
Nec Troiam Ausonios gremio excepisse pigebit.
Fata per /Eneae iuro, dextramque potentem,
Sive fide, seu quis bello est expertus et armis: 235
Multi nos populi, multae ( ne temne, quod ultro
Praeferimus manibus vittas ac verba precantia )
Et petiere sibi, et voluere adiungere gentes.
Sed nos fata Dem vestras exquirere terras
Imperiis egere suis. Hinc Dardanus ortus 24o
Huc repetit, iussisque ingentibus urget Apollo
Tyrrhenum ad T'hy brim,et fontis vada sacra Numici,
Dat tibi praeterea fortunae parva prioris
LIBRO SETTIMO 27
De l'andata fortuna e del suo amore
Il re nostro ti manda; che dal foco
Son de la patria ricovrate appena.
Con questa coppa il suo gran padre Anchise
Sacrificava. Questo regno in testa, ' 365
Quando era in soglio, il gran Priamo avea:
Questo é lo scettro, questa é la tiara,
Sacro suo portamento; e queste vesti
Son de le donne d’Ilio opre e fatiche.
Al dir d'Ilionéo stava Latino 370
Fisso col volto a terra immoto e saldo,
Come in astratto, e solo avea le luci
De gli occhi intese a rimirar, non tanto
Il dipint' ostro e gli altri regii arnesi,
Quanto in pensar de la diletta figlia 375
ll maritaggio, e'l vaticinio uscito
Dal vecchio Fauno. E'n sé stesso raccolto,
Munera, relliquias Troia ex ardente receptas.
Hoc pater Anchises auro libabat ad aras: 245
Hoc Priami gestamen erat, quum iura vocatis
More daret populis; sceptrumque, sacerque tiaras,
Iliadumque labor vestes.
Talibus Ilionei dictis defixa Latinus
Obtutu tenet ora, soloque immobilis haeret, 250
Intentos volvens oculos. Nec purpura regem
Picta movet, nec sceptra movent priameia tantum,
Quantum in connubio natae thalamoque moratur;
Et veteris Fauni volvit sub pectore sortem: °°
n8 . ENEIDE
Questi è certo, dicea, quei che da'Fati
Si denunzia venir di stran paese
Gencro a me, sposo a Lavinia mia, 380
Del mio regno partecipe e consorte.
Questi è da cui verrà l' egregia stirpe,
Che col valor farassi e con le forze
Soggetto e tributario il mondo tutto.
Ed al fin lieto, O, disse, eterni Dei, 385
Secondate voi stessi i vostri augurii,
E i pensier miei. Da me, Troiani, avrete
Tutto che desiate; e 1 vostri doni
Gradisco e pregio; e mentre re Latino
Sarà, sarete voi nel regno suo 390 -
Cortesemente accolti; e’l seggio e 1 campi
E ciò ch'è d'uopo, come a Troia foste,
In copia avrete. Or s'ei tanto desía
L'amistà nostra e’l nostro ospizio, vegua
Hunc illum fatis externa ab sede profectum 255
Portendi generum, paribusque in regna vocari
"Auspiciis; hinc progeniem virtute futuram
Egregiam, et totum quae viribus occupet orbem.
Tandem laetus ait: Di nostra incepta secundent ,
Auguriumque suuml Dabitur, Troiane, quod optas.
Munera nec sperno. Non vobis, rege Latino,
Divitis uber agri, T'roiaeve opulentia deerit.
Ipse modo Éneas (nostri si tanta cupido est,
Si iungi hospitio properat, sociusve vocari)
Adveniat, vultus neve exhorrescat amicos. 265
LIBRO SETTIMO 29
Egli in persona, e.-non.abborra omai — | 395
Il nostro amico aspetto. Arra e certezza
Ne fia di pace il convenir con lui,
E di lui stesso aver la fede in pegno.
Da l’altra parte, a mio nome gli dite
Quel ch'io dirovvi. Io senza più mi trovo 400
Una mia figlia. A questa il mio paterno:
Oracolo, e del ciel molti prodigii
Vietan ch'io dia marito altro ch’ esterno.
D’ esterna parte, tal d'Italia è’1 Fato,
Un genero dal ciel mi si promette, 405
Per la cui stirpe il mio nome e'1 mio sangue
Ergerassi a le stelle. Or se del vero
Punto é'| mio cor presago, egli è quel desso,
Cred’ io, che’l Fato accenna, e’l credo e’l bramo.
Giò detto, de' trecento, che mai sempre 410
A’ suoi presepii avea, nitidi e pronti
Destrier di fazione e di rispetto,
Pars mihi pacis erit dextram tetigisse tyranni.
Vos contra regi mea nunc mandata referte.
Est mihi nata, viro gentis quam iungere nostrae
Non patrio ex adyto sortes, non plurima caelo
.Monstra sinunt: generos externis adfore ab oris, 270
Hoc Latio restare canunt, qui sanguine nostrum
Nomen in astra ferant. Hunc illum poscere fata
Et reor, et, si quid veri mens augurat, opto.
Haec effatus, equos numero pater eligit omni.
Stabant ter centum nitidi in praesepibus altis: 279
30 | ENEIDE
Per gli cento orator cento n'elegge,
Ch'avean.le lor coverte e i lor girelli ,
Le pettiere e le briglie in varie guise 415
D'ostro e di seta ricamati e d'oro,
E d'ór le ghiere, e d'ór le borchie e i freni.
Al Troian duce assente un carro invia
Con due corsier ch'eran di quei del Sole
Generosi bastardi , e vampa e foco 420
Sbruffavan per le nari. Al Sol suo padre
La razza ne .furó la scaltra Circe
Allor ch'a l'incantate sue giumente
Eto e Piróo furtivamente impose.
Tali in su tai cavalli alteramente 425
Tornando i Teucri al teucro duce, allegre
Portàr novelle e parentela e pace.
Ed ecco che di Grecia uscendo e d’ Argo
L’empia moglie di Giove, alto da terra
Omnibus extemplo Teucris iubet ordine duci
Instratos ostro alipedes pictisque tapetis.
Aurea pectoribus demissa monilia pendent:
Tecti auro, fulvum mandunt sub dentibus aurum.
Absenti /Eneae currum geminosque iugales ‘280
Semine ab aetherio, spirantes naribus ignem,
Illorum de gente, patri quos daedala Circe
Supposita de matre nothos furata creavit.
Talibus Aneadae donis dictisque Latini
Sublimes in equis redeunt, pacemque reportant. 285
Ecce autem inachiis sese referebat ab Argis ..
\ LIBRO SETTIMO 31
Sospesa , infin dal Sicolo Pachino iti
Vide i legni Troiani; e vide Enea.
Con tutti i suoi, che lieto e fuor del mare
E secur de la terra incominciava
D'alzar gli alberghi, e di fondar le mura
Già d'un altr Dio. E, punta il cor di doglia , 435
Squassando il capo, Ah, disse, a me pur troppo
Nimica razza! ah troppo a'Fati miei
Fati de'Frigü avversi! E forse estinti -
Fur ne’ campi Sigei? Forse potuti
Si son prender già presi, ed arder arsi? ^ 44o
Per mezzo de le schiere e de gl' incendii
Han trovata la via. Stanca fia dunque :
Questa mia deità, quando ancor sazia
Non é de l'odio? E già s'é resa, quando
Ha fin qui nulla oprato? E che mi giova 445
Saeva Iovis coniux, aurasque invecta tenebat:
Et laetum /Enean, classemque ex aetliere longe
Dardaniam siculo prospexit ab usque Pachyno.
Moliri iam tecta videt , iam fidere terrae, 290
Deseruisse rates. Stetitacri fixa dolore: :
Tum quassans caput, haec effundit pectore dicta:
Heu. stirpem invisam, et fatis contraria nostris
Fata Phrygum! Num sigaeis occumbere campis,
Num capti potuere capi? num incensa cremavit 295
T'roia viros? medias acies, mediosque per ignes
Invenere viam. At, credo, mea numina tandem.
F'essa iacent, odiis aut exsaturata quieyi.
26 | ENEIDE
Vi sarem grati, che l'ausonia terra
Non mai si pentirà d'aver i figli 345
De la misera Troia in grembo accolti.
Io ti. giuro, signor, per le fatiche, .
Per gli Fati d' Enea, per la possente
Sua destra (già per fede e per valore
Famosa al mondo) che da molte genti 350
Molte fiate (e cio vil non ti sembri,
Che da noi stessi a te ci proferiamo
E ti preghiamo) siam pregati noi,
E per compagni desiati e cerchi.
Ma da i Fati, signor, e da gli Dei 355
Siam qui mandati. Dardano qui nacque,
Qua Feho ne richiama. Febo stesso,
E quel di Delo è ch'ai Tirreni, al Tebro,
Al fonte di Numico, a voi c'invia.
Queste, oltre a ciò, poche reliquie, e segni 360
Nec Troiam Ausonios gremio excepisse pigebit.
Fata per /Eneae iuro, dextramque potentem,
Sive fide, seu quis bello est expertus et armis: | 235
Multi nos populi, multae ( ne temne, quod ultro
Praeferimus manibus vittas ac verba precantia )
Et petiere sibi, et voluere adiungere gentes.
Sed nos fata Deum vestras exquirere terras
Imperiis egere suis. Hinc Dardanus ortus 24o
Huc repetit, iussisque ingentibus urget Apollo
Tyrrhenum ad T'hybrim,et fontis vada sacra Numici.
Dat tibi praeterea fortunae parva prioris
LIBRO SETTIMO 27
De l'andata fortuna e del suo amore
Il re nostro ti manda; che dal foco
Son de la patria ricovrate appena.
Con questa coppa il suo gran padre Anchise
Sacrificava. Questo regno in testa, ' 365
Quando era in soglio, il gran Priamo avea:
Questo è lo scettro, questa è la tiara,
Sacro suo portamento; e queste vesti -
Son de le donne d'llio opre e fatiche.
Al dir d’Ilionéo stava Latino 370
Fisso col volto a terra immoto e saldo,
Come in astratto, e solo avea le luci
De gli occhi intese a rimirar, non tanto
Il dipint' ostro e gli altri regii arnesi,
Quanto in pensar de la diletta figlia 375
Il maritaggio, e'l vaticinio uscito
Dal vecchio Fauno. En sé stesso raccolto,
Munera, relliquias Troia ex ardente receptas.
Hoc pater Anchises auro libabat ad aras: 245
Hoc Priami gestamen erat, quum iura vocatis
More daret populis; sceptrumque, sacerque tiaras,
Iliadumque labor vestes.
Talibus Ilionei dictis defixa Latinus :
Obtutu tenet ora, soloque immobilis haeret, 250
Intentos volvens oculos. Nec purpura regem
Picta movet, nec sceptra movent priameia tantum,
Quantum in connubio natae thalamoque moratur;
Et veteris Fauni volvit sub pectore sortem:
28 ENEIDE
Questi è certo, dicea, quei che da’ Fati
Si denunzia venir di stran paese
Genero a me, sposo a Lavinia mia, 380
Del mio regno partecipe e consorte.
Questi è da cui verrà l' egregia stirpe,
Che col valor farassi e con le forze
Soggetto e tributario il mondo tutto.
Ed al fin lieto, O, disse, eterni Dei, . 385
Secondate voi stessi i vostri augurii,
E i pensier miei. Da me, Troiani, avrete
Tutto che desiate; e i vostri doni
Gradisco e pregio; e mentre re Latino
Sarà, sarete voi nel regno suo 390 -
Cortesemente accolti; e’l seggio e i campi
E ciò ch'è d'uopo, come a Troia foste,
In copia avrete. Or s'ei tanto desía
L'amistà nostra e'l nostro ospizio, vegna
Hunc illum fatis externa ab sede profectum 255
Portendi generum, paribusque in regna vocari
"Auspiciis; hinc progeniem virtute futuram
Egregiam, et totum quae viribus occupet orbem.
Tandem laetus ait: Di nostra incepta secundent ,
Auguriumque suum! Dabitur, Troiane, quod optas.
Munera nec sperno. Non vobis, rege Latino,
Divitis uber agri, Troiaeve opulentia deerit.
Ipse modo /Eneas ( nostri si tanta cupido est,
$i iungi hospitio properat, sociusve vocari )
Adveniat, ultus neve exhorrescat amicos. 265
LIBRO SETTIMO 29
Egli in persona, e-non.abborra omai © 395
Il nostro amico aspetto. Arra e certezza
Ne fia di pace il convenir con lui,
E di lui stesso aver la fede in pegno.
Dà l’altra parte, a mio nome gli dite
Quel ch'io dirovvi. Io senza più mi trovo 400
Una mia figlia. A questa il mio paterno
Oracolo, e del ciel molti prodigii
Vietan ch'io dia marito altro ch' esterno.
D'esterna parte, tal d'Italia è ’l Fato,
Un genero dal ciel mi si promette, 405
Per la cui stirpe il mio nome e’l mio sangue
Ergerassi a le stelle. Or se del vero
Punto è’l mio cor presago, egli è quel desso,
Cred'io, che’l Fato accenna, e!l credo e'l bramo.
Giò detto, de' trecento, che mai sempre 410
A’ suoi presepii avea, nitidi e pronti
Destrier di fazione e di rispetto,
Pars mihi pacis erit dextram tetigisse tyranni,
Vos contra regi mea nunc mandata referte.
Est mihi nata, viro gentis quam iungere nostrae
. Non patrio ex adyto sortes, non plurima caelo
.Monstra sinunt: generos externis adfore ab oris, 270
Hoc Latio restare canunt, qui sanguine nostrum
Nomen in astra ferant. Hunc illum poscere fata
Et reor, et, si quid veri mens augurat, opto.
Haec effatus, equos numero pater eligit omni.
Stabant ter centum nitidi in praesepibus altis: 279
30 | ENEIDE
Per gli cento orator.cento n'elegge,
Ch’avean le lor coverte e i lor girelli ,
Le pettiere e le briglie in varie guise 415
D'ostro e di seta ricamati e d'oro, .
E d'ór le ghiere, e d'ór le borchie e i freni.
Al Troian duce assente un carro invia
Con due corsier ch'eran di quei del Sole
Generosi bastardi , e vampa e foco 420
Sbruffavan per le nari. Al Sol suo padre
La razza ne furó la scaltra Circe
. Allor ch'a l’ incantate sue giumente
Eto e Piróo furtivamente impose.
Tali in su tai cavalli alteramente 425
Tornando i Teucri al teucro duce, allegre
Portàr novelle c parentela e pace.
Ed ecco che di Grecia uscendo e d' Argo
L' empia moglie di Giove, alto da terra
Omnibus extemplo Teucris iubet ordine duci
Instratos ostro alipedes pictisque tapetis.
Aurea pectoribus demissa monilia pendent:
Tecti auro, fulvum mandunt sub dentibus aurum.
Absenti /Eneae currum geminosque iugales —— 280
Semine ab aetherio, spirantes naribus ignem,
Allorum de gente, patri quos daedala Circe
Supposita de matre nothos furata creavit.
Talibus Asneadae donis dictisque Latini
Sublimes in equis redeunt, pacemque reportant. 285
Ecce autem inachiis sese referebat ab Argis .
\ LIBRO SETTIMO 31
Sospesa , infin dal Sicolo Pachino fio
Vide i legni Troiani; e vide Enea
Con tutti i suoi, che lieto e fuor del mare
E secur de la terra incominciava
D'alzar gli alberghi, e di fondar le mura
Già d'un altr'Iio. E, punta il cor di doglia, 435
Squassando il capo, Ah, disse, a me pur troppo
Nimica razza! ah troppo a'Fati miei
Fati de'Frigü avversi! E forse estinti -
Fur ne'campi Sigei? Forse potuti
Si son prender già presi, ed arder arsi? 440
Per mezzo de le schiere e de gl' incendii
Han trovata Ja via. Stanca fia dunque :
Questa mia deità, quando ancor sazia
Non è de l'odio? E già s'è resa, quando
Ha fin qui nulla oprato? E che mi giova 445
Saeva Iovis coniux, aurasque invecta tenebat:
Et laetum /Enean, classemque ex aethere longe
Dardaniam siculo prospexit ab usque Pachyno.
Moliri iam tecta videt , iam fidere terrae, 290
Deseruisse rates. Stetit'acri fixa dolore: : |
T'um quassans caput, haec effundit pectore dicta:
Heu. stirpem invisam, et fatis contraria nostris
Fata Phrygum! Num sigaeis occumbere campis,
Num capti potuere capi? num incensa cremavit 295
T'roia viros? medias acies, mediosque per. ignes
Invenere viam. At, credo, mea: numina tandem
F'essa iacent, odiis aut exsaturata quieyi.
3a ‘ ENEIDE
Che sian del regno; e de la patria in bando?
Che mi val ch'io mi sia con tutto il mare
A lor opposta? Ah! che del mar già tutte,
E del ciel contra lor le forze ho logre.
E: che le Sirti, e che Scilla e Cariddi 450
A me con lor son valse? Ecco han del Tebro
La desiata foce; e non han tema
Del marjpiù, né di me. Marte potéo
Disfar la gente de Lapiü immane;
Poté Diana aver da Giove in preda 455
Del suo disegno i Calidoni antichi ,
Quando de'Calidoni e de’ Lapiti
Ver le pene era il fallo o nullo o leve:
Ed io consorte del gran Giove e suora,
Misera, incontro a lor che non ho mosso? 460
Che di me non ho fatto? E pur son vinta.
Quin etiam patria excussos infesta per undas
"usa sequi, et profugis toto me opponere ponto, 3oo
Absumtae in Teucros vires caelique marisque.
Quid Syrtes , aut Scylla mihi , quid vasta Charybdis
Profuit? optato conduntur T'hybridis alveo,
Securi pelagi atque mei. Mars perdere gentem
Immanem Lapithi£m valuit: concessit in iras ‘ 305
Ipse Dem antiquam genitor Calydona Dianae:
Quod scelus aut Lapithas tantum, aut Calydona
merentem?
Ast ego, magna lovis coniux, nil linquere inausum
Quae potui infelix, quae memet in omnia verti,
LIBRO SETTIMO 33
Enea, Enea mi vince. Ah se con lui
1l mio nume non può, perchè d’ ognuno,
Chiunque sin, men ogni aita imploro?
Se muover contra lui non posso il cielo, — 465
Muoverò ]' Acheronte. Oh non per questo
Il Fato si distorna; ed ei non meno
Di Latino otterrà la figlia e ‘1 regno.
Che più? Lo tratterrò: gli darò briga:
Porró, s altro mon posso, in tanto affare 470
Gara, indugio e scompiglio: a strage, a morte,
Ad ogni strazio condurrò le genti
De l'un rege e de l'altro; e questi avanzi -
Faran primieramente i lor suggetti
De la lor amistà. Con questo in prima 479
Si sian suocero e genero. Del sangue
De’ Troiani e de’ Rutoli dotata
N'andrai regia donzella , e) tuo marito;
E del tuo maritaggio e del tuo letto
Vincor ab /&nea. Quod si mea numina non sunt
Magna satis, dubitem haud equidem implorare quod
usquam est.
Flectere si negueo Superos, Acheronta movebo.
Non dabitur regnis ( esto ) prohibere latinis;
4ftque immota. manet fatis Lavinia coniux:
At trahere, atque: moras tantis licet addere rebus;
At licet amborum populos exscindere regum.
Hac gener atque socer coeant mercede suorum.
Sanguine troiano et rutulo dbtabere, vings
Eneide Zool. 1I
LIBRO SETTIMO 43
Vi giünse, e il torvo suo maligno aspetto — 635
Con ció ch' avea di Furia, in senil forma
Cangiando, raggruppossi, incanutissi,
E di bende e d' olivo il crin velossi:
Calibe in tutto fessi, una vecchiona
Ch'era sacerdotessa e guardiana 6.[o
Del tempio di Giunone; e"n cotal guisa
Si pose a lui davanti , e cosi disse:
Turno, adunque avrai tu sofferte indarno
Tante fatiche, e questi Frigii avranno
La tua sposa e | tuo regno? il re, la figlia 645
E la dote, ch'a te per gli tuoi merti,
Per lo sparso tuo sangue era dovuta,
E già da lui promessa, or ti ritoglie ;
E de l’ una e de l' altro erede e sposo
Fassi un esterno. O va’ così deluso, 650
E per ingrati la persona e l'alma
Inutilmente a tanti rischii esponi .
Exsuit, in vultus sese transformat aniles,
Et frontem obscoenam rugis arat: induit albos
Cum vitta crines: tum ramum innectit olivae:
Fit Chalybe Iunonis anus, templique sacerdos;
Et iuveni ante oculos his se cum vocibus offert: 420
Turne, tot incassum fusos patiere labores,
Et tua dardanüs transcribi sceptra colonis?
Rex tibi coniugium et quaesitas sanguine dotes
Abnegat, externusque in regnum quaeritur heres:
I nunc, ingratis offer te, irrise, periclis: 425
4o ENEIDE
E gli dan co'flagelli animo e forza; 585
Tal per mezzo del Lazio e de’ feroci
Suoi popoli vagando, insana andava
La regina infelice. E quel che poscia
Fu d'ardire e di scandalo maggiore, -
Di Bacco simulando il nume e’l coro 590
Per tor la figlia a i Teucri, e le sue nozze
Distornare, o'n dugiare , a’ monti ascesa
Ne le selve l'ascose: O Bacco, o Libero,
Gridando, Exuoé: questa mia vergine -
Sola a te si convien, solo a te serbasi. 595
Ecco per te nel tuo coro s' esercita
Per te prende i tuoi tirsi, a te s'impampina,
A te la chioma sua nodrisce e dedica.
Divolgasi di ciò la fama intanto
Fra le donne di Lazio, e tutte insieme 600
Da furor tratte, e d'uno ardore accese
Saltan fuor de gli alberghi a la foresta.
Impubesque manus, mirata volubile buxum;
Dant animos plagae: non cursu segnior illo
Per medias urbes agitur, populosque feroces.
Quin etiam in silvas, simulato numine Bacchi, 385
Maius adorta nefas, maioremque orsa furorem,
Evolat, et natam frondosis montibus abdit;
Quo thalamum eripiat. Teucris, taedasque moretur;
Euoe Bacche, fremens, solum te virgine dignum,
Vociferans; etenim molles tibi sumere thyrsos, 390
Te lustrare choros, sacrum tibi pascere crinem.
LIBRO SETTIMO AI
Ed altre ignude i colli e sciolte i crini,
D'irsute pelli involte, e d'aste armate,
Di tralci avviticchiate e di corimbi, 605
Orrende voci e tremoli ululati
Mandano a l'aura. E la regina in mezzo
A tutte l'altre una facella in mano |
Prende di pino ardente, e l'imeneo
De la figlia e di Turno imita e canta, 610
E con gli occhi di sangue e d'ira infetti
Al cielo ad or ad or la voce alzando,
Uditemi, dicea, madri di Lazio,
Quante ne siete in ogni loco, uditemi.
Se può pietate in voi, se può la grazia 615
De la misera Amata, e la miseria
Di lei, ch' ad ogni madre è d'infortunio,
Disvelatevi tutte e scapigliatevi ;
Fama volat, furiisque accensas pectore matres
Jdem omnes simul ardor agit, nova quaerere tecta.
Deseruere domos, ventis dant colla comasque.
Ast aliae tremulis ululatibus aethera complent, 395
Pampineasque gerunt incinctae pellibus hastas.
Jpsa inter medias flagrantem fereida pinum
Sustinet, ac natae Turnique canit hymenaeos,
Sanguineam torquens aciem; toreumque repente
Clamat; lo matres, audite , ubi quaeque, latinae.
Si qua piis animis manet infelicis Amatae
Gratia, si iuris materni cura remordet;
Solvite crinales vittas, capite orgia mecum.
Eneide ol. JI G
CEE c t
— ——
42 ENEIDE
Eüoé; a questo sacrificio
Ne venite con me, meco ululatene. 620
Così da Bacco e da le furie spinta
Ne gia per selve e per deserti alpestri
La regina infelice, quando Aletto,
Ch’ assai già disturbato avea il consiglio
Di re Latino e la sua reggia tutta, 625
Ratto su le fosc'ali a l'aura alzossi;
E là've già d’Acrisio il seggio pose
L'avara figlia ivi dal vento esposta,
A l'orgoglioso Turno si rivolse .
Ardéa fu quella terra allor nomata, 630
E d'Ardéa il nome insino ad or le resta,
Ma non già la fortuna. In questo loco
Entro al suo gran palagio a mezza notte
Prendea Turno riposo, allor ch’ Aletto
Talem inter silvas, inter deserta ferarum,
Reginam Alecto stimulis agit undique Bacchi. 405
Postquam visa satis primos acuisse furores,
Consiliumque omnemque domum vertisse Latini:
Protenus hinc fuscis tristis Dea tollitur alis
Audacis Rutuli ad muros: quam dicitur urbem
Acrisioneis Danae fundasse colonis, 410
Praecipiti delata noto. Locus Ardea quondam
Dictus avis: et nunc magnum munet Ardea nomen.
Sed fortuna fuit. Tectis hic Turnus in altis
Jam mediam nigra carpebat nocte quietem.
Alecto torpam faciem, et furialia membra 415
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LIBRO SETTIMO 43
Vi giünse, e il torvo suo maligno aspetto 635
Con ciò ch’ avea di Furia, in senil forma
Cangiando, raggruppossi, incanutissi,
E di bende e d' olivo il crin velossi:
Calibe in tutto fessi, una vecchiona
Ch’ era sacerdotessa e guardiana 6.[o
Del tempio di Giunone; e"n cotal guisa
Si pose a lui davanti , e cosi disse:
Turno, adunque avrai tu sofferte indarno
Tante fatiche, e questi Frigii avranno
La tua sposa e | tuo regno? il re, la figlia 645
E la dote, ch'a te per gli tuoi merti,
Per lo sparso tuo sangue era dovuta,
E già da lui promessa, or ti ritoglie;
E de l' una e de l' altro erede e sposo
Fassi un esterno. O va’ così deluso, 650
E per ingrati la persona e l’ alma
Inutilmente a tanti rischii esponi .
Exsuit, in vultus sese transformat aniles,
Et frontem obscoenam rugis arat: induit albos
Cum vitta crines: tum ramum innectit olivae:
Fit Chalybe Iunonis anus, templique sacerdos;
Et iuveni ante oculos his se cum vocibus offert: 420
Turne, tot incassum fusos patiere labores,
Et tua dardanüs transcribi sceptra colonis?
Rex tibi coniugium et quaesitas sanguine dotes
Abnegat, externusque in regnum quaeritur heres:
I nunc, ingratis offer te, irrise, periclis: 425
44 ENEIDE
Va', fa’ strage de’ Toschi. Va’; difendi
I tuoi Latini, e in pace li mantieni.
Questo mi manda apertamente a dirti 655
La gran saturnia Giuno. Arma, arma i tuoi;
Preparati a la guerra; esci in campagna;
Assagli i Frigii, e snidagli dal fiume
Ch’ han di già preso, e i lor navili incendi.
Dal ciel ti si comanda. E se Latino 660
À le promission non corrisponde ,
Se Turno non accetta e non gradisce
Né per suo difensor, nè per suo genero,
Provi qual sia ne l' armi, e quel ch’ importi
Averlo per nimico. Al cui parlare . 665
Il giovine con beffe e con rampogne
Cosi rispose: Io non son, vecchia, ancora
Come te fuor de' sensi; e ben sentita
T'yrrhenas, i, sterne acies, tege pace Latinos.
Haec adeo tibi me, placida quum nocte iaceres,
Jpsa palam fari omnipotens Saturnia iussit.
Quare age, et armari pubem, portisque moveri
Laetus in arma para; et phrygios,qui flumine pulcro
Consedere, duces pictasque exure carinas:
Caelestum vis magna iubet. Rex ipse Latinus
Ni dare coniugium, et dicto parere fatetur,
Sentiat, et tandem Turnum experiatur in armis.
Hic iuvenis, vatem irridens, sic orsa vicissim 435
Ore refert: Classes invectas T'hybridis alveo
IVon, ut rere, meas effugit nuntius aures:
LIBRO SETTIMO 45
Ho la nuova de’ Teucri, e me ne cale
Più che non credi. Non però ne temo 670
Quel che tu ne vaneggi; e non m' ha Giuno
(Penso) in tanto dispregio e ’n tale obblío.
Ma tu da gli anni rimbambita e scema:
Entri folle in pensier d' armi e di stati,
Ch’ a te non tocca. Quel ch’ è tuo mestiero 675
Governa i templi, attendi a i simolacri,
E di pace pensar lascia e di guerra
A chi di guerreggiar la cura è data.
Furia a la Furia questo dire accrebbe,
Sì che d' ira avvampando, ella il suo volto 680
| Riprese è rincagnossi: ed ei ne gli occhi
Stupido ne rimase, e tremò tutto:
Con tanti serpi s' arruffò ]' Erinne,
Con tanti ne fischiò, tale una faccia
Le si scoverse. Indi le bieche luci 685
Ne tantos mihi finge metus: nec regia Iuno
dAmmemor est nostri.
Sed te victa situ, verique effoeta senectus, 440
O mater, curis nequidquam exercet, et arma
Regum inter falsa vatem formidine ludit.
Cura tibi, Diviim effigies et templa tueri:
Bella viri pacemque gerant, * queis bella gerenda. *
Talibus Alecto dictis exarsit in iras. 445
At iuveni oranti subitus tremor occupat artus:
Diriguere oculi: tot Erinnys sibilat hydris,
Tantaque se facies aperit: tum flammea torquens
42 ENEIDE
Edoé; a questo sacrificio
Ne venite con me, meco ululatene. 620
Così da Bacco e da le furie spinta
Ne gia per selve e per deserti alpestri
La regina infelice, quando Aletto,
Ch' assai già disturbato avea il consiglio
Di re Latino e la sua reggia tutta, 625
Ratto su le fosc'ali a l'aura alzossi;
E là've già d'Acrisio il seggio pose
L’avara figlia ivi dal vento esposta,
A lorgoglioso Turno si rivolse .
Ardéa fu quella terra allor nomata, 630
E d'Ardéa il nome insino ad or le resta,
Ma non già la fortuna. In questo loco
Entro al suo gran palagio a mezza notte
Prendea Turno riposo, allor ch’ Aletto
Talem inter silvas, inter deserta ferarum,
Reginam Alecto stimulis agit undique Bacchi. 405
Postquam visa satis primos acuisse furores,
Consiliumque omnemque domum vertisse Latini:
Protenus hinc fuscis tristis Dea tollitur alis
Audacis Rutuli ad muros: quam dicitur urbem
Acrisioneis Danae fundasse colonis, 410
Praecipiti delata noto. Locus Ardea quondam
Dictus avis: et nunc magnum munet Ardea nomen.
Sed fortuna fuit. Tectis hic Turnus in altis
Jam mediam nigra carpebat nocte quietem.
Alecto torvam faciem, et furialia membra 415
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Aen.Lib.w 4r.
ARDEA.
Ardea.
LIBRO SETTIMO 43
Vi giunse, e il torvo suo maligno aspetto — 635
Con ciò ch’ avea di Furia, in senil forma
Cangiando, raggruppossi, incanutissi,
E di bende e d' olivo il crin velossi:
Calibe in tutto fessi, una vecchiona
Ch'era sacerdotessa e guardiana 60
Del tempio di Giunone; e’n cotal guisa
Si pose a lui davanti, e così disse:
Turno, adunque avrai tu sofferte indarno
Tante fatiche, e questi Frigii avranno
La tua sposa e | tuo regno! il re, la figlia 645
E la dote, ch' a te per gli tuoi merti,
Per lo sparso tuo sangue era dovuta,
E già da lui promessa, or ti ritoglie;
E de l' una e de l' altro erede e sposo
Fassi un esterno. O va’ così deluso, 650
E per ingrati la persona e l’ alma
Inutilmente a tanti rischii esponi .
Exsuit, in vultus sese transformat aniles,
Et frontem obscoenam rugis arat: induit albos
Cum vitta crines: tum ramum innectit olivae:
Fit Chalybe Iunonis anus, templique sacerdos;
Et iuveni ante oculos his se cum vocibus offert: 420
Turne, tot incassum fusos patiere labores,
Et tua dardaniis transcribi sceptra colonis?
Rex tibi coniugium et quaesitas sanguine dotes
Abnegat, externusque in regnum quaeritur heres:
I nunc, ingratis offer te, irrise, periclis: 425
44 ENEIDE
Va', fa' strage de’ Toschi. Va’; difendi
I tuoi Latini, e in pace li mantieni.
Questo mi manda apertamente a dirti 655
La gran saturnia Giuno. Árma, arma i tuoi;
Preparati a la guerra; esci in campagna;
Assagli i Frigii, e snidagli dal fiume
Ch' han di già preso, e i lor navili incendi.
Dal cielti si comanda. E se Latino 660
A le promission non corrisponde ,
Se Turno non accetta e non gradisce
Né per suo difensor, nè per suo genero,
Provi qual sia ne l' armi, e quel ch’ importi
Averlo per nimico. Al cui parlare - 665
Il giovine con beffe e con rampogne
Così rispose: Io non son, vecchia, ancora
Come te fuor de’ sensi; e ben sentita
Tyrrhenas, i, sterne acies, tege pace Latinos.
Haec adeo tibi me, placida quum nocte iaceres,
Ipsa palam fari omnipotens Saturnia iussit.
Quare age, et armari pubem, portisque moveri
Laetus in arma para; et phrygios, qui flumine pulcro
Consedere, duces pictasque exure carinas:,
Caelestum vis magna iubet. Rex ipse Latinus
Ni dare coniugium, et dicto parere fatetur,
Sentiat, et tandem Turnum experiatur in. armis.
Hic iuvenis, vatem irridens, sic orsa vicissim 435
Ore refert: Classes invectas Thybridis alveo
Non, ut rere, meas effugit nuntius aures:
LIBRO SETTIMO 45
Ho la nuova de’ Teucri, e me ne cale
Più che non credi. Non però ne temo 670
Quel che tu ne vaneggi; e non m' ha Giuno
(Penso) in tanto dispregio e ’n tale obblio .
Ma tu da gli anni rimbambita e scema:
Entri folle in pensier d' armi e di stati,
Ch’ a te non tocca. Quel ch’ è tuo mestiero 675
Governa i templi, attendi a i simolacri,
E di pace pensar lascia e di guerra
A chi di guerreggiar la cura è data.
Furia a la Furia questo dire accrebbe,
Sì che d' ira avvampando, ella il suo volto 680
Riprese è rincagnossi: ed ei ne gli occhi
Stupido ne rimase, e tremò tutto:
Con tanti serpi s' arruffò ]' Erinne,
Con tanti ne fischiò, tale una faccia
Le si scoverse. Indi le bieche luci — 685
Ne tantos mihi finge metus: nec regia Iuno
Ammemor est nostri.
Sed te victa situ, verique effoeta senectus, 440
O mater, curis nequidquam exercet, et arma
Regum inter falsa vatem formidine ludit.
Cura tibi, Divám effigies et templa tueri: .
Bella viri pacemque gerant, * queis bella gerenda. *
Talibus Alecto dictis exarsit in iras. 445
At iuveni oranti subitus tremor occupat artus:
Diriguere oculi: tot Erinnys sibilat hydris,
Tantaque se facies aperit: tum flammea torquens
46 ENEIDE
Di foco accesa, la viperea sferza
Gli girò sopra; e sì com'era immoto
Per lo stupore, ed a più dire inteso,
Lo risospinse; e i suoi detti e i suoi scherni
Così rabbiosamente improverógli: 690
Or vedrai ben se rimbabita e scema
Sono entrata in pensier d'armi e di stati,
Ch'a me non tocchi; e se son vecchia e folle.
Guardami, e riconoscimi ; ch'a questo
Son dal Tartaro uscita. E guerra e morte 699
Meco ne porto. E, ciò detto; avventogli
Tale una face e con tal fumo un foco,
Che fe’ tenebre a*gli occhi e fiamme al core.
Lo spavento del giovine fu tale,
Che rotto il sonno, di sudor bagnato 700
Si trovò per angoscia il corpo tutto:
E stordito sorgendo, arme d' intorno
Lumina, cunctantem et quaerentem dicere plura
Reppulit, et geminos erexit crinibus angues, 450
F'erberaque insonuit, rabidoque haec addidit ore:
En, ego victa situ, quam veri effoeta senectus
Arma inter regum falsa formidine ludit;
Respice ad haec: adsum dirarum ab sede sororum:
Bella manu, letumque gero. 455
Sic effata, facem iuveni coniecit, et atro
Lumine fumantes fixit. sub pectore taedas.
Olli somnum ingens rumpit pagor; ossaque et artus
Perfudit toto proruptus corpore sudor.
LIBRO SETTIMO 47
Cercossi, armi gridò, d'ira s’ accese,
D'empio disío, di scellerata insania
Di scompigli e di guerra. In quella guisa — 705
Che con alto bollor risuona e gonfia
Un gran caldar, quand'ha di verghe a’ fianchi
Chi gli ministra ognor foco maggiore,
Quando l'onda più ferve, e gorgogliando
. Più rompe, più si volve e spuma e versa, 710
E'] suo negro vapore a l'aura esala.
Cosi Turno commosso a muover gli altri
Si volge incontanente; e de’ suoi primi,
Altri al re manda con la rotta pace,
Ad altri l'apparecchio impon de l' arme, 719
Onde Italia difenda, onde i Troiani
Sian d' Italia cacciati, ed ei si vanta .
Contra de’ Teucri e contra de’ Latini
Aver forze a bastanza. E ciò commesso,
Arma amens fremit, arma toro tectisque requirit:
Saevit amor ferri, et scelerata insania belli ;
Ira super: magno veluti quum flamma sonore
Virgea suggeritur costis undantis aeni,
Exsultantque aestu latices: furit intus aquai
Fumidus, atque alte spumis exuberat amnis: — 465
Nec iam se capit unda; volat vapor ater ad auras.
Ergo iter ad regem, polluta pace, Latinum
Indicit primis iuvenum, et iubet arma parari,
T'utari Italiam, detrudere finibus hostem:
Se satis ambobus T'eucrisque venire Latinisque.
48 ENEIDE
E ne' suoi voti i suoi Numi invocati, 720
I Rutuli infra loro a gara armando
S'esortavan l’ un l'altro; e tutti insieme
Eran tratti da lui, chi per lui stesso
(Che giovin era amabile e gentile)
Chi per la nobiltà de' suoi maggiori, 725
E chi per la virtute, e per le prove
Di lui viste altre volte in altre guerre.
Mentre così de’ suoi Turno dispone
Gli animi e l'armi, in altra parte Aletto
Sen vola a’ Teucri, e con nuov'arte apposta 730
In su la riva un loco, ove in campagna
Correndo e'nsidiando il bello Iulo
Seguía le fere fuggitive in caccia.
Qui di subita rabbia 1 cani accese
La virgo di Cocíto, e per la traccia 735
Gli mise tutti; onde scopriro un cervo
Haec ubi dicta dedit, Divosque in vota vocavit;
Certatim sese Rutuli exhortantur in arma:
Hunc decus egregium formae movet atque iuventae:
Hunc atavi reges, hunc claris dextera factis.
Dum Turnus Rutulos animis audacibus implet, 495
"lecto in Teucros stygüs se concitat alis,
Arte nova speculata locum, quo litore pulcher
Insidiis, cursuque feras agitabat Iulus.
Hic subitam canibus rabiem cocytia virgo
Obiicit, et noto nares contingit odore, 480
Ut cervum ardentes agerent: quae prima malorum
LIBRO SETTIMO 49)
Che fu poi di tumulto, di rottura
Di guerra, e d' ogni mal prima cagione.
Questo era un cervo mansueto e vago,
Già grande e di gran corna, che divelto 740
Da la sua madre, era nel gregge addotto
Di Tirro e de'suoi figli: ed era Tirro
Il custode maggior de’ regii armenti
E de'regii poderi; ed egli stesso
L' avea nudrito e fatto umile e manso. 749
Silvia, una giovinetta sua figliuola,
L'avea per suo trastullo; e con gran cura
Di fior l' inghirlandava, il pettinava,
Lo lavava sovente: Era a la mensa
A lor d'intorno; e da lor tutti amava 750
Esser pasciuto e vezzeggiato e tocco.
Errava per le selve a suo diletto,
E, da se stesso poi la sera a casa,
Caussa fuit, belloque animos accendit agrestes.
Cervus erat forma praestanti, et cornibus ingens,
Tyrrhidae pueri quem matris ab ubere raptum
Nutribant, Tyrrhusque pater, cui regia parent 485
Armenta, et late custodia credita campi.
Assuetum imperiis soror omni Silvia cura
Mollibus intexens ornabat cornua sertis;
Pectebatque ferum, puroque in fonte lavabat.
Ille manum patiens, mensaeque assuetus herili, 490
Errabat silvis, rursusque ad limina nota
Ipse domum sera quamvis se nocte ferebat.
Eneide 77ol. 11 7
20 ENEIDE
Come a proprio covil, se ne tornava.
Quel di per avventura di lontano
Lungo il fiume venía tra l'ombre e l' onde ,
Da la sete schermendosi e dal caldo,
Quando d' Ascanio l' arrabbiate cagne
Gli s'avventaro, ed esso a farsi inteso
D'un tale onore e di tal preda acquisto, "0o
Diede a l'arco di piglio, e saettollo.
La Furia stessa gli drizzó Ja mano,
E spinse il dardo sì ch'appieno il colse
Ne l'un de’ fianchi, e penetrógli a l'epa,
Ferito, insanguinato, e con lo strale ^63
Il meschinello ne le coste infisso, '
Al consueto albergo entro a i presepi
Mugghiando e lamentando si ritrasse;
Ch' un lamentarsi, un dimandar aita
D' uomo in guisa piü tosto, che di fiera
Erano i mugghi, onde la casa empiea.
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Hunc procul errantem rabidae venantis Iuli
Commovere canes; fluvio quum forte secundo
Deflueret, ripaque aestus viridante levaret. 495
Ipse etiam, eximiae laudis succensus amore,
Ascanius curvo direxit spicula cornu:
Nec dextrae erranti Deus abfuit: actaque multo
Perque uterum sonitu perque ilia venit arundo.
Saucius at quadrupes nota intra tecta refugit; 500
Successitque gemens stabulis, questuque cruentus,
. Atque imploranti similis tectum omne replebat.
LIBRO SETTIMO 51
Silvia lo vide in prima, e col suo pianto,
Col batter de le mani, e con le sirida
Mosse i villani a far turbe e tumulto.
Sta questa peste per le macchie ascosa, 779
: Di topi in guisa, a razzolar la terra
In ogni tempo, si che d' ogni lato
N’ usciron d'improvviso; altri con pali
E con forche e con bronchi aguzzi al foco;
Altri con mazze nodorose e gravi, 780
E tutti con quell' armi ch'a ciascuno
Fecer l'ira e la fretta. Era per sorte
Tirro in quel punto ad una quercia intorno,
E per forza di cogni e di bipenne -
L'avea tronca e squarciata: onde affannoso, 785
Di sudor pieno, fieramente ansando '
Con la stessa ch'avea secure in mano
Corse a le grida, e le masnade accolse.
L’ infernal Dea, ch'a la veletta stava
Di tutto che seguía, veduto il tempo 790
Silvia prima soror, palmis percussa lacertos,
Auxilium vocat, et duros conclamat agrestes.
Olli (pestis enim tacitis latet aspera silvis ) 505
Improvisi adsunt: hic torre armatus obusto,
Stipitis hic gravidi nodis; quod cuique repertum
Fümanti, telum ira facit. Vocat agmina T'yrrhus,
Quadrifidam quercum cuneis ut forte coactis
Scindebat, rapta spirans immane securi. 510
At saeva.e speculis tempus Dea nacta nocendi
5a ENEIDE
Accomodato al suo pensier malvagio,
Tosto nel maggior colmo se ne salse
De la capanna, e con un corna a bocca
Sonò de l'armi il pastorale accento.
La spaventosa voce che n'uscío . 795
Dal tartaro spiccossi. E pria le selve
Ne tremàr tutte; indi di mano in mano
Di Nemo udilla e di Diana il lago,
Udilla de la Nera il bianco fiume,
E di Velino i fonti, e tal l’ udiro, 800
Che ne strinser le madri i figli in seno.
A quella voce, e verso quella parte
Onde sentissi, 1 contadini armati,
Comunque ebber tra via d' armi rincontro,
Subitamente insieme $' adunaro. 805
Da l' altro lato i giovani Troiani
Al soccorso d’ Ascanio in campo usciro,
Ardua tecta petit stabuli; et de culmine summo
Pastorale canit signum, cornuque recurvo
Tartaream intendit vocem: qua protenus omne
Contremutt nemus, et silvae intonuere profundae.
. Audiit et Triviae longe lacus, audiit amnis
Sulphurea Nar albus aqua, fontesque Velini:
Et trepidae matres pressere ad pectora natos.
Tum vero ud vocers celeres, qua buccina signum
Dira dedit, reptis concurrunt undique telis 520
Indomiti agricolae: necnon et troia pubes
Ascanio auxiltusm castris effimulit apertis.
‘(LIBRO SETTIMO 53
Spiegàr Je schiere, misersi in battaglia,
- Vennero a l’armi; sì che non più zuffa
Sembrava di villani, e non più pali 810
Avean per armi, ma forbiti ferri
Serrati insieme, che dal Sol percossi
Per le campagne e fin sotto a le nubi
Ne mandavano i lampi. In quella guisa
Che lieve al primo vento il mar s' increspa, 815
Poscia biancheggia, ondeggia e gonfia e frange
E cresce in tanto, che da l imo fondo
Sorge fino a le stelle. Almone, il primo
Figlio di Tirro, primamente cadde
‘ In questa pugna. Ebbe di strale un colpo 820
In su la strozza, che la via col sangue
Gli chiuse e de la -voce e de la vita.
Caddero intorno a lui molt altri corpi
Direxere acies. Non iam certamine agresti,
Stipiubus duris agitur sudibusve praeustis;
Sed ferro ancipiti decernunt, atraque late 525
Horrescit strictis seges ensibus, aeraque fulgent
Sole lacessita, et lucem sub nubila iactant:
Fluetus uti primo coepit quum albescere vento:
Paullatim sese tollit mare, et altius undas
Erigit, inde imo consurgit ad aethera fundo. 530
Hic iuvenis primam ante aciem stridente sagitta,
Natorum Tyrrhi fuerat qui maximus, Almo
. Sternitur: haesit enim sub gutture vulnus, et udae
Vocis iter, tenuemque inclusit sanguine vitam.
48 ENEIDE
E ne'suoi voti i suoi Numi invocati, 720
I Rutuli infra loro a gara armando
S'esortavan l’ un l’altro; e tutti insieme
Eran tratti da lui, chi per lui stesso
(Che giovin era amabile e gentile)
Chi per la nobiltà de’ suoi maggiori, 725
E chi per la virtute, e per le prove
Di lui viste altre volte in altre guerre.
Mentre così de’ suoi Turno dispone
Gli animi e l'armi, in altra parte Aletto
Sen vola a' Teucri, e con nuov'arte apposta 730
In su la riva un loco, ove in campagna
Correndo e'nsidiando il bello Iulo
Seguía le fere fuggitive in caccia.
Qui di subita rabbia i cani accese
La virgo di Cocíto, e per la traccia 735
Gli mise tutti; onde scopriro un cervo
Haec ubi dicta dedit, Divosque in vota vocavit;
Certatim sese Rutuli exhortantur in arma:
Hunc decus egregium formae movet atque iuventae:
Hunc atavi reges, hunc claris dextera factis.
Dum Turnus Rutulos animis audacibus implet, | 435
"lecto in Teucros stygiis se concitat alis,
Arte nova speculata locum, quo litore pulcher
Insidüs, cursuque feras agitabat Iulus.
Hic subitam canibus rabiem cocytia virgo
Obiicit, et noto nares contingit odore, 480
Ut cervum ardentes agerent: quae prima malorum
LIBRO SETTIMO
din
)
Che fu poi di tumulto, di rottura
Di guerra, e d' ogni mal prima cagione.
Questo era un cervo mansueto e vago,
Già grande e di gran corna, che divelto 70
Da la sua madre, era nel gregge addotto
Di Tirro e de’suoi figli: ed era Tirro
Il custode maggior de’ regii armenti
E de'regii poderi; ed egli stesso
L’ avea nudrito e fatto umile e manso. 749
Silvia, una giovinetta sua figliuola,
L'avea per suo trastullo; e con gran cura
Di fior l’ inghirlandava, il pettinava,
Lo lavava sovente. Era a la mensa
A lor d’intorno; e da lor tutti amava 750
Esser pasciuto e vezzeggiato e tocco.
Errava per le selve a suo diletto,
E da se stesso poi la sera a casa,
Caussa fuit, belloque animos accendit agrestes.
Cervus erat forma praestanti, et cornibus ingens,
Tyrrhidae pueri quem matris ab ubere raptum
Nutribant, Tyrrhusque pater, cui regia parent 485
Armenta, et late custodia credita campi.
Assuetum imperiis soror omni Silvia cura
Mollibus intexens ornabat cornua sertis;
Pectebatque ferum, puroque in fonte lavabat.
Jile manum patiens, mensaeque assuetus herili, 490
Errabat silvis, rursusque ad limina nota
Ipse domum sera quamvis se nocte ferebat.
Eneide 7^ol. 11 | 7
56 ENEIDE
Ch' in questa eterea luce e sopra terra
Cosi licenziosa te ne vada,
Torna a'tuoi chiostri; ed io, s'altro in ció resta
Da finir, finiró. Ció disse appena 800
La figlia di Saturno, che d' Aletto
Fischiàr le serpi, e dispiegarsi P ali
In vér Cocíto. È de l'Italia in mezzo
E de suoi monti una famosa valle,
Che d'Amsanto si dice. Ha quinci e quindi 865
Oscure selve, e tra le selve un fiume
Che per gran sassi rumoreggia e cade,
E sì rode le ripe e le scoscende,
Che fa spelonca orribile e vorago, |
Onde spira Acheronte, e Dite esala. 870
In questa buca l' odioso Nume
Haud pater ipse velit summi regnator Olympi.
Cede locis. Ego, si qua super fortuna laborum est,
Ipsa regam. Tales dederat Saturnia voces. 560
Illa autem attollit stridentes anguibus alas,
Cocytique petit sedem, supera ardua linquens.
Est locus Italiae medio sub montibus altis,
Nobilis, et fama multis memoratus in oris,
Amsancti valles: densis hunc frondibus atrum 565
Urget utrimque latus nemoris, medioque fragosus
Dat sonitum saxis, et torto vertice torrens.
Jlic specus horrendum, saevi spiracula Ditis,
Monstratur, ruptoque ingens Acheronte vorago
Pestiferas aperit fauces: queis condita Erinnys,-
LIBRO SETTIMO 97
De la crudele e. spaventosa Eriune
Gittossi, e dismorbó l’ aura di sopra.
Non però Giuno di condur la guerra
Rimansi intanto. Ed ecco dal conflitto 825
- Venir ne la città la rozza turba
De' contadini, e riportare i corpi
Del giovinetto Almone e di Galeso,
Così com’ eran sanguinosi e sozzi.
Gli mostrano; ne gridano; n'implorano 83o
Da gli Dei, da Latino e da le genti
Testimonio, pietà, sdegno e vendetta.
Evvi Turno presente, che con essi
Tumultuando esclama, e'l fatto aggrava,
E detesta e rimprovera e spaventa. 883
Questi, questi, dicendo, son chiamati
A regnar ne l’ Ausonia: a i Frigi, a i Frigi
Dà Latino il suo sangue e Turno esclude.
Sopravvengono intanto i furiosi,
Invisum numen, terras caelumque levabat.
Nec minus interea extremam saturnia bello
Imponit regina manum. Ruit omnis in urbem
Pastorum ex acie numerus, caesosque reportant,
Almonem puerum, foedatique ora Galaesi: 573
Implorantque Deos, obtestanturque Latinum.
T'urnus adest, medioque in crimine caedis et ignis
T'errorem ingeminat: Teucros in regna vocari,
Stirpem adinisceri phrygiam; se limine pelli.
Tum, quorum attonitae Baccho nemora avia matres
Eneide Zool. JI 8
58 ENEIDE
Che, con le donne attonite scorrendo , 890
Gian con Amata per le selve in tresca;
Ché grande era d' Amata in tutto il regno
La stima e’l nome; e d' ogni parte accolti
Tutti contra gli annunzii, contra i Fati
L’ armi chiedendo e la non giusta guerra, 895
Van di Latino a la magione intorno.
Egli di rupe in guisa immoto stassi ,
^ . Di rupe che, nel mar fondata e salda,
Nè per venti si crolla , nè per onde
Che le fremano intorno, e gli suoi scogli — 9oo
Son di spuma coverti e d' alga in vano.
Ma poichè superar non puote il cieco
Lor malvagio consiglio, e che le cose
Givan di Turno e di Giunone a voto,
Molto pria con gli Dei, con le van'aure 903
Insultant thiasis, (neque enim leve nomen Amatae )
Undique collecti coeunt, Martemque fatigant.
Ilicet infandum cuncti contra omina bellum,
Contra fata Deiím, perverso numine poscunt ;
Certatim regis circumstant tecta Latini. 585
Ille, velut pelagi rupes immota, resistit:
* Ut pelagi rupes, magno veniente fragore, *
Quae sese, multis circum latrantibus undis,
Mole tenet: scopuli nequidquam et spumea circum
Saxa fremunt, laterique illisa refunditur alga. 590
Verum, ubi nulla datur caecum exsuperare potestas
Consilium, et saevae nutu Iunonis eunt res:
LIBRO SETTIMO 29
Si protestò ; poscia, dal fato, disse,
Son vinto, e la tempesta mi trasporta.
Ma voi per questo sacrilegio vostro
Il fio ne pagherete . E tu fra gli altri,
Turno , tu pria n’ avrai supplicio e morte; 910
E preci e voti a tempo ne farai,
Ch'a tempo non saranno. lo, quanto a me,
Già de' miei giorni e della mia quiete
Son quasi in porto: e da voi sol m'è tolto
Morir felicemente . E qui si tacque, 915
E ’1 governo depose, e ritirossi.
Era in Lazio un costume, che venuto
È poi di mano in man di Lazio in Alba,
E d’Alba in Roma, ch'or del mondo è capo;
Che nel mover de l’ armi ai Geti, a gl’ Indi, 920
A gli Arabi, a gl'Ircani a qual sia gente
Multa Deos aurasque pater testatus inanes,
Frangimur heu fatis, inquit, ferimurque procella!
Ipsi has sacrilego pendetis sanguine poenas, 599
O miseri. Te, Turne, nefas, te triste manebit
Supplicium; votisque Deos venerabere seris.
Nam mihi parta quies, omnisque in limine portus,
Funere felici spolior. Nec plura loquutus
Saepsit se tectis, rerumque reliquit habenas. ^ 6oo
Mos erat hesperio in. Latio, quem protinus urbes
Albanae coluere sacrum, nunc maxima rerum
Roma colit, quum prima movent in praelia Martem;
Sive Getis inferre manu lacrimabile bellum,
6o ENEIDE
Ch' elle sian mosse, sì com’ ora a’ Parti
Per ricovrar le mal perdute insegne ,
S' apron le porte de la guerra in prima.
Queste son due, che per la riverenza, 925
Per la religione e per la tema
Del fiero Marte, orribili e tremende
Sono a le genti ; e con ben cento sbarre
Di rovere, di ferro e di metallo
Stan sempre chiuse: e lor custode è Giano . 930
Ma quando per consiglio e per decreto
De' Padri si determina e s’ approva
Che si guerreggi, il Consolo egli stesso,
Sì come è l’uso, in abito e con pompa
Ch’ ha da' Gabini origine e da’ Regi, 939
Solennemente le disferra e l'apre:
Ed egli stesso al suon de le catene
E de la rugginosa orrida soglia
La guerra intuona: guerra dopo lui
Hyrcanisve Arabisve parant, seu tendere ad Indos,
Auroranque sequi, Parthosque reposcere signa:
Sunt geminae Belli portae, (sic nomine dicunt)
Relligione sacrae, et saevi formidine Martis:
Centum aerei claudunt vectes, aeternaque ferri
Robora; nec custos absistit limine Ianus. 610
Has, ubi certa sedet patribus sententia pugnae,
Ipse, quirinali trabea cinctuque gabino
Insignis, reserat stridentia limina consul:
Ipse vocat pugnas: sequitur tum cetera pubes:
LIBRO SETTIMO
Grida la gioventù; guerra e battaglia
Suonan le trombe; ed è la guerra inditta.
In questa guisa era Latino astretto |
D'annunziarla a i Teucri; a lui quest atto
D'aprir le triste e spaventose porte
Si dovea come a rege. Ma'l buon padre,
Schivo di si nefando ministero,
S'astenne di toccarle, e gli occhi indietro
Volse per non vederle, e si nascose.
Ma per torre ogni indugio un'altra volta
Ella stessa Regina de’ Celesti
Dal ciel discese, e di sua propria mano
Spinse, disgangherò , ruppe e sconfisse
De le sbarrate porte ogni ritegno,
Sì che l'aperse. Allor l’ Ausonia tutta,
Ch’ era dianzi pacifica e quieta,
S' accese in ogni parte. E qua pedoni,
Là cavalieri; a la campagna ognuno,
A reaque assensu conspirant cornua rauco:
Hoc et tum /Eneadis indicere bella Latinus
More iubebatur, tristesque recludere portas.
Abstinuit tactu pater, aversusque refugit
F'oeda ministeria, et caecis se condidit umbris.
Tum regina Deum caelo delupsa morantes
Impulit ipsa manu portas, et cardine verso
Belli ferratos rupit Saturnia postes.
Ardet inexcita Ausonia atque immobilis ante;
Pars pedes ire parat campis; pars arduus altis
61
940
se]
aj
C
995
620
4^
16 ENEIDE
E rise e tacque. A questa voce Enea, 180
Sì come a fin de le fatiche loro, |
Avvertì primamente, e stupefatto
Del suo misterio, subito inchinando
Disse: O da’ Fati a me promessa terra,
Io te devoto adoro: e voi ringrazio, 185
Santi numi di Troia, amiche e fide
Scorte de gli error miei. Questa è la patria
Quest’ è P albergo nostro e questo è '1 segno
Che il mio padre lasciommi ( or mi ricordo
De gli occulti miei fati). Allor, dicendo, 190
Che saraf, figlio, in peregrina terra
Da fame a manducar le mense astretto,
Fia ’1 tuo riposo: allor fonda gli alberghi,
Allor le mura. Or questa è quella fame,
Ultimo rischio ad ultimar prescritto 199
Nec plura alludens. Ea vox audita laborum
Prima tulit finem; primamque loquentis ab ore
Eripuit pater, ac stupefactus numine pressit.
Continuo, Salve, fatis mihi debita tellus, 120
Vosque, ait, o fidi Troiae, salvete Penates.
Hic domus, haec patria est. Genitor mihitalia, namque
( Nunc repeto) Anchises fatorum arcana reliquit:
Quum te, nate, fames ignota ad litora vectum
Accisis coget dapibus consumere mensas: 125
Tum sperare domos defessus, ibique memento
Prima locare manu, molirique aggere tecta.
Haec erat illa fames: haec nos suprema manebant
LIBRO SETTIMO 17
Tutti i nostri altri perigliosi affanni.
Or via, dimane a l' apparir del sole
Per diversi sentier lungi dal porto
Tutti gioiosamente investighiamo
Che paese sia questo, da che gente 200
Sia colto, o dove sian le terre loro.
Ora a Giove si bea; faccinsi preci |
Al padre Anchise; e sian le mense tutte
Di vin piene e di tazze. E, ciò dicendo,
Di frondi s' inghirlanda; e del paese 205
ll genio, e de la terra il primo nume
Primieramente inchina, e le sue .Ninfe,
E ’1 fiume ancor non conto. Indi la Notte,
E de la Notte le sorgenti stelle,
E Giove Idéo, e d' Ida la gran madre, 210
E la madre di lui.dal cielo invoca,
Exitüis positura modum.
Quare agite, et primo laeti cum lumine solis, 130
Quae loca, quive habeant homines ,ubi moenia gentis,
Vestigemus, et a portu diversa petamus. :
Nunc pateras libate lovi, precibusque vocate
Anchisen genitorem, et vina reponite mensis.
Sic deinde effatus frondenti tempora ramo 135
Implicat, et geniumque loci, primamque Deorum
Tellurem, Nymphasque, et adhuc ignota precatur
Flumina: tum Noctem, Noctisque orientia signa,
Idaeumque lovem, phrygiamque ex ordine matrem
Invocat, et duplices caeloque Ereboque parentes.
Eneide Z°ol. II
18 ENEIDE
E da l'Erebo il padre. E qui di lampi
Cinto, di luce e d' oro, e di sua mano
Folgorando il gran Giove al ciel sereno
Tonò tre volte. In ciò repente nacque 215
Tra le squadre Troiane un lieto grido,
Ch’ era già il tempo di fondar venuto
Le desiate mura. A tanto annunzio -
Tutti commossi, a rinnovar le mense,
Ad invitarsi, a coronarsi, a bere 220
Lietamente si diero. Il dì seguente
Nel sorger dell’ aurora uscir diversi
A spiar del paese, che contrade
E che liti eran quelli, e di che genti.
Trovàr che di Numico era lo stagno, 225
E che] fiume era il Tebro, e la cittade
Da’ feroci Latini era abitata.
Allor d' Anchise il generoso figlio
Hic pater omnipotens ter caelo clarus ab alto
Intonuit, radiisque ardentem lucis et auro
Ipse manu quatiens ostendit ab aethere nubem.
Diditur hic subito troiana per agmina rumor,
Advenisse diem, quo debita moenia condant. 149
Certatim instaurant epulas, atque omine magno
Crateras laeti statuunt, et vina coronant.
Postera quum prima lustrabat lampade terras
Orta dies; urbem et fines et litora gentis
Diversi explorant: haec fontis stagna Numici, 150
Jlunc Thybrim fluvium, hic fortes habitare Latinos.
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LIBRO SETTIMO 19
Cento fra tutti i piü scelti oratori
D' oliva incoronati al re destina 230
Con doni, con avvisi e con richieste
D' amicizia, di comodi e di pace.
Questi il viaggio lor sollecitando
Se ne van senza indugio. Ed egli intanto
Preso nel lito il primo alloggiamento 235
Di picciol fosso la muraglia insolca;
E ’n sembianza di campo e di fortezza
D' argini lo circonda e di steccato.
Seguon gl’ imbasciatori, € già da presso
La città, l'alte torri e i gran palagi 240
Scoprono de’ Latini. Anzi a le mura
Veggono il fior de’ giovinetti loro
Su' cavalli e su’ carri esercitarsi,
Lotteggiar, tirar d’ arco, avventar pali,
Tum satus Anchisa, delectos ordine ab omni,
Centum oratores augusta ad moenia regis
Ire iubet, ramis velatos Palladis omnes,
Donaque ferre viro, pacemque exposcere Teucris.
Haud mora; festinant iussi, rapidisque feruntur
Passibus. Ipse humili designat moenia fossa,
Moliturque locum; primasque in litore sedes,
Castrorum in morem, pinnis alque aggere cingit.
Jamque iter emensi, turres ac tecta Latinorum: 160
"Ardua cernebant iuvenes, muroque subibant:
Ante urbem pueri, et primaevo flore iuventus
Exercentur equis, domitantque in pulyere currus;
20 | ENEIDE
E cotali altre oprar contese e prove 249
Di corso, d' attitudine e di forza.
Tosto che compariscono, un messaggio
Quindi si spicca in fretta, e precorrendo
Riporta al vecchio re, che nuova gente
Di gran sembiante e d' abito straniero 220
Vien dal mare à sua corte. Il re comanda
Che sieno ammessi; e ne l' antico seggio
Per ascoltarli in maestà si reca.
Era la corte un ampio, antico, augusto
Di più di cento colonnati estrutto ^» a55
In cima a la città sublime albergo.
Pico di Laürento il vecchio rege
L' avea fondata. Era d' oscure selve,
Era de' Numi de' primi avi suoi
Sovra d'ogui altra veneranda e sacra. 260
Qui de’ lor scettri, qui de’ primi fasci
Aut acres tendunt arcus, aut lenta lacertis
Spicula contorguent, cursuque ictugue lacessunt:
Quum provectus equo longaevi regis ad aures
Nuntius ingentes ignota in veste reportat
Advenisse viros. Ille intra tecta vocari
Imperat, et solio medius consedit avito.
Tectum augustum, ingens, centum sublime columnis,
Urbe fuit summa, Laurentis regia Pici,
Horrendum silvis, et relligione parentum.
Hic sceptra accipere, et primos attollere fasces
Regibus omen erat: hoc illis curia templum,
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LIBRO SETTIMO 21
S' investivano i regi. In questo tempio
Era la curia, eran le sacre cene,
Eran de' padri i pubblici conviti
De l’ ucciso ariete. Avea d' antico 265
Cedro nel primo entrar l un dietro a l' altro
De’ suoi grand’ avi simolacri eretti.
Italo v' era, e il buon padre Sabino,
Saturno con la vite e con la falce,
Giano con le due teste, e gli altri regi 270
Tutti di mano in man, che combattendo
Non fur di sangue a la lor patria avari.
‘ Pendean da le pareti e da’ pilastri
Un gran numero d' armi e d' altre spoglie
Prese in battaglia. A i portici d intorno 275
Carri, trofei, catene, elmi e cimieri
E securi e corazze e scudi e lance
. E rostri di navilii e ferri e sbarre
Hae sacris sedes epulis: hic ariete caeso 179
Perpetuis soliti patres considere mensis.
Quin. etiam veterum effigies ex ordine avorum
Antiqua ex cedro; Italusque, paterque Sabinus,
Vitisator, curvam servans sub imagine falcem,
Saturnusque senex, Ianique bifrontis imago, 180
F'estibulo adstabant, aliique ab origine reges,
Martia qui ob patriam pugnando vulnera passi: -
Multaque praeterea sacris in postibus arma,
Captivi pendent currus, curvaeque secures,
Et cristae capitum, et portarum ingentia claustra,
22 ENEIDE
Di fracassate porte erano affisse.
In abito succinto, e con la verga 230
Che fu poi di Quirino, e con l’ ancile
Ne la sinistra esso re Pico assiso
V' era, pria cavaliero, e poscia augello;
Ch' in augello il cangió la maga Circe
Sdegnosa amante; e gli suoi regii fregi 285
Gli converse in colori, e’l manto in ali.
In questo tempio sovra al seggio agiato
De' suoi maggiori, a sé Latino i Teucri
Chiamar si fece; e dolcemente in prima
Così parlò: Dite, Troiani amici, 290
À che venite? ché venite in luogo
Ch' ha di Troia e di voi contezza a pieno.
Siatevi, o per errore o per tempesta
Spiculaque, clypeique, ereptaque rostra carinis.
Ipse quirinali lituo, parvaque sedebat
Succinctus trabea, laevaque ancile gerebat
Picus equum domitor: quem capta cupidine coniux
Aurea percussum virga, versumque venenis, 190
Fecit avem Circe, sparsitque coloribus alas.
Tali intus templo Divim, patriaque Latinus
Sede sedens Teucros ad sese in tecta vocavit;
"Atque haec ingressis placido prior edidit ore:
Dicite, Dardanidae, ( neque enim nescimus et urbem 195
Et genus, auditique advertitis aequore cursum )
Quid petitis? quae caussa rates, aut cuius egentes
Litus ad ausonium tot per vada caerula vexit?
LIBRO SETTIMO 23
O per bisogno .a questi liti addotti,
Come a gente di mar sovente avviene, 295
À buon fiume, a buon porto, a buon ospizio
Siete arrivati. Da Saturno scesi
Sono i Latini, ed ospitali e buoni,
Non per forza o per leggi, ma per uso
E per natura; e del buon vecchio Dio Joo
Seguitiam l’ orme e de’ suoi tempi d' oro.
lo mi ricordo ( ancor che questa fama
Sia per molt' anni omai debile e scura )
Che per vanto soleano i vecchi Aurunci
Dir che Dardano vostro in queste parti 305
Ebbe il suo nascimento; e quinci in Ida
Passò di Frigia, e ne la tracia Samo,
Ch’ or Samotracia è detta. Da’ Tirreni,
E da Corito uscio Dardano vostro,
Ch’ or fatto è Dio, e tra’ celesti in ‘cielo 310
Sive errore viae, seu tempestatibus acti
( Qualia multa mari nautae patiuntur in alto) 200
Fluminis intrastis ripas, portuque sedetis:
Ne fugite hospitium, neve ignorate Latinos,
Saturni gentem, haud vinclo nec legibus aequam,
Sponte sua, veterisque Dei se more tenentem.
tque equidem memini (fama est obscurior annis )
Auruncos ita ferre senes, his ortus ut agris
Dardanus idaeas Phrygiae penetrarit ad urbes,
T'hreiciamque Samum quae nune Samothracia fertur.
Hinc illum Corythi tyrrhena ab sede profectum,
20 ENEIDE
E cotali altre oprar contese e prove 249
Di corso, d' attitudine e di forza.
Tosto che compariscono, un messaggio
Quindi si spicca in fretta, e precorrendo
Riporta al vecchio re, che nuova gente
Di gran sembiante e d' abito straniero 250
Vien dal mare a sua corte. Il re comanda
Che sieno ammessi; e ne l’ antico seggio
Per ascoltarli in maestà si reca.
Era la corte un ampio, antico, augusto
Di più di cento colonnati estrutto ^ 295
In cima a la città sublime albergo.
Pico di Laürento il vecchio rege
L/ avea fondata. Era d' oscure selve,
Era de’ Numi de’ primi avi suoi ,
Sovra d’'‘ogni altra veneranda e sacra. 260
Ò
Qui de’ lor scettri, qui de’ primi fasci
Aut acres tendunt arcus, aut lenta lacertis
Spicula contorquent, cursuque ictugue lacessunt:
Quum provectus equo longaevi regis ad aures
Nuntius ingentes ignota in veste reportat
Advenisse viros. Ille intra tecta vocari
Imperat, et solio medius consedit avito.
Tectum augustum, ingens, centum sublime columnis,
Urbe fuit summa, Laurentis regia Pici,
Horrendum silvis, et relligione parentum.
Hic sceptra accipere, et primos attollere fasces
Regibus omen erat: hoc illis curia templum,
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VYTVTU HET SON FTT EON a rrr e v v
LIBRO SETTIMO 2t
S' investivano i regi. In questo tempio
Era la curia, eran le sacre cene,
Eran de' padri i pubblici conviti
De l ucciso ariete. Avea d' antico 265
Cedro nel primo entrar l’ un dietro a l' altro
De’ suoi grand’ avi simolacri eretti.
Italo v' era, e il buon padre Sabino,
Saturno con la vite e con la falce,
Giano con le due teste, e gli altri regi 270
Tutti di mano in man, che combattendo
Non fur di sangue a la lor patria avari.
: Pendean da le pareti e da’ pilastri
Un gran numero d' armi e d' altre spoglie
Prese in battaglia. A i portici d’ intorno 275
Carri, trofei, catene, elmi e cimieri
E securi e corazze e scudi e lance
.. E rostri di navilii e ferri e sbarre
Hae sacris sedes epulis: hic ariete caeso 175
Perpetuis soliti patres considere mensis.
Quin etiam veterum effigies ex ordine avorum
Antiqua ex cedro; Italusque, paterque Sabinus,
Vitisator, curvam servans sub imagine falcem,
Saturnusque senex, Janique bifrontis imago, 180
Vestibulo adstabant, aliique ab origine reges,
Martia qui ob patriam pugnando vulnera passi: :
Multaque praeterea sacris in postibus arma,
Captivi pendent currus, curvaeque secures,
Et cristae capitum, et portarum ingentia claustra,
a8 ENEIDE
Questi è certo, dicea, quei che da’ Fat
Si denunzia venir di stran paese
Genero a me, sposo a Lavinia mia, 380
Del mio regno partecipe e consorte.
Questi è da cui verrà l egregia stirpe,
Che col valor farassi e con le forze
Soggetto e tributario il mondo tutto.
Ed al fin lieto, O, disse, eterni Dei, 385
Secondate voi stessi i vostri augurii,
E i pensier miei. Da me, Troiani, avrete
Tutto che desiate; e i vostri doni
Gradisco e pregio; e mentre re Latmo
Sarà, sarete voi nel regno suo 390 -
Cortesemente accolti; e’l seggio e i campi
E ciò ch'è d'uopo, come a Troia foste,
In copia avrete. Or s'ei tanto desía
L'amistà nostra e’l nostro ospizio, vegna
Hunc illum fatis externa ab sede profectum 255
Portendi generum, paribusque in regna vocari
Auspiciis; hinc progeniem virtute futuram
Egregiam, et totum quae viribus occupet orbem.
Tandem laetus ait: Dí nostra incepta secundent ,
Auguriumque suum! Dabitur, Troiane, quod optas.
Munera nec sperno. Non vobis, rege Latino,
Divitis uber agri, T'roiaeve opulentia deerit.
Ipse modo JEneas ( nostri si tanta cupido est,
Si iungi hospitio properat, sociusve vocari)
Adveniat, vultus neve exhorrescat amicos. 265
LIBRO SETTIMO 29
Egli in persona, e-non:abborra omai 395
Il nostro amico aspetto. Arra e certezza
Ne fia di pace il. convenir con lui,
E di lui stesso aver la fede in pegno.
Da l'altra parte, a mio nome gli dite
Quel ch'io dirovvi. Io senza più mi trovo 400
Una mia figlia. A questa il mio paterno
Oracolo, e del ciel molti prodigii
Vietan ch'io dia marito altro ch’ esterno.
D’ esterna parte, tal d'Italia è ’l Fato,
Un genero dal ciel mi si promette, 405
Per la cui stirpe il mio nome e’l mio sangue
Ergerassi a le stelle. Or se del vero
Punto è’l mio cor presago, egli è quel desso,
Cred’ io, che’l Fato accenna, e!l credo e’l bramo.
Ciò detto, de' trecento, che mai sempre 410
A’ suoi presepii avea, nitidi e pronti
Destrier di fazione e di rispetto,
Pars mihi pacis erit dextram tetigisse tyranni.
Vos contra regi mea nunc mandata referte.
Est mihi nata, viro gentis quam iungere nostrae
Non patrio ex adyto sortes, non plurima caelo
.Monstra sinunt: generos externis adfore ab oris, 270
Hoc Latio restare canunt, qui sanguine nostrum
Nomen in astra ferant. Hunc illum poscere fata
Et reor, et, si quid veri mens augurat, opto.
Haec effatus, equos numero pater eligit omni.
Stabant ter centum nitidi in praesepibus altis: 275
- ‘ew S 9? vu. i
30 ENEIDE
Per gli cento orator .cento n'elegge,
Ch'avean.le lor coverte e i lor girelli,
Le pettiere e le briglie in varie guise 415
D'ostro e di seta ricamati e d'oro,
E d'ór le ghiere, e d'ór le borchie e i freni.
Al Troian duce assente un carro invia
Con due corsier ch'eran di quei del Sole
Generosi bastardi, e vampa e foco 420
Sbruffavan per le nari. Al Sol suo padre
La razza ne furó la scaltra Circe
. Allor ch'a l'incantate sue giumente
Eto e Piróo furtivamente impose.
Tali in su tai cavalli alteramente 425
Tornando i Teucri al teucro duce, allegre
Portàr novelle e parentela e pace.
Ed ecco che di Grecia uscendo e d'Árgo
L'empia moglie di Giove, alto da terra
Omnibus extemplo Teucris iubet ordine duci
Instratos ostro alipedes pictisque tapetis.
Aurea pectoribus demissa monilia pendent:
Tecti auro, fulvum mandunt sub dentibus aurum.
Absenti /Eneae currum geminosque iugales — . 280
^ Semine ab aetherio, spirantes naribus ignem,
Illorum de gente, patri quos daedala Circe
Supposita de matre nothos furata creavit.
Talibus Aneadae donis dictisque Latini
Sublimes in equis redeunt, pacemque reportant. 285
Ecce autem inachiis sese referebat ab Argis
\ LIBRO SETTIMO 31
Sospesa , infin dal Sicolo Pachino 430
Vide i legni Troiani; e vide Enea
Con tutti 1 suoi, che lieto e fuor del: mare
E secur de la terra incominciava
D'alzar gli alberghi, e di fonder le mura
Già d'un altr Ilio. E, punta il cor di doglia, 435
Squassando il capo, Ah, disse, a me pur troppo
Nimica razza! ah troppo a'Fati miei
Fati de Frigü avversi! E forse estinti
Fur ne’ campi Sigei? Forse potuti
Si son prender già presi, ed arder arsi! 440
Per mezzo de le schiere e de gl' incendii
Han trovata la via. Stanca fia dunque
Questa mia deità, quando ancor sazia
Non è de l'odio? E già s'è resa, quando
Ha fin qui nulla oprato? E che mi giova 445
Saeva Iovis coniux, aurasque invecta tenebat:
Et laetum. /Enean, classemque ex aethere longe
Dardaniam siculo prospexit ab usque Pachyno.
Moliri iam tecta videt , iam fidere terrae, 290
Deseruisse rates. Stetitacri fixa dolore: -
Tum quassans caput, haec effundit pectore dicta:
Heu. stirpem invisam, et. fatis contraria nostris
Fata Phrygum! Num sigaeis occumbere campis,
Num capti potuere capi? num incensa cremavit 295
T'roia viros? medias acies, mediosque per ignes
Invenere viam. At, credo, mea numina tandem
F'essa iacent, odiis aut exsaturata quieyi.
26 ENEIDE
Vi sarem grati, che l’ausonia terra
Non mai si pentirà d'aver i figli 345
De la misera Troia in grembo accolti.
lo ti giuro, signor, per le fatiche, .
Per gli Fati d'Enea, per la possente
Sua destra (già per fede e per valore
Famosa al mondo) che da molte genti 350
Molte fiate (e cio vil non ti sembri,
Che da noi stessi a te ci proferiamo
E ti preghiamo) siam pregati noi,
E per compagni desiati e cerchi.
Ma da i Fati, signor, e da gli Dei 355
Siam qui mandati. Dardano qui nacque,
Qua Febo ne richiama. Febo stesso,
E quel di Delo è ch’ai Tirreni, al Tebro,
Al fonte di Numico, a voi c'invia.
Queste, oltre a ciò, poche reliquie, e segni 360
Nec Troiam Ausonios gremio excepisse pigebit.
Fata per /Eneae iuro, dextramque potentem,
Sive fide, seu quis bello est expertus et armis: 235
Multi nos populi, multae ( ne temne, quod ultro
Praeferimus manibus vittas ac verba precantia )
Et petiere sibi, et voluere adiungere gentes.
Sed nos fata Dem vestras exquirere terras
Imperiis egere suis. Hinc Dardanus ortus ado
Huc repetit, iussisque ingentibus urget Apollo
Tyrrhenum ad Thybrim,et fontis vada sacra Numici,
Dat tibi praeterea fortunae parva prioris
LIBRO SETTIMO 27
De l'andata fortuna e del suo amore
Il re nostro ti manda; che dal foco
Son de la patria ricovrate appena.
Con questa coppa il suo gran padre Anchise
Sacrificava. Questo regno in testa, ' 365
Quando era in soglio, il gran Priamo avea:
Questo è lo scettro, questa è Ja tiara,
Sacro suo portamento; e queste vesti
Son de le donne d’Ilio opre e fatiche.
Al dir d’Ilionéo stava Latino 370
Fisso col volto a terra immoto e saldo,
Come in astratto, e solo avea le luci
De gli occhi intese a rimirar, non tanto
Il dipint' ostro e gli altri regii arnesi,
Quanto in pensar de la diletta figlia 335
Il maritaggio, e'l vaticinio uscito
Dal vecchio Fauno. E'n sé stesso raccolto,
Munera, relliquias T'roia ex ardente receptas.
Hoc pater Anchises auro libabat ad aras: 245
Hoc Priami gestamen erat, quum iura vocatis
More daret populis; sceptrumque, sacerque tiaras,
Iliadumque labor vestes.
Talibus Ilionei dictis defixa Latinus :
Obtutu tenet ora, soloque immobilis haeret, 250
Intentos volvens oculos. Nec purpura regem
Picta movet, nec sceptra movent priameia tantum,
Quantum in. connubio natae thalamoque moratur;
Et veteris Fauni volvit sub pectore sortem:
a8 ENERAIDE
Questi è certo, dicea, quei che da’ Fati
Si denunzia venir di stran pacse
Genero a me, sposo a Lavinia mia, 380
Del mio regno partecipe e consorte.
Questi è da cui verrà l' egregia stirpe,
Che col valor farassi e con le forze
Soggetto e tributario il mondo tutto.
Ed al fin lieto, O, disse, eterni Dei, 385
Secondate voi stessi 1 vostri augurii,
E i pensier miei. Da me, Troiani, avrete
Tutto che desiate; e 1 vostri doni
Gradisco e pregio; e mentre re Latino
Sarà, sarete voi nel regno suo 390 :
Cortesemente accolti; e’l seggio e 1 campi
E ció ch'é d'uopo, come a Troia foste,
In copia avrete. Or s'ei tanto desía
L'amistà nostra e’ nostro ospizio, vegua
Hunc illum fatis externa ab sede profectum 255
Portendi generum, paribusque in regna vocari
Auspiciis; hinc progeniem virtute futuram
Egregiam, et totum quae viribus occupet orbem.
Tandem laetus ait: Di nostra incepta secundeni ,
Auguriumque suum! Dabitur, Troiane, quod optas.
Munera nec sperno. Non vobis, rege Latino,
Divitis uber agri, Troiaeve opulentia deerit.
Ipse modo /Eneas ( nostri si tanta cupido est,
Si iungi hospitio properat, sociusve vocari)
Adveniat, eultus neve exhorrescat amicos. 265
LIBRO SETTIMO 29.
Egli in persona, e.non.abborra omai . | 395
Il nostro amico aspetto. Arra e certezza
Ne fia di pace il convenir con lui,
E di lui stesso aver la fede in pegno.
Da l'altra perte, a. mio nome gli dite
Quel ch'io dirovvi. Io senza più mi trovo 400
Una mia figlia. A questa il mio paterno.
Oracolo, e del ciel molti prodigii
Vietan ch'io dia marito altro ch'esterno.
D'esterna parte, tal d'Italia è ’1 Fato,
Un genero dal ciel mi si promette, 405
Per la cui stirpe il mio nome e'1 mio sangue
Ergerassi a le stelle. Or se del vero
Punto é'| mio cor presago, egli è quel desso,
Cred'io, che’l Fato accenna, e'l credo e'1 bramo.
Ciò detto, de’ trecento, che mai sempre 410
A’ suoi presepii avea, nitidi e pronti
Destrier di fazione e di rispetto,
Pars mihi pacis erit dextram tetigisse tyranni.
Vos contra regi mea nunc mandata referte. .
Est mihi nata, viro gentis quam iungere nostrae
Non patrio ex adyto sortes, non plurima caelo
.Monstra sinunt: generos externis adfore ab oris, 270
Hoc Latio restare canunt, qui sanguine nostrum
Nomen in astra ferant. Hunc illum poscere fata
Et reor, et, si quid veri mens augurat, opto.
Haec effatus, equos numero pater eligit omni.
Stabant ter centum nitidi in praesepibus altis: 279
36 ENEIDE
Arme ognun brami, ognun le gridi e prenda.
Di serpi, e di gorgónei veneni 515
Guarnissi Aletto; e per lo Lazio in prima
Scorrendo, e per Leurento, e per la corte
De la regina Amata entro la soglia
Insidiosamente si nascose .
Era allor la regina, come donna, 520
E come madre, dal materno affetto,
Da lo scorno de’ Teucri, dal disturbo
De le nozze di Turno in molte guise
Afflitta e conturbata, quando Aletto
Per rivolgerla in furia, e co suoi mostri 525
Sossopra rivoltar la reggia tutta,
Da’ suoi cerulei crini un angue in seno
Le avventò sì che l’entrò poscia al core.
Ei primamente infra la gonna e'l petto
Strisciando, e uon mordendo, a poco a poco 530
Col suo vipereo fiato un non sentito
Exin gorgoneis Alecto infecta venenis
Principio Latium, e& Laurentis tecta tyranni
Celsa petit, tacitumque obsedit limen Amatae,
Quam super adventu. T'eucrüm, Turnique hymenaeis
Femineae ardentem curaeque iraeque coquebant.345
Huic Dea caeruleis unum de crinibus anguem
Coniicit, inque sinum praecordia ad intima subdit,
Quo furibunda domum manstro permisceat omnem.
lile, inter vestes et laevia peotora lapsus,
Volvitur attactu nullo, fallitque furentem, —— 350
LIBRO SETTIMO 37
Furor le spira. Or le si fa monile
Attortigliato al collo; or lunga benda
Le pende da le tempie; or quasi un nastro
L’annoda il crine. Al fin Jubrico errando, 535
Per ogni membro le s' avvolge e serpe.
Ma fin che prima andò languido e molle
Soli i sensi occupando il suo veleno;
Finchè il suo foco penetrando a l’ ossa
Non avea tutto ancor l'animo aoceso, 540
Ella donnescamente lagrimando
Sovra la figlia e sovra le sue nozze
Con tal queto rammarco si dolea;
Adunque si darà Lavinia mia
A Troiani? a banditi? E tu suo padre, 549
Tu così la collóchi? E non t'incresce
Di lei, di te, di sua madre infelice?
Ch'al primo vento ch'ai suoi legni spiri,
Vipeream inspirans animam: fit tortile collo
Aurum ingens coluber, fit longae taenia vittae,
Innectitque comas, et membris lubricus errat.
Ac dum prima lues udo sublapsa veneno
Pertentat sensus, atque ossibus implicat ignem, 355
Necdum animus toto percepit pectore flammam;
Mollius, et solito matrum de more, loguuta est;
Multa super nata lacrimans,phry giisque hymenaeis:
Exsulibusne datur ducenda Lavinia Teucris,
O genitor? nec te miseret nataeque, tuique? 360
Nec matris miseret, quam primo Aquilone relinquet
38 ENEIDE
. Di così caro pegno orba rimasa
(Come dir si potrà) da questo infido
Fuggitivo ladrone abbandonata .
Del mar vedrolla e de'corsari in preda?
O non così di Sparta anco rapita
Fu la figlia di Leda? E chi rapilla.
550
Non fu Troiano anch’ egli? Ah! dov'è, sire, 555
Quella tua santa inviolabil fede ?
Quella cura de’ tuoi? quella promessa
Che s'è fatta da te già tante volte
Al nostro Turno? Se d’ esterna gente
Genero ne si dee; se fisso e saldo
È ciò nel tuo pensiero; se di Fauno
Tuo padre il vaticinio a ciò ti stringe;
Io credo ch’ogni terra, .ch'al tuo scettro
Non è soggetta, sia straniera a noi.
Così ragion mi detta, e così penso .
Che l' Oracolo intenda. Oltre che Turno
Perfidus, alta petens, abducta virgine, praedo?
560
565
At non sic phrygius penetrat Lacedaemona pastor,
Ledaeamque Helenam troianas vexit ad urbes.
Quid tua sancta fides? quid cura antiqua tuorum,
Et consanguineo toties data dextera Turno?
Si gener externa petitur de gente Latinis,
Idque sedet, Faunique premunt te iussa parentis,
Omnem equidem sceptris terram, quae libera nostris
Dissidet, externam reor, et sic dicere Divos.
Et Turno, si prima domus repetatur origo,
370
LIBRO SETTIMO 3g
(Se la sua prima origine si mira)
Per suoi progenitori Inaco , Acrisio,
E per patria ha Micene. A questo dire
Stava nel suo proposito Latino 570
Ognor più duro. E la regina intanto
Più dal veleno era del serpe infetta:
E già tutta compresa, e da gran mostri
Agitata , sospinta e forsennata,
Senza ritegno. a correre, a scagliarsi , 575
A gridar fra le genti e fuor d'ogni uso
A tempestar per la città si diede. -
Qual per gli atrii scorrendo e per le sale
Infra la turba de’ fanciulli a volo
‘ Va sferzato paléo ch’a salti, a scosse, 580
Ed a suon di guinzagli roteando
E ronzando s’ aggira e si travolve,
Quando con meraviglia e con diletto
Gli va lo stuol de’ semplicetti intorno,
Inachus Acrisiusque patres, mediaeque Mycenae.
His ubi nequidquam dictis experta, Latinum
Contra stare videt, penitusque in viscera lapsum
Serpentis furiale malum, totamque pererrat; | 379
T'um vero infelix, ingentibus excita monstris,
Immensam sine more furit lymphata per urbem:
Ceu quondam torto volitans sub verbere turbo,
Quem pueri magno in gyro vacua atria circum
Intenti ludo exercent: ille actus habena 38o
Curvatis fertur spatiis; stupet inscia supra
34 -- ENEIDE
Auspice fia Bellona in vece mia. 480
Cotal non partorì di face pregna
Ecuba a Troia incendio, qual Ciprigna
Avrà con questo suo novéllo Pari
Partorito altro foco, altra ruina
A quest'altr' Ilio. Ciò dicendo, in terra 485
Discese irata, e da l'inferne grotte
A se chiamó la nequitósa Aletto.
De le tre dire Furie una è costei,
Cui son l'ire, i dannaggi, i tradimenti,
Le guerre, le discordie, le ruine, 490
Ogni empio officio, ogni mal'opra a core.
E tale un mostro in tanti e così fieri
Sembiauti si trasmuta, e de’ serpenti
Sì tetra copia le germoglia intorno,
Che Pluto e le tartarée sorelle 495
Sue stesse in odio ed in fastidio l' hanno.
Et Bellona manet te pronuba. Nec face tantum
Cisseis praegnans ignes enixa iugales: 320
Quin idem Veneri partus suus, et Paris alter,
Funestaeque iterum recidiva in Pergama taedae.
Haec ubi dicta dedit, terras horrenda petivit.
Luctificam Alecto dirarum ab sede sororum,
Infernisque ciet tenebris: cui tristia bella, 325
Iraeque, insidiaeque, et crimina noxia cordi.
Odit et ipse pater Pluton, odere sorores
T'artareae monstrum: tot sese vertit in ora,
T'am saevae facies, tot pullulat atra colubris.
LIBRO SETTIMO 35
Giunon le parla, e via più co’ suoi detti
In tal guisa l’accende: O de la Notte
Possente figlia, io per mio proprio affetto ,
Per onor del mio nume, per salvezza 500
De la mia fama un tuo servigio agogno.
Adoprati per me, che, mal mio grado,
Questo Troiano «Enea del re Latino '
Genero non divenga, e nel suo regno
Con gran mio pregiudicio non s'annidi. ^ 505
Tu puoi, volendo, armar l'un contra l'altro
I concordi fratelli: odii e zizzanie
Seminar tra’ congiunti; e per le case
Con mill'arti nocendo, in mille guise
Infra’ mortali indur morti e ruine. 510
Scuoti il fecondo petto ,- e le sue forze
Tutt'a quest opra accampa. Inferma, annulla
Questa lor pace; infiamma i cori a l'armi:
Quam Iuno his acuit verbis, ac talia fatur: 330
Hunc mihi da proprium, virgo sata Nocte, laborem,
Hanc operam, ne noster honos, infractave cedat
Fama loco, neu connubiis ambire Latinum
4Eneadae possint, italosve obsidere fines.
T'u potes unanimos armare in praelia fratres, 335
"tque odiis versare domos; tu verbera tectis,
F'unereasque inferre faces: tibi nomina mille,
Mille nocendi artes. Fecundum concute pectus, .
Disiice compositam pacem, sere crimina belli:
Arma elit, poscatque simul, rapiatque iuventus.
36 ENEIDE
Arme ognuu brami, ognun le gridi e prenda.
Di serpi, e di gorgònei veneni 515
Guarnissi Aletto; e per lo Lazio in prima
Scorrendo, e per Laurento, e per la corte
De la regina Amata entro la soglia
Insidiosamente si nascose .
Era allor la regina, come donna, 520
E come madre, dal materno affetto,
Da lo scorno de’ Teucri, dal disturbo
De le nozze di Turno in molte guise
Afflitta e conturbata, quando Aletto
Per rivolgerla in furia, e co'suoi mostri 525
Sossopra rivoltar la reggia tutta,
Da'suoi cerulei crini un angue in seno
Le avventò sì che l'entró poscia al core.
Ei primamente infra la gonna el petto
Strisciando, e uon mordendo, a poco a paco 530
Col suo vipereo fiato un non sentito
Exin gorgoneis Alecto infecta venenis
Principio Latium, et Laurentis tecta tyranni
Celsa petit, tacitumque obsedit limen Amatae.
Quam super adventu, Teucrüm, Turnique hymenaeis
F'emineae ardentem curaeque iraeque coquebant. 345
Huic Dea caeruleis unum de crinibus anguem
Coniicit, inque sinum praecordia ad intima subdit,
Quo furibunda domum manstro permisceat omnem.
lile, inter vestes et laevia pectora lapsus,
Volvitur attaotu nullo, fallitque furentem, —— 350
LIBRO SETTIMO 39
Furor le spira. Or le si fa monile
Attortigliato al collo; or lunga benda
Le pende da le tempie; or quasi un nastro
L'annoda il crine. Al fia lubrico errando, 535
Per ogni membro le s avvolge e serpe.
Ma fin che prima andò languido e molle
Soli i sensi occupando il suo veleno;
Finchè il suo foco penetrando a l' ossa
Non avea tutto ancor l'animo acceso, 540
Ella donnescamente lagrimando
Sovra la figlia e sovra le sue nozze
Con tal queto rammarco si dolea:
Adunque si darà Lavinia mia
A Troiani? a banditi? E tu suo padre, 545
Tu così la collóchi? E non t’incresce
Di lei, di te, di sua madre infelice?
Ch’ al primo vento ch'ai suoi legni spiri,
Vipeream inspirans animam: fit tortile collo
Aurum ingens coluber, fit longae taenia vittae,
Innectitque comas, et membris lubricus errat.
Ac dum prima lues udo sublapsa veneno
Pertentat sensus, atque ossibus implicat ignem, 355
Necdum animus toto percepit pectore flammam;
Mollius, et solito matrum de more, loquuta est;
Multa super nata lacrimans,phrygiisque hymenaeis:
Exsulibusne datur ducenda Lavinia Teucris,
O genitor? nec te miseret nataeque, tuique? 360
Nec matris miseret, quam primo Aquilone relinquet
38 ENEIDE
. Di così caro pegno orba rimasa
( Come dir si potrà) da questo infido
Fuggitivo ladrone abbandonata .
Del mar vedrolla e de'corsari in preda?
O non cosi di Sparta anco rapita
Fu la figlia di Leda? E chi rapilla
550
Non fu Troiano anch’ egli? Ah! dov'è , sire, 555
Quella tua santa inviolabil fede?
Quella cura de’ tuoi? quella promessa
Che s'é fatta da te già tante volte
Àl nostro Turno? Se d' esterna gente
Genero ne si dee; se fisso e saldo
E ció nel tuo pensiero; se di Fauno
Tuo padre il vaticinio a ciò ti stringe;
Io credo ch'ogni terra, .ch'al tuo scettro
Non è soggetta, sia straniera a noi.
Così ragion mi detta, e così penso .
Che l’ Oracolo intenda. Oltre che Turno
Perfidus, alta petens, abducta virgine, praedo?
560
565
At non sic phrygius penetrat Lacedaemona pastor,
Ledaeamque Helenam troianas vexit ad urbes.
Quid tua sancta fides? quid cura antiqua tuorum,
Et consanguineo toties data dextera Turno?
Si gener externa petitur de gente Latinis,
Idque sedet, Faunique premunt te iussa parentis,
Omnem equidem sceptris terram, quae libera nostris
Dissidet, externam reor, et sic dicere Divos.
Et Turno, si prima domus repetatur origo,
370
LIBRO SETTIMO 39
(Se la sua prima origine si mira)
Per suoi progenitori Inaco, Acrisio,
E per patria ha Micene. A questo dire
Stava nel suo proposito Latino 570
Ognor più duro. E la regina intanto
Più dal veleno era del serpe infetta:.
E già tutta compresa, e da gran mostri
Agitata, sospinta e forsennata,
Senza ritegno. a correre, a scagliarsi, 575
A gridar fra le genti e fuor d’ogni uso
A tempestar per la città si diede. :
Qual per gli atrii scorrendo e per le sale
Infra la turba de’ fanciulli a volo
‘ Va sferzato paléo ch’a salti, a scosse, 580
Ed a suon di guinzagli roteando
E ronzando s'aggira e si travolve,
Quando con meraviglia e con diletto
Gli va lo stuol de’ semplicetti intorno ,.
Inachus Acrisiusque patres, mediaeque Mycenae.
His ubi nequidquam dictis experta, Latinum
Contra stare videt, penitusque in viscera lapsum
Serpentis furiale malum, totamque pererrat; © 375
T'um vero infelix, ingentibus excita monstris,
Immensam sine more furit lymphata per urbem:
Ceu quondam torto volitans sub verbere turbo,
Quem pueri magno in gyro vacua atria circum
Intenti ludo exercent: ille actus habena 380
Curvatis fertur spatiis; stupet inscia supra
CRT 00 M M
3
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4o ENEIDE
E gli dan co'flagelli animo e forza; 585
Tal per mezzo del Lazio e de’ feroci
Suoi popoli vagando, insana andava
La regina infelice. E quel che poscia
Fu d'ardire e di scandalo maggiore,
Di Bacco simulando il nume e’l coro 590
Per tor la figlia a i Teucri, e le sue nozze
Distornare, o'ndugiare , a’ monti ascesa
Ne le selve l’ascose: O Bacco, o Libero,
Gridando, Eüoé: questa mia vergine -
Sola a te si convien, solo a te serbasi. 595
Ecco per te nel tuo coro s' esercita
Per te prende i tuoi tirsi, a te s'impampina,
À te la chioma sua nodrisce e dedica.
Divolgasi di ciò la fama intanto
Fra le donne di Lazio, e tutte insieme 600
Da furor tratte, e d'uno ardore accese
Saltan fuor de gli alberghi a la foresta.
Impubesque manus, mirata volubile buxum;
Dant animos plagae: non cursu segnior illo
Per medias urbes agitur, populosque feroces.
Quin etiam in silvas, simulato numine Bacchi, 385
Maius adorta nefas, maioremque orsa furorem,
Evolat, et natam frondosis montibus abdit;
Quo thalamum eripiat Teucris, taedasque moretur;
Euoe Bacche, fremens, solum te virgine dignum,
Vociferans; etenim molles tibi sumere thyrsos, 390
Te lustrare choros, sacrum tibi pascere crinem.
LIBRO SETTIMO 41
Ed altre ignude i colli e sciolte i crini,
D'irsute pelli involte, e d'aste armate,
Di tralci avviticchiate e di corimbi, 605
Orrende voci e tremoli ululati
Mandano a l'aura. E la regina in mezzo
A tutte l'altre una facella in mano
Prende di pino ardente, e l'imeneo
De la figlia e di Turno imita e canta, Gio
E con gli occhi di sangue e d'ira infetti
Al cielo ad or ad or la voce alzando,
Uditemi, dicea, madri di Lazio,
Quante ne siete in ogni loco, uditemi.
Se può pietate in voi, se può la grazia 615
De la misera Amata, e la miseria
Di lei, ch' ad ogni madre è d'infortunio,
Disvelatevi tutte e scapigliatevi ;
Fama volat, furiisque accensas pectore matres
Jdem omnes simul ardor agit, nova quaerere tecta.
Deseruere domos, ventis dant colla comasque.
Ast aliae tremulis ululatibus aethera complent, 395
Pampineasque gerunt incinctae pellibus hastas.
Jpsa inter medias flagrantem fervida pinum
Sustinet, ac natae Turnique canit hymenaeos,
Sanguineam torquens aciem; torvumque repente
Clamat; lo matres, audite, ubi quaeque, latinae.
Si qua piis animis manet infelicis Amatae
Gratia, si iuris materni cura remordet;
Solvite crinales vittas, capite orgia mecum.
Eneide Yol. II G
42 ENEIDE
Eüoé; a questo sacrificio
Ne venite con me, meco ululatene. 620
Così da Bacco e da le furie spinta
Ne gia per selve e per deserti alpestri
La regina infelice, quando Aletto,
Ch' assai già disturbato avea il consiglio
Di re Latino e la sua reggia tutta, 625
Ratto su le fosc'ali a l'aura alzossi;
E là've già d'Acrisio il seggio pose
L’avara figlia ivi dal vento esposta,
A l'orgoglioso Turno si rivolse.
Ardéa fu quella terra allor nomata, 630
E d'Ardéa il nome insino ad or le resta,
Ma non già la fortuna. In questo loco
Entro al suo gran palagio a mezza notte
Prendea Turno riposo, allor ch’ Aletto
Talem inter silvas, inter deserta ferarum,
Reginam Alecto stimulis agit undique Bacchi. 405
Postquam visa satis primos acuisse furores,
Consiliumque omnemque domum vertisse Latini:
Protenus hinc fuscis tristis Dea tollitur alis
Audacis Rutuli ad muros: quam dicitur urbem
Acrisioneis Danae fundasse colonis, 410
Praecipiti delata noto. Locus Ardea quondam
Dictus avis: et nunc magnum munet Ardea nomen.
Sed fortuna fuit. Tectis hic Turnus in altis
Jam mediam nigra carpebat nocte quietem.
Alecto torvam faciem, et furialia membra [15
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LIBRO SETTIMO 43
Vi giünse, e il torvo suo maligno aspetto (635
Con ciò ch’ avea di Furia, in senil forma
Cangiando, raggruppossi, incanutissi,
E di bende e d' olivo il crin velossi:
Calibe in tutto fessi, una vecchiona
Ch'era sacerdotessa e guardiana 6.{0
Del tempio di Giunone; e ’n cotal guisa
Si pose a lui davanti, e così disse:
Turno, adunque avrai tu sofferte indarno
Tante fatiche , e questi Frigii avranno
La tua sposa e ’l tuo regno? il re, la figlia 645
E la dote, ch' a te per gli tuoi merti,
Per lo sparso tuo sangue era dovuta,
E già da lui promessa, or ti ritoglie;
E de l' una e de l' altro erede e sposo
Fassi un esterno. O va’ cosi deluso, 650
E per ingrati la persona e l'alma
Inutilmente a tanti rischii esponi .
Exsuit, in vultus sese transformat aniles,
Et frontem obscoenam rugis arat: induit albos
Cum vitta crines: tum ramum innectit olivae:
Fit Chalybe lunonis anus, templique sacerdos;
Et iuveni ante oculos his se cum vocibus offert: 420
Turne, tot incassum fusos patiere labores,
Et tua dardaniis transcribi sceptra colonis?
Rex tibi coniugium et quaesitas sanguine dotes
Abnegat, externusque in regnum quaeritur heres:
I nunc, ingratis offer te, irrise, periclis: 425
4o ENEIDE
E gli dan co'flagelli animo e forza; 585
Tal per mezzo del Lazio e de’ feroci
Suoi popoli vagando, insana andava
La regina infelice. E quel che poscia
Fu d'ardire e di scandalo maggiore,
Di Bacco simulando il nume el coro 590
Per tor la figlia a i Teucri, e le sue nozze
Distornare, o'ndugiare , a’ monti ascesa
Ne le selve l'ascose: O Bacco, o Libero,
Gridando, Eüoé: questa mia vergine
Sola a te si convien, solo a te serbasi. 595
Ecco per te nel tuo coro s esercita
Per te prende i tuoi tirsi, a te s'impampina,
À te la chioma sua nodrisce e dedica.
Divolgasi di ciò la fama intanto
Fra le donne di Lazio, e tutte insieme 600
Da furor tratte, e d'uno ardore accese
Saltan fuor de gli alberghi a la foresta.
Impubesque manus, mirata volubile buxum;
Dant animos plagae: non cursu segnior illo
Per medias urbes agitur, populosque feroces.
Quin etiam in silvas, simulato numine Bacchi, 385
Maius adorta nefas, maioremque orsa furorem,
Evolat, et natam frondosis montibus abdit;
Quo thalamum eripiat Teucris, taedasque moretur;
Euoe Bacche, fremens, solum te virgine dignum,
Vociferans; etenim molles tibi sumere thyrsos, 390
Te lustrare choros, sacrum tibi pascere crinem.
LIBRO SETTIMO 44
Ed altre ignude i colli e sciolte i crini,
D'irsute pelli involte, e d'aste armate,
Di tralci avviticchiate e di corimbi, 605
Orrende voci e tremoli ululati
Mandano a l'aura. E la regina in mezzo
A tutte l'altre una facella in mano
Prende di pino ardente, e l’imeneo
De Ja figlia e di Turno imita e canta, 610
E con gli occhi di sangue e d'ira infetti
Al cielo ad or ad or la voce alzando,
Uditemi, dicea, madri di Lazio,
Quante ne siete in ogni loco, uditemi.
Se può pietate in voi, se può la grazia 615
De la misera Amata, e la miseria
Di lei, ch'ad ogni madre è d'infortunio,
Disvelatevi tutte e scapigliatevi ;
Fama volat, furiisque accensas pectore matres
Idem omnes simul ardor agit, nova quaerere tecta.
Deseruere domos, ventis dant colla comasque.
Ast aliae tremulis ululatibus aethera complent, 395
Pampineasque gerunt incinctae pellibus hastas.
Jpsa inter medias flagrantem fervida pinum
Sustinet, ac natae Turnique canit hymenaeos,
Sanguineam torquens aciem; toreumque repente
Clamat; lo matres, audite , ubi quaeque, latinae.
Si qua piis animis manet infelicis Amatae
Gratia, si iuris materni cura remordet;
Solvite crinales vittas, capite orgia mecum.
Eneide 77o/. LI G
42 ENEIDE
Eüoé; a questo sacrificio
Ne venite con me, meco ululatene. 620
Così da Bacco e da le furie spinta
Ne gia per selve e per deserti alpestri
La regina infelice, quando Aletto,
Ch' assai già. disturbato avea il consiglio
Di re Latino e la sua reggia tutta, 625
Ratto su le fosc'ali a l’aura alzossi; ;
E là've già d'Acrisio il seggio pose
L’avara figlia ivi dal vento esposta,
A lorgoglioso Turno si rivolse .
Ardéa fu quella terra allor nomata, 630
E d'Ardéa il nome insino ad or le resta,
Ma non già la fortuna. In questo loco
Entro al suo gran palagio a mezza notte
Prendea Turno riposo, allor ch’ Aletto
Talem inter silvas, inter deserta ferarum,
Reginam Alecto stimulis agit undique Bacchi. 405
Postquam visa satis primos acuisse furores,
Consiliumque omnemque domum vertisse Latini:
Protenus hinc fuscis tristis Dea tollitur alis
Audacis Rutuli ad muros: quam dicitur urbem
Acrisioneis Danae fundasse colonis, 410
Praecipiti delata noto. Locus Ardea quondam
Dictus avis: et nunc magnum manet Ardea nomen.
Sed fortuna fuit. Tectis hic Turnus in altis
Jam mediam nigra carpebat nocte quietem.
Alecto torvam faciem, et furialia membra 415
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LIBRO SETTIMO 43
Vi giunse, e il torvo suo maligno aspetto 635
Con ciò ch’ avea di Furia, in senil forma
Cangiando, raggruppossi, incanutissi,
E di bende e d' olivo il crin velossi:
Calibe in tutto fessi, una vecchiona
Ch’ era sacerdotessa e guardiana 60
Del tempio di Giunone; e ’n cotal guisa
Si pose a lui davanti , e così disse:
Turno, adunque avrai tu sofferte indarno
Tante fatiche, e questi Frigii avranno
La tua sposa e| tuo regno? il re, la figlia 645
E la dote, ch'a te per gli tuoi merti,
Per lo sparso tuo sangue era dovuta,
E già da lui promessa, or ti ritoglie;
E de l’ una e de l’ altro erede e sposo
Fassi un esterno. O va’ così deluso, 650
E per ingrati la persona e l’ alma
Inutilmente a tanti rischii esponi .
Exsuit, in vultus sese transformat aniles,
Et frontem obscoenam rugis arat: induit albos
Cum vitta crines: tum ramum innectit olivae:
Fit Chalybe Iunonis anus, templique sacerdos;
Et iuveni ante oculos his se cum vocibus offert: 420
Turne, tot incassum fusos patiere labores,
Et tua dardaniis transcribi sceptra colonis?
Rex tibi coniugium et quaesitas sanguine dotes
Abnegat, externusque in regnum quaeritur heres:
I nunc, ingratis offer te, irrise, periclis: 425
44 ENEIDE
Va', fa' strage de’ Toschi. Va’; difendi
I tuoi Latini, e in pace li mantieni.
Questo mi manda apertamente a dirti 655
La gran saturnia Giuno. Arma, arma i tuoi;
Preparati a la guerra; esci in campagna;
Assagli i Frigii, e snidagli dal fiume
Ch' han di già preso, e i lor navili incendi.
Dal ciel ti si comanda. E se Latino 660
À le promission non corrisponde ,
Se Turno non accetta e non gradisce
Né per suo difensor, né per suo genero,
Provi qual sia ne r armi, e quel ch' importi
Averlo per nimico. Al cui parlare - 665
Il giovine con beffe e con rampogne
Così rispose: Io non son, vecchia, ancora
Come te fuor de’ sensi; e ben sentita
Tyrrhenas, i, sterne acies, tege pace Latinos.
Haec adeo tibi me, placida quum nocte iaceres,
Jpsa palam fari omnipotens Saturnia iussit.
Quare age, et armari pubem, portisque moveri
Laetus in arma para; et phrygios,qui flumine pulcro
Consedere, duces pictasque exure carinas:.
Caelestum vis magna iubet. Rex ipse Latinus
Ni dare coniugium, et dicto parere fatetur,
Sentiat, et tandem Turnum experiatur in armis.
Hic iuvenis, vatem irridens, sic orsa vicissim 435
Ore refert: Classes invectas Thybridis alveo
Non, ut rere, meas effugit nuntius aures:
LIBRO SETTIMO 45
Ho la nuova de’ Teucri, e me ne cale
Più che non credi. Non però ne temo 670
Quel che tu ne vaneggi; e non m' ha Giuno
(Penso) in tanto dispregio e ’n tale obblío.
Ma tu da gli anni rimbambita e scema'
Entri folle in pensier d' armi e di stati,
Ch'a te non tocca. Quel ch’ è tuo mestiero 675
Governa i templi, attendi a i simolacri,
E di pace pensar lascia e di guerra
A chi di guerreggiar la cura è data.
Furia a la Furia questo dire accrebbe,
ì che d' ira avvampando, ella il suo volto 680
Riprese è rincagnossi: ed ei ne gli occhi
Stupido ne rimase, .e tremó tutto:
Con tanti serpi s' arruffò ]' Erinne,
Con tanti ne fischió, tale una faccia
Le si scoverse. Indi le bieche luci 685
Ne tantos mihi finge metus: nec regia Iuno
Ammemor est nostri.
Sed te victa situ, verique effoeta senectus, 440
O mater, curis nequidquam exercet, et arma
Regum inter falsa vatem formidine ludit.
Cura tibi, Divim effigies et templa tueri: .
Bella viri pacemque gerant, * queis bella gerenda. *
Talibus Alecto dictis exarsit in iras. 445
At iuveni oranti subitus tremor occupat artus:
Diriguere oculi: tot Erinnys sibilat hydris,
Tantaque se facies aperit: tum flammea torquens
42 ENEIDE
Eüoé; a questo sacrificio
Ne venite con me, meco ululatene. 620
Cosi da Bacco e da le furie spinta
Ne gia per selve e per deserti alpestri
La regina infelice, quando Aletto,
Ch' assai già disturbato avea il consiglio
Di re Latino e la sua reggia tutta, 625
Ratto su le fosc'ali-a l'aura alzossi;
E là've già d’Acrisio il seggio pose
L'avara figlia ivi dal vento esposta,
A Vorgoglioso Turno si rivolse.
Ardéa fu quella terra allor nomata, 630
E d'Ardéa il nome insino ad or le resta,
Ma non già la fortuna. In questo loco
Entro al suo gran palagio a mezza notte
Prendea Turno riposo, allor ch’ Aletto
Talem inter silvas, inter deserta ferarum,
Reginam Alecto stimulis agit undique Bacchi. 405
Postquam visa satis primos acuisse furores,
Consiliumque omnemque domum vertisse Latini:
Protenus hinc fuscis tristis Dea tollitur alis
Audacis Rutuli ad muros: quam dicitur urbem
Acrisioneis Danae fundasse colonis, 410
Praecipiti delata noto. Locus Ardea quondam
Dictus avis: et nunc magnum munet Ardea nomen.
Sed fortuna fuit. Tectis hic Turnus in altis
Jam mediam nigra carpebat nocte quietem.
Alecto torvam faciem, et furialia membra 415
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LIBRO SETTIMO 43
Vi giünse, e il torvo suo maligno aspetto 635
Con ciò ch’ avea di Furia, in senil forma
Cangiando, raggruppossi, incanutissi,
E di bende e d' olivo il crin velossi:
Calibe in tutto fessi, una vecchiona
Ch’ era sacerdotessa e guardiana 6.{0
Del tempio di Giunone; e ’n cotal guisa
Si pose a lui davanti , e così disse:
Turno, adunque avrai tu sofferte indarno
Tante fatiche, e questi Frigii avranno
La tua sposa e | tuo regno? il re, la figlia 645
E la dote, ch' a te per gli tuoi merti,
Per lo sparso tuo sangue era dovuta,
E già da lui promessa, or ti ritoglie;
E de l' una e de l' altro erede e sposo
Fassi un esterno. O va’ così deluso, 650
E per ingrati la persona e l’ alma
Inutilmente a tanti rischii esponi .
Exsuit, in vultus sese transformat aniles,
Et frontem obscoenam rugis arat: induit albos
Cum vitta crines: tum ramum innectit olivae:
Fit Chalybe Iunonis anus, templique sacerdos;
Et iuveni ante oculos his se cum vocibus offert: 420
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Et tua dardanüs transcribi sceptra colonis?
Rex tibi coniugium et quaesitas sanguine dotes
Abnegat, externusque in regnum quaeritur heres:
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i mal'opra a core.
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Pre fedgdiva in Pergama taedae.
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rimina noxia cordi.
> odere sorores
lese vertit in ora,
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LIBRO SETTIMO 35
Giunon le parla, e via più co’ suoi detti
In tal guisa l’accende: O de la Notte
Possente figlia , io per mio proprio affetto ,
Per onor del mio nume, per salvezza 500
De la mia fama un tuo servigio agogno.
Adoprati per me, che, mal mio grado,
Questo Troiano «Enea del re Latino
Genero non divenga, e nel suo regno
Con gran mio pregiudicio non s'annidi. ^ 505
Tu puoi, volendo, armar l'un contra l'altro
I concordi fratelli: odii e zizzanie
Seminar tra'congiunti; e per le case
Con mill'arti nocendo, in mille guise
Infra' mortali indur morti e ruine. 510
Scuoti il fecondo petto ,- e le sue forze
Tutt'a quest’ opra accampa. Inferma, annulla
Questa lor pace; infiamma i cori a l'armi:
Quam Iuno his acuit verbis, ac talia fatur: 330
Hunc mihi da proprium, virgo sata Nocte, laborem,
Hanc operam, ne noster honos, infractave cedat
Fama loco, neu connubiis ambire Latinum
HE neadae possint, italosve obsidere fines.
d'u potes unanimos armare in praelia fratres, 335
"tque odiis versare domos; tu verbera tectis,
F'unereasque inferre faces: tibi nomina mille,
Mille nocendi artes. Fecundum concute pectus, .
Disiice compositam pacem, sere crimina belli:
Arma velit, poscatque simul, rapiatque iuventus.
36 ENEIDE
Arme ognun brami, ognun le gridi e prenda.
Di serpi, e di gorgònei veneni 515
Guarnissi Aletto; e per lo Lazio in prima
Scorrendo, e per Laurento, e per la corte
De la regina Amata entro la soglia
Insidiosamente si nascose.
Era allor la regina, come douna, 520
E come madre, dal materno affetto,
Da lo scorno de’ Teucri, dal disturbo
De le nozze di Turno in molte guise
Afflitta e conturbata, quando Aletto
Per rivolgerla in furia, e co'suoi mostri 525
Sossopra rivoltar la reggia tutta,
Da' suoi cerulei crini un angue in seno
Le avventò sì che l’entrò poscia al core.
Ei primamente infra la gonna e'l petto
Strisciando, e uon mordendo, a poco a paco 530
Col suo vipereo fiato un non sentito
Exin gorgoneis Alecto infecta venenis
Principio Latium, et Laurentis tecta tyranni
Celsa petit, tacitumque obsedit limen Amatae.
Quam super adventu, Teucrüm, Turnique hymenueis
F'emineae ardentem curaeque iraeque coguelrant.345
Huic Dea caeruleis unum de crinibus anguem
Coniicit, inque sinum praecordia ad intima subdit,
Quo furibunda domum monstro permisceat omnem.
Ille, inter vestes et laevia pectora lapsus,
Volvitur attactu nullo, fallitque furentem, —350
LIBRO SETTIMO 37
Furor le spira. Or le si fa monile
Attortigliato al collo; or lunga benda
Le pende da le tempie; or quasi un nastro
L’annoda il crine. Al fin ]ubrico errando, 535
Per ogni membro le s avvolge e serpe.
Ma fin che prima andò languido e molle
Soli i sensi occupando il suo veleno;
Finchè il suo foco penetrando a l’ ossa
Non avea tutto ancor l'animo aoceso, 540
Ella donnescamente lagrimando
Sovra la figlia e sovra le sue nozze
Con tal queto rammarco si dolea;
Adunque si darà Lavinia mia
A Troiani? a banditi? E tu suo padre, 545
Tu cosi la collóchi? E non t' incresce
Di lei, di te, di sua madre infelice?
Ch'al primo vento ch'ai suoi legni spiri,
Vipeream inspirans animam: fit tortile collo
Aurum ingens coluber, fit longae taenia vittae,
Innectitque comas, et membris lubricus errat.
Ac dum prima lues udo sublapsa veneno
Pertentat sensus, atque ossibus implicat ignem, 355
Necdum animus toto percepit pectore flammam;
Mollius, et solito matrum de more, loguuta est;
Multa super nata lacrimans,phry giisque hymenaeis:
Exsulibusne datur ducenda Lavinia Teucris,
O genitor? nec te miseret nataeque, tuique? 360
Nec matris miseret, quam primo Aquilone relinquet
38 ENEIDE
. Di così caro pegno orba rimasa
( Come dir si potrà) da questo infido
Fuggitivo ladrone abbandonata
Del mar vedrolla e de'corsari in preda ?
O non cosi di Sparta anco rapita
Fu la figlia di Leda? E chi rapilla.
550
Non fu Troiano anch’ egli? Ah! dov'è, sire, 555
Quella tua santa inviolabil fede ?
Quella cura de’ tuoi? quella promessa
Che s'è fatta da te già tante volte
Al nostro Turno? Se d'esterna gente
Genero ne si dee; se fisso e saldo
È ciò nel tuo pensiero; se di Fauno
Tuo padre il vaticinio a ciò ti stringe;
Io credo ch'ogni terra, -ch’al tuo scettro
Non è soggetta, sia straniera a noi.
Così ragion mi detta, e così penso .
Che l’ Oracolo intenda. Oltre che Turno
Perfidus, alta petens, abducta virgine, praedo?
560
565
At non sic phrygius penetrat Lacedaemona pastor,
Ledaeamque Helenam troianas vexit ad urbes.
Quid tua sancta fides? quid cura antiqua tuorum,
Et consanguineo toties data dextera T'urno?
Si gener externa petitur de gente Latinis,
Idque sedet, Faunique premunt te iussa parentis,
Omnem equidem sceptris terram, quae libera nostris
Dissidet, externam reor, et sic dicere Divos.
Et Turno, si prima domus repetatur origo,
370
LIBRO SETTIMO 39
(Se la sua prima origine si mira)
Per suoi progenitori Inaco, Acrisio,
E per patria ha Micene. A questo dire
Stava nel suo proposito Latino” 570
Ognor più duro. E la regina intanto
Più dal veleno era del serpe infetta:.
E già tutta compresa, e da gran niostri
Agitata , sospinta e forsennata,
Senza ritegno. a correre, a scagliarsi, 575
A gridar fra le genti e fuor d’ogni uso
A tempestar per la città si diede. :
Qual per gli atrii scorrendo e per le sale
Infra la turba de’ fanciulli a volo
‘ Va sferzato paléo ch'a salti,.a scosse, 380
Ed a suon di guinzagli roteando
E ronzando s'aggira e si travolve,
Quando con meraviglia e con diletto
Gli va lo stuol.de' semplicetti intorno ,
Inachus Acrisiusque patres, mediaeque Mycenae.
His ubi nequidquam dictis experta, Latinum
Contra stare videt, penitusque in viscera lapsum
Serpentis furiale malum, totamque pererrat; © 379
T'um vero infelix, ingentibus excita monstris,
Immensam sine more furit lymphata per urbem:
Ceu quondam torto volitans sub verbere turbo,
Quem pueri magno in gyro vacua atria circum
Intenti ludo exercent: ille actus habena 380
Curvatis fertur spatiis; stupet inscia supra
4o ENEIDE
E gli dan oo flagelli animo e forza; 585
Tal per mezzo del Lazio e de’ feroci
Suoi popoli vagando, insana andava
La regina infelice. E quel che poscia
Fu d'ardire e di scandalo maggiore,
Di Bacco simulando il nume e’l coro 590
Per tor la figlia a i Teucri, e le sue nozze
Distornare, o'ndugiare , a’ monti ascesa
Ne le selve l'ascose: O Bacco, o Libero,
Gridando, Euoé: questa mia vergme -
Sola a te si convien, solo a te serbasi. 595
Ecco per te nel tuo coro s'esercita
Per te prende i tuoi tirsi, a te s'impampina,
A. te la chioma sua nodrisce e dedica.
Divolgasi di ció la fama intanto
Fra le donne di Lazio, e tutte insieme 600
Da furor tratte, e d'uno ardore accese
Saltan fuor de gli alberghi a la foresta.
Impubesque manus, mirata volubile buxum;
Dant animos plagae: non cursu segnior illo
Per medias urbes agitur, populosque feroces.
Quin etiam in silvas, simulato numine Bacchi, 385
Maius adorta nefas, maioremque orsa furorem,
Evolat, et natam frondosis montibus abdit;
Quo thalamum eripiat. Teucris, taedasque moretur;
Euoe Bacche, fremens, solum te virgine dignum,
Vociferans; etenim molles tibi sumere thyrsos, 390
Te lustrare choros, sacrum tibi pascere crinem.
LIBRO SETTIMO 4a
Ed altre ignude i colli e sciolte i crini,
D'irsute pelli involte, e d'aste armate,
Di tralci avviticchiate e di corimbi, 605
Orrende voci e tremoli ululati
Mandano a l'aura. E la regina in mezzo
A tutte l'altre una facella in mano |
Prende di pino ardente, e l'imeneo
De la figlia e di Turno imita e canta, 610
E con gli occhi di sangue e d'ira infetti
Al cielo ad or ad or la voce alzando,
Uditemi, dicea, madri di Lazio,
Quante ne siete in ogni loco, uditemi.
Se può pietate in voi, se può la grazia 615
De la misera Amata, e la miseria
Di lei, ch' ad ogni madre è d'infortunio,
Disvelatevi tutte e scapigliatevi ;
Fama volat, furiisque accensas pectore matres
Jdem omnes simul ardor agit, nova quaerere tecta.
Deseruere domos, ventis dant colla comasque.
"st aliae tremulis ululatibus aethera complent, 395
Pampineasque gerunt incinctae pellibus hastas.
Jpsa inter medias flagrantem fervida pinum
Sustinet, ac natae Turnique canit hymenaeos,
Sanguineam torquens aciem; toreumque repente
Clamat; lo matres, audite , ubi quaeque, latinae.
Si qua piis animis manet infelicis 4matae
Gratia, si iuris materni cura remordet;
Solvite crinales vittas, capite orgia mecum.
Eneide Zol. II 6
42 ENEIDE
Eüoé; a questo sacrificio .
Ne venite con me, meco ululatene. 620
Così da Bacco e da le furie spinta
Ne gia per selve e per deserti alpestri
La regina infelice, quando Aletto,
Ch' assai già disturbato avea il consiglio
Di re Latino e la sua reggia tutta, 625
Ratto su le fosc'ali a l'aura alzossi;
E là’ve già d'Acrisio il seggio pose
L'avara figlia ivi dal vento esposta,
A lorgoglioso Turno si rivolse.
Ardéa fu quella terra allor nomata, 630
E d'Ardéa il nome insino ad or le resta,
Ma non già la fortuna. In questo loco
Entro al suo gran palagio a mezza notte
Prendea Turno riposo, allor ch’ Aletto
Talem inter silvas, inter deserta ferarum,
Reginam lecto stimulis agit undique Bacchi. 405
Postquam visa satis primos acuisse furores,
Consiliumque omnemque domum vertisse Latini:
Protenus hinc fuscis tristis Dea tollitur alis
Audacis Rutuli ad muros: quam dicitur urbem
Acrisioneis Danae fundasse colonis, 410
Praecipiti delata noto. Locus Ardea quondam
Dictus avis: et nunc magnum munet Ardea nomen.
Sed fortuna fuit. Tectis hic Turnus in altis
Jam mediam nigra carpebat nocte quietem.
Alecto torvam faciem, et furialia membra 415
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LIBRO SETTIMO 43
Vi giunse, e il torvo suo maligno aspetto — 635
Con ciò ch’ avea di Furia, in senil forma
Cangiando, raggruppossi, incanutissi,
E di bende e d' olivo il crin velossi:
Calibe in tutto fessi, una vecchiona
Ch’ era sacerdotessa e guardiana 6.{0
Del tempio di Giunone; e’n cotal guisa
Si pose a lui davanti, e così disse:
Turno, adunque avrai tu sofferte indarno
Tante fatiche, e questi Frigii avranno |
La tua sposa e | tuo regno? il re, la figlia 645
E la dote, ch' a te per gli tuoi merti,
Per lo sparso tuo sangue era dovuta,
E già da lui promessa, or ti ritoglie;
E de l' una e de l' altro erede e sposo
Fassi un esterno. O va’ così deluso, 650
E per ingrati la persona e l'alma
Inutilmente a tanti rischii esponi .
Exsuit, in vultus sese transformat aniles,
Et frontem obscoenam rugis arat: induit albos
Cum vitta crines: tum ramum innectit olivae:
Fit Chalybe Iunonis anus, templique sacerdos;
Et iuveni ante oculos his se cum vocibus offert: 420
Turne, tot incassum fusos patiere labores,
Et tua dardaniis transcribi sceptra colonis?
Rex tibi coniugium et quaesitas sanguine dotes
Abnegat, externusque in regnum quaeritur heres:
| 4 nunc, ingratis offer te, irrise, periclis: 425
4o ENEIDE
E gli dan co'flagelli animo e forza; 585
Tal per mezzo del Lazio e de' feroci
Suoi popoli vagando, insana andava
La regina infelice. E quel che poscia
Fu d'ardire e di scandalo maggiore ,
Di Bacco simulando il nume el coro 590
Per tor la figlia a i Teucri, e le sue nozze
Distornare, o'ndugiare , a’ monti ascesa
Ne le selve l’ascose: O Bacco, o Libero,
Gridando, Eüoé: questa mia vergine
Sola a te si convien, solo a te serbasi. 595
Ecco per te nel tuo coro s' esercita
Per te prende i tuoi tirsi, a te s'impempina,
À. te la chioma sua nodrisce e dedica.
Divolgasi di ciò la fama intanto
Fra le donne di Lazio, e tutte insieme 600
Da furor tratte, e d'uno ardore accese
Saltan fuor de gli alberghi a la foresta.
Impubesque manus, mirata volubile buxum;
Dant animos plagae: non cursu segnior illo
Per medias urbes agitur, populosque feroces.
Quin etiam in silvas, simulato numine Bacchi, 385
Maius adorta nefas, maioremque orsa furorem,
Evolat, et natam frondosis montibus abdit;
Quo thalamum eripiat Teucris, taedasque moretur;
Euoe Bacche, fremens, solum te virgine dignum,
Vociferans; etenim molles tibi sumere thyrsos, 390
Te lustrare choros, sacrum tibi pascere crinem.
LIBRO SETTIMO Ai
Ed altre ignude i colli e sciolte i crini,
D'irsute pelli involte, e d'aste armate,
Di tralci avviticchiate e di corimbi, 605
Orrende voci e tremoli ululati
Mandano a l'aura. E la regina in mezzo
A tutte l'altre una facella in mano |
Prende di pino ardente, e l'imeneo
De la figlia e di Turno imita e canta, 610
E con gli occhi di sangue e d'ira infetti
Al cielo ad or ad or la voce alzando,
Uditemi, dicea, madri di Lazio,
Quante ne siete in ogni loco, uditemi.
Se puó pietate jn voi, se puó la grazia 615
De la misera Amata, e la miseria
Di lei, ch' ad ogni madre è d' infortunio,
Disvelatevi tutte e scapigliatevi ;
Fama volat, furiisque accensas pectore matres
Jdem omnes simul ardor agit, nova quaerere tecta.
Deseruere domos, ventis dant colla comasque.
44st aliae tremulis ululatibus aethera complent, 395
Pampineasque gerunt incinctae pellibus hastas.
Jpsa inter medias flagrantem fervida pinum
Sustinet, ac natae Turnique canit hymenaeos,
Sanguineam torquens aciem; toreumque repente
Clamat; lo matres, audite, ubi quaeque, latinae.
Si qua piis animis manet infelicis Amatae
Gratia, si iuris materni cura remordet;
Solvite crinales vittas, capite orgia mecum.
Eneide Jol. II G
— .— ori "inm. —_
42 ENEIDE
Eüoé; a questo sacrificio
Ne venite con me, meco ululatene. 620
Così da Bacco e da le furie spinta
Ne gia per selve e per deserti alpestri
La regina infelice, quando Aletto,
Ch' assai già disturbato avea il consiglio
Di re Latino e la sua reggia tutta, 625
Ratto su le fosc'ali a l'aura alzossi;
E là've già d'Acrisio il seggio pose
L'avara figlia ivi dal vento esposta,
A lorgoglioso Turno si rivolse.
Ardéa fu quella terra allor nomata, 630
E d'Ardéa il nome insino ad or le resta,
Ma non già la fortuna. In questo loco
Entro al suo gran palagio a mezza notte
Prendea Turno riposo, allor ch’ Aletto
Talem inter silvas, inter deserta ferarum,
Reginam Alecto stimulis agit undique Bacchi. 405
Postquam visa satis primos acuisse furores,
Consiliumque omnemque domum vertisse Latini:
Protenus hinc fuscis tristis Dea tollitur alis
Audacis Rutuli ad muros: quam dicitur urbem
Acrisioneis Danae fundasse colonis, 410
Praecipiti delata noto. Locus Ardea quondam
Dictus avis: et nunc magnum munet Ardea nomen.
Sed fortuna fuit. Tectis hic Turnus in altis
Jam mediam nigra carpebat nocte quietem.
Alecto torvam faciem, et furialia membra 415
To never ve c - an c9 ©" -
Terran ene : "uh V 79-9
E
ARDEA.
Aen.Lib.w 41.
Ardea.
LIBRO SETTIMO 43
Vi giunse, e il torvo suo maligno aspetto — 635
Con ciò ch’ avea di Furia, in senil forma
Cangiando, raggruppossi, incanutissi,
E di bende e d' olivo il crin velossi:
Calibe in tutto fessi, una vecchiona
Ch’ era sacerdotessa e guardiana 60
Del tempio di Giunone; e’n cotal guisa
Si pose a lui davanti , e così disse:
Turno, adunque avrai tu sofferte indarno
Tante fatiche, e questi Frigii avranno |
La tua sposa e 1 tuo regno? il re, la figlia 645
E la dote, ch’ a te per gli tuoi merti,
Per lo sparso tuo sangue era dovuta,
E già da lui promessa, or ti ritoglie;
E de l' una e de l’ altro erede e sposo
Fassi un esterno. O va’ così deluso, |. — 65o
E per ingrati la persona e l'alma
Inutilmente a tanti rischii esponi .
Exsuit, in vultus sese transformat aniles,
Et frontem obscoenam rugis arat: induit albos
Cum vitta crines: tum ramum innectit olivae:
Fit Chalybe Iunonis anus, templique sacerdos;
Et iuveni ante oculos his se cum vocibus offert: 420
Turne, tot incassum fusos patiere labores,
Et tua dardaniis transcribi sceptra colonis?
Rex tibi coniugium et quaesitas sanguine dotes
Abnegat, externusque in regnum quaeritur heres:
I nunc, ingratis offer te, irrise, periclis: 425
44 ENEIDE
Va', fa' strage de’ Toschi. Va’; difendi
I tuoi Latini, e in pace li mantieni.
Questo mi manda apertamente a dirti 659
La gran saturnia Giuno. Arma, arma i tuoi;
Preparati a la guerra; esci in campagna;
Assagli i Frigii, e snidagli dal fiume
Ch’ han di già preso, e i lor navili incendi.
Dal ciel ti si comanda. E se Latino 660
A. le promission non corrisponde ,
Se Turno non accetta e non gradisce
Né per suo difensor, né per suo genero,
Provi qual sia ne l’ armi, e quel ch’ importi
Averlo per nimico. Al cui parlare - 665
Il giovine con beffe e con rampogne
Così rispose: Io non son, vecchia, ancora
Come te fuor de’ sensi; e ben sentita
Tyrrhenas, i, sterne acies, tege pace Latinos.
Haec adeo tibi me, placida quum nocte iaceres,
Ipsa palam fari omnipotens Saturnia iussit.
Quare age, et armari pubem, portisque moveri
Laetus in arma para; et phry gios,qui flumine pulcro
Consedere, duces pictasque exure carinas:
Caelestum vis magna iubet. Rex ipse Latinus
Ni dare coniugium, et dicto parere fatetur,
Sentiat, et tandem Turnum experiatur in armis.
Hic iuvenis, vatem irridens, sic orsa vicissim 435
Ore refert: Classes invectas Thybridis alveo
Non, ut rere, meas effugit nuntius aures:
LIBRO SETTIMO 45
Ho la nuova de’ Teucri, e me ne cale
Più che non credi. Non però ne temo 670
Quel che tu ne vaneggi; e non m' ha Giuno
(Penso) in tanto dispregio e ’n tale obblío.
Ma tu da gli anni rimbambita e scema'
Entri folle in pensier d' armi e di stati,
Ch'a te non tocca. Quel ch' é tuo mestiero 675
Governa i templi, attendi a i simolacri,
E di pace pensar lascia e di guerra
A chi di guerreggiar la cura è data.
Furia a la Furia questo dire accrebbe,
Si che d' ira avvampando, ella il suo volto 680
Riprese è rincagnossi: ed ei ne gli occhi
Stupido ne rimase, .e tremò tutto:
Con tanti serpi s' arruffò ]' Erinne,
Con tanti ne fischió, tale una faccia
Le si scoverse. Indi le bieche luci 685
Ne tantos mihi finge metus: nec regia Iuno
Immemor est nostri.
Sed te victa situ, verique effoeta senectus, 440
O mater, curis nequidquam exercet, et arma :
Regum inter falsa vatem formidine ludit.
Cura tibi, Divm effigies et templa tueri: .
Bella viri pacemque gerant, * queis bella gerenda. *
Talibus Alecto dictis exarsit in iras. 445
At iuveni oranti subitus tremor occupat artus:
Diriguere oculi: tot Erinnys sibilat hydris,
Tantaque se facies aperit: tum flammea torquens
42 ENEIDE
Eüoé; a questo sacrificio
Ne venite con me, meco ululatene. 620
Così da Bacco e da le furie spinta
Ne gia per selve e per deserti alpestri
La regina infelice, quando Aletto,
Ch' assai già disturbato avea il consiglio
Di re Latino e la sua reggia tutta, 625
Ratto su le fosc'ali a l'aura alzossi;
E là've già d’Acrisio il seggio pose
L'avara figlia ivi dal vento esposta,
A lorgoglioso Turno si rivolse .
Ardéa fu quella terra allor nomata, 630
E d' Ardéa il nome insino ad or le resta,
Ma non già la fortuna. In questo loco
Entro al suo gran palagio a mezza notte
Prendea Turno riposo, allor ch’ Aletto
Talem inter silvas, inter deserta ferarum,
Reginam Alecto stimulis agit undique Bacchi. 409
Postquam visa satis primos acuisse furores,
Consiliumque omnemque domum vertisse Latini:
Protenus hinc fuscis tristis Dea tollitur alis
Audacis Rutuli ad muros: quam dicitur urbem
Acrisioneis Danae fundasse colonis, 410
Praecipiti delata noto. Locus Ardea quondam
Dictus avis: et nunc magnum manet Ardea nomen.
Sed fortuna fuit. Tectis hic Turnus in altis
Jam mediam nigra carpebat nocte quietem.
Alecto toryam faciem, et furialia membra 419
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LIBRO SETTIMO 43
Vi giunse, e il torvo suo maligno aspetto 635
Con ciò ch’ avea di Furia, in senil forma
Cangiando, raggruppossi, incanutissi,
E di bende e d' olivo il crin velossi:
Calibe in tutto fessi, una vecchiona
Ch’ era sacerdotessa e guardiana 6.0
Del tempio di Giunone; e ’n cotal guisa
Si pose a lui davanti , e così disse:
Turno, adunque avrai tu sofferte indarno
Tante fatiche, e questi Frigii avranno
La tua sposa e 1 tuo regno? il re, la figlia 645
E la dote, ch' a te per gli tuoi merti,
Per lo sparso tuo sangue era dovuta,
E già da lui promessa, or ti ritoglie;
E de l' una e de l' altro erede e sposo
Fassi un esterno. O va’ cosi deluso, 650
E per ingrati la persona e l’ alma
Inutilmente a tanti rischii esponi .
Exsuit, in vultus sese transformat aniles,
Et frontem obscoenam rugis arat: induit albos
Cum vitta crines: tum ramum innectit olivae:
Fit Chalybe Iunonis anus, templique sacerdos;
Et iuveni ante oculos his se cum vocibus offert: 420
Turne, tot incassum fusos patiere labores,
Et tua dardaniis transcribi sceptra colonis?
Rex tibi coniugium et quaesitas sanguine dotes
Abnegat, externusque in regnum quaeritur heres:
I nunc, ingratis offer te, irrise, periclis: 425
4o ENEIDE
E gli dan co'flagelli animo e forza; 585
Tal per mezzo del Lazio e de’ feroci
Suoi popoli vagando, insana andava
La regina infelice. E quel che poscia
Fu d'ardire e di scandalo maggiore,
Di Bacco simulando il nume el coro 590
Per tor la figlia a i Teucri, e le sue nozze
Distornare, o'ndugiare , a’ monti ascesa
Ne le selve l’ascose: O Bacco, o Libero,
Gridando, Exoé: questa mia vergine
Sola a te si convien, solo a te serbasi. 595
Ecco per te nel tuo coro Ss esercita
Per te prende i tuoi tirsi, a te s'impampina ,
À te la chioma sua nodrisce e dedica.
Divolgasi di ciò la fama intanto
Fra le donne di Lazio, e tutte insieme 600
Da furor tratte, e d'uno ardore accese
Saltan fuor de gli alberghi a la foresta.
Impubesque manus, mirata volubile buxum;
Dant animos plagae: non cursu segnior illo
Per medias urbes agitur, populosque feroces.
Quin etiam in silvas, simulato numine Bacchi, 385
Maius adorta nefas, maioremque orsa furorem,
Evolat, et natam frondosis montibus abdit;
Quo thalamum eripiat Teucris, taedasque moretur;
Euoe Bacche, fremens, solum te virgine dignum,
F'ociferans; etenim molles tibi sumere thyrsos, 390
Te lustrare choros, sacrum tibi pascere crinem.
LIBRO SETTIMO AI
Ed altre ignude i colli e sciolte i crini,
D'irsute pelli involte, e d'aste armate,
Di tralci avviticchiate e di corimbi, 605
Orrende voci e iremoli ululati
Mandano a l'aura. E la regina in mezzo
A tutte l'altre una facella in mano |
Prende di pino ardente, e l'imeneo
De la figlia e di Turno imita e canta, 610
E con gli occhi di sangue e d'ira infetti
Al cielo ad or ad or la voce alzando,
Uditemi, dicea, madri di Lazio,
Quante ne siete in ogni loco, uditemi.
Se può pietate in voi, se può la grazia 615
De la misera Amata, e la miseria
Di lei, ch'ad ogni madre è d'infortunio,
Disvelatevi tutte e scapigliatevi ;
Fama volat, furüsque accensas pectore matres
Jdem omnes simul ardor agit, nova quaerere tecta.
Deseruere domos, ventis dant colla comasque.
"st aliae tremulis ululatibus aethera complent, 395
Pampineasque gerunt incinctae pellibus hastas.
Jpsa inter medias flagrantem fervida pinum
Sustinet, ac natae Turnique canit hymenaeos,
Sanguineam torquens aciem; torvumque repente
Clamat; lo matres, audite , ubi quaeque, latinae.
Si qua piis animis manet infelicis Amatae
Gratia, si iuris materni cura remordet;
Solvite crinales vittas, capite orgia mecum.
Eneide ol. II G
42 ENEIDE
Eüoé; a questo sacrificio
Ne venite con me, meco ululatene. 620
Così da Bacco e da le furie spinta
Ne gia per selve e per deserti alpestri
La regina infelice, quando Aletto,
Ch' assai già disturbato avea il consiglio
Di re Latino e la sua reggia tutta, 625
Ratto su le fosc'ali a l'aura alzossi;
E là've già d'Acrisio il seggio pose
L’avara figlia ivi dal vento esposta,
A l'orgoglioso Turno si rivolse.
Ardéa fu quella terra allor nomata, 630
E d'Ardéa il nome insino ad or le resta,
Ma non già la fortuna. In questo loco
Entro al suo gran palagio a mezza notte
Prendea Turno riposo, allor ch' Aletto
T'alem inter silvas, inter deserta ferarum,
Reginam Alecto stimulis agit undique Bacchi. 405
Postquam visa satis primos acuisse furores,
Consiliumque omnemque domum vertisse Latini:
Protenus hinc fuscis tristis Dea tollitur alis
Audacis Rutuli ad muros: quam dicitur urbem
Acrisioneis Danae fundasse colonis, 410
Praecipiti delata noto. Locus Ardea quondam
Dictus avis: et nunc magnum munet Ardea nomen.
Sed fortuna fuit. Tectis hic Turnus in altis
Jam mediam nigra carpebat nocte quietem.
Alecto torvam faciem, et furialia membra 419
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LIBRO SETTIMO 43
Vi giunse, e il torvo suo maligno aspetto (635
Con ciò ch’ avea di Furia, in senil forma
iando, raggruppossi, incanutissi,
E di bende e d' olivo il crin velossi:
Calibe in tutto fessi, una vecchiona
Ch’ era sacerdotessa e guardiana 6.{0
Del tempio di Giunone; e ’n cotal guisa
Si pose a lui davanti, e così disse:
Turno, adunque avrai tu sofferte indarno
Tante fatiche, e questi Frigii avranno
La tua sposa e | tuo regno? il re, la figlia 645
E la dote, ch' a te per gli tuoi merti,
Per lo sparso tuo sangue era dovuta,
E già da lui promessa, or ti ritoglie;
E de l' una e de l’ altro erede e sposo
Fassi un esterno. O va’ così deluso, 650
E per ingrati la persona e l'alma
Inutilmente a tanti rischii esponi .
Exsuit, in vultus sese transformat aniles,
Et frontem obscoenam rugis arat: induit albos
Cum vitta crines: tum ramum innectit olivae:
Fit Chalybe Iunonis anus, templique sacerdos;
Et iuveni ante oculos his se cum vocibus offert: 4ao
Turne, tot incassum fusos patiere labores,
Et tua dardaniis transcribi sceptra colonis?
Rex tibi coniugium et quaesitas sanguine dotes
Abnegat, externusque in regnum quaeritur heres:
I nunc, ingratis offer te, irrise, periclis: 425
44 ENEIDE
Va', fa' strage de’ Toschi. Va’; difendi
I tuoi Latini, e in pace li mantieni.
Questo mi manda apertamente a dirti 655
La gran saturnia Giuno. Arma, arma i tuoi;
Preparati a la guerra; esci in campagna;
Assagli i Frigii, e snidagli dal fiume
Ch' han di già preso, e i lor navili incendi.
Dal ciel ti si comanda. E se Latino 660
À le promission non corrisponde ,
Se Turno non accetta e non gradisce
Né per suo difensor, nè per suo genero,
Provi qual sia ne l’ armi, e quel ch’ importi
Averlo per nimico. Al cui parlare 665
Il giovine con beffe e con rampogne
Così rispose: Io non son, vecchia, ancora
Come te fuor de’ sensi; e ben sentita
Tyrrhenas, i, sterne acies, tege pace Latinos.
Haec adeo tibi me, placida quum nocte iaceres,
Jpsa palam fari omnipotens Saturnia iussit.
Quare age, et armari pubem, portisque moveri
Laetus in arma para; et phrygios,qui flumine pulcro
Consedere, duces pictasque exure carinas:,
Caelestum vis magna iubet. Rex ipse Latinus
Ni dare coniugium, et dicto parere fatetur,
Sentiat, et tandem T'urnum experiatur in armis.
Hic iuvenis, vatem irridens, sic orsa vicissim 435
Ore refert: Classes invectas Thybridis alveo
Non, ut rere, meas effugit nuntius aures:
LIBRO SETTIMO 45
Ho la nuova de’ Teucri, e me ne cale
Più che non credi. Non però ne temo 670
Quel che tu ne vaneggi; e non m' ha Giuno
(Penso) in tanto dispregio en tale obblio .
Ma tu da gli anni rimbambita e scema:
Entri folle in pensier d' armi e di stati,
Ch’ a te non tocca. Quel ch' è tuo mestiero 675
Governa i templi, attendi a i simolacri,
E di pace pensar lascia e di guerra
A chi di guerreggiar la cura è data.
Furia a la Furia questo dire accrebbe,
Sì che d' ira avvampando, ella il suo volto 680
Riprese è rincagnossi: ed ei ne gli occhi
Stupido ne rimase, e tremó tutto:
Con tanti serpi s' arruffò ]' Erinne,
Con tanti ne fischiò, tale una faccia
Le si scoverse. Indi le bieche luci 685
Ne tantos mihi finge metus: nec regia Iuno
Ammemor est nostri. |
Sed te victa situ, verique effoeta senectus, 440
O mater, curis nequidquam exercet, et arma -
Regum inter falsa vatem formidine ludit.
Cura tibi, Divum effigies et templa tueri: .
Bella viri pacemque gerant, * queis bella gerenda. *
Talibus Alecto dictis exarsit in iras. 445
At iuveni oranti subitus tremor occupat artus:
Diriguere oculi: tot Erinnys sibilat hydris,
Tantaque se facies aperit: tum flammea torquens
A
46 ENEIDE
Di foco accesa, la viperea sferza
Gli girò sopra; e sì com' era immoto
Per lo stupore, ed a più dire inteso,
Lo risospinse; e i suoi detti e i suoi scherni
Così rabbiosamente improverógli: 690
Or vedrai ben se rimbabita e scema
Sono entrata in pensier d'armi e di stati,
Ch'a me non tocchi; e se son vecchia e folle.
Guardami, e riconoscimi ; ch' a questo
Son dal Tartaro uscita. E guerra e morte 695
Meco ne porto. E, ciò detto; avventogli
Tale una face e con tal fumo un foco,
Che fe’ tenebre a*gli occhi e fiamme al core.
Lo spavento del giovine fu tale,
Che rotto il sonno, di sudor bagnato 700
Si trovò per angoscia il corpo tutto:
E stordito sorgendo, arme d' intorno
Lumina, cunctantem et quaerentem dicere plura
Reppulit, et geminos erexit crinibus angues, 450
Verberaque insonuit, rabidoque haec addidit ore:
En, ego victa situ, quam veri effoeta senectus
Arma inter regum falsa formidine ludit;
Respice ad haec: adsum dirarum ab sede sororum:
Bella manu, letumque gero. 455
Sic effata, facem iuveni coniecit, et atro
Lumine fumantes fixit- sub pectore taedas.
Olli somnum ingens rumpit pavor; ossaque et artus
Perfudit toto proruptus corpore sudor.
LIBRO SETTIMO 47
Cercossi, armi gridò, d'ira s'accese,
D'empio disío, di scellerata insania
Di scompigli e di guerra. In quella guisa — 705
Che con alto bollor risuona e gonfia
Un gran caldar, quand'ha di verghe a’ fianchi
| Chi gli ministra ognor foco maggiore,
Quando l'onda più ferve, e gorgogliando
Più rompe, più si volve e spuma e versa, 710
E'l suo negro vapore a l'aura esala.
Così Turno commosso a muover gli altri
Si volge incontanente; e de’ suoi primi,
Altri al re manda con la rotta pace,
Ad altri l'apparecchio impon de l' arme, — 715
Onde Italia difenda, onde i Troiani
Sian d' Italia cacciati, ed ei si vanta .
Contra de’ Teucri e contra de’ Latini
Aver forze a bastanza. E ciò commesso,
Arma amens fremit, arma toro tectisque requirit:
Saevit amor ferri, et scelerata insania belli ;
Ira super: magno veluti quum flamma sonore
Virgea suggeritur costis undantis aeni,
Exsultantque aestu. latices: furit intus aquai
F'umidus, atque alte spumis exuberat amnis: 465
Nec iam se capit unda; volat vapor ater ad auras.
Ergo iter ad regem, polluta pace, Latinum
Indicit primis iuvenum, et iubet arma parari,
Tutari Italiam, detrudere finibus hostem:
Se satis ambobus T'eucrisque venire Latinisque.
—— —
48 ENEIDE
E ne' suoi voti i suoi Numi invocati, 720
I Rutuli infra loro a gara armando
S'esortavan l’ un l'altro; e tutti insieme
Eran tratti da lui, chi per lui stesso
(Che giovin era amabile e gentile)
Chi per la nobiltà de’ suoi maggiori, 725
E chi per la virtute, e per le prove
Di lui viste altre volte in altre guerre.
Mentre cosi de' suoi Turno dispone
Gli animi e l'armi, in altra parte Aletto
Sen vola a' Teucri, e con nuov'arte apposta 73o
In su la riva un loco, ove in campagna
Correndo e'nsidiando il bello Iulo
Seguía le fere fuggitive in caccia.
Qui di subita rabbia i cani accese
La virgo di Cocíto, e per la traccia 735
Gli mise tutti; onde scopriro un cervo
Haec ubi dicta dedit, Divosque in vota vocavit;
Certatim sese Rutuli exhortantur in arma:
Hunc decus egregium formae movet atque iuventae:
Hunc atavi reges, hunc claris dextera factis.
Dum Turnus Rutulos animis audacibus implet, 495
"lecto in Teucros stygiis se concitat alis,
Arte nova speculata locum, quo litore pulcher
Insidiis, cursuque feras agitabat Iulus.
Hic subitam canibus rabiem cocytia virgo
Obiicit, et noto nares contingit odore, 480
Ut cervum ardentes agerent: quae prima malorum
LIBRO SETTIMO 49)
Che fu poi di tumulto, di rottura
Di guerra, e d' ogni mal prima cagione.
Questo era un cervo mansueto e vago,
Già grande e di gran corna, che divelto 740
Da la sua madre, era nel gregge addotto
Di Tirro e de’ suoi figli: ed era Tirro
Il custode maggior de’ regii armenti
E de'regi poderi; ed egli stesso
L’ avea nudrito e fatto umile e manso. 745
Silvia, una giovinetta sua figliuola,
L'avea per suo trastullo; e con gran cura
Di fior l’ inghirlandava, il pettinava,
Lo lavava sovente: Era a la mensa
A lor d'intorno; e da lor tutti amava 750
Esser pasciuto e vezzeggiato e tocco.
Errava per le selve a suo diletto,
E da se stesso poi la sera a casa,
Caussa fuit, belloque animos accendit agrestes.
Cervus erat forma praestanti, et cornibus ingens,
Tyrrhidae pueri quem matris ab ubere raptum
Nutribant, Tyrrhusque pater, cui regia parent 485
Armenta, et late custodia credita campi.
Assuetum imperiis soror omni Silvia cura
Mollibus intexens ornabat cornua sertis;
Pectebatque ferum, purogue in fonte lavabat.
Ille manum patiens, mensaeque assuetus herili, 490
Errabat silvis, rursusque ad limina nota
Ipse domum sera quamvis se nocte ferebat.
Eneide 7/7ol. 11 7
LIBRO SETTIMO 43
Vi giünse, e il torvo suo maligno aspetto 635
Con ció ch' avea di Furia, in senil forma
Cangiando, raggruppossi, incanutissi,
E di bende e d' olivo il crin velossi:
Calibe in tutto fessi, una vecchiona
Ch'era sacerdotessa e guardiana 60
Del tempio di Giunone; e’n cotal guisa
Si pose a lui davanti , e così disse:
Turno, adunque avrai tu sofferte indarno
Tante fatiche , e questi Frigii avranno
La tua sposa e | tuo regno? il re, la figlia 645
E la dote, ch' a te per gli tuoi merti,
Per lo sparso tuo sangue era dovuta,
E già da lui promessa, or ti ritoglie;
E de l’ una e de l' altro erede e sposo
Fassi un esterno. O va’ così deluso, 650
E per ingrati la persona e l'alma
Inutilmente a tanti rischii esponi .
Exsuit, in vultus sese transformat aniles,
Et frontem obscoenam rugis arat: induit albos
Cum vitta crines: tum ramum innectit olivae:
Fit Chalybe Iunonis anus, templique sacerdos;
Et iuveni ante oculos his se cum vocibus offert: 4ao
Turne, tot incassum fusos patiere labores,
Et tua dardanüs transcribi sceptra colonis?
Rex tibi coniugium et quaesitas sanguine dotes
Abnegat, externusque in regnum quaeritur heres:
I nunc, ingratis offer te, irrise, periclis: 425
44 ENEIDE
Va’, fa’ strage de’ Toschi. Va’; difendi
I tuoi Latini, e in pace li mantieni.
Questo mi manda apertamente a dirti 655
La gran saturnia Giuno. Arma, arma i tuoi;
Preparati a la guerra; esci in campagna;
Assagli i Frigii, e snidagli dal fiume
Ch’ han di già preso, e i lor navili incendi.
Dal ciel ti si comanda. E se Latino 660
A. le promission non corrisponde ,
Se Turno non accetta e non gradisce
Né per suo difensor, nè per suo genero,
Provi qual sia ne l' armi, e quel ch’ importi
Averlo per nimico. Al cui parlare . 665
Il giovine con beffe e con rampogne
Cosi rispose: Jo non son, vecchia, ancora
Come te fuor de' sensi; e ben sentita
Tyrrhenas, i, sterne acies, tege pace Latinos.
Haec adeo tibi me, placida quum nocte iaceres,
Ipsa palam fari omnipotens Saturnia iussit.
Quare age, et armari pubem, portisque moveri
Laetus in arma para; et phrygios,qui flumine pulcro
Consedere, duces pictasque exure carinas:.
Caelestum vis magna iubet. Rex ipse Latinus
Ni dare coniugium, et dicto parere fatetur,
Sentiat, et tandem Turnum experiatur in armis.
Hic iuvenis, vatem irridens, sic orsa vicissim 435
Ore refert: Classes invectas T'hybridis alveo
JVon, ut rere, meas effugit nuntius aures:
LIBRO SETTIMO 45
Ho la nuova de’ Teucri, e me ne cale
Più che non credi. Non però ne temo 670
Quel che tu ne vaneggi; e non m' ha Giuno
(Penso) in tanto dispregio e ’n tale obblío.
Ma tu da gli anni rimbambita e scema
Entri folle in pensier d' armi e di stati,
Cl’ a te non tocca. Quel ch’ è tuo mestiero 675
Governa i templi, attendi a i simolacri,
E di pace pensar lascia e di guerra
A chi di guerreggiar la cura è data.
Furia a la Furia questo dire accrebbe,
Sì che d' ira avvampando, ella il suo volto 680
Riprese è rincagnossi: ed i ne gli occhi
Stupido ne rimase,.e tremò tutto:
Con tanti serpi s' arruffò l’ Erinne,
Con tanti ne fischiò, tale una faccia
Le si scoverse. Indi le bieche luci 685
Ne tantos mihi finge metus: nec regia Iuno
Ammemor est nostri.
Sed te victa situ, verique effoeta senectus, 440
O mater, curis nequidquam exercet, et arma |
Regum inter falsa vatem formidine ludit.
Cura tibi, Divim effigies et templa tueri: .
Bella viri pacemque gerant, * queis bella gerenda. *
Talibus Alecto dictis exarsit in iras. 445
At iuveni oranti subitus tremor occupat artus:
Diriguere oculi: tot Erinnys sibilat hydris,
Tantaque se facies aperit: tum flammea torquens
46 ENEIDE
Di foco accesa, la viperea sferza
. Gli girò sopra; e sì com'era immoto
Per lo stupore, ed a più dire inteso,
Lo risospinse; e i suoi detti e i suoi scherni
Così rabbiosamente improverdgli: 690
Or vedrai ben se rimbabita e scema
Sono entrata in pensier d'armi e di stati,
Ch'a me non tocchi; e se son vecchia e folle.
Guardami, e riconoscimi ; ch’ a questo
Son dal Tartaro uscita. E guerra e morte 695
Meco ne porto. E, ciò detto; avventogli
Tale una face e con tal fumo un foco,
Che fe’ tenebre a*gli occhi e fiamme al core.
Lo spavento del giovine fu tale,
Che rotto il sonno, di sudor bagnato 700
Si trovò per angoscia il corpo tutto:
E stordito sorgendo, arme d' intorno
Lumina, cunctantem et quaerentem dicere plura
Reppulit, et geminos erexit crinibus angues, — 45o
F'erberaque insonuit, rabidoque haec addidit ore:
En, ego victa situ, quam veri effoeta senectus
Arma inter regum falsa formidine ludit;
Respice ad haec: adsum dirarum ab sede sororum:
Bella manu, letumque gero. 455
Sic effata, facem iuveni coniecit, et atro
Lumine fumantes fixit-sub pectore taedas.
Olli somnum ingens rumpit pavor; ossaque et artus
Perfudit toto proruptus corpore sudor.
LIBRO SETTIMO 47
Cercossi, armi gridò , d'ira s’ accese,
D'empio disío, di scellerata insania
Di scompigli e di guerra. In quella guisa — 705
Che con alto bollor risuona e gonfia
Un gran caldar, quand'ha di verghe a fianchi
Chi gli ministra ognor foco maggiore,
Quando l'onda più ferve, e gorgogliando
. Più rompe, più si volve e spuma e versa, 710
E'l suo negro vapore a l'aura esala.
Così Turno commosso a muover gli altri
Si volge incontanente; e de’ suoi primi,
Altri al re manda con la rotta pace,
Ad altri l'apparecchio impon de l’ arme, 719
Onde Italia difenda, onde i Troiani
Sian d' Italia cacciati, ed ei si vanta .
Contra de’ Teucri e contra de’ Latini
Aver forze a bastanza. E ciò commesso,
Arma amens fremit, arma toro tectisque requirit:
Saevit amor ferri, et scelerata insania belli ;
Ira super: magno veluti quum flamma sonore
Virgea suggeritur costis undantis aeni,
Exsultantque aestu latices: furit intus aquai
Fumidus, atque alte spumis exuberat amnis: 465
Nec iam se capit unda; volat vapor ater ad auras.
Ergo iter ad regem, polluta pace, Latinum
Indicit primis iuvenum, et iubet arma parari,
Tutari Italiam, detrudere finibus hostem:
Se satis ambobus Teucrisque venire Latinisque.
48 ENEIDE
E ne'suoi voti i suoi Numi invocati, 720
I Rutuli infra loro a gara armando
S'esortavan l’ un l'altro; e tutti insieme
Eran tratti da lui, chi per lui stesso
(Che giovin era amabile e gentile)
Chi per la nobiltà de’ suoi maggiori, 725
E chi per la virtute, e per le prove
Di lui viste altre volte in altre guerre.
Mentre così de’ suoi Turno dispone
Gli animi e l'armi, in altra parte Aletto
Sen vola a' Teucri, e con nuov'arte apposta 730
In su la riva un loco, ove in campagna
Correndo e'nsidiando il bello Iulo
Seguía le fere fuggitive in caccia.
Qui di subita rabbia i cani accese
La virgo di Cocito, e per la traccia 735
Gli mise tutti; onde scopriro un cervo
Haec ubi dicta dedit, Divosque in vota vocavit;
Certatim sese Rutuli exhortantur in arma:
Hunc decus egregium formae movet atque iuventae:
Hunc atavi reges, hunc claris dextera factis.
Dum Turnus Rutulos animis audacibus implet, 495
"lecto in Teucros stygiis se concitat alis,
Arte nova speculata locum, quo litore pulcher
Insidiis, cursuque feras agitabat Iulus.
Hic subitam canibus rabiem cocytia virgo
Obiicit, et noto nares contingit odore, 480
Ut cereum ardentes agerent: quae prima malorum
LIBRO SETTIMO 49)
Che fu poi di tumulto, di rottura
Di guerra, e d' ogni mal prima cagione.
Questo era un cervo mansueto e vago,
Già grande e di gran corna, che divelto 740
Da la sua madre, era nel gregge addotto
Di Tirro e de’ suoi figli: ed era Tirro
Il custode maggior de’ regii armenti
E de'regii poderi; ed egli stesso
L' avea nudrito e fatto umile e manso. 749
Silvia, una giovinetta sua figliuola,
L'avea per suo trastullo; e con gran cura
Di fior l’ inghirlandava, il pettinava,
Lo lavava sovente: Era a la mensa
A lor d'intorno; e da lor tutti amava 750
Esser pasciuto e vezzeggiato e tocco.
Errava per le selve a suo diletto,
E da se stesso poi la sera a casa,
Caussa fuit, belloque animos accendit agrestes.
Cervus erat forma praestanti, et cornibus ingens,
Tyrrhidae pueri quem matris ab ubere raptum
Nutribant, Tyrrhusque pater, cui regia parent 485
Armenta, et late custodia credita campi.
Assuetum imperiis soror omni Silvia cura
Mollibus intexens ornabat cornua sertis;
Pectebatque ferum, puroque in fonte lavabat.
Jile manum patiens, mensaeque assuetus herili, 490
Errabat silvis, rursusque ad limina nota
Ipse domum sera quamwis se nocte ferebat.
Eneide 7^ol. 11 7
44 ENEIDE
Va', fa’ strage de’ Toschi. Va’; difendi
I tuoi Latini, e in pace li mantieni.
Questo mi manda apertamente a dirti 655
La gran saturnia Giuno. Arma, arma i tuoi;
Preparati a la guerra; esci in campagna;
Assagli i Frigii, e snidagli dal fiume
Ch' han di già preso, e i lor navili incendi.
Dal cielti si comanda. E se Latino 660
A le promission non corrisponde ,
Se Turno non accetta e non gradisce
Né per suo difensor, nè per suo genero,
Provi qual sia ne l' armi, e quel ch’ importi
Averlo per nimico. Al cui parlare . 665
Il giovine con beffe e con rampogne
Così rispose: Io non son, vecchia, ancora
Come te fuor de’ sensi; e ben sentita
Tyrrhenas, i, sterne acies, tege pace Latinos.
Haec adeo tibi me, placida quum nocte iaceres,
Jpsa palam fari omnipotens Saturnia iussit.
Quare age, et armari pubem, portisque moveri
Laetus in arma para; et phrygios, qui flumine pulcro
Consedere, duces pictasque exure carinas:,
Caelestum vis magna iubet. Rex ipse Latinus
Ni dare coniugium, et dicto parere fatetur,
Sentiat, et tandem Turnum experiatur in armis.
Hic iuvenis, vatem irridens, sic orsa vicissim 435
Ore refert: Classes invectas Thybridis alveo
Non, ut rere, meas effugit nuntius aures:
LIBRO SETTIMO 45
Ho la nuova de’ Teucri, e me ne cale
Più che non credi. Non però ne temo 670
Quel che tu ne vaneggi; e non m' ha Giuno
(Penso) in tanto dispregio e ’n tale obblio .
Ma tu da gli anni rimbambita e scema:
Entri folle in pensier d' armi e di stati,
Ch’ a te non tocca. Quel ch’ è tuo mestiero 675
Governa i templi, attendi a i simolacri,
E di pace pensar lascia e di guerra
A chi di guerreggiar la cura è data.
Furia a la Furia questo dire accrebbe,
Sì che d' ira avvampando, ella il suo volto 680
Riprese è rincagnossi: ed ei ne gli occhi
Stupido ne rimase, e tremó tutto:
Con tanti serpi s' arruffò ]' Erinne,
Con tanti ne fischiò, tale una faccia
Le si scoverse. Indi le bieche luci 685
Ne tantos mihi finge metus: nec regia Iuno
Ammemor est nostri.
Sed te victa situ, verique effoeta senectus, 440
O mater, curis nequidguam exercet, et arma
Regum inter falsa vatem formidine ludit.
Cura tibi, Divám effigies et templa tueri:
Bella viri pacemque gerant, * queis bella gerenda. *
Talibus Alecto dictis exarsit in iras. 445
At iuveni oranti subitus tremor occupat artus:
Diriguere oculi: tot Erinnys sibilat hydris,
Tantaque se facies aperit: tum flammea torquens
46 ENEIDE
Di foco accesa, la viperea sferza
Gli girò sopra; e sì com'era immoto
Per lo stupore, ed a più dire inteso,
Lo risospinse; e 1 suoi detti e i suoi scherni
Così rabbiosamente improverógli: 690
Or vedrai ben se rimbabita e scema
Sono entrata in pensier d'armi e di stati,
Ch'a me non tocchi; e se son vecchia e folle.
Guardami, e riconoscimi ; ch’ a questo
Son dal Tartaro uscita. E guerra e morte 695
Meco ne porto. E, ciò detto; avventogli
Tale una face e con tal fumo un foco,
Che fe’ tenebre a*gli occhi e fiamme al core.
Lo spavento del giovine fu tale,
Che rotto il sonno, di sudor bagnato 700
Si trovò per angoscia il corpo tutto:
E stordito sorgendo, arme d' intorno
Lumina, cunctantem et quaerentem dicere plura
Reppulit, et geminos erexit crinibus angues, 450
Verberaque insonuit, rabidoque haec addidit ore:
En, ego victa situ, quam veri effoeta senectus
Arma inter regum falsa formidine ludit;
Respice ad haec: adsum dirarum ab sede sororum:
Bella manu, letumque gero. 495
Sic effata, facem iuveni coniecit, et atro
Lumine fumantes fixit-sub pectore taedas.
Olli somnum ingens rumpit pavor; ossaque et artus
Perfudit toto proruptus corpore sudor.
LIBRO SETTIMO 47
Cercossi, armi gridò, d'ira s'accese,
D'empio disío, di scellerata insania
Di scompigli e di guerra. In quella guisa — 705
Che con alto bollor risuona e gonfia
Un gran caldar, quand'ha di verghe a'fianchi
Chi gli ministra ognor foco maggiore,
Quando l'onda più ferve, e gorgogliando
Più rompe, più si volve e spuma e versa, 710
E'l suo negro vapore a l'aura esala.
Cosi Turno commosso a muover gli altri
Si volge incontanente; e de'suoi primi,
Altri al re manda con la rotta pace,
Ad altri l'apparecchio impon de l’ arme, 719
Onde Italia difenda, onde i Troiani
Sian d' Italia cacciati, ed ei si vanta
Contra de’ Teucri e contra de' Latini
Aver forze a bastanza. E ciò commesso,
Arma amens fremit, arma toro tectisque requirit:
Saevit amor ferri, et scelerata insania belli ;
dra super: magno veluti quum flamma sonore
Virgea suggeritur costis unduntis aeni,
Exsultantque aestu. latices: furit intus aquai
Fumidus, atque alte spumis exuberat amnis: 405
Nec iam se capit unda; volat vapor ater ad auras.
Ergo iter ad regem, polluta pace, Latinum
Indicit primis iuvenum, et iubet arma parari,
Tutari Italiam, detrudere finibus hostem:
Se satis ambobus Teucrisque venire Latinisque.
48 ENEIDE
E ne' suoi voti i suoi Numi invocati, 720
I Rutuli infra loro a gara armando
S'esortavan l’ un l’altro; e tutti insieme
Eran tratti da lui, chi per lui stesso
(Che giovin era amabile e gentile)
Chi per la nobiltà de’ suoi maggiori, 725
E chi per la virtute, e per le prove
Di lui viste altre volte in altre guerre.
Mentre così de’ suoi Turno dispone
Gli animi e l'armi, in altra parte Aletto
Sen vola a' Teucri, e con nuov'arte apposta 730
In su la riva un loco, ove in campagna
Correndo e ’nsidiando il bello Iulo
Segufa le fere fuggitive in caccia.
Qui di subita rabbia i cani accese
La virgo di Cocito, e per la traccia 735
Gli mise tutti; onde scopriro un cervo
Haec ubi dicta dedit, Divosque in vota vocavit;
Certatim sese Rutuli exhortantur in arma:
Hunc decus egregium formae movet atque iuventae:
Hunc atavi reges, hunc claris dextera factis.
Dum Turnus Rutulos animis audacibus implet, 495
Alecto in Teucros stygiis se concitat alis,
Arte nova speculata locum, quo litore pulcher
Insidüs, cursuque feras agitabat Iulus.
Hic subitam canibus rabiem cocytia virgo
Obücit, et noto nares contingit odore, 480
Ut cereum ardentes agerent: quae prima malorum
LIBRO SETTIMO 49
Che fu poi di tumulto, di rottura
Di guerra, e d' ogni mal prima cagione.
Questo era un cervo mansueto e vago,
Già grande e di gran corna, che divelto 740
Da la sua madre, era nel gregge addotto
Di Tirro e de’ suoi figli: ed era Tirro
Il custode maggior de’ regii armenti
E de'regii poderi; ed egli stesso
L' avea nudrito e fatto umile e manso. 745
Silvia, una giovinetta sua figliuola,
L’avea per suo trastullo; e con gran cura
Di fior l’ inghirlandava, il pettinava,
Lo lavava sovente: Era a la mensa
A lor d’intorno; e da lor tutti amava 750
Esser pasciuto e vezzeggiato e tocco.
Errava per le selve a suo diletto,
E da se stesso poi la sera a casa,
Caussa fuit, belloque animos accendit agrestes.
Cervus erat forma praestanti, et cornibus ingens,
Tyrrhidae pueri quem matris ab ubere raptum
Nutribant, Tyrrhusque pater, cui regia parent 485
Armenta, et late custodia credita campi.
Assuetum imperiis soror omni Silvia cura
Mollibus intexens ornabat cornua sertis;
Pectebatque ferum, purogue in fonte lavabat.
Jile manum patiens, mensaeque assuetus herili, 490
Errabat silvis, rursusque ad limina nota
Ipse domum sera quamvis se nocte ferebat.
Eneide 77ol. 11 7
50 ENEIDE
Come a proprio covil, se ne tornava.
Quel dì per avventura di lontano
Lungo il fiume venía tra l'ombre e I onde ,
Da la sete schermendosi e dal caldo,
Quando d' Ascanio l' arrabbiate cagne
Gli s'avventaro, ed esso a farsi inteso
D'un tale onore e di tal preda acquisto, "Go
Diede a l'arco di piglio, e saettollo.
La Furia stessa gli drizzò ]a mano,
E spinse il dardo si ch'appieno il colse
Ne l'un de’ fianchi, e penetrògli a l'epa,
Ferito, insanguinato, e con lo strale 763
Il meschinello ne le coste infisso, ‘
Al consueto albergo entro a i presepi
Mugghiando e lamentando si ritrasse;
Ch' un lamentarsi, un dimandar aita
D' uomo in guisa più tosto, che di fiera
Erano i mugghi, onde la casa empiea.
e_]
Ct
wt
=_]
vs)
e
Hunc procul errantem rabidae venantis Iuli
Commovere canes; fluvio quum forie secundo
Deflueret, ripaque aestus viridante levaret. 495
Ipse etiam, eximiae laudis succensus amore,
Ascanius curvo direxit spicula cornu:
Nec dextrae erranti Deus abfuit: actaque multo
Perque uterum sonitu perque ilia venit arundo.
Saucius at quadrupes nota intra tecta refugit; 500
Successitque gemens stabulis, questuque cruentus ,
| "(tque imploranti similis tectum omne replebat.
LIBRO SETTIMO 51
Silvia lo vide in prima, e col suo pianto,
Col batter de le mani, e con le strida
Mosse i villani a far turbe e tumulto.
Sta questa peste per le macchie ascosa, 779
: Di topi in guisa, a razzolar la terra
In ogni tempo, sì che d' ogni lato
N’ usciron d'improvviso; altri con pali
E con forche e con bronchi aguzzi al foco ;
Altri con mazze nodorose e gravi , 780
E tutti con quell' armi ch'a ciascuno
Fecer l'ira e la fretta. Era per sorte
Tirro in quel punto ad una quercia intorno,
E per forza di cogni e di bipeune
L'avea tronca e squarciata: onde affannoso, 785
Di sudor pieno, fieramente ansando
Con la stessa ch'avea secure in mano
Corse a le grida, e le masnade accolse.
L'infernal Dea, ch'a la veletta stava
Di tutto che seguía, veduto il tempo 790
Silvia prima soror, palmis percussa lacertos,
Auxilium vocat, et duros conclamat agrestes.
Olli (pestis enim tacitis latet aspera silvis) 505
Improvisi adsunt: hic torre armatus obusto,
Stipitis hic gravidi nodis; quod cuique repertum
Rimanti, telum ira facit. Vocat agmina Tyrrhus,
Quadrifidam quercum cuneis ut forte coactis
Scindebat, rapta spirans immane securi. 510
At saeva.e speculis tempus Dea nacta nocendi
5a ENEIDE
Accomodato al suo pensier malvagio,
Tosto nel maggior colmo se ne salse
De la capanna, e con un corna a bocca
Sonò de l’armi il pastorale accento.
La spaventosa voce che n’ uscio . 795
Dal tartaro spiccossi. E pria le selve
Ne tremàr tutte; indi di mano in mano
Di Nemo udilla e di Diana il lago,
Udilla de la Nera il bianco fiume,
E di Velino i fonti, e tal I' udiro, 800
Che ne strinser le madri i figli in seno.
A quella voce, e verso quella parte
Onde sentissi, i contadini armati,
Comunque ebber tra via d' armi rincontro,
Subitamente insieme $' adunaro. 805
Da l’ altro lato i giovani Troiani
Al soccorso d' Ascanio in campo usciro,
Ardua tecta petit stabuli; et de culmine summo
Pastorale canit signum, cornuque recurvo
Tartaream interdit vocem: qua protenus omne
Contremutt nemus, et silvae intonuere profundae.
Adudiit et T'riviae longe lacus, audiit amnis
Sulphurea Nar albus aqua, fontesque Velini:
Et trepidac matres pressere ad pectora natos.
T'um vero ad vocem celeres, qua buocina signum
Dira dedit, raptis concurrunt undique telis 520
Indomiti agricolae: necnon et troia pubes
Ascanio auxiltum castris effumdit apertis.
‘LIBRO SETTIMO 53
Spiegàr Je schiere, misersi in battaglia,
- Vennero a l'armi; sì che non più zuffa
Sembrava di villani, e non più pali 810
Avean per armi, ma forbiti ferri
Serrati insieme, che dal Sol percossi
Per le campagne e fin sotto a le nubi
Ne mandavano i lampi. In quella guisa
Che lieve al primo vento il mar s' increspa, 815
Poscia biancheggia, ondeggia e gonfia e frange
E cresce in tanto, che da l' imo fondo
Sorge fino a le stelle. Almone, il primo
Figlio di Tirro, primamente cadde
‘ In questa pugna. Ebbe di strale un colpo 820
In su la strozza, che la via col sangue
Gli chiuse e de la-voce e de la vita.
Caddero intorno a lui molt altri corpi
Direxere acies. Non iam certamine agresti,
Stipiubus duris agitur sudibusve praeustis;
Sed ferro ancipiti decernunt, atraque late 525
Horrescit strictis seges ensibus, aeraque fulgent
Sole lacessita, et lucem sub nubila iactant:
Fluctus uti primo coepit quum albescere vento:
Paullatim sese tollit mare, et altius undas
Erigit, inde imo consurgit ad aethera fundo. — 530
Hic iuvenis primam ante aciem stridente sagitta,
Natorum Tyrrhi fuerat qui maximus, Almo
+. Sternitur: haesit enim sub gutture eulnus, et udae
Vocis iter, tenuemque inclusit sanguine vitam.
56 ENEIDE
Ch' in questa eterea luce e sopra terra
Così licenziosa te ne vada,
Torna a'tuoi chiostri; ed io, s'altro in ciò resta
Da finir, finirò. Ciò disse appena 860
La figlia di Saturno, che d' Aletto
Fischiàr le serpi, e dispiegarsi l’ ali
In vér Cocíto. È de l'Italia in mezzo
E de’ suoi monti una famosa valle,
Che d'Amsanto si dice. Ha quinci e quindi 865
Oscure selve, e tra le selve un fiume
Che per gran sassi rumoreggia e cade,
E sì rode le ripe e le scoscende,
Che fa spelonca orribile e vorago,
Onde spira Acheronte, e Dite esala. 870
In questa buca l' odioso Nume
Haud pater ipse velit summi regnator Olympi.
Cede locis. Ego, si qua super fortuna laborum est,
Ipsa regam. Tales dederat Saturnia voces. 560
Illa autem attollit stridentes anguibus alas,
Cocytique petit sedem, supera ardua linquens.
Est locus Italiae medio sub montibus altis,
Nobilis, et fama multis memoratus in oris,
Amsancti valles: densis hunc frondibus atrum 565
Urget utrimque latus nemoris, medioque fragosus
Dat sonitum saxis, et torto vertice torrens.
Hic specus horrendum, saevi spiracula Ditis,
Monstratur, ruptoque ingens Acheronte vorago .
Pestiferas aperit fauces: queis condita Erinnys,-
LIBRO SETTIMO 37
De la crudele e. spaventosa Eriune
Gittossi, e dismorbó l’ aura di sopra.
Non peró Giuno di condur la guerra
Rimansi intanto. Ed ecco dal contlitto 875
- Venir ne la città la rozza turba
De’ contadini, e riportare i corpi
Del giovinetto Almone e di Galeso,
Cosi com' eran sanguinosi e sozzi.
Gli mostrano; ne gridano; n'implorano 83o
Da gli Dei, da Latino e da le genti
Testimonio, pietà, sdegno e vendetta.
Evvi Turno presente, che con essi
Tumultuando esclama, e’l fatto aggrava,
E detesta e rimprovera e spaventa. 885
Questi, questi, dicendo, son chiamati
A regnar ne l' Ausonia: a i Frigi, a i Frigì
Dà Latino il suo sangue e Turno esclude,
Sopravvengono intanto i furiosi,
Invisum numen, terras caelumque levabat.
Nec minus interea extremam saturnia bello
Imponit regina manum. Ruit omnis in urbem
Pastorum ex acie numerus, caesosque reportant,
Almonem puerum, foedatigue ora Galaesi: 573
Implorantque Deos, obtestanturque Latinum.
T'urnus adest, medioque in crimine caedis et ignis
T'errorem ingeminat: T'eucros in regna vocari,
Stirpem admisceri phrygiam; se limine pelli.
Tum, quorum attonitae Baccho nemora avia. matres
Eneide 77ol. 11 8
58 ENEIDE
Che, con le donne attonite scorrendo, 890
Gian con Amata per le selve in tresca;
Ché grande era d' Amata in tutto il regno
La stima e’l nome; e d' ogni parte accolti
Tutti contra gli annunzii, contra i Fati
L' armi chiedendo e la non giusta guerra, 895
Van di Latino a la magione intorno.
Egli di rupe in guisa immoto stassi ,
‘Di rupe che, nel mar fondata e salda,
Né per venti si crolla , né per onde
Che le fremano intorno, e gli suoi scogli — 9oo
Son di spuma coverti e d' alga in vano.
Ma poiché superar non puote il cieco
Lor malvagio consiglio, e che le cose
Givan di Turno e di Giunone a voto,
Molto pria con gli Dei, con le van'aure — 9o3
Insultant thiasis, (neque enim leve nomen Amatae )
Undique collecti coeunt, Martemque fatigant.
Jlicet infandum cuncti contra omina bellum,
Contra fata Deum, perverso numine poscunt ;
Certatim regis circumstant tecta Latini. 585
Ille, velut pelagi rupes immota, resistit:
* Ut pelagi rupes, magno veniente fragore, *
Quae sese, multis circum latrantibus undis,
Mole tenet: scopuli nequidquam et spumea circum
Saxa fremunt, laterique illisa refunditur alga. 590
Verum, ubi nulla datur caecum exsuperare potestas
Consilium, et saevae nutu Iunonis eunt res:
LIBRO SETTIMO 59
Si protestò; poscia, dal fato, disse,
Son vinto, e la tempesta mi trasporta.
Ma voi per questo sacrilegio vostro
Il fio ne pagherete . E tu fra gli altri,
Turno , tu pria n’ avrai supplicio e morte; 910
E preci e voti a tempo ne farai,
Ch'a tempo non saranno. lo, quanto a me,
Già de' miei giorni e della mia quiete
Son quasi in porto: e da voi sol m'é tolto
Morir felicemente . E qui si tacque, - 913
E ’1 governo depose, e ritirossi.
Era in Lazio un costume, che venuto
È poi di mano in man di Lazio in Alba,
E d’Alba in Roma, ch'or del mondo é capo;
Che nel mover de l'armi ai Geti, a gl’ Indi, 920
A gli Arabi, a gl'Ircani a qual sia gente
Multa Deos aurasque pater testatus inanes, |
Frangimur heu fatis, inquit, ferimurque procella!
Ipsi has sacrilego pendetis sanguine poenas, — 595
O miseri. Te, Turne, nefas, te triste manebit
Supplicium; votisque Deos venerabere seris.
Nam mihi parta quies, omnisque in limine portus,
F'unere felici spolior. Nec plura loquutus
Saepsit se tectis, rerumque reliquit habenas. — 6oo
Mos erat hesperio in Latio, quem protinus urbes
Albanae coluere sacrum, nunc maxima rerum
Roma colit, quum prima movent in praelia Martem;
Sive Getis inferre manu lacrimabile bellum,
54 ENEIDE
Di buona gente. Cadde tra' migliori,
Mentre l’ armi detesta, e per la pace 835
Or con questi, or con quelli si travaglia,
Galeso il vecchio, il più giusto e ’l più ricco
De la contrada. Cinque greggi avea
Con cinque armenti; e con ben cento aratri
Coltivava e pascea l' ausonia terra. 830
Mentre così ne’ campi si combatte
Con egual marte, Aletto già compita
La sua promessa; poich'a l’ armi, al sangue,
Ed a le stragi era la guerra addotta,
Uscì del Lazio, e baldanzosa a l'aura 835
Levossi, ed a Giunon superba disse: |
Eccoti l'arme e la discordia in campo,
E la guerra già rotta. Or di' ch'amici,
Di’ che confederati, e che parenti
Corpora multa viri£m circa, seniorque Galaesus , 535
Dum paci medium se offert, iustissimus unus
Qui fuit, ausoniisque olim ditissimus arvis:
Quinque greges illi balantum, quina redibant
Armenta, et terram centum vertebat aratris.
"tque ea per campos aequo dum Marte geruntur, 540
Promissi Dea facta potens, ubi sanguine bellum
Imbuit, et primae commisit funera pugnae,
Deserit Hesperiam, et, caeli convexa per auras
Iunonem victrix affatur voce superba:
En perfecta tibi bello discordia tristi : 545
Dic, in amicitiam coeant, et foedera iungant:
LIBRO SETTIMO ' 29
Si sieno omai, poiché d'ausonio: sangue 840
Già sono i Teucri aspersi. Io, se più vuoi,
Più farò. Di rumori e di sospetti
Empierò questi popoli vicini;
Condurrogli in aiuto; andrò per tutto
Destando amor di guerra; andrò spargendo 845
Per le campagne orror, furore ed armi.
Assai, Giuno rispose, hai di terrore
E di frode commesso: ha già la guerra
Le sue cagioni; hanno (comunque in prima
La sorte le si regga) ambe le parti 850
Le genti in campo, e l’armi in mano, e l’armi
Son già di sangue tinte, e ’l sangue è fresco.
Or queste sponsalizie e queste nozze
Comincino a godersi il re Latino,
E questo di Ciprigna egregio figlio. 835
Tu, perché non consente il Padre eterno
Quandoquidem ausonio respersi sanguine Teucros.
Hoc etiam his addam, tua si mihi certa voluntas,
Finitimas in bella feram rumoribus urbes,
Accendamgue animos insani Martis amore, 550
Undique ut auxilio veniant; spargam arma per agros.
Tum contra Iuno: Terrorum, et fraudis abunde est:
Stant belli caussae: pugnatur cominus armis.
Quae fors prima dedit, sanguis novus imbuit arma.
Talia connubia, et tales celebrent hymenaeos 555
Egregium Veneris genus, et rex ipse Latinus.
Te super aetherias errare licentius auras, .
6a ENEIDE
Ognuno a l'arme, a maneggiar destrieri,
A fornirsi di scudi, a provar elmi,
‘ * A far, chi con la cote, e chi con l'unto, 960
Ciascuno i ferri suoi lucidi e tersi.
Altri s'addestra a sventolar l'insegne,
Altri a spiegar le schiere, e con diletto
S' ode annitrir cavalli e sonar tube.
Cinque grosse città con mille incudi 965
A fabbricare, a risarcir si danno
D' ogni sorte armi. La possente Atina,
Ardéa l’ antica, Tivoli il superbo,
E Crustumerio, e la torrita Antenna.
Qui si vede cavar elmi e celate; . 970
Là torcere e covrir targhe e pavesi;
Per tutto. riforbire, aguzzar ferri,
Annestar maglie, rinterzar corazze,
E per fregiar più nobili armature,
Tirar lame d'acciar, fila d'argento. 975
Pulverulentus equis furit: omnes arma requirunt.
Pars laeves clypeos, et spicula lucida tergunt
Arvina pingui, subiguntque in cote secures:
Signaque ferre iuvat, sonitusque audire tubarum.
Quinque adeo magnae positis incudibus urbes
Tela novant, Atina potens, Tiburque superbum,
Ardea, Crustumerique, et turrigerae Antemnae.
Tegmina tuta cavant capitum, flectuntque salignas
Umbonum crates: alii thoracas aenos,
dut laeves ocreas lento ducunt argento.
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58 ENEIDE
Che, con le donne attonite scorrendo , 890
Gian con Amata per le selve in tresca;
Ché grande era d' Amata in tutto il regno
La stima e’l nome; e d' ogni parte accolti
Tutti contra gli annunzii, contra i Fati
L' armi chiedendo e la non giusta guerra, 895
Van di Latino a la magione intorno.
Egli di rupe in guisa immoto stassi ,-
^ A Di rupe che, nel mar fondata e salda,
Né per venti si crolla , né per onde
Che le fremano intorno, e gli suoi scogli — 9oo
Son di spuma coverti e d' alga in vano.
Ma poiché superar non puote il cieco
Lor malvagio consiglio, e che le cose
Givan di Turno e di Giunone a voto,
Molto pria con gli Dei, con le van’'aure 905
Insultant thiasis, (neque enim leve nomen Amatae )
Undique collecti coeunt, Martemque fatigant.
Ilicet infandum cuncti contra omina bellum,
Contra fata Dem, perverso numine poscunt ;
Certatim regis circumstant tecta Latini. 585
Ille, velut pelagi rupes immota, resistit:
* Ut pelagi rupes, magno veniente fragore, *
Quae sese, multis circum latrantibus undis,
Mole tenet: scopuli nequidquam et spumea circum
Saxa fremunt, laterique illisa refunditur alga. 590
Verum, ubi nulla datur caecum exsuperare potestas
Consilium, et saevae nutu Iunonis eunt res:
LIBRO SETTIMO 29
Si protestó ; poscia, dal fato, disse,
Son vinto, e la tempesta mi trasporta.
Ma voi per questo sacrilegio vostro
Il fio ne pagherete. E tu fra gli altri,
Turno, tu pria n’ avrai supplicio e morte; 910
E preci e voti a tempo ne farai,
Ch'a tempo non saranno. lo, quanto a me,
Già de’ miei giorni e della mia quiete
Son quasi in porto: e da voi sol m'è tolto
Morir felicemente . E qui sì tacque, 915
E 1 governo depose, e ritirossi.
Era in Lazio un costume, che venuto
È poi di mano in man di Lazio in Alba,
E d' Alba in Roma, ch'or del mondo è capo;
Che nel mover de l'armi ai Geti, a gl’ Indi, 920
A gli Arabi, a gl'Ircani a qual sia gente
Multa Deos aurasque pater testatus inanes,
Frangimur heu fatis, inquit, ferimurque procella!
Ipsi has sacrilego pendetis sanguine poenas, 595
O miseri. Te, T'urne, nefas, te triste manebit
Supplicium; votisque Deos venerabere seris.
Nam mihi parta quies, omnisque in limine portus,
Funere felici spolior. Nec plura loquutus
Saepsit se tectis, rerumque reliquit habenas. (600
Mos erat hesperio in Latio, quem protinus urbes
Albanae coluere sacrum, nunc maxima rerum
Roma colit, quum prima movent in praelia Martem;
Sive Getis inferre manu lacrimabile bellum,
60 ENEIDE
Ch' elle sian mosse, sì com’ ora a’ Parti
Per ricovrar le mal perdute insegne,
S' apron le porte de la guerra in prima.
Queste son due, che per la riverenza, 925
Per la religione e per la tema
Del fiero Marte, orribili e tremende
Sono a le genti ; e con ben cento sbarre
Di rovere, di ferro e di metallo
Stan sempre chiuse: e lor custode è Giano . 930
Ma quando per consiglio e per decreto
De’ Padri si determina e s' approva
Che si guerreggi , il Consolo egli stesso,
Sì come è l’uso, in abito e con pompa
Ch’ ha da’ Gabini origine e da’ Regi, 933
Solennemente le disferra e l'apre:
Ed egli stesso al suon de le catene
E de la rugginosa orrida soglia
La guerra intuona: guerra dopo lui
Hyrcanisve Arabisve parant, seu tendere ad Indos,
Auroranque sequi, Parthosque reposcere signa:
Sunt geminae Belli portae, (sic nomine dicunt)
Relligione sacrae, et saevi formidine Martis:
Centum aerei claudunt vectes, aeternaque ferri
Robora; nec custos absistit limine Ianus. 610
Has, ubi certa sedet patribus sententia pugnae,
Ipse, quirinali trabea cinctuque gabino
Insignis, reserat stridentia limina consul:
Ipse vocat pugnas: sequitur tum cetera pubes:
LIBRO SETTIMO
Grida la gioventù; guerra e battaglia
Suonan le trombe; ed è la guerra inditta.
In questa guisa era Latino astretto
D' annunziarla a i Teucri; a lui quest atto
D'aprir le triste e spaventose porte
Si dovea come a rege. Ma'l buon padre,
Schivo di si nefando ministero,
S'astenne di toccarle, e gli occhi indietro
Volse per non vederle, e si nascose.
Ma per torre ogni indugio un'altra volta
Ella stessa Regina de' Celesti
Dal ciel discese, e di sua propria mano
Spinse, disgangherò , ruppe e sconfisse
De le sbarrate porte ogni ritegno,
Sì che l'aperse. Allor l’ Ausonia tutta,
Ch’ era dianzi pacifica e quieta,
S' accese in ogni parte. E qua pedoni,
Là cavalieri; a la campagna ognuno,
Hi reaque assensu conspirant cornua rauco:
Hoc et tum /Eneadis indicere bella Latinus
More iubebatur, tristesque recludere portas.
Abstinuit tactu pater, aversusque refugit
F'oeda ministeria, et caecis se condidit umbris.
T'um regina Deum caelo delapsa morantes
Impulit ipsa manu portas, et cardine verso
Belli ferratos rupit Saturnia postes.
Ardet inexcita Ausonia atque immobilis ante;
Pars pedes ire parat campis; pars arduus altis
61
940
615
620
6a ENEIDE
Ognuno a l'arme, a maneggiar destrieri,
A fornirsi di scudi, a provar. elmi,
* A far, chi con la cote, e chi con l'unto, — 960
Ciascuno i ferri suoi lucidi e tersi.
Altri s'addestra a sventolar l'insegne,
Altri a spiegar le schiere, e con diletto
S'ode annitrir cavalli e sonar tube.
Cinque grosse città con mille incudi 965
A fabbricare, a risarcir si danno
D' ogni sorte armi. La possente Atina,
Ardéa l’ antica, Tivoli il. superbo,
E Crustamerio, e la torrita Antenna.
Qui si vede cavar elmi e celate; | 970
Là torcere e covrir targhe e pavesi;
Per tutto. riforbire, aguzzar ferri,
Annestar maglie, rinterzar corazze,
E per fregiar più nobili armature,
Tirar lame d'acciar, fila d’argento. 973
Pulverulentus equis furit: omnes arma requirunt.
Pars laeves clypeos, et spicula lucida tergunt
Arvina pingui, subiguntque in cote secures:
Signaque ferre iuvat, sonitusque audire tubarum.
Quinque adeo magnae positis incudibus urbes
Tela novant, Atina potens, Tiburque superbum,
Ardea, Crustumerique, et.turrigerae Antemnae.
Tegmina tuta cavant capitum, flectuntque salignas
Umbonum crates: alii thoracas aenos,
Aut laeves ocreas lento ducunt argento.
LIBRO SETTIMO 603.
Ogni bosco fa lance , ogni fucina
Disfa vomeri e marre; e spiedi e spade
Si forman da i bidenti e da le falci.
Suonan le trombe, dassi il contrassegno,
Gridasi a l'armi: e chi cavalli accoppia, 980
E chi prende elmo, e chi picca, e chi scudo.
Questi ha la piastra, e quei la maglia indosso,
E la sua fida spada ognuno a canto.
Or m' aprite Elicona, e di concerto
Meco il canto movete, alme Sorelle, 985
A dir quai regi e quai genti e qual armi
Militassero allora, e di che forze,
E di quanto valore era in que’ tempi
La milizia d’Italia. A voi conviensi
Di raccontarlo, a cui conto e ricordo 990
De le cose e de’ tempi è dato eterno:
A noi per tanti secoli rimasa
Vomeris huc, et falcis honos, huc omnis aratri 635
Cessit amor: recoquunt patrios fornacibus enses.
Classica iamque sonant; it bello tessera signum.
Hic galeam. tectis trepidus rapit: ille frementes
Ad iuga cogit equos; clypeumque auroque trilicem
Loricam induitur, fidoque accingitur ense. 649
Pandite nunc Helicona, Deae, cantusque movete,
Qui bello exciti reges, quae quemque sequutae
Complerint campos acies; quibus itala iam tum
Floruerit terra alma viris, quibus arserit armis.
Et meministis enum; Divae, et memorare potestis;
Go ENEIDE
Ch' elle sian mosse, sì com’ ora a’ Parti
Per ricovrar le mal perdute insegne,
S' apron le porte de la guerra in prima.
Queste son due, che per la riverenza, 925
Per la religione e per la tema
Del fiero Marte, orribili e tremende
Sono a le genti ; e con ben cento sbarre
Di rovere, di ferro e di metallo
Stan sempre chiuse: e lor custode è Giano . 930
Ma quando per consiglio e per decreto
De’ Padri si determina e s' approva
Che si guerreggi, il Consolo egli stesso,
Sì come è l’uso, in abito e con pompa
Ch’ ha da’ Gabini origine e da’ Regi, 939
Solennemente le disferra e l'apre:
Ed egli stesso al suon de le catene
E de la rugginosa orrida soglia
La guerra intuona: guerra dopo lui
Hyrcanisve Arabisve parant, seu tendere ad Indos,
Auroranque sequi, Parthosque reposcere signa:
Sunt geminae Belli portae, (sic nomine dicunt)
Relligione sacrae, et saevi formidine Martis:
Centum aerei claudunt vectes, aeternaque ferri
Robora; nec custos absistit limine lanus. 610
Has, ubi certa sedet patribus sententia pugnae,
Ipse, quirinali trabea cinctugue gabino
Insignis, reserat stridentia limina consul:
Ipse vocat pugnas: sequitur tum cetera pubes:
LIBRO SETTIMO 61
Grida la gioventù; guerra e battaglia 940
Suonan le trombe; ed è la guerra inditta.
In questa guisa era Latino astretto
D' annunziarla a i Teucri; a lui quest atto
D'aprir le triste e spaventose porte
Si dovea come a rege. Ma'l buon padre, 945
Schivo di si nefando ministero,
S' astenne di toccarle, e gli occhi indietro
Volse per non vederle, e si nascose.
Ma per torre ogni indugio un'altra volta
Ella stessa Regina de’ Celesti 920
Dal ciel discese, e di sua propria mano
Spinse, disgangheró , ruppe e sconfisse
De le sbarrate porte ogni ritegno,
Si che l'aperse. Allor l' Ausonia tutta,
Ch'era dianzi pacifica e quieta, 929
S'accese in ogni parte. E qua pedoni,
Là cavalieri; a la campagna ognuno,
"Ereaque assensu. conspirant cornua rauco: 615
Hoc et tum /Eneadis indicere bella Latinus
More iubebatur, tristesque recludere portas.
Abstinuit tactu pater, aversusque refugit
Foeda ministeria, et caecis se condidit umbris.
Tum regina Deum caelo delupsa morantes 620
Impulit ipsa manu portas, et cardine verso
Belli ferratos rupit Saturnia postes.
Ardet inexcita Ausonia atque immobilis ante;
Pars pedes ire parat campis; pars arduus altis
62 ENEIDE
Ognuno a l'arme, a maneggiar destrieri,
A fornirsi di scudi , a provar. elmi,
‘ * A far, chi con la cote, e chi con l'unto, 960
Ciascuno i ferri suoi lucidi e tersi.
Altri s'addestra a sventolar l'insegne,
Altri a spiegar le schiere, e con diletto
S'ode annitrir cavalli e sonar tube.
Cinque grosse città con mille incudi 965
A fabbricare, a risarcir si danno
D' ogni sorte armi. La possente Atina,
Ardéa l’ antica, Tivoli il. superbo,
E Crustumerio, e la torrita Antenna.
Qui si vede cavar elmi e celate; . - 970
Là torcere e covrir targhe e pavesi;
Per tutto. riforbire, aguzzar ferri,
Annestar maglie, rinterzar corazze,
E per fregiar più nobili armature,
Tirar lame d'acciar, fila d' argento. 975
Pulverulentus equis furit: omnes arma requirunt.
Pars laeves clypeos, et spicula lucida tergunt
Arvina pingui, subiguntque in cote secures:
Signaque ferre iuvat, sonitusque audire tubarum.
Quinque adeo magnae positis incudibus urbes
Tela novant, Atina potens, Tiburque superbum,
Ardea, Crustumerique, et.turrigerae Antemnae.
Tegmina tuta cavant capitum, flectuntque salignas
Umbonum crates: alii thoracas aenos,
Aut laeves ocreas lento ducunt argento.
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ES EZ
LIBRO SETTIMO 63
Ogni bosco fa lance, ogni fucina
Disfa vomeri e marre; e spiedi e spade
Si forman da i bidenti e da le falci.
Suonan le trombe, dassi il contrassegno,
Gridasi a l'armi: e chi cavalli accoppia, — 98o
E chi prende elmo, e chi picca, e chi scudo.
Questi ba la piastra, e quei la maglia indosso,
E la sua fida spada oguuno a canto.
Or m' aprite Elicona, e di concerto
Meco il canto movete, alme Sorelle, 985
A dir quai regi e quai genti e qual armi
Militassero allora, e di che forze,
E di quanto valore era in que’ tempi
La milizia d’Italia. A voi conviensi
Di raccontarlo, a cui conto e ricordo 090
De le cose e de' tempi é dato eterno:
À noi per tanti secoli rimasa
Vomeris huc, et falcis honos, huc omnis aratri 635
Cessit amor: recoquunt patrios fornacibus enses.
Classica iamque sonant; it bello tessera signum.
Hic galeam tectis trepidus rapit: ille frementes
Ad iuga cogit equos; clypeumque auroque trilicem
Loricam induitur, fidoqgue accingitur ense. 649
Pandite nunc Helicona, Deae, cantusque movete,
Qui bello exciti reges, quae quemque sequutae
Complerint campos acies; quibus itala iam tum
Floruerit terra alma viris, quibus arserit armis.
Et meministis enim; Divae, et memorare potestis;
64 ENEIDE
N'é di picciola fama un'aura a pena.
Il primo, che le genti a questa guerra
Ponesse in campo, fu Mezenzio, il fiero 992
Del ciel dispregiatore e de gli Dei.
D' Etruria era signore ,.e di Tirreni
Conducea molte squadre. Avea suo figlio
Lauso con esso, un giovine il più bello,
Da Turno in fuori, che l' Ausonia avesse. 1000
Gran cavaliero, egregio cacciatore
Fino allor si mostrava; e mille armati
Avea la schiera sua, che seco uscita
Fuor d' Agillina, ne l'esiglio ancora
Indarno lo seguía; degno che fosse 1009
Ne l'imperio del padre. À questi dopo
Segue Aventino, de l' invitto Alcide
Leggiadro figlio. Questi col suo carra
Ad nos vix tenuis famae perlabitur aura.
Primus init bellum tyrrhenis asper ab oris
Contemtor Divum Mezentius, agminaque armat.
Filius huic iuxta Lausus, quo pulcrior alter '
Non fuit, excepto laurentis corpore Turni. — 650
Lausus, equim domitor, debellatorque ferarum,
Ducit agyllina nequidquam ex urbe sequutos
Mille viros; dignus patriis qui laetior esset
Imperüs, et cui pater haud Mezentius esset.
Post hos insignem palma per gramina currum, 655
Victoresque ostentat equos satus Hercule pulcro
Pulcher Aventinus, clypeoque insigne paternum
LIBRO SETTIMO 65
Di palme adorno, e co’ vittoriosi
Suoi corridori in campo appresentossi . 1010
Avea nel suo cimiero e nel suo scudo,
In memoria del padre, un'idra cinta
Da cento serpi. D'Ercole, e di Rea
Sacerdotessa ascosamente nato
Nel bosco d'Aventino era costui; 1012
Ché con la madre' il poderoso Iddio
Quivi si mescolò, quando di Spagna,
Estinto Gerione, a i campi venne
Di Laürento, e nel Tirreno fiume
Lavó d'Ibéro il conquistato .armento. 1020
Eran di mazzafrusti, di spuntoni ,
Di chiavarine , e di savelli spiedi
Armate le sue schiere. Ed egli a piedi
D' un cuoio di leon velluto ed irto
Vestia gli omeri e l' dorso, e del suo ceffo, 1025
Che quasi digrignando ignudi e bianchi
Centumangues ,cinctamque geritserpentibus hydram:
Collis Aventini silva quem Rhea sacerdos
Furtivum partu sub luminis edidit oras, 660
Mixta, Deo mulier, postquam laurentia victor,
Geryone exstincto, Tirynthius attigit arva,
Tyrrhenoque boves in flumine lavit iberas.
Pila manu saevosque gerunt in bella dolones,
Et tereti pugnant mucrone veruque sabello. —— 665
Ipse pedes, tegumen torquens immane leonis,
Terribili impexum saeta, cum dentibus albis,
Eneide 77o/. Il | 0
66 ENEIDE
. Mostrava i denti, e l'una e l'altra gota
Si copria il capo. E con tal fiera mostra ,
D' Ercole in guisa, a corte si condusse .
Vennero appresso i due fratelli argivi 1030
Catillo e Cora, e di Tiburte il terzo
Guidàr le genti, che da lui nomate
Fur Tiburtine. Da i lor colli entrambi
Calando avanti a l’ ordinate schiere
Due Centauri sembravano a vedergli, 1033
Che giù correndo da’ nevosi gioghi
D'Omole e d’Otri, risonando fansi
Dar la via da’ virgulti e da le selve.
Cecolo, di Preneste il fondatore,
Comparve anch'egli: un re che da bambino 10 (o
Fu tra l'agresti belve appo d'un foco
Indutus capiti, sic regia tecta subibat
Horridus, herculeoque humeros innexus amictu.
T'um gemini fratres tiburtia moenia linquunt, 670
Fratris Tiburti dictam cognomine gentem,
Catillusque, acerque Coras, argiva iuventus;
Et primam ante aciem densa inter tela feruntur:
Ceu duo nubigenae quum vertice montis ab alto
Descendunt Centauri, Homolen, Othrynque nivalem
Linquentes cursu rapido: dat euntibus ingens
Silva locum, et magno cedunt virgulta fragore.
Nec praenestinae fundator defuit urbis,
Vulcano genitum pecora inter agrestia regem,
Inventumque focis omnis quem credidit aetas, 680
LIBRO SETTIMO 67
Trovato esposto ; onde di foco nato
Si credé poscia, e di Vulcano figlio .
Avea costui di rustici d' intorno
Una gran compagnia, ch' eran de l'alta 1015
Preneste de'sassosi ernici monti,
De la Gabina Giuno e d' Aniene,
. E d' Amaseno e de la ricca Anagni
Abitanti e cultori: e come gli altri ,
Non erano in su'carri, o d'aste armati, 1050
O di scudi coverti. Una gran parte
Eran frombolatori, e spargean ghiande
Di grave piombo, e parte avean due dardi
Ne la sinistra, e cappelletti in testa
D' orridi lupi: il manco pié discalzo, 1022
Il destro o d' uosa o di corteccia involto .
Messapo venne poscia , de’ cavalli
> Il domatore, e di Nettuno il figlio,
Caeculus. Hunc legio late comitatur agrestis:
Quique altum Praeneste viri, quique arva gabinae
Junonis, gelidumque Anienem, et roscida rivis
Hernica saxa colunt: quos, dives Anagnia, pascis,
Quos, Amasene pater. Non illis omnibus arma, 685
Nec clypei currusve sonant: pars maxima glandes
Liventis plumbi spargit: pars spicula gestat
Bina manu, fulvosque lupi de pelle galeros
T'egmen habent capiti: vestigia nuda sinistri
Instituere pedis; crudus tegit altera pero. 69o
At Messapus equim domitor, neptunia proles,
LIBRO SETTIMO 63
Ogni bosco fa lance , ogni fucina
Disfa vomeri e marre; e spiedi e spade
Si forman da i bidenti e da le falci.
Suonan le trombe, dassi il contrassegno,
Gridasi a l'armi: e chi cavalli accoppia, 980
E chi prende elmo, e chi picca, e chi scudo.
Questi ha la piastra, e quei la maglia indosso,
E la sua fida spada ognuno a canto.
Or m'aprite Elicona, e di concerto
Meco il canto movete, alme Sorelle, 985
A dir quai regi e quai genti e qual armi
Militassero allora, e di che forze,
E di quanto valore era in que’ tempi
La milizia d’Italia. A voi conviensi
Di raccontarlo, a cui conto e ricordo 990
De le cose e de’ tempi è dato eterno:
A noi per tanti secoli rimasa
Vomeris huc, et falcis honos, huc omnis aratri 635
Cessit amor: recoquunt patrios fornacibus enses.
Classica iamque sonant; it bello tessera signum.
Hic galeam tectis trepidus rapit: ille frementes
Ad iuga cogit equos; clypeumque auroque trilicem
Loricam induitur, fidogue accingitur ense.
Pandite nunc Helicona, Deae, cantusque movete,
Qui bello exciti reges, quae quemque sequutae
Complerint campos acies; quibus itala iam tum
Floruerit terra alma viris, quibus arserit armis.
649
Et meministis enim; Divae, et memorare potestis;
LIBRO SETTIMO 69
Da la sua fila, in ciò lo stuol sembrando 1075
De’ rochi augelli allor che di passaggio
Vien d'alto mare, e come intera nube
A terra unitamente se ne cala.
Ecco di poi venir Clauso il Sabino,
Di quel vero sabino antico sangue, 1080
Ch'avea gran gente, e la sua gente tutta
Pareggiava sol egli. Il nome suo
Fece Claudia nomare e la famiglia
E la tribü romana allor che Roma
Diessi a'Sabini in parte. Era con lui - 1085
La schiera d'Amiterno e de’ Quiriti
Di quegli antichi. Eravi il popol tutto
D'Ereto, di Mutisca, di Nomento —
E di Velino, e quei, che da l'alpestra
Tetrica, da Severo, da Casperia, 1090
Da Foruli e d'Imella eran venuti; °
Misceri putet: aeriam sed gurgite ab alto '
Urgeri volucrum raucarum ad litora nubem. ‘705
Ecce Sabinorum prisco de sanguine magnum
Agmen agens Clausus, magnique ipse agminis instar,
Claudia nunc a quo diffunditur et tribus et gens
Per Latium, postquam in partem data Roma Sabinis.
Una ingens amiterna cohors, priscique Quirites,710
Ereti manus omnis, oliviferaeque Mutuscae:
Qui Nomentum urbem, qui rosea rura Velini,
Qui Tetricae horrentes rupes, mantemque Severum,
‘ Casperiamque colunt,Forulosque,etflumen Himellae:
D - 7 C-——ÁEgp UU owe Mc
79 ENEIDE
Quei che bevean del Fabari e del Tebro;
Che da la fredda Norcia eran mandati ;
Le squadre de gli Ortini, il Lazio tutto,
E tutti al fin, che nel calarsi al mare 1095
Bagna d'ambe le sponde Allia infelice .
Tanti flutti non fa di Libia il golfo
Quando cade Orion ne l'onde il verno;
Né tante spiche hanno, dal sole aduste
La state o d'Ermo o de la Licia i campi, 1100
Quante eran genti. Arme sonare e scudi
S'udian per tutto, e tutta al suon de’ piedi
. Trepidar si vedea l’ Ausonia terra.
Quindi ne vien l’ Agamennonio auriga
Aleso, del Troian nome nimico; 1109
Che di mille feroci nazioni
In aita di Turno un gran miscuglio
Dietro al suo carro avea di montanari.
Qui Thybrim Fabarimque bibunt,quos frigida misit
Nursia, et hortinae classes, populique latini:
Quosque secans infaustum interluit Allia nomen:
Quam multi libyco volvuntur marmore fluctus,
Saevus ubi Orion hibernis conditur undis;
Vel, quum sole novo densae torrentur aristae, 720
Aut Hermi campo, aut Lyciae flaventibus arvis:
Scuta sonant, pulsuque pedum tremit excita tellus.
Hinc agamemnonius, troiani nominis hostis,
Curru iungit Halesus equos, Turnoque feroces
Mille rapit populos: vertunt felicia Baccho 725
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LIBRO SETTIMO 7!
Parte de’ pampinosi a Bacco amici
Massici colli, e parte de gli Aurunci, 1110
De’ Sedicini liti, di Volturno,
Di Cale, de’ Saticoli, e degli Osci.
Questi per arme avean mazze e lanciotti
Irti di molte punte, e di soatto
Scudisci al braccio, onde erano i lor colpi, 1115
Traendo e ritraendo, in molti modi
Continuati e doppi. E pur con essi
Aveano e per ferire e per coprirsi
Targhe ne la sinistra, e storte al fianco.
Nè tu senza il tuo nome a questa impresa, 1120
Ebalo, te n'andrai, del gran Telone
E de la bella Ninfa di Sebeto.
Figlio onorato. Di costui si dice
Che, non contento del paterno regno,
Capri al vecchio lasciando e i Teleboi, 1125
Massica qui rastris, et quos de collibus altis — :
Aurunci misere patres, sidicinaque iuxta .
Mquora, quique Cales linquunt, amnisque vadosi
Accola Vulturni, pariterque Saticulus asper
Oscorumque manus. Teretes sunt aclydes illis 730
Tela; sed haec lento mos est aptare flagello:
Laevas cetra tegit, falcati cominus enses.
Nec tu carminibus nostris indictus abibis,
OEbale, quem generasse Telon Sebethide nympha
Fertur, Teleboum Capreas quum regna teneret 735
lam senior: patriis sed non et filius arvis
^
72 ENEIDE
Fe’ d’ esterni paesi ampio conquisto,
E fu re de'Sarrasti e de le genti
Che Sarno irriga. Insignorissi appresso
Di Batulo, di Rufra, di Celenne
E de campi fruttiferi d’ Avella. 1130
Mezze picche avean questi a la tedesca
Per avventarle, e per celate in capo
Suveri scortecciati, e di metallo
Brocchieri a la sinistra, e stocchi a lato.
Calò di Nursa e de’ suoi monti alpestri 1135
Ufente, un condottier ch’ era in quei tempi
Di molta: fama e fortunato in arme.
Equicoli avea seco la piü parte,
Orrida gente, per le selve avvezza |
Cacciar le fere, adoperar la marra, 1140
Contentus, late iam tum ditione premebat
Sarrastes populos, et quae rigat aequora Sarnus,
Quique Rufras, Batulumque tenent, atque arva
Celennae,
Et quos maliferae despectant moenia Abellae: ‘740
T'eutonico ritu soliti torquere cateias;
l'egmina queis capitum raptus de subere cortex,
4Erataeque micant peltae, micat aereus ensis.
Et te montosae misere in praelia Nersae,
Ufens, insignem fama et felicibus armis: 749
Horrida praecipue cui gens, assuetaque multo
Venatu nemorum, duris /Equicola glebis
Armati terram exercent, semperque recentes
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LIBRO SETTIMO 73
Arar con l'armi indosso, e tutti insieme
Viver di cacciagioni e di rapine.
De la gente marrubia un sacerdote
Venne fra gli altri; sacerdote insieme
E capitan di genti ardito e forte. 1145
Umbrone era il suo nome; Archippo, il rege
Che lo mandava. Di felice oliva
Avea il cimiero e l'elmo intorno avvolto .
Era gran ciurmatore, e con gl’ incanti
E col tatto ogni serpe addormentava: 1150
De gl'idri, de le vipere, e de gli aspi
Placava l'ira, raddolciva il tósco,
E risanava i morsi. E non per tanto
Poté nè con.incanti, né con erbe
De’ Marsi monti risanare il colpo 1155
De la dardania spada: onde il meschino
Ne fu da le foreste de l' Angizia,
Convectare iuvat praedas, et vivere rapto.
Quin et marrubia venit de gente sacerdos, 720
Fronde super galeam, et felici comtus oliva,
Archippi regis missu, fortissimus Umbro:
Vipereo generi, et graviter spirantibus hydris
Spargere qui somnos cantuque manuque solebat,
Mulcebatque iras, et morsus arte levabat. 722
Sed non dardaniae medicari cuspidis ictum
Evaluit; neque eum iuvere in vulnera cantus
Somniferi, et marsis quaesitae montibus herbae.
T'e nemus Angitiae, vitrea te Fucinus unda,
Eneide 7o. II 10
«2.
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Senisse sub auras,
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LIBRO SETTIMO 7?
Di cotal arte , che d' Apollo nacque,
Fulminando mandó ne’ regni bui. 1175
Ippolito da Trivia in parte occulta,
Scevro da tutti, a cura fu mandato
D' Egeria Ninfa, e ne la selva ascoso,
Là've solingo, e col cangiato nome
Di Virbio, sconosciuto 1 giorni mena 1180
D' un’ altra vita. E quinci è che dal tempio
E da le selve a Trivia consecrate
I cavalli han divieto; chè lor colpa
Fu l’suo carro e ’1 suo corpo al marin mostro,
E poscia a morte iudegnamente esposto. 1185
Il figlio, che pur Virbio era nomato,
Non men di lui feroce, i suoi destrieri
Esercitava , e 'n su '| paterno carro
Arditamente a questa guerra uscio.
Turno infra’ primi, di persona e d'armi 1190
Ipse repertorem medicinae talis et artis |
Fulmine phoebigenam stygias detrusit in undas.
At Trivia Hippolytum secretis alma recondit
Sedibus, et nymphae Egeriae, nemorique relegat:
Solus ubi in silvis italis ignobilis aevum :
Exigeret, versoque ubi nomine Virbius esset.
Unde etiam templo Triviae, lucisque sacratis
Cornipedes arcentur equi; quod litore currum,
Et iuvenem monstris pavidi effudere marinis. 780
Filius ardentes haud secius aequore campi
Exercebat equos, curruque in bella ruebat.
Ipse inter primos praestanti corpore Turnus
^A
72 ENEIDE
Fe’ d’esterni paesi ampio conquisto ,
E fu re de'Sarrasti e de le genti
Che Sarno irriga. Insignorissi appresso
Di Batulo, di Rufra, di Celenne
E de campi fruttiferi d’ Avella. 1130
Mezze picche avean questi a la tedesca
Per avventarle, e per celate in capo
Suveri scortecciati, e di metallo
Brocchieri a la sinistra, e stocchi a lato.
Calò di Nursa e de’ suoi monti alpestri 1135
Ufente, un condottier ch'era in quei tempi
Di molta: fama e fortunato in arme.
Equicoli avea seco la piü parte,
Orrida gente, per le selve avvezza
Cacciar le fere, adoperar la marra, 1 140
Contentus, late iam tum ditione premebat
Sarrastes populos, et quae rigat aequora Sarnus,
Quique Rufras, Batulumque tenent, atque arva
Celennae,
Et quos maliferae despectant moenia Abellae: 740
T'eutonico ritu soliti torquere cateias;
l'egmina queis capitum raptus de subere cortex,
ZErataeque micant peltae, micat aereus ensis.
Et te montosae misere in praelia Nersae,
Ufens, insignem fama et felicibus armis: ^49
Horrida praecipue cui gens, assuetaque multo
Venatu nemorum, duris /Equicola glebis
Armati terram exercent, semperque recentes
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LIBRO SETTIMO 73
Arar con l'armi indosso, e tutti insieme
Viver di cacciagioni e di rapine.
De la gente marrubia un sacerdote
Venne fra gli altri; sacerdote insieme
E capitan di genti ardito e forte. 1145
Umbrone era il suo nome; Archippo, il rege
Che lo mandava. Di felice oliva
Avea il cimiero e l'elmo intorno avvolto.
Era gran ciurmatore, e con gl'incanti
E col tatto ogni serpe addormentava: 1150
De glidri, de le vipere, e de gli aspi
Placava l'ira, raddolciva il tósco,
E risanava i morsi. E non per tanto
Poté né con incanti, né con erbe
De' Marsi monti risanare il colpo 11
De la dardania spada: onde il meschino
Ne fu da le foreste de l' Angizia,
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Convectare iuvat praedas, et vivere rapto.
Quin et marrubia venit de gente sacerdos, 790
Fronde super galeam, et felici comtus oliva,
Archippi regis missu, fortissimus Umbro:
F'ipereo generi, et graviter spirantibus hydris
Spargere qui somnos cantuque manuque solebat,
Mulcebatque iras, et morsus arte levabat. 792
Sed non dardaniae medicari cuspidis ictum
Evaluit; neque eum iuvere in vulnera cantus
Somniferi, et marsis quaesitae montibus herbae.
Te nemus Angitiae, vitrea te Fucinus unda,
Eneide Vol. II 10
78 ENEIDE
Tanto, che, quasi un vento sopra | erba
Correndo, non avrebbe anco de’ fiori
Tocco, nè de l’ariste il sommo appena.
Non avrebbe per l'onde e per gli flutti
Del gonfio mar , non che le piante immerse, 1230
Ma né pur tinte. Per veder costei
Uscian de’ tetti, empiean le strade e i campi
Le genti tutte; e i giovani e le donne
Stavan con meraviglia e con diletto
Mirando e vagheggiando quale andava, 1235
E qual sembrava; come regiamente
D' ostro ornato avea ’l tergo, e '1 capo d'oro;
E con che disprezzata leggiadria :
Portava un pastoral nodoso mirto
Con picciol ferro in punta; e con che grazia 1240
Se ne gía d'arco e di faretra armata.
Dura pati, cursuque pedum praevertere ventos.
Illa vel intactae segetis per summa volaret
Gramina, nec teneras cursu laesisset aristas;
Vel mare per medium, fluctu suspensa tumenti, 810
Ferret iter, celeres nec tingeret aequore plantas.
lllam omnis tectis, agrisque effusa iuventus,
Turbaque miratur matrum, et prospectat euntem,
Attonitis inhians animis; ut regius ostro
Velet honos leves humeros ut fibula crinem 815
Auro internectat, lyciam ut gerat ipsa pharetram,
Et pastoralem praefixa cuspide myrtum.
Fine del Libro settimo.
ILLUSTRAZIONI
AL LIBRO SETTIMO
GAIETA (Molo di Gaeta.)
Veduta del Sinus Caietanus, chiamato pure Formianus,
oggi golfo di Gaeta. Sul davanti scorgonsi l'antica sostru-
zione ed i fondamenti con l’opus reticulatum per un nuovo
edifizio; nel mezzo in fondo, una parte della moderna città
Molo di Gaeta, e lo sfondo è circoscritto dalle colline della
catena montuosa del Massico, tanto celebri aì tempi di Ora-
zio e di Augusto pei loro eccellenti vini. Tali montagne de-
clinano verso il mare dalla parte meridionale del grande e
bellissimo golfo.
ENEID. L. VII, v. 2.
GAIETAE ARX. ( Gaeta )
Veduta della città propriamente detta e della fortezza di
Gaeta, che una volta si disse Gaieta. Sul davanti vedesi la
parte settentrionale dello stesso golfo, del quale si é veduta
la meridionale nel numero antecedente. Veggonsi pure alcu-
ne antiche sostruzioni sulla riva del mare non lontano dal
villaggio di Castiglione, che è posto in parte nel luogo del-
l'antica città di Formia. In quei dintorni eravi il celebre
Proedium Formianum di Cicerone, del quale trovasi tutt'ora
una bella sala da bagno con altri avanzi nella villa moderna
di Marsana. Sul di dietro, nella più alta cima del monte,
su cui in oggi v'è la fortezza, havvi la tomba di Minuzio
Planco, molto grande, sì bene conservata e sì forte che
i Francesi se ne servirono nell’ ultima guerra per polverie-
ra, resisteva alle bombe come se fosse stata fatta a prova di
bomba. ENEID. L. vil, v. 2.
CIRC/EA TERRA ( Monte Circello.)
Veduta del monte Circello, rappresentato dagli antichi
poeti greci siccome un'isola circondata dal mare, benché
sia unito alla terra ferma vicino alle paludi Pontine da una
lingua strettissima di terra, e bassa in modo che spesso,
quando il mare ingrossa, rimane coperta dalle onde. Esso
forma una specie di promontorio, e perchè veduto dal mare
rassembra un'isola di spiagge alte molto, la tradizione pres-
so i Latini, seguendo Omero ed Esiodo, ne fece la dimora
di Circe. Vi si mostrava adunque la tomba di Elpenore e
la grotta di Circe. Tarquinio Superbo stabilì sulla monta-
gna la colonia Circéa per antemurale contro i Volsci; si
chiama oggi San Felice. Virgilio si giovò della tradizione
popolare, e chiamò la punta di terra col nome Circaea Terra.
Il dinanzi mostra alcune sostruzioni ed altri avanzi della
villa già sì magnifica del triumviro Lepido sulla terraferma
opposta alla montagna, e che con essa forma una baia.
ENEID. L. vil, v. 6.
TIBERIS ( Tevere.)
Veduta del Tevere, vicino alla sua foce nel mare, dise-
gnato dalla parte occidentale dell'isola Santa, o isola d'Apol-
lo, che divide il fiume in due rami. La vegetazione delle sue
sponde è presentemente poverissima in confronto di cià che
ne dice Virgilio. Gli è però ancora applicabile ciò ch'egli dice
de’ suoi vortici, e del suo colore giallastro.
&NEID, L. vi v. 30.
ALBUNEA (Lago d'acqua dolce. )
Veduta del lago d’acqua dolce distante sedici miglia da
Roma verso Tivoli, ove trovasi la sacra sorgente che Virgi-
lio rese immortale. Presso altri scrittori è mentovata col nome
di 4guae Albulae. Tale sorgente ricevette senza dubbio il
suo nome dalla bianchezza dell’acqua stessa che ha un odore
fortissimo di zolfo, ed ha in sè molte virtù medicinali, non
che pel tufo calcareo che vi si trova nel fondo, e che si ag-
glomera ai vegctabili. Per questa ragione si dà pure al lago
vicino, da essa sorgente formato, il nome di Lago de' Tarta-
ri. Vedesi in fondo a destra la montagna d'Alba, ed a sini-
stra quella di Tuscolo. In mezzo a destra il villaggio di Ma-
rino, ed a manca quello di Frascati.
ENEID. L. vu, v, 83.
NUMICUS
Veduta di Numicio (fiume) che lentamente si avanza verso
il mare a traverso di paduli e canneti , del quale spesse
volte è fatta menzione dagli autori romani nella favola della
venuta d' Enea nel Lazio, e della sua guerra contro il re Turno
di Ardea. Sulla riva di questo fiume, dicesi, morì Enea, e qui-
vi fu sepolto sotto quel tumulo che si chiama di Giove Indi-
gete. Fu Enea divinizzato con tale nome ( Indigete ) che
vogliono derivi da in diis ago, io sono fra gli dei. Oggi
pure si vede come un fiumicello, che riceve una porzione delle
sue acque dal lago di Nemi, consacrato a Diana (ciò che gli
fe'da Virgilio dare anche il nome di « sacrum » ), dove sbocca
nella valle d'Aricia; riceve il rimanente dal moderno Fosso Rc
di Tavole; scorre fra Ardea e Lavinium, il Pratica de'mo-
derni. Il fondo della veduta è circoscritto dalle montagne
d'Alba.
ENEID. L. vit, v. 450, 241, 797,
OSTIA
Veduta del braccio sinistro del Tevere dalla parte meridio+
nale dell’isola sacra, di cui si scorge una porzione, sulla quale
passano dei bufali. A destra sul davanti vedesi una parte del
luogo ov'era l'antica Ostia che fu distrutta principalmente
dalle inondazioni, e che è coperta da fango e da macerie.
I rottami che scorgonsi a traverso alle boscaglie furono se-
condo alcuni un tempio di Nettuno, e secondo altri un tem-
pio di Giove Patuleio. Nel mezzo trovansi alcune fabbriche
d'Ostia moderna che fu edificata più presso a Roma dai papi
Sisto IV, e Giulio II perché servisse da baluardo contro i pi-
rati. Si pone ordinariamente la scena descritta da Virgilio nel
luogo poco lontano dalla sponda sinistra del fiume, dove Auco
Marzio fondò l’antica Ostia.
. ENEID. L. vit, v. 152-457.
LAURENTUM ( Torre Paterno.)
Veduta degli avanzi che sono tutt' ora sopra terra dell an-
tica residenza del re mitico Latino, la quale oggi ha il nome
di Torre Paterno, e che, secondo la Tavola Peutingeriana, era
posta non lontano dalla riva del mare, a sedici miglia da
Ostia. Dicesi che gli Aborigeni sotto Fauno loro re fabbricas-
sero tale città, e la denominassero Laurentum dai molti al-
lori che il suolo ivi produceva . Laurento fu per lungo tempo,
anche sotto la repubblica romana, una città importante, ma
fu quasi interamente devastata da una irruzione dei Sanniti,
e finalmente unita a Lavinio dall'Imperatore Antonino Pio.
ENEID. L. vit, v. 174.
ARDEA (drdea.)
Veduta meridionale della capitale dei Rutuli, residenza
di Turno, disegnata dalla parte sud-ovest, dove un ponte
traversa il Numicio. Il mare Tirreno trovasi dietro allo spet-
tatore, ma egli vede in lontananza, sulla sinistra, le monta-
gne d'Alba. Si annovera essa fra le più vetuste città del La-
zio, e, secondo la tradizione, è assai più antica di Roma,
che ivi stabilì poi una colonia. Benchè fosse talmente deva-
stata nella guerra dei Sanniti da non ricovrare mai più il suo
antico splendore, ella ha tuttavia conservato inalterato il suo
nome, e ne rimangono tutt’ ora molte sostruzioni. È situata
ad una lega e mezza dal mare, ed a sei da Roma, in un paese
amenissimo, ed atto per le sue praterie a nudrire molto be-
stiame. Appartiene in oggi, in un col territorio dei Rutuli,
al duca romano Cesarini.
ENEID. L. vir, v. did.
TYBUR ( Tivoli.)
Veduta da nord-ovest di alcuni edifizii della moderna Ti-
voli, situati appié della montagna di Tivoli, e sul luogo
dell’antico Tibur superbum, la superba Tivoli: vedesi quivi
in lontananza la vallata stretta e racchiusa fra balze, nella
quale si precipita per diverse parti l’Anio, oggi Teverone,
formando quattordici cateratte, celebri per l'altezza e bellez-
za loro. Vedonsi parecchie di tali cascate, conosciute col nome
di Cascatelle. A qualche distanza, sul davanti a destra, scorgesi
nell’ edifizio in forma di portico magnifiche sostruzioni del-
l'antica e superba villa, Mecene, e in mezzo a sinistra alcuni
avanzi della parte inferiore della casa che Orazio, secondo
Svetonio, possedeva nei sobborghi di Tivoli. Sono essiin un
giardino appartenente al convento di S. Antonio. Il monte
Santa Croce, una volta Mons Catillus, forma il fondo di si
fatta valle deliziosa, ricca di tante rimembranze. Lungo le balze
che racchiudono l'Anio, o Aniene, si estendeva per tutta la
vallata il bosco sacro a Tiburno (*).
ENEID. L. vit, v. 630, et 670.
SORATTE (Monte di Sant Oreste.)
Veduta di tale montagna isolata, la quale s'inalza 2000
piedi sopra il livello del mare. È notabile per essere in tempo
d' inverno la prima ad essere coperta di neve. Quest'erta mon-
tagna è posta presso all’antica strada Flaminia, vicinissima
alla riva destra del Tevere nell’antica Etruria. Sulla sommità
eravi al tempo dell'autore dell’ Eneide un tempio di Apollo
in molta venèrazione. Sul pendio sud-est, volto verso Roma,
e che qui si vede, Carlomagno fratello di Pipino d’ Heristall
costrusse il monastero di S. Silvestro. Più basso sono posti il
castello ed il villaggio Sant'Oreste, ma non si può vederli. Scor-
gesi a destra nel mezzo della scena il famoso bosco di Fe-
ronia. BNEID. L. vm, v. 696.
(*) Tiburno o Tiburio figliuolo d'Ercole e secondo altri d' Anfiarao fondatore
della citta di Tivoli. l
SEBETO ( Fiume della Maddalena. )
Veduta del ruscello Sebeto col suo ponte, oggi fiume della
Maddalena, tra Napoli e Portici, cioè dalia perte est della
città e del porto dell’antica Neapolis; in lontano, e a sini-
stra, vedesi il monte Somma, e a destra il Vesuvio.
ERNEID. L. vij, v. 734.
CAPREE (Capri)
Veduta dell'isola Caprea oggi Capri, formata da rocce, ed
alta 18 piedi sopra il livello del mare. Sonovi in essa dei luo-
ghi piacevoli, e da ogni parte si godono viste deliziosissime
dei tre golfi bellissimi di Salerno, di Napoli e di Baia, ma
principalmente dei liti rivali fra loro in amenità e bel-
lezza. Gli abitanti i più anticamente conoseiuti erano Greci,
che Tacito chiama Te/eboi. Augusto, cui piacevane il sog-
giorno, la comprò dai Napoletani, e ne fece un patrimonio
della sua famiglia imperiale. Il suo successore Tiberio vi stanzò
di continuo gli ultimi sette anni della sua vita, ed i soli suoi
favoriti osavano porvi il piede. Vi costrusse egli dodici ville
magnificamente abbellite; primeggiava fra queste la Villa Io-
vis sul più alto dell'isola. Ivi egli davasi interamente alle
sue dissolutezze sì ben conosciute, e che furono fin anche rese
immortali da apposite medaglie. Veggonsi tuttora alcune ve-
stigia di quelle case di piaceri.
mme. L. vit, v. 735.
SABNUS (Sarna;
Questa veduta pone sott'occhio varii puoti i più distinti
della parte orientale del vasto golfo di Napoli. Vedesi da pri-
ina sul davanti il lato più settentrionale dell’antico Sorren-
tum, oggi Sorrento; più lontano, vicinissima al mare, la
piccola città di Castello a Mare di Stabia, col porto dello
stesso nome; quindi il piccolo fiume Sarnus oggi Sarno, sulla
sponda del quale era l’antica città di Pompeia: essa città di
non poca importanza, che rimase sepolta l’anno 832 di Roma
(79 di G. C.) sotto il regno dell’imperatore Tito, e messa
in parte allo scoperto da quasi un secolo, vedesi qui nel suo
stato attuale in mezzo alla catena di colline al di là di Sar-
no, dal pendio orientale della montagna, dalla quale era al-
trevolte coperta, fino ai pini che sono sul davanti del quadro.
Scorgonsi nel fondo i due luoghi di Torre dei? Annunziata,
e Torre del Greco, e più a sinistra, verso Napoli, il sito che
copre la parte orientale dell’ Antica Ercolano: è chiusa final-
mente questa veduta in lontano dalle pendici orientali del
Vesuvio e del monte Somma.
ENEID. L. vu, v. 738.
TERRACINA, O ANXUR (Terracina)
" Veduta da nord-ovest degli scogli sui quali era costrutta
l' antica città dei Volsci, Anxur o Terracina, ma di cui in
oggi non .vedesì sopra terra nessun avanzo di qualche impor-
tanza oltre alle sostruzioni del tempio d' Apollo, sotto la cat-
tedrale della moderna città: nello stesso sito, e sulla punta più
meridionale della montagna, occupata altre volte dal tempio
di Giove, periscono di giorno in giorno gli avanzi dell’antico
palazzo di Teodorico re dei Goti. Nello scoglio isolato sono
scolpiti alcuni nomi romani, e cifre di miglia indicanti la
distanza da Roma. (*) Fra questa città e Veletri trovansi
le paludi Pontine.
ENEID . L. vit, v. 799.
(*) Tale Scoglio isolato che chiamasi Pisca Marina (P. la Martiniere) è alto
all'incirca 120 piedi, ed essendo le antiche cifre numeriche segnate a dieci per
dieci ( V. Misson ) sul prospetto di esso scoglio , che è tagliato perpendicolarmente,
ed arrivando esse al numero CXX., sembra che siasi voluto lasciare con ciò una
memoria della sua altezza .
Vol. II
DELL’ ENEIDE
DI VIRGILIO
LIBRO OTTAVO
Cene — [o
ARGOMENTO
A difesa d' Enea s" unisce Evandro
C^! suoi Arcadi ín lega. Citerea
Con donnesche fusinghe al figlio impetra
L' armi fatali , in cui '1 Fabro Divino
De" futuri Romani i gesti imprime.
Poscia che di Laurento in su la rócca
Fe' Turno inalberar di guerra il segno,
E che guerra sonàr le roche trombe,
Spinti i carri e i destrieri, e l' armi scosse:
Di Marte al tempio, incontanente i cuori
Si turbàr tutti, e tutto il Lazio insieme
Con subito tumulto si restrinse.
Fremessi, congiurossi, rassettossi
Ognun ne l arme. I tre gran condottieri
Ut belli signum Laurenti Turnus ab arce
Extulit, et rauco strepuerunt cornua cantu,
Utque acres concussit equos, utque impulit arma;
Extemplo turbati animi: simul omne tumultu
Coniurat trepido Latium, saevitque iuventus
8o ENEIDE
Messapo , Ufente, e l'empio de'celesti 10
Dispregiator Mezenzio, usciro in prima.
Accolsero i sussidii; armàr gli agresti ;
Spogliàr d' agricoltor le ville e i campi.
In Arpi a Diomede si destina
Venulo imbasciatore: e gli s'impone 19
Che soccorso gli chiegga, e che gli esponga
Quanto ció de l'Italia e del suo stato
Torni a grand'uopo; con che gente Enea, .
Con quale armata v'ha già posto il piede,
E fermo il seggio, e rintegrato il culto 20
A i suol vinti Penati; come aspira
A questo regno, e come anco per fato,
E per retaggio del dardanio seme,
Lo si promette. Che perció da molti
E già seguito, e ch'ogni giorno avanza, 25
E di forze e di nome. Indi soggiunga:
Quel che ’1 Duce de’ Teucri in ciò disegni
E che miri e che tenti ( se fortuna
Effera. Ductores primi Messapus et Ufens,
Contemtorque Deum Mezentius, undique cogunt
Auxilia, et latos vastant cultoribus agros.
Mittitur et magni Venulus Diomedis ad urbem,
Qui petat auxilium, et, Latio consistere Teucros ,
Advectum /Enean classi, victosque Penates
Inferre, et fatis regem se dicere posci,
Edoceat, multasque viro se adiungere gentes
Dardanio, et late Latio increbrescere nomen.
LIBRO OTTAVO 81
Gli va seconda ) a te via più ch'a Turno
, Esser può manifesto, e ch'a Latino. 30
Questi andamenti e queste trame allora
Correan per Lazio, e lo scaltrito Eroe
Le sapea tutte, onde in un mare entrato
Di gran pensieri, or la sua mente a questo,
Or a quel rivolgendo in varie parti, 35
D’ ogni cosa avea tema e speme e cura.
Così di chiaro umor pieno un gran vaso
Dal sol percosso un tremolo splendore
Vibra ondeggiando, e rinfrangendo a volo
Manda i suoi raggi, e le pareti e i palchi 40
E l'aura d’ogni intorno empie di luce.
Era la notte, e già per ogni parte
Del mondo ogni animal d' aria e di terra
Quid struat his coeptis, quem, si fortuna sequatur,
Eventum pugnae cupiat, manifestius ipsi,
Quam Turno regi, aut regi apparere Latino.
T'alia per Latium: quae laomedontius heros
Cuncta videns, magno curarum fluctuat aestu:
"Atque animum nunc huccelerem,nuncdividitilluc,20
In partesque rapit varias, perque omnia versat.
Sicut aquae tremulum labris ubi lumen aenis
Sole repercussum, aut radiantis imagine lunae,
Omnia pervolitat late loca, iamque sub auras
Erigitur, summique ferit laquearia tecti. 23
Nox erat, et terras animalia fessa per omnes
Alituum pecudumque genus sopor altus habebat:
Eneide /ol. 11 | 11
8a
ENEIDE
Altamente giacea nel sonno immerso,
Allor che ’1 padre Enea così com’ era 45
Dal pensier de la guerra in ripa al Tebro
Già stanco e travagliato , addormentossi .
Ed ecco Tiberino, il dio del loco
Veder:gli parve, un che già vecchio al volto
Sembrava. Ávea di pioppe ombra d'intorno; 5o
Di sottil velo e trasparente in dosso
Ceruleo ammanto, ei crini e 1 fronte avvolto
D'ombrosa canna. E de l'ameno fiume
Placido uscendo, a consolar lo prese
In cotal guisa: Enea, stirpe divina, 55
Che Troia da'nemici ne riporti
E la ravvivi e la conservi eterna;
O da me, da' Laurenti e da' Latini
Già tanto tempo a tanta speme atteso,
Questa è la. casa tua, questo è secura- 6o
Quum pater in ripa, gelidique sub aetheris axe
"Eneas tristi turbatus pectora bello
Procubuit, seramque dedit per membra quietem. 30
Huic Deus ipse loci fluvio Tiberinus amoeno
Populeas inter senior se attollere frondes
Visus: eum tenuis glauco velabat amictu
Carbasus, et crines umbrosa tegebat arundo.
T'um sic affari, et curas his demere dictis: 35
O
sate gente Deum, troianam ex hostibus urbem
Qui revehis nobis, aeternaque Pergama servas,
Exspectate solo Laurenti, arvisque latinis;
LIBRO OTTAVO 83
mente, non t'arrestare, il fatal seggio
Che t'é promesso. Le minacce o ’l1 grido
Non temer de la guerra. Ogni odio, ogn' ira
Cessàr già de’ celesti. E perché ’1 sonno
Credenza non ti scemi, ecco a la riva 65
Sei già del fiume, u'sotto a l'elce accolta
Sta la candida treia con quei trenta
Candidi figli a le sue poppe intorno.
Questo fia dunque il segno e’l tempo e'l loco
Da fermar la tua sede. E questo é'l fine 70
De' tuoi travagli; onde il tuo figlio Ascanio,
Dopo trent'anni, il memorabil regno
Fonderà d'Alba, che così nomata
Fia dal candore e dal felice incontro
Di questa fera. E tutto adempirassi, 79
Ch'io ti predico, e t'é predetto avanti.
Or brevemente quel ch'oprar convienti,
Hic tibi certa domus, certi (ne absiste) Penates:
Neu belli terrere minis. T'umor omnis, et irae — £o
Concessere Deum,
Jamque tibi (ne vana putes haec fingere somnum)
Litoreis ingens inventa sub ilicibus sus
Triginta capitum foetus enixa iacebit;
Alba solo recubans, albi circum ubera nati. 49
Hic locus urbis erit, requies ea certa laborum:
Ex quo ter denis urbem redeuntibus annis
Ascanius clari condet cognominis Albam.
Haud incerta cano. Nunc qua ratione, quod instat,
84 ENEIDE
Per uscir glorioso e vincitore
Di questa guerra , ascolta. È di qui lunge
Non molto Evandro, un re che de l' Arcadia 80
È qua venuto; e sopra a questi monti
Ha de gli Arcadi suoi locato il seggio.
Il loco, da Pallante suo bisavo ,
È stato Pallantéo da lui nomato;
Ed essi, perchè son nel Lazio esterni, 85
Son nemici a' Latini, ed han con loro
Perpetua guerra. A te-fa di mestiero
Con: lor confederarti, e per ‘compagni
A questa impresa avergli. Io fra le ripe
Mie stesse incontro a l’acqua a la magione 090
D' Evandro agevolmente condurrotti .
Destati, de la Dea pregiato figlio;
E come pria cader vedrai le stelle,
Porgi solennemente a la gran Giuno
Expedias victor, paucis, adverte, docebo. 5o
. "Arcades his oris, genus a Pallante profectum,
Qui regem Evandrum comites, qui signa sequuti,
Delegere locum, et posuere in montibus urbem,
Pallantis proavi de nomine Pallanteum.
: Hi bellum assidue ducunt cum gente latina; 55
. Hos castris adhibe socios, et foedera iunge.
Ipse ego te ripis et recto flumine ducam,
Adversum remis superes subvectus ut amnem.
Surge, age, nate Dea; primisque cadentibus astris
' Junoni fer rite preces, iramque minasque 6o
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LIBRO OTTAVO 85
Preghiere e voti; e supplicando vinci 95
De l'inimica Dea l’ ira e !' orgoglio;
Ed a me, poi che vincitor sarai,
Paga il dovuto onore. Io sono il Tebro
Cerco da te, che, qual tu vedi, ondoso
Rado queste mie rive, e fendo i campi 100
De la fertile Ausonia, al ciel amico
Sovr' ogni fiume. Quel che qui m'è dato,
È’1 mio seggio maggiore; e fia che poscia
Sovr ogni altra cittade il capo estolla .
Così disse, e tuffossi. Enea dal sonno 105
Si scosse; il giorno aprissi, ed ei col sole
Sorgendo insieme , al suo nascente raggio
Si volse umíle; e con le cave palme
De l'onda si spruzzó del fiume, e disse: |
Ninfe laurenti, Ninfe, ond' hanno i fiumi 110
Supplicibus supera votis. Mihi victor honorem
Persolves. Ego sum, pleno quem flumine cernis
Stringentem ripas, et pinguia culta secantem,
Caeruleus T'hybris, caelo gratissimus amnis.
Hic mihi magna domus, celsis caput urbibus, exit.
Dixit: deinde lacu fluvius se condidit alto,
Ima petens. Nox: /Enean somnusque reliquit.
Surgit, et, aetherii spectans orientia solis
Lumina, rite cavis undam de flumine palmis
Sustulit, ac tales effundit ad aethera voces: 70
Nymphae, laurentes Nymphae, genus amnibus unde
est,
80 ENEIDE
L' umore e ’l corso; e tu con l’onde tue,
Padre Tebro sacrato, al vostro Enea
Date ricetto, e da’ perigli omai
Lo liberate. E io da qual sia fonte,
Che sgorghi, in qual sii riva, in qual sii foce 115
( Poichè tanta di me pietà ti stringe )
Sempre t'onoreró, sempre di doni
Ti sarò largo. O de l'esperid' onde
Superbo regnatore , amico: e mite
Ne sia il tuo nume, e i tuoi detti non vani. 120
Così dicendo, de’ suoi legni elegge
I due migliori, e gli correda e gli arma
Di tutto punto. Ed ecco d'improvviso
( Mirabil mostro!) de la selva uscita
Una candida scrofa, col suo parto 125
Di candor.pari, sopra l'erba verde
Ne la riva accosciata gli si mostra.
Tugue, o Thybri, tuo genitor cum flumine sancto
Accipite Aînean, et tandem arcete periclis.
Quo te cumque lacus, miserantem incommoda nostra,
Fonte tenet, quocumque solo pulcherrimus exis, 75
Semper honore meo, semper celebrabere donis.
Corniger Hesperidum fluvius regnator aquarum,
“Adsis o tantum, et propius tua numina firmes.
Sic memorat, geminasque legit de classe biremes,
Remigioque aptat; socios simul instruit armis. 80
Ecce autem, subitum atque oculis mirabile monstrum,
Candida per silvam cum foetu concolor albo
LIBRO OTTAVO 87
Tosto il pietoso Eroe col gregge tutto
A l'altar la condusse; e poichè sacra
L'ebbe al gran nume tuo, massima Giuno, 130
A te l’uccise. Il Tebro quella notte
Quanto fu lunga, di turbato e gonfio
Ch’egli era, si rendè tranquillo e queto
Sì, che senza rumore e quasi in dietro
Tornando, come stagno, o come piana 135
Palude adeguò l'onde, e tolse a' remi
Ogni contesa. Accelerando adunque
Il cammin preso, i ben unti e spalmati
Lor legni se ne vanno incontro al fiume
Com'a seconda; sì che l’ onde stesse 140
Stavan meravigliose, e i boschi intorno,
Non soliti a veder l'armi e gli scudi,
E i dipinti navilii , che da Junge
Facean novella e peregrina mostra.
Procubuit, viridique in litore conspicitur sus:
Quam pius Eneas tibi enim, tibi, maxima Iuno,
Mactat, sacra ferens, et cum grege sistit ad aram.85
T'hybris ea fluvium, quam longa est, nocte tumentem
Leniit, et tacita refluens ita substitit unda,
Mitis ut in morem stagni placidaeque paludis
Sterneret aequor aquis, remo ut luctamen abesset.
Ergo iter inceptum celerant; rumore secundo 9o
Labitur uncta vadis abies: mirantur et undae,
Miratur nemus insuetum fulgentia longe
Scuta virum, fluvio pictasque innare carinas.
68 ENEIDE
Se ne van notte e giorno remigando 145
Di tutta forza, e i seni e le rivolte
Varcan di mano in mano, ora a l'aperto,
Or tra le macchie occulti, e via volando
Segan l'onde e le selve. Era il Sol giunto
A mezzo il giorno , quando incominciaro 150
Da lunge a discovrir la rócca e '1 cerchio,
E i rari allor del poverello Evandro
Umili alberghi, ch'ora al cielo adegua
La romana potenza. Immantinente
Volser le prore a terra, ed appressàrsi 159
Là ’ve per avventura il re quel giorno
Solennemente in un sacrato bosco
Avanti a la città stava onorando
Il grande Alcide. Avea Pallante seco
Suo figlio, e del suo povero Senato, 160
Olli remigio noctemque diemque fatigant,
Et longos superant flexus, variisque teguntur 95
Arboribus, viridesque secant placido aequore silvas.
Sol medium caeli conscenderat igneus orbem,
Quum muros arcemque procul ac rara domorum
Tecta vident; quae nunc romana potentia caelo
Aquavit; tum res inopes Evandrus habebat: 100
Ocius advertunt proras, urbique propinquant.
Forte die solemnem illo rex Arcas honorem
Amphitryoniadae magno, divisque ferebat
Ante urbem in luco. Pallas huic filius una,
Una omnes iuvenum primi, pauperque senatus 10
LIBRO OTTAVO 89
E de’ suoi primi giovani un: drappello,
Che d'incensi, di vittime e di fumo
Di caldo sangue empiean l’are e gli altari.
Tosto che di lontan vider le gaggie, .
E per entro de’ boschi occulte e chete 165
Gir navi esterne, insospettiti in prima
Si levàr da le mense. Ma Pallante
Arditamente. Non movete , disse,
Seguite il sacrificio. E tosto a l'armt
Dato di piglio, incontro a lor si spinse. 170
Giunto, gridó da l'argine: O compagni ,
Qual fin vadduce, o qual v' intrica errore
Per cosi torta e disusata via?
Ov andate? chi siete? onde venite ?
Che ne recate voi? La pace, o l'armi? 175
Enea di su la poppa un ramo alzando
Di pacifera oliva, Amici, disse,
Tura dabant; tepidusque cruor fumabat ad aras.
Ut celsas videre rates, atque inter opacum
Allabi nemus, et tacitis incumbere remis;
Terrentur visu subito, cunctique relictis
Consurgunt mensis. Audax quos rumpere Pallas
Sacra vetat, raptoque volat telo obvius ipse;
Et procul e tumulo, Iuvenes, quae caussa subegit.
Ignotas tentare vias? quo tenditis? inquit,
Qui genus? unde domo? pacemne huc fertis, an arma?
Tum pater /Eneas puppi sic fatur ab alta, 155
Paciferaeque manu ramum praetendit olivae;
Eneide Z'ol. II 12
90 EL ENEIDE
Vi siamo, e siam Troiani, e coi Latini
Questi superbamente il nostro esiglio 180
Perseguitando, ne fan guerra ed onta, |
Ricorremo ad Evandro. A lui porgete
Da nostra parte, che de' Teucri alcuni
Son qui venuti condottieri eletti
Per sussidii impetrarne, e lega d'arme. 185
Stupì primieramente a sì gran nome
Pallante, indi vér lui rivolto umile,
Signor, qual che tu sii, scendi, e tu stesso
Parla, disse, al mio padre, e nosco alloggia.
E lo prese per mano, ed abbracciollo. 190
Lasciato il fiume e ne la selva entrati,
Enea dinanzi al re comparve, e disse:
Signor, che di bontà sovr’ogni Greco,
E di fortuna sovra me ten vai
Troiugenas ac tela vides inimica Latinis,
Quos illi bello profugos egere superbo.
Evandrum petimus. Ferte haec, et dicite lectos-
Dardaniae venisse duces, socia arma rogantes. 120
Obstupuit tanto percussus nomine Pallas:
Egredere o, quicumque es,ait, coramque parentem
"loquere, ac nostris succede penatibus hospes:
Excepitque manu, dextramque amplexus inhaesit:
Progressi subeunt luco, flusiumque relinquunt. 125
T'um regem /Eineas dictis affatur amicis:
Uptime Graiugenim, cui me fortuna precari,
LIBRO OTTAVO 9t
Tanto, che supplichevole, e co' rami 195
Di benda avvolti a tua magion ne vengo:
lo, perché sia Troiano, e .tu di Troia
Per nazion nimico e per legnaggio
A gli Atridi congiunto, or non pavento
Venirti avanti, ché'l mio puro affetto, 200
Gli oracoli divini, il sangue antico
De maggior nostri, il tuo famoso grido,
E'l Fato e’l mio voler m’han teco unito.
Dardano de’ Troiani il primo autore
Nacque d'Elettra, come i Greci han detto; 205
E d'Elettra fu padre il grande Atlante,
Che con gli omeri suoi. folce le stelle.
Vostro progenitor Mercurio fue,
Che nel gelido monte di Cillene . |
De la candida Maia al mondo nacque; 210
E Maia ancor, se questa fama è vera,
Et vitta comtos voluit praetendere ramos;
Non equidem extimui, Danatim quod ductor, et arcas ,
Quodque a stirpe fores geminis coniunctus Atridis;
Sed mea me virtus, et sancta oracula: Divum,
Cognatique patres, tua terris didita fama,
Coniunxere tibi, et fatis egere volentem.
Dardanus, iliacae primus pater urbis et auctor,
Electra (ut Graii perhibent) atlantide cretus, 135
Advehitur Teucros: Electram maximus Atlas
Edidit, aetherios humero qui. sustinet orbes.
Vobis Mercurius pater est, quem candida Maia
92 ENEIDE
Venne d' Atlante, e da lo stesso Atlante
Che fa con le sue spalle al ciel sostegno.
Così d'un fonte lo tuo sangue e ’l mio
Traggon principio. E quinci è che securo 215
Senza opra di messaggi e senza scritti,
Pria ch'io ti tenti, e pria che tu m' efhdi,
Posto ho me stesso e la mia vita a rischio,
E supplichevolmente a la tua casa
Ne son venuto. I Rutuli ch’ infesti 220
Sono anco a te, se de l'Italia fuori
Cacceran noi, già de l’ Italia tutta
L' imperio si promettono, e di quanto
Bagna l'un mare e l’altro. Or la tua fede
Mi porgi, e la mia prendi; ch'ancor noi — 225
Siamo usi a guerra, e cor ne’ petti avemo.
Cyllenae gelido conceptum vertice fudit;
At Maiam, auditis si quidquam credimus, Atlas, 140
Idem Atlas generat, caeli qui sidera tollit.
Sic genus amborum scindit se sanguine ab uno.
His fretus, non legatos, neque prima per artem
Tentamenta tui pepigi: me, me ipse, meumque
Obieci caput, et supplex ad limina veni. 149
Gens eadem, quae te, crudeli daunia bello
Insequitur: nos si pellant, nihil abfore credunt,
Quin omnem Hesperiam penitus sua sub iuga mittant:
Et mare, quod supra, teneant, quodque alluit infra.
Accipe, daque fidem. Sunt nobis fortia bello 150
Pectora, sunt animi, et rebus spectata iuventus. .
LIBRO OTTAVO 93
Il re, mentre ch' Enea parlando stette, -
ll volto e gli occhi e la persona tutta
Gli andò squadrando ; e brevemente al fine
Così rispose: Valoroso eroe, 230
Come lieto io t'accolgo, e come certo .
Raffigurar mi sembra il volto e i gesti
E la favella di quel grande Anchise
Tuo genitore! Io mi ricordo quando
Priamo per riveder la sua sorella ! 2359 —
Esione e '| suo regno, in un passaggio.
Che perciò fe’ da Troia a Salamina ,.
Toccò d'Arcadia i gelidi confini..
De le prime lanugini fiorito
Era il mio mento.a. pena allor ch*io vidi 240
Quei gran. dud di Troia, e de’ Troiani
Lo stesso re. Con molto mio diletto
Gli mirai, gli ammirai, notai di tutti
Dixerat /Eneas. Ille os oculosque loquentis
Jamdudum, et totum lustrabat lumine corpus .
T'um sic pauca refert: Ut te; fortissime Teucrüm,
Accipio agnoscoque libens! ut verba parentis, — 155
Ut vocem Anchisae magni vultumque recordor!
Nan: memini Hesionae visentem regna sororis,
Laomedontiaden Priamum, Salamina petentem,
Protenus Arcadiae gelidos invisere fines.
Tum mihi prima genas vestibat flore iuventa: 160
Mirabarque duces teucros, mirabar et ipsum
Laomedontiaden: sed cunctis altior ibat
94 ENEIDE
Gli abiti e le fattezze , e sopra tutti
Leggiadro , riguardevole ed altero 245
Sembrommi Anchise. Un desiderio ardente
Mi prese allor d' offrirmi, e d' esser conto
A quel signore. Il visitai, gli porsi
La destra, ospite il fei, nel mio Feneo
Meco l'addussi. Ond' ei poscia partendo, 250
Un arco, una faretra e molti strali
Di Licia presentommi, e d’oro appresso
Una ricca intessuta sopravvesta
Con due freni indorati, ch’ ancor oggi
Son di Pallante mio: sì che già ferma > 355
È tra noi quella fede e quella lega
‘ Ch' or ne chiedete. E non fia il Sol dimane
Dal balcon d' Oriente uscito a pena,
Che le mie genti e i miei sussidii avrete.
Intanto a questa festa, che solenne 260
Facciamo ogni anno, e tralasciar non lece,
Anchises. Mihi mens iuvenali ardebat amore
Compellare virum, et dextrae coniungere dextram. -
Accessi, et cupidus Phenei sub moenia duxi. 165
Ille mihi insignem pharetram lyciasque sagittas
Discedens, chlamydemque auro dedit intertextam,
Frenaque bina, meus quae nunc habet, aurea, Pallas.
Ergo et, quam petitis , iuncta est mihi foedere dextra:
Et, lux quum primum terris se orastina reddet, 170
"Auxilio laetos dimittam, opibusque iuvabo.
Interea sacra haec, quando huc venistis amici,
LIBRO OTTAVO ‘99
(Già che venuti siete amici nostri )
Nosco restate, e come di compagni
Queste mense onorate. Avea ciò detto,
Allor che nuovi cibi e nuove tazze 265
Ripor vi fece, e lor tutti nel prato
A seder pose; e sopra tutti Enea
(Di villoso leon disteso un tergo)
Seco al suo deseo ed al suo seggio accolse.
Per man de' sacerdoti e de' ministri | 270
Del sacrificio, d'arrostite carni
De' tori, di yin puro, di focacce
Gran piatti, gran canestri e gran tazzoni
N'andaro a torno; e co'suoi Teucri tutti
Enea fu de le viscere pasciuto 27
Del sagginato a Dio devoto bue.
Tolte le mense, e ’l desiderio estinto
(Di |
Annua, quae differre nefas, celebrate faventes
Nobiscum, et iam nunc sociorum assuescite mensis.
. Haec ubi dicta, dapes iubet et sublata reponi 1739
Pocula, gramineoque viros locat ipse sedili;
Praecipuumque taro et villosi pelle leonis
Accipit /Enean, soliogue invitat acerno.
Tum lecti iuvenes certatim, araeque sacerdos
Viscera tosta ferunt taurorum, onerantque canistris
Dona laboratae Cereris, Bacchumque ministrant.
Vescitur /Eneas, simul et troiana iuventus :
Perpetui tergo bovis et lustralibus extis.
Postquam exemta fames, et amor compressus edendi,
96 ENEIDE
De le vivande, a ragiomar rivolti
Evandro incominciò: Troiano amico,
Questo convito e questo sacrificio
Così solenne, e questo a tanto nume
Sacrato altare, instituiti e posti
Non sono a caso; chè del vero culto
E de gli antichi Dei notizia avemo.
Per memoria, per merito e per voto
D'un gran periglio sua mercè scampato,
Son questi onori a questo Dio dovuti.
Mira colà quella scoscesa rupe,
E quei rotti macigni, e di quel colle
Quell'alpestra ruina, e quel deserto.
Ivi era già remota e dentro al monte
Cavata una spelonca, ov’ unqua il sole
Non penetrava. Abitatore un ladro
N’ era, Caco chiamato, un mostro orrendo
Mezzo fera e mezz' uomo, e d'uman sangue
Rex Evandrus ait: Non haec solemnia nobis,
Has ex more dapes, hanc tanti numinis aram
Vana superstitio, veterumque ignara Deorum
Imposuit: saevis, hospes troiane, periclis
Servati facimus, meritosque novamus honores.
280
285
290
Jam primum saxis suspensam hanc adspice rupem:
Disiectae procul ut moles, desertague montis
Stat domus, et scopuli ingentem traxere ruinam.
Hic spelunca fuit, vasto submota recessu ,
Semihominis Caci facies quam dira tenebat
LIBRO OTTAVO 97
Avido sì, che'l suol n'avea mai sempre
Tepido. Ne grommavan le pareti,
Ne pendevano i teschi intorno affissi,
Di pallor, di squallor luridi e marci.
Vulcano era suo padre; e de'suoi fochi 300
Per la bocca spirando atri vapori,
Gia d'un colosso e d'una torre in guisa
Contra sì diro mostro, dopo molti
Dannaggi e molte morti, il tempo al fine
Ne diede e questo Dio soccorso e scampo. 309
Egli di Spagna vincitor ne venne
In queste parti, de le spoglie altero
Di Gerione, in. cui tre volte estinse .
In tre corpi una vita, e ne condusse
Tal qui d' Ibero un copioso armento, 310
Ch'avea pien questo fiume e questa valle.
Caco ladron feroce e furioso,
Solis inaccessam radiis: semperque recenti 195
Caede tepebat humus, foribusque affixa superbis
Ora virum tristi pendebant pallida tabo.
Huic monstro Vulcanus erat pater: illius atros
Ore vomens ignes, magna se mole ferebat.
Attulit et nobis aliquando optantibus aetas 200
Auxilium, adventumque Dei. Nam maximus ultor,
Tergemini nece Geryonae spoliisque superbus ,
Alcides aderat, taurosque hac victor agebat
Ingentes, vallemque boves amnemque tenebant.
dt furiis Caci mens effera, ne quid inausum, 205
Eneide Vol. 11 13
98 ENEIDE
D'ogni misfatto e d'ogni scelleranza-
Ardito e frodolente esecutore ,
Quattro tori involonne e quattro vacche, 315
Ch’ eran fior de l'armento. E perchè l' orme
Indizio non ne dessero, a rovescio
Per la coda gli trasse; e ne la grotta
Gli condusse, e celógli. Eran l' impronte
De’ lor piè volte al campo, e verso l' antro 320
Segno non si vedea ch'a la spelonca
Il cercator drizzasse. Avea già molti
Giorni d' Anfitrion tenuto il figlio
Qui le sue mandre, e ben pasciuto e grasso
Era il suo armento; sì che nel partire 325
Tutte queste foreste e questi colli
Bi querimonie e di muggiti empiero.
Mugghiò da l'altro canto, e’l vasto speco
Aut intractatum scelerisve dolive fuisset,
Quatuor a stabulis praestanti corpore tauros
Avertit, totidem forma superante iuvencas.
Atque hos, ne qua forent pedibus vestigia rectis,
Cauda in speluncam tractos, versisque viarum 210
Indiciis raptos, saxo occultabat opaco.
Quaerenti nulla ad speluncam signa ferebant.
Interea, quum iam stabulis saturata moveret
Amphitryoniades armenta, abitumque pararet;
Discessu mugire boves, atque omne querelis 215
Impleri nemus, et colles clamore relinqui.
Reddidit una boum vocem, vastoque sub antro
LIBRO OTTAVO 09
Da lunge rintonar fece una vacca
De le rinchiuse: onde schernita e vana 330
Restò di Caco la custodia el furto,
Ch' udilla Alcide, e d' ira e di furorc
In un subito acceso, a la sua mazza,
Ch' era di quercia nodorosa e grave,
Dié di piglio, e correndo al monte ascese. 335
Quel di da' nostri primamente Caco
Temer fu visto. Si smarri ne gli occhi,
Si mise in fuga, e fu la fuga un volo:
Tal gli aggiunse un timor le penne a' piedi.
Tosto che ne la grotta si rinchiuse, 340
Allentò le catene, e di quel monte
Una gran falda a la sua bocca oppose;
Ch'a la bocca de l'antro un sasso immane
Avea con ferri e con paterni ordigni
Di cateratta accomodato in guisa 3
Con puntelli per entro e stanghe e sbarre.
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Ct
Mugiit, et Caci spem custodita fefellit.
Hic vero Alcidae furiis exarserat atro
F'elle dolor: rapit arma manu, nodisque gravatum
Robur, et aetherii cursu petit ardua montis.
T'um primum nostri Cacum videre timentem,
Turbatumque oculis. Fugit ilicet ocior Euro,
Speluncamque petit: pedibus timor addidit alas.
Ut sese inclusit, ruptisque immane catenis 225
Deiecit saxum, ferro quod et arte paterna
Pendebat, fultosque emuniit obiice postes:
100 ENEIDE
Ecco Tirinzio arriva, e come è spinto
Da la sua furia, va per tutto in volta
Fremendo, ora a i vestigii, ora ai muggiti,.
Ora a l’entrata de la grotta intento. 350
E portato da l'impeto, tre volte
Scorse de l' Aventino ogni pendice;
Tre: volte al sasso de la soglia intorno
Si mise indarno; e tre volte affannato
Ritornó ne la valle a riposarsi. 355
Era de la spelonca al dorso in cima
Di selce d'ogn' intorno dirupata
Un cucuzzolo altissimo ed alpestro,
Ch'a i nidi d’avoltoi e di tali altri
Augelli di rapina e di carogna 3 Go
Era opportuno albergo. A questo intorno
Alfin si. mise; e siccoin' era al fiume
Da sinistra inchinato, egli a rincontro
Lo spinse da la destra, lo di velse,
Ecce furens animis aderat T'rynthius , omnemque
Accessum lustrans, huc ora ferebat et illuc,
Dentibus infrendens. Ter totum fervidus ira 230
Lustrat Aventini montem: ter saxea tentat
Limina nequidquam: ter fessus valle resedit.
Stabat acuta silex, praecisis . undique saxis,
Speluncae dorso insurgens, altissima visu,
Dirarum nidis domus opportuna volucrum. 235
Hanc, ut prona iugo laevum incumbebat ad amnem.
Dexter in adversum nitens concussit, et imis
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LIBRO OTTÁVO 101
Col calce de la mazza a leva il pose, 365
E gli dié volta. À quel fracasso il cielo
Rintonó tutto, si crollàr le ripe,
E'l fiume impaurito si ritrasse.
Allor di Caco fu lo speco aperto:
Scoprissi la sua reggia, e le sue dentro 370
Ombrose e formidabili caverne.»
Come chi de la terra il globo aprisse
A viva forza, e de l' inferno il centro
Discovrisse in un tempo, e che di sopra
De l'abisso vedesse quelle oscure 375
Dal cielo abbominate orride bolge;
Vedesse Pluto a l'improvviso lume
Restar del sole attonito e confuso;
Cotal Gaco da subito splendore |
Ne la sua tomba abbarbagliato e chiuso 38o
Digrignar qual mastino Ercole vide;
Avulsam solvit radicibus: inde repente
Impulit. Impulsu quo maximus insonat aether:
Dissultant ripae, refluitque exterritus amnis. 240
At specus, et Caci detecta apparuit ingens
Regia, et umbrosae penitus patuere cavernae:
Von secus ac si qua penitus vi terra dehiscens
Infernas reseret sedes, et regna recludat
Pallida, Diis invisa, superque immane barathrum
Cernatur, trepidentque immisso lumine manes.
Ergo insperata deprensum in luce repente,
Inclusumque cavo saxo, atque insueta rudentem,
102 . ENEIDE
E non più tosto il vide, che di sopra
Sassi, travi, tronconi, ogni arme addosso
Folgorando avventógli. Ei che né fuga
Avea, né schermo al suo periglio altronde, 385
Da le sue fauci ( meraviglia a dirlo!)
Vapori e nubi a vomitar si diede
Di fumo, dj caligine e di vampa,
Tal che miste le tenebre col foco
Toglican la vista a gli occhi, e ’l lume a l' antro. 390
Non però si contenne il forte Alcide,
Che d'un salto in quel baratro gittossi
Per lo spiraglio, e là 'v' era del fumo
La nebbia e l' ondeggiar più denso, e ’1 foco
Più roggio, a lui che '1 vaporava indarno, 345
S' addusse, e lo ghermì; gli fece un nodo
De le sue braccia, e sì la gola e ’l fianco
Desuper Alcides telis premit, omniaque arma
Advocat, et ramis vastisque molaribus instat. 250
Iile autem (neque enim fuga iam super ulla pericli)
Faucibus ingentem fumum, mirabile dictu,
Evomit, involvitque domum caligine caeca,
Prospectum eripiens oculis; glomeratque sub antro
F'umiferam noctem, commixtis igne tenebris. 255
Non tulit Alcides animis, seque ipse per ignem
Praecipiti iniecit saltu, qua plurimus undam
Fumus agit, nebulaque ingens specus aestuat atra.
Hic Cacum in tenebris, incendia vana vomentem
Corripit in nodum complexus, et angit. inhaerens
LIBRO OTTAVO 103
Gli strinse, che scoppiar gli fece il petto,
E schizzar gli occhi; e ’1 foco e "1 fiato e l' alma
In un tempo gli estinse. Indi la bocca 400
Aprì de l' antro, e la frodata preda,
E del suo frodatore il sozzo corpo
Fuor per un pié ne trasse, a cui dintorno
Corser le genti a meraviglia, ingorde
Di veder gli occhi biechi, il volto atroce, 405
L'ispido petto, e l'ammorzato foco.
Da indi in qua questo di santo ogni auno
Da’ nostri è lietamente celebrato,
E ne sono 1 Potizii i primi autori,
E i Pinarii ministri. Allor quest' ara, 410
Che massima si disse, e che mai sempre |
Massima ne sarà, fu consecrata
In questo bosco. Or via dunque, figliuoli,
Elisos oculos, et siccum sanguine guttur.
Panditur extemplo foribus domus atra revulsis:
Abstractaeque boves, abiurataeque rapinae
Caelo ostenduntur: pedibusque informe cadaver
Protrahitur. Nequeunt expleri corda tuendo — 265
Terribiles oculos , vultum , villosaque saetis
Pectora semiferi , atque exstinctos faucibus ignes,
Ex illo celeb ratus honos , laetique minores
Servavere diem: primusque Potitius auctor ,
Et domus herculei custos Pinaria sacri. 270
* Hanc aram luco statuit, quae maxima semper *
* Dicetur nobis , et erit quae maxima semper. *
104 ENEIDE
Per celebrar tant onorata festa,
Co i rami in fronte e con le tazze in mano 415
Jl comun Dio chiamate, e lietamente
L' un con l’altro invitatevi, e beete.
Ciò detto, il divisato Erculeo pioppo
Tesséro altri in ghirlande , altri in festoni,
Altri i Mai ne piantaro. E di già pieno 410
Di sacrato liquore il gran catino,
Tutti a mensa gioiosi s' adagiaro,
E spargendo e beendo, a i santi numi
Porser preghiere e voti. Espero intanto
Era a l'occidental lito vicino 425
Già per tuffarsi, quando i sacerdoti
Un’ altra volta, e '| buon Potizio avanti
Con pelli indosso e con facelle in mano,
Com' é costume, a convivar tornaro,
E le seconde mense e l'are sante 430
Quare agite , o iuvenes, tantarum in munere laudum
Cingite fronde comas , et pocula porgite dextris ,
Communemque vocate Deum,et date vinavolentes. 275
Dixerat : herculea bicolor quum populus umbra
Velavitque comas , folüsque innexa pependit :
Et sacer implevit dextram scyphus. Ocius omnes
In mensam laeti libant, Divosque precantur .
Devexo interea propior fit vesper Olympo ; 280
Jamque sacerdotes , primusque Potitius , ibant ,
Pellibus in morem cincti , flammasque ferebant :
* Instaurant epulas , et mensae grata secundae *
-
LIBRO OTTAVO 105
Di grati doni e di gran piatti empiero.
I Salii intorno a i luminosi altari
Givano in tresca, e di populea fronde
Cingean le tempie. I vecchi da l'un coro
Le prodezze cantavano e le lodi | 439
Del grande Alcide. I giovani da l’altro
N'atteggiavano i fatti: come prima
Fanciul da la matrigna insidiato
I due serpenti strangolasse in culla;
Come al suolo adeguasse Ecalia e Troia, 440
Città famose; come superasse
Mill’ altre insuperabili fatiche
Sotto al duro tiranno, e contro a i fati -
De ! empia Dea. Tu sei, dicean cantando,
Invitto Iddio, che de le nubi i figli 445
Niléo e Folo uccidi; tu che ’1 mostro
Domi di Creta; tu che vinci il fiero
* Dona ferunt, cumulantque oneratis lancibus aras. *
Tum Salii ad cantus , incensa altaria circum 285
Populeis adsunt evincti tempora ramis.
Hic iuvenum chorus, ille senum, qui carmine laudes
Herculeas et facta ferunt : ut prima novercae
Monstra manu, geminosque premens eliserit angues:
Ut bello egregias idem disiecerit urbes , 290
T'roiamque OEchaliamque : ut duros mille labores
Rege sub Eurystheo , fatis Iunonis iniquae ,
Pertulerit. Tu nubigenas , invicte , bimembres ,
Hylaeumque Pholumque manu , tu cresia mactas
Eneide 7ol. LI 14
__
100 | ENEIDE
Neméo Leone; te gl' inferni laghi,
Te l'inferno custode ebbe in orrore
Ne l'orrendo suo stesso e diro speco, 490
Là 've tra ’l sangue e le corrose membra
Ha de la morta gente il suo covile.
Cosa non é si spaventosa al mondo,
Che te spaventi, non lo stesso armato
Incontr' al ciel Tiféo, né quel di Lerna 453
Con tanti e tanti capi orribil angue
Senza avviso ti vide o senza ardire.
A te, vera di Giove inclita prole,
Umilmente inehiniamo , a te del cielo
Nuovo aggiunto ornamento. E tu benigno 460
Mira 1 cor nostri e i sacrificii tuoi.
Cosi pregando e celebrando, in versi
Cantavan le sue prove. E sopra tutto
Dicean di Caco, e de la sua spelonca
E de'suoi fochi; e i boschi e i colli intorno 465
Prodigia , et vastum nemea sub rupe leonem. 295
Te stygii tremuere lacus, te ianitor Orci ,
' Ossa super recubans antro semesa cruento :
Nec te ullae facies, non terruit ipse Thyphoeus
Arduus , arma tenens , non te rationis egentem
Lernaeus turba capitum circumstetit anguis. 300
Salve , vera Iovis proles , decus addite Divis :
Et nos, et tua dexter adi pede sacra secundo.
Talia carminibus celebrant : super omnia Caci
Speluncam adiciunt , spirantemque ignibus ipsum.
LIBRO OTTAVO 107
Rispondean rintonando. Eran finiti
I sacrificii, quando il vecchio Evandro
Mosse per la cittade; e seco a pari
Da l'un de’ lati Enea, da l'altro il figlio
Avea, cui s' appoggiava; e ragionando 470
Di varie cose; agevolava il calle.
Enea, meravigliando , in ogni parte
Volgea le luci, desioso e lieto
Di veder quel paese; e di saperne
I siti, i luoghi e le memorie antiche. 475
Di che spiando, il primo fondatore
De la romana rócca in eotal guisa
A dir gli cominciò : Questi contorni
Eran pria selve; e gli abitanti loro
Eran qui nati, ed eran Fauni e Ninfe, 480
E genti che di roveri e di tronchi
Nate, nè di costumi, né di culto;
Consonat omne nemus strepitu, collesque resultant.
Exin se cuncti divinis rebus ad urbem
Perfectis referunt. Ibat rex obsitus aevo,
Et comitem /Enean iuxta , natumque tenebat
Ingrediens , varioque viam sermone levabat.
Miratur , facilesque oculos fert omnia circum 310
4Eneas , capiturque locis ; et singula laetus
Exquiritque auditque virim monumenta priorum:
Tum rex Evandrus romanae conditor arcis:
Haecnemoraindigenae Fauni, N ymphaequetenebant,
Gensque virém truncis et duro robore nata: — 313
108 ENEIDE
Né di tori accoppiar, né di por viti,
Né d'altr' arti o d'acquisto, o di risparmio
Avcan notizia o cura: e] vitto loro 485
Era di cacciagion, d'erbe e di pomi;
E la lor vita, aspra, innocente e pura.
Saturno il primo fu che in queste parti
Venne , dal ciel cacciato, e vi s' ascose.
E quelle rozze genti, che disperse 490
Eran per questi monti, insieme accolse,
E dié lor leggi; onde il paese poi
Da le latebre sue Lazio nomossi.
Dicon che sotto il suo placido impero
Con giustizia, con pace c con amore 495
Si visse.un secol d'oro, in fin che poscia
L'età, degenerando, a poco a poco
Si fe d'altro colore e d'altra lega.
Queis neque mos , neque cultus erat: nec iungere
tauros,
Aut componere opes norant , aut parcere parto:
Sed rami , atque asper victu venatus alebat.
Primus ab aetherio venit Saturnus Olympo ,
Arma Iovis fugiens, et regnis exsul ademtis. 320
| Ts genus indocile , ac dispersum montibus altis
| Composuit , legesque dedit , Latiumque vocari
Maluit , his quoniam latuisset tutus in oris :
Aurea quae perhibent , illo sub rege fuerunt
Saecula : sic placida populos in pace regebat. 325
Deterior donec paullatim ac decolor aetas,
LIBRO OTTAVO 109
Quinci di guerreggiar venne il furore,
L'ingordigia d'avere, e le' mischianze 500
De Y' altre genti. L assalir gli Ausoni ;
L' inondàr i Sicani; onde più volte
Questa, che pria Saturnia era nomata,
Ha con la signoria cangiato il nome,
E co’ signori. E quinci è che da Tebro ; 505
Che ne fu re terribile ed immane,
Tebro fu detto questo fiume ancora,
Ch' Albula si dicea ne'tempi antichi.
Ed ancor me de la mia patria in bando |
Dopo: molti perigli e molti affanni 510
Del mar sofferti, ha qui l’ onnipotente
Fortuna, e l'invincibil mio destino
Portato al fine; e qui posar mi féro
Gli oracoli tremendi e spaventosi
Di Carmenta mia madre, e Febo stesso 515
Che mia madre inspirava. E fin qui detto
Et belli rabies , et amor successit habendi.
Tum manus Ausonia , et gentes venere sicanae :
Saepius et nomen posuit saturnia tellus.
T'um reges , asperque immani corpore T'hybris, 330
A quo post Itali fluvium cognomine Thybrim
Diximus : amisit verum vetus Albula nomen.
Me pulsum patria , pelagique extrema sequentem
Fortuna omnipotens , et ineluctabile fatum
His posuere locis , matrisque egere tremenda 335
Carmentis Nymphae monita, et Deus auctor Apollo.
110 EREIDE
Si spiuse avanti; e quell'ara mostrógli;
E quella porta, che fu poi di Roma
Carmental detta, onore e ricordanza
De la Ninfa indovina, ch'anzi a tutti 520
Del Pallantèo predisse, e de' Romani
La futura grandezza. Indi seguendo
Un gran bosco gli mostra; ove l’ Asilo
Romolo contraffece; e'1 Lupercale ,
Che quale era in Arcadia a Pan Liceo, 525
Sotto una fredda rupe era dicato.
Poscia de Y Argileto gli dimostra
La sacra selva; e d’Argo ospite il caso
Gli conta, e se ne purga e se ne scusa.
A la Tarpeia Rupe, al Campidoglio 530
Poseia l'addusse; al Campidoglio or d'oro ,
Vix ea dicta: dehinc progressus monstrat et aram ,
Et carmentalem romano nomine portam,
Quam memorant nymphae priscum Carmentis hono-
rem, ^ 0
Vatis fatidicae , cecinit quae prima futuros — 34o
4Eneadas magnos et nobile Pullanteum.
Hinc lucum ingentem, quem Romulus. acer Asylum
Rettulit ; et gelida monstrat sub rupe Lupercal,
Parrhasio dictum Panos de more lycaei. ©
Necnon et sacri monstrat nemus' Argileti , 345
Testaturgue locum , et letum docet hospitis Argi.
Hinc ad tarpeiam sedem , et Capitolia ducit,
" Aurea nunc, olim silvestribus horrida dumis.
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LIBRO OTTAVO III
Che di spini in quel tempo era coverto,
Un ermo colle da i vicini agresti
Per la religion del loco stesso
Insino allor temuto e riverito ; 535
Ch'a veder sol quel sasso e quella selva
Si paventava. E qui soggiunse Evandro:
In questo bosco, e là've questo monte
È più frondoso, un Dio, non si sa quale,
Ma certo abita un Dio. Queste mie genti —540
D'Arcadia han ferma fede aver veduto
Qui Giove stesso balenar sovente;
E far di nembi accolta. Oltre a ciò vedi
Qui su quelle ruine e quei vestigi
Di quei due cerchi antichi. Una di queste 545 -
Città fondò Saturno, e l' altra Giano,
Che Saturnia, e Gianicolo fur dette.
In cotal guisa ragionando Evandro,
lam tuin relligio pavidos terrebat agrestes
Dira loci : iam tum silvam saxumque tremebant.
Hoc nemus , hunc , inquit, frondoso vertice collem ,
(Quis Deus incertum est) habitat Deus: Arcades ipsum
Credunt se vidisse lovem , quum saepe nigrantem
/Egida concuteret dextra, nimbosque cieret.
Haec duo praeterea disiectis oppida muris, 355
Relliquias, veterumque vides monumenta virorum.
Hanc lanus pater, kanc Saturnus condidit arcem;
Janiculum huic, illi fuerat Saturnia nomen.
Talibus inter se dictis ad tecta subibant
112 ENEIDE
Se ne gian verso il suo picciolo ostello.
E ne l'andar, là^v' or di Roma è il Foro, 550
Ov'é quella più florida contrada
De le Carine, ad ogni passo intorno
Udian greggi belar, mugghiare armenti.
Giunti che furo: In questo umile albergo
Alloggió , disse , il vincitore Alcide. 959
Questa fu la sua reggia. E tu v'alloggia.
E tu’l gradisci, e le delizie e gli agi
Spregiando , imita in ciò Tirinzio e Dio,
E del tugurio mio meco t'appaga.
Cosi dicendo, il grand'ospite accolse 5 6o
Ne l'angusta magione; e collocollo |
Là dove era di frondi e d'irta pelle -
Di libic' orsa attapezzato un seggio.
Venne la notte, e le fosc' ali stese
Avea di già sovra la terra, quando 565
Pauperis Evandri, passimque armenta videbant, 360
Romanoque foro, et lautis mugire Carinis.
' Ut ventum ad sedes, Haec, inquit, limina victor
"Mlcides subiit: haec illum regia cepit.
"lude, hospes, contemnere opes, et te quoque dignum
Finge Deo, rebusque veni non asper egenis. —— 365
Dixit, et angusti subter fastigia tecti
Ingentem /Enean duxit, stratisque locavit
Effultum foliis, et pelle libystidis ursae.
Nox.ruit, et fuscis tellurem amplectitur alis.
At Venus haud animo nequidquam exterrita mater, 370
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LIBRO OTTAVO . 113
Venere come madre, e non in vano
Del suo figlio gelosa , il gran tumulto
Veggendo e le minacce de’ Laurenti,
Con Vulcan suo marito si ristrinse
Con gran dolcezza; e nel suo letto d’oro, 570
Amor spirando, in tal guisa gli ‘disse:
Caro consorte, infinchè i regi argivi
Furo a’ danni di Troia, che per Fato
Cader dovea, nullo da te soccorso
Volli, o da l’arte tua; né ti richiesi 573
D'armi allor, né di macchine, né d'altro
Per iscampo de' miseri Troiani.
Le man, l'ingegno tuo , le tue fatiche
Oprar non volli indarno, ancor che molto
Con Priamo e co' figli obbligo avessi , 580
E molto mi premesse il duro affanno
D'Enea mio figlio. Qr per imperio espresso
Laurentumque minis, et duro mota tumultu,
Fulcanumalloquitur,thalamoquehaecconiugis aureo
Incipit, et dictis divinum adspirat amorem:
Dum bello argolici vastabant Pergama reges
Debita, casurasque inimicis ignibus arces; 379
Non ullum auxilium miseris, non arma rogavi
Artis opisque tuae: nec te, carissime coniux,
Incassumve tuos volui exercere labores:
Quamvis et Priami deberem plurima natis,
Et durum /Eneae flevissem saepe laborem. 380
Nunc Jovis imperio Rutulorum consütit oris.
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118 ENEIDE
Del grand’ Enea. Stavan ne l’ antro allora
Sterope e Bronte e. Piracmone ignudi
A. rinfrescar l’ aspre saette a Giove. 65
Ed una allor n’ avean parte polita,
Parte abbozzata, con tre raggi attorti
Di grandinoso nembo, tre di nube
Pregna di pioggia, tre d' acceso foco,
E tre di vento ‘impetuoso e fiero. | 660
I tuoni v' aggiungevano ei baleni,
E di fiamme e di furia e di spavento
Un cotal misto. Altrove erano intorno
Di Marte al carro, e le veloci ruote -
Áccozzavano insieme, ond' egli armato 665
Le genti e le città scuote e commove.
Lo scudo, la corazza e l'elmo e l’ asta
Avean da l'altra parte incominciati
tl
Ferrum exercebant vasto Cyclopes in antro,
Brontesque Steropesque et nudus membra Pyracmon.
His informatum manibus iam parte polita
F'ulmen erat; toto genitor quae plurima coelo
Deticit in terras, pars imperfecta manebat.
T'res imbris torti radios, tres nubis aquosae
Addiderant, rutili tres ignis, et alitis Austri. 430
Fulgores nunc horrificos, sonitumque metumque
Miscebant operi, flammisque sequacibus iras.
Parte alia Marti currumque rotasque volucres
Instabant; quibus ille viros, quibus excitat urbes:
"Egidaque horriferam, turbatae Palladis arma, 435
LIBRO OTTAYO NU (119
De l’ armigera Palla, e di commesso
La fregiavano a gara. Erano i fregi \ 670
Nel petto de la Dea gruppi di serpi
Che d'oro avean le scaglie, e cento intrichi
Facean guizzando di Medusa intorno
Al fiero teschio, che così com’ era
Disanimato e tronco, lè sue luci 675
Volgea dintorno minacciose e torve.
Tosto che giunse, Via, disse a’ Ciclopi,
Sgombratevi davanti ogni lavoro, -
E qui meco a guarnir d’ arme attendete
Un gran campione. E s’ unqua fu mestiero 680
D'arte, di sperienza e di prestezza,
È questa volta. Or v'accingete a l’ opra
Senz altro indugio. E fu ciò detto a pena,
Che divise le veci e 1 magisteri,
A fondere, a bollire, a martellare 685
Chi qua chi là si diede. Il bronzo e l' oro
Certatim squamis serpentum auroque polibant;
Connexosque angues , ipsamque in pectore Divae
Gorgona , desecto vertentem lumina collo.
Tollite cuncta , inquit , coeptosque auferte labores
Atnaei Cyclopes , et huc advertite mentem. 440
. Arma acri facienda viro. Nunc viribus usus,
Nunc manibus rapidis , omni nunc arte magistra:
Praecipitate moras. Nec plura effatus : et illi
Ocius incubuere omnes, pariterque laborem
Sortiti : fluit aes rivis , aurique metallum : 449
120 ENKIDE
Corrono a rivi: 8° ammassiccia il ferro,
Si raffina l' acciaio; e tempre e leghe
In più guise si fan d’ogni metallo.
Di sette falde in sette doppi unite
Ricotte al foco e ribattute e salde
Si forma un saldo e smisurato scudo,
Da poter solo incontro a l'armi tutte
Star de' Latini. Il fremito del vento
Che spira da’ gran mantici, e le strida 693
Che ne’ laghi attuffati, e su l’ incudi
Battuti fanno i ferri, in un sol tuono
Ne l' antro uniti, di tenore in guisa
Corrispondono a’ colpi de’ Ciclopi ,
Ch’ al moto de le braccia or alte or basse
Con le tanaglie e co’ martelli, a tempo
Fan concerto, armonia, numero e metro.
Mentre in Eolia era a quest opra intento
Di Lenno il padre, ecco, sorgendo il sole, :
Vulnificusque chalybs vasta fornace liquescit.
Ingentem clypeum informant, unum omnia contra
T'ela Latinorum ; septenosque arbibus orbes
Impediunt. Alii ventosis follibus auras
Accipiunt redduntque: alii stridentia tingunt 450
ra lacu. Gemit impositis incudibus antrum.
Illi inter sese multa vi brachia tollunt
In numerum, versantque tenaci forcipe massam.
Haec pater aeoliis properat dum lemnius oris :
Evandrum ex humili tecto lux suscitat alma, 453
LIBRO OTTAVO 121
Surse al cantar dei mattutini augelli 705
Il vecchio Evandro; e fuori uscfo vestito
Di giubba con le guiggie a' piedi avvolte,
Com'è tirrena usanza. Avea dal destro
Omero a la Tegèa nel manco Jato
Una sua greca scimitarra appesa. 710
Avea da la sinistra di pantera
Una picchiata pelle, che d’un tergo
Gli sì volgea su l’altro; e da la ròcca
Scendendo, gli venian due cani avanti,
Come custodi, i suoi passi osservando. 715
In questa guisa il generoso eroe,
Come quei che tenea memoria e cura
Di compir quanto avea la sera avanti
Ragionato e promesso, a le secrete
Stanze del padre Enea si ricondusse.
Enea da l'altra parte assai per tempo
S'era levato; e solo in compagnia
720
Et matutini volucrum sub culmine cantus.
Consurgit senior , tunicaque inducitur artus ,
+ Et tyrrhena pedum circumdat vincula plantis .
T'um lateri atque humeris tegeaeum subligat ensem,
Demissa ab laeva pantherae terga retorquens. 460
Necnon et gemini custodes limine ab alto
Praecedunt , gressumque canes comitantur herilem.
Hospitis /Eneae sedem et secreta petebat ,
Sermonum memor , et promissi muneris heros.
Nec minus ./Eneas se matutinus agebat; 465
Eneide Zol. II 16
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assisi, i... 725
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LIBRO OTTAVO 123
. Ti porge amica e non pensata sorte.
E non lunge di qui, su questi monti 740
D' Etruria, una famosa e nobil. terra
Ch'é sopra un sasso anticamente estrutta.
Agillina si dice, ove lor seggio
Posero (é già gran tempo) i bellicosi
E chiari Lidu; e floridi e felici 745
Vi fur gran tempo ancora. Or sotto il giogo
Son di Mezenzio capitati al fine.
À che di lui contar le scelleranze ?
A che la ferità? Dio le riservi
Per suo castigo e de’ seguaci suoi. 750
Questo crudele insino a’ corpi morti
Mescolava co’ vivi (odi tormento)
Che giunte mani a mani, e bocca a bocca,
In così miserando abbracciamento
Gli facea di putredine e di lezzo 7535
Haud procul hinc saxo incolitur fundata vetusto
Urbis agyllinae sedes: ubi lydia quondam
Gens, bello praeclara , iugis insedit etruscis. 480
Hanc multos florentem annos rex deinde superbo
Imperio , et saevis tenuit Mezentius armis.
Quid memorem infandas caedes? quid facta tyranni
Effera ? Dí capiti ipsius , generique reservent.
Mortua quin etiam iungebat corpora vivis , 485
Componens manibusque manus , atque oribus ora ,
T'ormenti genus , et sanie taboque fluentes
Complexu in misero longa sic morte necabat.
124 - ENEIDE
Vivi di lunga morte al fin morire.
I cittadini afflitti e disperati,
E fatti per paura al fin securi,
Tesero insidie a lui, fecero strage
De’ suoi, posero assedio, avventàr foco 760
A. le sue case. Ei de le mani uscito
De gli uccisori, ebbe rifugio a Turno
Ch'or l'accoglie e ’l difende. Onde commossa
E per giusta cagione in furia volta
L’ Etruria tutta incontro al suo tiranno 765
Grida che muoia, e già con l'armi in mano
A. morte lo persegue. A questa gente
Di molte mila condottiero e capo
Aggiungerotti. E già d'armate navi
Son pieni i liti: ognun freme, ognun chiede 770
Che si spieghin l'insegne. Un vecchio solo
Aruspice e'ndovino è, che sospesi
Gli tiene infino a qui: Gente meonia,
Ai fessi tandem cives infanda furentem
Armati circumsistunt , ipsumque domumque: 490
Obtruncant socios, ignem ad fastigia iactant.
Ille inter caedes Rutulorum elapsus in agros
Confugere , et Turni defendier hospitis arinis.
Ergo omnis furiis surrexit Etruria iustis:
Regem ad supplicium praesenti Marte reposcunt.
His ego te, Ainea, ductorem millibus addam:
Toto namque fremunt condensae litore puppes,
Signaque ferre iubent: retinet longaevus haruspex
LIBRO OTTAVO | 125
Dicendo, fior di gente antica e nobile,
Benchè giusto dolor contro a Mezenzio, 779
E degn'ira v'incenda, incontro a Lazio
Non movete voi già; ch'a nessun Italo
Domar d'Italia una tal gente è lecito,
S' esterno duce a tant’ uopo non prendesi.
Cosi parato, e per timor confuso 780
Del vaticinio stassi il campo etrusco ;
E già Tarconte stesso a questa impresa
M'invita, e già mandato a presentarmi
Ha la sedia e lo scettro e l' altre insegne
Del tosco regno, perch'io re ne sia, 795
Ed a l'oste ne vada. Ma la tarda
E fredda mia vecchiezza, e le mie forze
Debili, smunte e diseguali al peso
Fan ch'io rifiuti. Esorterei Pallante
Mio figlio a questo impero, se non fosse ^ 790
Fata canens: O Maeoniae delecta iuventus,
Flos veterum virtusque virüm, quos iustus in hostem
Fert dolor , et merita accendit Mezentius ira:
Nulli fas Italo tantam subiungere gentem:
Externos optate duces. T'um etrusca resedit
Hoc acies campo, monitis exterrita Divum.
Ipse oratores ad me, regnique coronam 505
.Cum sceptro misit , mandatque insignia Tarcho,
Succedam castris, tyrrhenaque regna capessam.
Sed mihi tarda gelu , saeclisque effoeta senectus
Invidet imperium , seraeque ad fortia vires.
126 ENEIDE
Che nato di Sabella, Italo anch'egli
È per materna razza. Or questo incarco
Da gli anni, da la gente, dal destino,
Dal tuo stesso valore a te si deve.
E tu il prendi, Signor, ch'abile e forte ^ 795
Sei più d'ogni Troian, d'ogni Latino
A sostenerlo. Ed io, Pallante mio,
La mia speranza e'] mio sommo conforto
Manderò teco; che ’1 mestier de l' arme,
Che le fatiche del gravoso Marte 800
Ne la tua scuola a tollerare impari:
E te da'suoi prim'anni, e i gesti tuoi
Meravigliando ad imitar s'avvezzi.
Dugento cavalieri, il nervo e ’l fiore
De' miei d' Arcadia, spedirò con lui, 805
E dugento altri il mio Pallante stesso
In suo nome daratti. Avea ciò detto
Natum exhortarer ni mixtus matre sabella 510
Hinc partem patriae traheret. Tu, cuius et annis,
Et generi fata indulgent, quem numina poscunt,
Ingredere, o Teucrüm atque Jtalüm fortissime du-
ctor.
Hunc tibi praeterea , spes et solatia nostri,
Pallanta adiungam : sub te tolerare magistro 515
Militiam , et grave Martis opus , tua cernere facta
Assuescat , primis et te miretur ab annis.
" Arcades huic equites bis centum , robora pubis
Lecta , dabo ; totidemque suo tibi nomine Pallas.
LIBRO OTTAVO 127
Evandro a pena , che d' Anchise il figlio
E ’l fido Acate ster co’ volti a terra ,
Chinati. E da pensier gravi e molesti 810
Fóran oppressi, se dal ciel sereno
La madre Citerea segno non dava,
Siccome diè. Che tal per !' aria un lume
Vibrossi d'improvviso e con tal suono,
Che parve di repente il mondo tutto 815
Come scoppiando e ruinando ardesse;
Ed in un tempo di tirrene tube
Squillar ne l'aura alto concento udissi.
Alzaron gli occhi; e la seconda volta,
E la terza iterar sentiro il tuono; 820
E vider la ’ve il cielo. era più scarco
E più tranquillo, una dorata nube,
E d'armi un nembo, che tra lor percosse
Scintillando facean fremiti e lampi.
Fix ea fatus erat; defixique ora tenebant 520
4Eneas anchisiades, et fidus Achates,
Multaque dura suo tristi cum corde putabant:
Ni signum caelo Cytherea dedisset aperto.
Namque improviso vibratus ab aethere fulgor
Cum sonitu venit, et ruere omnia visa repente, 525
Tyrrhenusque tubae mugire per aethera clangor.
Suspiciunt: iterum atque iterum fragor increpat
ingens.
Arma inter nubem, caeli in regione serena
Per sudum rutilare vident, et pulsa tonare.
128 YNFE!DE
ci
Stupiron gli altri. Ma il Troiano eroe 8
Che il cenno riconobbe e la promessa
De la diva sua madre. Ospite, disse,
Di saver non ti caglia quel ch’ importi
Questo prodigio; basta ch’ ammonito
Son io dal cielo, e questo é’l segno, e'] tempo 830
Che la mia genitrice mi predisse;
Che quandunque di guerra incontro avessi ,
Allora ella dal ciel presta sarebbe
Con l’ armi di Vulcano a darmi aita.
Oh quanta di voi strage mi prometto, 835
Infelici Laurenti? e qual castigo,
Turno, da me n'avrai! quant armi, quanti
Corpi volgere al mar, Tebro, ti veggio!
Via, patto e guerra mi si rompa omai.
Cosi detto, dal soglio alto levossi: 8ío
Obstupuere animis alii: sed troius heros 930
Agnovit sonitum, et divae promissa parentis.
J'um memorat: Ne vero, hospes, ne quaere profecto,
Quem casum portenta ferant: ego poscor Olympo.
Jloc signum cecinit missuram diva creatrix,
Si bellum ingrueret, vulcaniaque arma per auras
Laturam auxilio.
Heu quantae miseris caedes Laurentibus instant!
Quaspoenas mihi , Turne ,dabislquammulta sub undas
Scuta virum, galeasque et fortia corpora volves,
T'hybri pater! poscant acies,et foedera rumpant.540
IIaec ubi dicta dedit, solio se tollit ab alto,
LIBRO OTTAVO 129
E con Evandro e co’ suoi Teucri in prima
D' Ercole visitando i santi altari,
Il sopito carbon del giorno avanti
Lieto desta e raccende: i Lari inchina ;
I pargoletti suoi Penati adora, 845
E di più scelte agnelle il sangue offrisce.
Indi torna a le navi, e de’ compagni
Fatte due parti, la più forte elegge
Per seco addurre a preparar la guerra;
L'altra a seconda per lo fiume invia, 850
Che pianamente e senz'alcun contrasto
Si rivolga ad Ascanio, e dia novelle
De le cose e del padre. A quei che seco
In Etruria adducea, tosto provisti
Furo i cavalli. A lui venne in disparte 855
Da tutti gli altri un palafreno eletto
Di pelle di leon tutto coverto
Et primum herculeis sopitas ignibus aras
Excitat: hesternumque Larem, parvosque Penates
Laetus adit: mactant lectas de more bidentes
Evandrus pariter, pariter troiana iuventus. 545
Post hinc ad naves graditur, sociosque revisit:
Quorum de numero, qui sese in bella sequantur,
Praestantes virtute legit: pars caetera prona
Fertur aqua, segnisque secundo defluit amni,
Nuntia ventura Ascanio rerumque patrisque. 550
Dantur equi Teucris tyrrhena petentibus arva:
Ducunt exsortem /Eneae, quem fulva leonis
Eneide Vol. Il 17
130 ENEIDE
Che i velli avea di seta e l’ugna d'oro.
Per la piccola terra in un momento
Si sparge il grido ch’a i tirreni liti 860
Ne va lo stuol de’ cavalieri in fretta.
Le madri paventose a i tempii intorno
Rinovellano i voti; e già per tema
Più vicino il periglio, e più l’ aspetto |
Sembra di Marte atroce. Evandro il figlio 865
Nel dipartir teneramente abbraccia ;
Né divelto da lui nè sazio ancora
Di lagrimar gli dice: O se da Giove
Mi fosse, figlio, di tornar concesso
Ora in quegli anni e'n quelle forze, ond'io 870
Sotto Preneste il primo incontro fei
Co' miei nemici, e vincitore i monti
Arsi de'scudi; allor ch'Erilo stesso,
Lo stesso re con queste mani ancisi,
Pellis obit totum, praefulgens unguibus aureis.
Fama volat parvam subito vulgata per urbem,
Ocius ire equites tyrrheni ad limina regis. 555.
Vota metu duplicant matres, propiusque periclo
It timor, et maior Martis iam apparet imago.
Tum pater Evandrus dextram complexus euntis
Haeret, inexpletum lacrymans, ac talia fatur:
O mihi praeteritos referat si Iuppiter annos! — 560
Qualis eram, quum primam aciem Praeneste sub ipsa
Stravi, scutorumque incendi victor acervos;
Et regem hac Herilum dextra sub Tartara misi, .
LIBRO OTTAVO idr
A cui nascendo avea Feronia madre 8-5
Date tre vite e tre corpi, e tre volte
(Meraviglia a contarlo! ) era mestiero
Combatterlo e domarlo; ed io tre volte
Lo combattei, lo vinsi, e lo spogliai
D'armi e di vita; se tal, dico, io fossi, 880
Mai non sarei da te, figlio, diviso;
Mai non fóra Mezenzio oso d'opporsi
À questa barba; né per tal vicino
Vedova resterebbe or la mia terra
Di tanti cittadimi. O Dii superni, 885
O de'superni Dii nume maggiore,
Pietà d'un re servo e devoto a voi,
E d'un padre che padre é sol d'un figlio
Unicamente amato. E se da’ Fati,
Se da voi m'è Pallante preservato, 890
Nascenti cui tres animas Feronia mater,
Horrendum dictu, dederat, terna arma movenda; 565
Ter leto sternendus erat: cui tunc tamen, omnes
Abstulit haec animas dextra, et totidem exsuit armis.
Non ego nunc dulci amplexu divellerer usquam,
. Nate, tuo; neque finitimus Mezentius usquam,
Huic capiti insultans, tot ferro saeva dedisset — 570
Funera, tam multis viduasset civibus urbem.
At vos, o Superi, et Divim tu maxime rector,
luppiter, arcadii, quaeso, miserescite regis,
Et patrias audite preces: si numina vestra
Incolumem Pallanta mihi, si fata reservant; — 573
132 ENEIDE
E s'io vivo or per rivederlo mai,
Questa mia vita preservate ancora
Con quanti unqua soffrir potessi affanni.
Ma se Fortuna ad infortunio il tragge,
Ch'io dir non oso, or or, prego, rompete 895
Questa misera vita, or ch'é la tema,
Or ch'è la speme del futuro incerta;
E che te, figlio mio, mio sol diletto
E da me desiato in braccio io tengo,
Anzi ch'altra novella me ne venga
Che ’1 cor pria che gli orecchi mi percuota.
Così ’1 padre ne l'ultima partita
Disse al suo figlio; e da l' ambascia vinto
Fu da’ sergenti riportato a braccio.
A la campagna i cavalieri intanto
Erano usciti. Enea col fido Acate,
E co suoi primi era nel primo stuolo.
Si visurus eum vivo, et venturus in unum;
F'itam oro: patiar quemvis durare laborem.
Sin aliquem infandum casum, fortuna, minaris,
900
905
Nunc, o nunc liceat crudelem abrumpere vitam,
Dum curae ambiguae, dum spes incerta futuri, 580
Dum te, care puer, mea sera et sola voluptas,
Complexu teneo: gravior ne nuntius aures
Vulneret. Haec genitor digressu dicta supremo
Fundebat: famuli collapsum in tecta ferebant.
lamque adeo exierat portis equitatus apertis:
4Eneas inter primos et fidus Achates:
585
LIBRO OTTAVO 133
Pallante in mezzo risplendea ne l armi
Commesse d'oro, risplendea ne l'ostro
Che l'arme avean per sopravvesta intorno; 9to
Ma via più risplendea ne suoi sembianti
Ch' eran di fiero e di leggiadro insieme.
Tale é quando Lucifero, il pià caro
Lume di Citerea, da l'Oceàno |
Quasi da l'onde riforbito estolle 915
ll sacro volto, e l'aura fosca inalba.
Stan le timide madri in su le mura
Pallide attentamente rimirando
Quanto puon lunge il polveroso nembo
De l' armate caterve; e i lustri e i lampi 920
Che facean l'armi, tra i virgulti e i duni
Lungo le vie. Va per la schiera il grido
. Che si cavalchi: e lo squadron già mosso
Al calpitar de la ferrata torma
Fa'l campo risonar tremante e trito. | 925
Inde alii Troiae proceres: ipse agmine Pallas
In medio, chlamyde et pictis conspectus in armis.
Qualis, ubi Oceani perfusus Lucifer unda, .
Quem Venus ante alios astrorum diligit ignes, 590
Extulit os sacrum caelo, tenebrasque resolvit.
Stant pavidae in muris matres, oculisque sequuntur
Pulveream nubem, et fulgentes aere catervas.
Olli per dumos, qua proxima meta viarum,
Armati tendunt. It clamor, et agmine facto 595
Quadrupedante putrem sonitu quaiitungula campum.
r3
f
) gelato
9 antico e grande
am colli
SEE molto
.che i Pelasgi, 930
Sas ( e
Les ON
LU. a Rs cam bise de gli armenti,
EVA LEAL con solenne
ne 609 B 100 71. giorno.
St XS iSiarTarconte 935
| D [oi del campo
«iaia PezAn alto colle
SieygseSo primi suoi
Goo
"n Tyrrheni tuta tenebant
5 de colle videri
SAartendebat in arvis. 605
= pio lecta iuventus
LIBRO OTTAVO 135
Sovr’ un etereo nembo apparsa intanto
Con l'armi di Vulcano; e visto il figlio
Cl’ oltre al gelido rio per erma valle
Sen gia da gli altri solitario e scevro, 949
Apertamente gli s'offerse , e disse:
Eccoti |] don che da me, figlio, attendi
Di man del mio consorte. Or fancamente
Gli orgogliosi Laurenti e’l fiero Turno
Sfida a battaglia, e gli combatti e vinci. —— 95o
E, ciò detto, l' abbraccia. Indi gli addita
D'armi quasi un trofeo, ch'appo una quercia
Dianzi da lei deposte, incontro a gli occhi
Facean barbaglio, e’ncontro al Sol più Soli.
D'un tanto dono Enea, d'un tal onore 922
Lieto, e non sazio di vederlo, il mira,
L'ammira el tratta. Or l'elmo in man si prende
E l’orribil cimier contempla e '1 foco
Dona ferens aderat: natumque in valle reducta
Ut procul e gelido secretum, flumine vidit: 610
Talibus affata est dictis, seque obtulit ultro:
En, perfecta mei promissa coniugis arte
Munera ; ne mox aut Laurentes , nate , superbos ,
Aut acrem dubites in praelia poscere Turnum.
Dixit, et amplexus nati Cytherea petivit: 615
Arma sub adversa posuit radiantia quercu.
Ille, Deae donis et tanto laetus honore ,
Expleri nequit , atque oculos per singula volvit :
Miraturque , interque manus et brachia versat
130 ENEIDE
Che d'ogni parte avventa: or vibra il brando
Fatale; or ponsi la corazza avanti g6a
Di fino acciaio e di gravoso pondo,
Che di sanguigna luce e di colori
Diversamente accesi era splendente:
Qual sembra di lontan cerulea nube
Arder col sole e variar col moto. . 965
Brandisce l' asta; gli stinier vagheggia
Nitidi e lievi, che fregiati e fusi
Son di fin oro e di forbito elettro.
Maravigliando al fin sopra lo scudo
Si ferma, e l'indicibile artificio, 970
Ond'era intesto , l'argomento esplora.
In questo di commesso e di rilievo
Avea fatto de’ fochi il gran Maestro
( Come de’ vaticinii e del futuro
Presago anch'egli) con mirabil arte 979
Le battaglie, i trionfi e i fatti egregi
D' Italia, de' Romani e de la stirpe
Terribilem cristis galeam, flammasque vomentem,
Fatiferumque ensem, loricam ex aere rigentem ,
Sanguineam, ingentem; qualis , quum caerula nubes
Solis inardescit radüs , longeque refulget.
{um laeves ocreas electro auroque recocto ,
Hastamque , et clypei. non enarrabile textum. 625
Illic res italas , Romanorumque triumphos ,
Haud vatum ignarus , venturique inscius aevi ,
F'ecerat ignipotens : illic genus omne futurae
|
LIBRO OTTAVO 137
Che poi scese da lui. Dal figlio Ascanio
Incominciando, i discendenti tutti
E le guerre che fér di mano in mano. 980
V'avea del Tebro in su la verde riva
Finta la marzial nudrice Lupa
In un antro accosciata, e i due gemelli
Che da le poppe di sì fiera madre.
Lascivetti pendean, senza paura 985
Seco scherzando. Ed ella umile e blanda
Stava col collo in giro, or l'uno or l’altro
Con la lingua forbendo e con la coda.
V'era poco lontan Roma novella
Con una pompa, e con un circo avanti 990
Pien di tumulto, ov'era un'insolente
Rapina di donzelle, un darsi a l’ arme
Infra Romolo e Tazio, e Roma e Curi.
E poscia infra gli stessi regi armati
Stirpis ab Ascanio , pugnataque in ordine bella.
Fecerat et viridi foetam Mavortis in antro 630
Procubuisse lupam ; geminos huic ubera circum
Ludere pendentes pueros , et lambere matrem
Impavidos ; illam tereti cervice reflexam
Mulcere alternos , et corpora fingere lingua .
Nec procul hinc Romam, et raptas sine more Sabinas
Consessu caveae, magnis Circensibus actis,
Addiderat , subitoque novum consurgere bellum
Romulidis , Tatioque seni , Curibusque severis.
Post ídem , inter se posito certamine , reges
Eneide 7^ol. II 18
138 ENEIDE
Di Giove anzi a l’altare un tener tazze 095
In vece d'armi in mano, un ferir d' ambe
Le parti un porco, e far connubii e pace.
Né di qui lunge, erano a quattro a quattro
Giunti a due carri otto destrier feroci,
Che qual Tullo imponea( stato non fossi 1000
Tu si mendace e traditore, Albano)
In due parti traean di Mezio il corpo;
E sì com'era tratto, i brani e] sangue
+ Ne mostravan le siepi, i carri e'] suolo.
V'era, oltre a ciò, Porsenna, il Tosco rege 1005
Ch’ imperiosamente da l’ esiglio
Rivocava i Tarquinii, e "n duro assedio
Ne tenea Roma, che del giogo schiva
S'avventava nel ferro. Avea nel volto
Scolpito questo re sdegno e minacce, 1010
E meraviglia, che sol Cocle osasse
Armati lovis ante aram , paterasque tenentes , 6G4o
Stabant , et caesa iungebant foedera porca .
Haud procul inde , citae Metium in diversa quadrigae
Distulerant , (at tu dictis , 4lbane , maneres!)
Raptabatque viri mendacis viscera Tullus
Per silvam , et sparsi rorabant sanguine vepres. 645
Necnon Tarquinium eiectum Porsenna iubebat
Accipere , ingentique urbem obsidione premebat :
Aneadae in ferrum pro libertate ruebant.
Jilum indignanti similem , similemque minanti
"4 dspiceres ; pontem auderet quod vellere Cocles ,
LIBRO OTTAVO 139
Tener il ponte; e Clelia, una donzella,
Varcar il Tebro, e scior la patria e lei.
In cima de lo scudo il Campidoglio
Era formato, e la Tarpeia rupe, 1015
E Manlio che del tempio e de la ròcca
Stava a difesa; e la romulea reggia
‘Che ’1 comignolo avea di stoppia ancora.
Tra portici dorati iva d' argento
. L'ali sbattendo e schiamazzando un’ oca 1020
Ch’ apria de’ Galli il periglioso agguato:
E i Galli per le macchie e per le balze
De l'erta ripa, da la buia notte
Difesi, quatti quatti erano in cima
Già de la ròcca ascesi. Avean le chiome, 1025
Avean le barbe d’oro: aveano i sai
Di lucid'ostri divisati a liste,
E d'ór monili a i bianchi colli avvolti.
Et fluvium vinclis innaret Cloelia ruptis.
In summo custos tarpeiae Manlius arcis
Stabat pro templo , et Capitolia celsa tenebat ,
* Romuleoque recens horrebat regia culmo . *
Atque hic auratis volitans argenteus anser 655
Porticibus Gallos in limine adesse canebat :
Galli per dumos aderant , arcemque tenebant ,
Defensi tenebris et dono noctis opacae .
Aurea caesaries ollis atque aurea vestis ;
F'irgatis lucent sagulis : tum lactea colla 660
duro innectuntur ; duo quisque alpina coruscant
140 ENEIDE
Di forti alpini dardi avea ciascuno
Da la destra una coppia, e ne’ pavesi 1030
Stavan co i corpi rannicchiati e chiusi. |
Quinci de’ Salii e de' Luperci ignudi,
E de’ greggi de’ Flamini scolpito
V' avea le tresche e i cantici e i tripudi,
Ed essi tutti o co 1 lor fiocchi in testa, 1035
O con gli ancili, o con le tibie in mano:
Cui le sacre carrette ivano appresso
Co i santi simolacri e con gli ‘arredi,
Che traean per le vie le madri in pompa.
E più lunge nel fondo era la bocca 1040
De la tartarea tomba, e del gran Dite
La reggia aperta: ov anco eran le pene
E i castighi de gli empi. E quivi appeso
Stavi tu, scellerato Catilina,
Sopra d’un ruinoso acuto scoglio 1045
A gli spaventi de le Furie esposto.
E scevri eran da questi i fortunati
Gaesa mani, , scutis protecti corpora longis.
Hic exsultantes Salios , nudosque Lupercos ,
Lanigerosque apices , et lapsa ancilia caelo
Extuderat : castae ducebant sacra per urbem 665
Pilentis matres in mollibus . Hinc procul adit
Tartareas etiam sedes , alta ostia Ditis;
Et scelerum poenas, et te, Catilina, minaci
Pendentem scopulo, Furiarumque ora trementem;
Secretosque pios; his dantem iura Catonem. —— 670
LIBRO OTTAVO 14t
Luoghi de’ buoni, a cui ' buon Cato è duce.
Gonfiava in mezzo una marina d'oro
Con la spuma d'argento, e con delfini 1050
D' argentino color, che con le code
Givan guizzando , e con le schiene in arco
Gli aurati flutti a loco a loco aprendo.
E i liti e'| mare e’l promontorio tutto.
Si vedea di Leucate a l’Azzia pugna 1059
Star preparati; e d'una parte Augusto
Sovra d'un'alta poppa aver d'intorno
Europa, Italia, Roma e i suoi Quiriti,
E "1 Senato e i Penati e i grandi Iddii.
Di tre stelle il suo volto era lucente. 1060
Due ne facea con gli occhi, ed una sempre
Del divo padre ne portava in fronte.
Ne l’altro corno Agrippa era con lui,
Haec inter tumidi late maris ibat imago
Aurea; sed fluctu spumabant caerula cano:
Et circum argento clari Delphines in orbem
di quora verrebant caudis, aestumque secabant.
In medio classes aeratas, actia bella 675
Cernere erat: totumque instructo Marte videres
Fervere Leucaten, auroque effulgere fluctus.
Hinc Augustus agens Italos in praelia Caesar
Cum patribus populoque, Penatibus et magnis Diis,
Stans celsa in puppi: geminas cui tempora flammas
Laeta vomunt, patriumque aperitur vertice sidus.
Parte alia ventis, et Diis Agrippa secundis
14a |^ ENEIDE
Del marittimo stuolo invitto duce,
Ch'altero, e ’l capo alteramente adorno — 1065
De la rostrata sua naval corona,
I venti e i numi avea fausti e secondi.
Da l'altra parte vincitore Antonio
Di vér l'aurora e di vér l'onde rubre
Barbari aiuti, esterne nazioni 1070
E diverse armi dal Cataio al Nilo
Tutto avea seco l'Oriente addotto:
E la zingara moglie era con lui,
Milizia infame. Ambe le parti mosse
Se ne gían per urtarsi, e d'ambe il mare 1075
Scisso da’ remi e da’ stridenti rostri
Lacero si vedea, spumoso e gonfio.
Prendean de l’alto i legni in tanta altezza
Che Cicladi con Cicladi divelte
Parean nel mar gir a incontrarsi o'n terra 1080
Arduus, agmen agens: cui belli insigne superbum,
Tempora navali fulgent rostrata corona.
Hinc ope barbarica, variisque Antonius armis, +685
^ Fictor ab Aurorae populis et litore rubro,
4Egyptum, viresque Orientis et ultima secum
Bactra vehit; sequiturque (nefas) aegyptia coniux
Una omnes ruere, ac totum spumare reductis
Convulsum remis, rostrisque stridentibus aequor. 690
Alta petunt: pelago credas innare revulsas
Cycladas, aut montes concurrere montibus altos:
T'anta mole viri turritis puppibus instant.
LIBRO OTTAVO 143
Monti con monti: di sì fatte moli
Avventavan le genti e foco e ferro,
Onde il mar tutto era sanguigno e roggio.
Stava qual Isi la regina in mezzo
Col patrio sistro, e co’ suoi cenni il moto 1085
. Dava a la pugna; e non vedea (meschina!)
Quai due colübri le venian da tergo.
L'abbaiatore Anubi e i mostri tutti,
Ch'eran suoi dii, contra Nettuno e contra
Venere e Palla armati eran con lei. 1090
E Marte in mezzo che nel campo d'oro
Di ferro era scolpito, or questi or quelli
À la zuffa infiammava: e l'empie Furie
Co' lor serpenti, la Discordia pazza
Col suo squarciato ammanto , con la sferza 1095
Di sangue tinta la crudel Bellona
Sgominavan le genti; e l' Azzio Apollo
Stuppea flamma manu, telisque volatile ferrum
Spargitur; arva nova neptunia caede rubescunt. 695
Regina in mediis patrio vocat agmina sistro: ©
Necdum etiam geminos a tergo respicit angues.
Omnigenumque Dem monstra, et latrator Anubis,
Contra Neptunum et Venerem, contraque Minervam .
Tela tenent. Saevit medio in certamine Mavors, 700
Caelatus ferro, tristesque ex aethere Dirae;
Et scissa gaudens vadit Discordia palla:
Quam cum sanguineo sequitur Bellona flagello.
Actius haec cernens arcum intendebat Apollo
144 ENEIDE
Saettava di sopra: a gli cui strali
L' Egitto e gl Indi e gli Arabi e i Sabei
Davan le spalle. E già chiamare i venti, 1100
Scioglier le funi, inalberar le vele
Si vedea la regina a fuggir volta.
Già del pallor de la futura morte,
Ond' era dal gran fabbro il volto aspersa,
In abbandono a l'onde, e de la Puglia 1105
Ne giva al vento. Avea d'incontro il Nilo
Un vasto corpo, che smarrito e mesto
A' vinti aperto il seno e steso il manto,
I latebrosi suoi ridotti offriva.
Cesare vera alfin, che trionfando 1110
Tre volte in Roma entrava ; e per trecento
Gran tempii a'nostri dii voti immortali
Si vedean consecrati. Eran le strade
Desuper: omnis eo terrore /Egyptus, et Indi, — 705
Omnis Arabs, omnes vertebant terga Sabaei.
Ipsa videbatur eentis regina vocatis
Vela dare, et laxos iam iamque immittere funes.
Illam inter caedes pallentem morte futura
l'ecerat ignipotens undis, et lapy ge ferri: 710
Contra autem magno moerentem corpore Nilum,
Pandentemque sinus, et tota veste vocantem
Caeruleum in gremium, latebrosaque flumina victos.
At Caesar, triplici invectus romana triumpho
Moenia, Diis italis, votum immortale sacrabat, 715
LIBRO OTTAVO 149
Piene tutte di plauso, di letizia,
E di feste e di giuochi. Ad ogni tempio 1115
Concorso di matrone , ad ogni altare
Vittime, incensi e fiori. Egli di Febo
. Anzi al delubro in maestade assiso
Riconoscea de' popoli i tributi,
E la candida soglia e le superbe © 1120
Sue porte ne fregiava. Iva la pompa
De le genti da lui domate intanto
Varie di gonne, d'idiomi e d' armi.
Qui di. Nomadi e d' Afri era una schiera
In abito discinta; ivi un dreppello 1123
Di Lelegi, di Cari e di Geloni
Con archi e strali. Infin da i liti estremi
n .Morini condotti erano al giogo
5105
E gl'indomiti Dai. Con meno orgoglio |
Giva l’ Eufrate: ambe le corna fiacche 1130
Maxima tercentum totam delubra per urbem.
Laetitia ludisque viae plausuque fremebant:
Omnibus in templis matrum chorus, omnibus arae:
Ante aras terram caesi stravere iuvenci.
Ipse, sedens niveo candentis limine Phoebi, 720
Dona recognoscit populorum, aptatque superbis
Postibus: incedunt victae longo ordine gentes,
Quam variae linguis, habitu t tam vestis: et armis.
Hic Nomadum genus, et discinctos Mulciber Afros ,
Hic Lelegas, Carasque, sagittiferosque Gelonos 729
Finxerat. Euphrates ibat iam mollior undis,
Eneide 77ol. H 19
146 ENEIDE
Portava il Reno: disdegnoso il ponte
Nel dorso si seotea l'armenio Arasse.
A tal, da tanta madre avuto dono,
E d'un tanto maestro, Enea mirando,
Benchè il velame del futuro occulte 1135
Gli tenesse le, cose, ardire e speme
‘Prese e gioia.a vederle; e de’ nepoti
La gloria e i. Pati agli omeri s'impose.
Extremique hominum Morini, Rhenusque bicornis;
* Indomitique Dahae, et: pontem indignatus Araxes.
Talia, per clypeum Vulcani; dona parentis,
Miratur, rerumque ignarus imagine gaudet; ‘730
Attollens humero famamque et fata nepotum.
Fine del Libro ottavo.
ILLUSTRAZIONI
AL LIBRO OTTAVO
—— T (Pla
PALLANTEUM (Monte Palatino. )
Veduta sud-est del monte Palatino in Roma. Il davanti
della scena rappresenta una parte della china del monte Aven-
tino. Il mezzo parte del famoso Circo Massimo, ove i giar-
dinieri coltivano attualmente i broccoli ed altri erbaggi. La
terminano nel fondo i ruderi ed i considerevoli avanzi del
palazzo imperiale, il più vasto cd il più celebre di Roma, nel
sito medesimo dove il favoloso Evandro d' Arcadia fondò, di-
cesì, la prima città sulla riva sinistra del Tevere, prima an-
cora che Enea giungesse nel Lazio, e per conseguenza quat-
tro secoli prima che Romolo edificasse Roma. In quegli avan-
zi alcuni antiquar) di Roma pretendono di riconoscere ancora
alcune parti della città d’oro di Nerone.
ANEID. L. VIH, Y. 94.
AVENTINUS (Monte Aventino )
Sul prospetto di questo disegno scorgesi per primo il Te-
vere, dove passando per Roma ha maggiore larghezza, e pre-
senta gradevoli vedute. Il punto di vista è preso al di sopra
dell'isola Tiberina (l’antica isola d'Esculapio ), e al Ponte
Quattro Capi. Vedesi a destra il Ponte-Rotto, fabbricato sul
luogo del celebre ed antico Ponte Sublicio che conduceva al
Gianicolo sulla riva etrusca. Mirasi a sinistra una parte delle
colonne della graziosa rotonda del tempio di Vesta, e sopra
di questo , vicinissimo al fiume, nell’ apertura di un arco, lo
sbocco della famosa Cloaca Massima; vedesi più lontano il
Monte Aventino ancor più celebre, il più meridionale dei set-
te o nove colli dell'antica Roma, sul quale scorgesi prima
-
la chiesa di Santa Sabina, piü lungi poi la chiesa ed il con-
vento Sant'Alessio, e sull'estrema punta del monte, scen-
dendo il fiume, vedesi il Priorato di Malta. La maggior parte
del rialto di tale montagna era già occupato dall'antico e
principal tempio di Diana a Roma. (*) Ponesi ordinariamente
l'antro di Caco nella parte opposta della montagna, al sud-est.
Il muro a sinistra che forma angolo con una torricella, se-
gna la costa di nord-ovest; volta verso il Circo Massimo cir-
conda qui una vigna appartenente ultimamente a Federico IV
duca di Sassonia Gota, e quindi al famoso incisore Gmelin.
ANEID. L. vin, v. 234.
CAPITOLIUM ( Campidoglio. )
Rappresenta questa veduta molta parte dell’ antico Foro Ro-
mano, chiamato oggi Campo Vaccino, con l'antico Campido-
glio, nella sua forma attuale. Alcuni meschini avanzi soltanto
sorgono sopra l'antico pavimento, o furono scoperti dalle ma-
cerie che giungono talvolta a venti piedi di altezza; accen-
nano essi la sede di una grandezza da molto tempo distrut-
ta, e di un'attività che faceva crollare l’ universo, Nel dinan-
zi s'innalzano tre colonne d'ordine corintio resto dell’edfi-
cio degli antichi Comizj. A destra in mezzo stassi quale
fantasima Y arco trionfale di Settimio Severo, la colonna
commemorativa dell' imperatore Foca, con due o tre altre co-
lonne del tempio di Giove Tonante, e gli avanzi del Tempio
della Concordia. Nel mezzo affatto vedesi il mal costrutto pa-
lazzo del senatore di Roma che nasconde l'antico Intermon-
tium. Aldi sopra dell'arco trionfale di Settimo Severo scorgesi
l’ antico Campidoglio , sul quale stanno presentemente la
chiesa ed il convento di Ara-Caeli. A traverso le colonne dei
Comizj vedonsi alcune miserabili costruzioni, le quali , non
adornano certo il dinanzi della rupe Tarpeja, laddove, secondo
(*) Dev’ essere la Diana Aventina , il di cui tempio fu fabbricato, e a tale
dea dedicato sotto Servio Tullio, a spesa comune dei Romani, e dei Latini co-
me pegno d' amicisia tra i due popoli.
la tradizione, prima di Evandro e di Enea brillava l' antica
Saturnia. © ENEID. L. vil, v. 347.
FORUM ROMANUM (Campo Vaccino.)
Le due precedenti vedute hanno mostrato il Forum Roma-
num dall' est verso l'ovest, e questa lo mostra in tutta la
sua estensione dall'ovest all'est, in vista del pendio del monte
Capitolino. Vedesi dunque a manca sul davanti una parte
dell’ arco trionfale di Settimio Severo, in seguito, dalla stessa
parte nel mezzo, il tempio di Faustina e della Pace: quindi
totalmente in fondo il Colosseo, o l'anfiteatro di Vespasiano.
A destra sul davanti, scorgonsì le tre colonne del Tempio
di Giove 'Tonante, e vicino ad esse le otto o dieci colonne
del tempio della Concordia; seguono poscia, dalla stessa par-
te nel mezzo, le tre colonne degli antichi Comizj, e sopra
a queste i ruderi delle sostruzioni del monte Palatino. In
mezzo alla piazza s innalza la colonna isolata, eretta in onore
dell’imperatore Foca di Bisanzio, e dietro questa in fondo ve-
desi ancora una parte dell’arco trionfale di Tito. L'insieme
della veduta di questo luogo memorabile, nello stato attua-
le, richiama pur troppo alla memoria il passo profetico di
Virgilio:..... Passimgue armenta videbant,
Romanorum Foro, et lautis mugire carinis.
Ciò che tradizioni mitologiche e finzioni poetiche dicevano
dei tempi del favoloso Evandro, si è letteralmente effettuato
a'tempi nostri. Là dove un tempo sfolgorava la romana elo-
quenza, rumina e mugge di presente il bue, ed è in tal mo-
do che il nome di Campo Vaccino sottentrò sulle labbra de'mo-
derni abitanti della città eterna al nome antico e riverito di
Foro Romano. ANEID. L. vir, v. 364.
FORUM ROMANUM (Campo Vaccino.)
Egualmente che l’ altra, mostra questa veduta sul davanti
il Campo Vaccino, e nel fondo il Campidoglio: dunque le
prefate due tavole presentano il lato orientale di esso celebre
colle. Ma l’ attuale veduta rappresenta il Foro ed il Campi-
doglio ipoteticamente ristaurati da Cockerell archittetto in-
glese, noto per aver ritrovato alcune statue notabili di Zeus
Panthellenios nell' isola di Egira. Sul davanti a destra vedesi
la via sacra che conduce da un’arco trionfale all’altro: in fon-
do a destra s'innalza il Campidoglio col tempio di Giove, a
sinistra la rupe Tarpea col tempio di Giunone-Moneta ec. Fra
queste due eminenze presentasi /Intermontium, con l'Asilo (*).
I templi del sole, della luna, della pace, di Romolo, di An-
tonino, di Faustina, di Saturno, di Giove Tonante, della Con-
cordia, della Terra, di Vesta ec. che noveravansi fra gli edi-
fiz] sacri i più insigni di Roma. —anmem.L. vm, v. 364.
CARINX (I Pantani.)
Veduta di una parte molto frequentata nel mezzo di Roma
antica la quale empieva le sue convalli fra i monti Celio,
Esquilino, Capitolino e Palatino, con esclusione del Foro, e
che, secondo la più probabile congettura degli antichi scritto-
ri, prese il suo nome di Carinae (sentina di vascello ) dalla
sua forma locale. Tale spazio era molto esteso, ed ai tempi
di Evandro, quando Enea lo visitò, secondo la descrizione di
Virgilio, non era altro che un pascolo dove a gara muggivano
ibuoi; ai tempi però d'Augusto formava uno dei quartieri più
magnifici della Città. Presentemente ha quasi ripreso intera-
mente lo stesso stato in cui era sotto Evandro. Veggonsi an-
cora alcune ruine delle mura di recinto del Forum Nervae,
che era contiguo alle Carinae. ENEID. L. viu, v. 364.
TARPEIA SEDES (Rupe Tarpea.)
Parte meridionale della celebre rupe Tarpea formata dalla
parte piü vicina al mare del monte Capitolino. L'elevazione
di questa rupe è anche in oggi di quasi 70 piedi al di sopra
del selciato della moderna via. É noto che i traditori della
patria erano precipitati dall'alto di tale rupe.
ENEID. L. vin, v. 347.
(*) Era questo un luogo sacro , che Romolo volle fosse considerato come un
asilo pei colpevoli,
. DELL’ ENEIDE
DI VIRGILIO
LIBRO NONO
= a
ARGOMENTO
Giunone istigg Turno. Bgli-4 Troiani
Rinchiusl assale, e le lor navi accende:
Nito ed Eurialo , per notturna strage,
E per rara amicizia illustri e conti, l
Cadono al fine , e Turno a’ suoi sen’ riede.
Mentre così da’ suoi scevro e lontano,
Enea fa d' armi e di sussidii acquisto,
Giuno di concitar la furia e l’ira
Di Turno unqua non resta. Erasi Turno
Col pensier de la guerra al sacro bosco 5
Di Pilunno suo padre allor ridotto,
Che mandata da lei di Taümante
Gli fu la figlia in cotal guisa a dire:
Ecco, quel che tu mai chiedere a lingua,
4tgue ea diversa penitus dum parte geruntur,
Jrim de caelo misit saturnia Juno
Audacem ad Turnum. Luco tum forte parentis
Pilumni Turnus sacrata valle sedebat.
Ad quem sic roseo Thaumantias ore loquuta est:
Turne, quod optanti Divum promittere nemo
148 ENEIDE
O ’mpetrar da gli Dei, Turno, potessi, 10
Per sè l'occasion ti porge e ’l tempo.
Enea, mentre da gli altri implora aita ,
Le sue mura, i suoi legni e le sue genti
Lascia ora a te, se tu] conosci, in preda.
Ei co i migliori al palatino Evandro 15
Se n'é passato, e quindi è ne l'estremo
Penetrato d'Etruria. Ora è nel campo
De’ Toschi, e favvi indugio, ed arma agresti.
E tu qui badi, or che di carri e d' armi
E di prestezza è d'uopo? E che non prendi 20
I suoi steccati, che son or di tanto
Per l'assenza di lui turbati e scemi?
Poscia che così disse, alto su l’ali
La Dea levossi; e tra l' opache nubi
Per entro al suo grand'arco ascese, e sparve. 25
Turno che la conobbe, ambe a le stelle
Alza le palme; e nel fuggir con gli occhi
Aideret, volvenda dies en attulit ultro.
"Eneas, urbe et sociis et classe relicta,
Sceptra palatini sedemque petit Evandri.
Nec satis: extremas Corythi penetravit ad urbes:
Lydorumque manum, collectos armat agrestes.
Quid dubitas? nunc tempus equos ,nuncposcerecurrus
Rumpe moras ones, et turbata arripe castra.
Dixit, et in caelum paribus se sustulit alis;
Ingentemque fuga secuit sub nubibus arcum. 15
Agnovit iuvenis , duplicesque ad sidera palmas
LIBRO NONO 149
Seguilla e con la voce, Iri, dicendo,
Lume e fregio del cielo, e chi ti spiega |
Or da le nubi? E chi qua già ti manda? 3o
Ond' è l'aér sì chiaro e sì tranquillo
Così repente? lo veggio aprirsi il cielo,
Vagar le stelle. O qual tu de’ celesti
Sii, ch'a l'armi m' inviti; io lieto accetto
Un tanto augurio, e lo gradisco e'l seguo. 35
Così dicendo, al fiume si rivolse;
N'attinse; se ne sparse; e preci e voti
Molte fiate al ciel porse .e riporse.
. Eran già le sue genti a la campagna,
E de' cavalli il condottier Messápo 4o
Di ricca sopravvesta ornato e d'oro
Movea davanti. I giovani di Tirro |
Tenean l'ultime squadre, e Turno in mezzo
Sustulit, et tali fugientem est voce sequutus:
Iri, decus caeli, quis te mihi nubibus actam
Detulit in terras? unde haec tam clara repente
T'empestas? medium video discedere caelum, 20
Palantesque polo stellas: sequor omina tanta,
Quisquis in arma vocas. Et sic effatus ad undam
Processit, summoque hausit de gurgite lymphas,
Multa Deos orans, oneravitque aethera votis.
Jamque omnis campis exercitus ibat apertis, 25
Dives equi&m, dives pictai vestis et auri.
Messapus primas acies, postrema coercent
Tyrrhidae iupenes: medio dux agmine Turnus.
150 ENEIDE
Con tutto il capo a tutta la battaglia
Sopravanzando , armato cavalcava 45
Per l'ordinanza. In cotal guisa i campi
Primieramente inonda il Gange, o'1 Nilo
Con sette fiumi; indi ristretto e queto
Correndo, entro al suo letto si raccoglie.
Qui d'improvviso d'un oscuro nembo 5o
Di polve il ciel ravvilupparsi i Teucri
Scorgon da lunge, e'ntorbidarsi i campi,
Caíco il primo da l’ avversa mole
Gridando, O, disse, cittadini, un gruppo
Vér noi di polverío ne l' aura ondeggia. 55
Ognuno a l'armi; ognuno a la muraglia:
Ecco i nemici. Di ciò corre il grido
Per tutta la città: chiuggon le porte:
Empion le mura. Tale avea partendo
* Vertitur arma tenens, et toto vertice supra est. *
Ceu septem surgens sedatis amnibus altus Jo
Per tacitum Ganges, aut pingui flumine Nilus,
Quum refluit campis, et iam se condidit alveo.
Hic subitam nigro glomerari pulvere nubem
Prospiciunt. Teucri, ac tenebras insurgere campis.
Primus ab adversa conclamat mole Caicus: 35
Quis globus, o cives, caligine volvitur atra? :
Ferte citi ferrum, date tela, et scandite muros:
Hostis adest, eia. Ingenti clamore per omnes
Condunt se Teucri portas, et moenia complent.
Namque ita discedens praeceperat optimus armis. 4o
LIBRO NONO. II
Dato il sagace Enea precetto e norma, 60
Ch*in caso di rottura a campo aperto
Senza lui non s'ardisse o spiegar schiere,
O. far conflitto; e solo a la difesa
S'attendesse del cerchio. Ira e vergogna
Gli apimava a la zuffa; editto e tema - 65
Gli ritenea del duce. Ond' entro armati
Ne le torri, in su’ merli e ne’ ripari
Aspettaro i nimici. A lento passo
Procedea l’ ordinanza; e Turno a volo .
Con venti eletti cavalieri avanti 70
Si spinse, e d'improvviso appresentossi.
Cavalcava di Tracia un gran corsiero,
Di bianche macchie il vario tergo asperso,
E ’1 suo dorato e luminoso elmetto
D'alto cimier copria cresta vermiglia. 75
Qui fermo: Chi di voi, giovani, disse,
4Eneas: si qua interea fortuna fuisset,
Neu struere auderent aciem, neu credere campo:
Castra modo, et tutos servarent aggere muros.
Ergo, etsi conferre manum pudor iraque monstrat,
Obiiciunt portas tamen, et praecepta facessunt; | 45
Armatique cavis exspectant turribus hostem.
Turnus, ut ante volans tardum praecesserat agmen,
Viginti lectis equitum comitatus, et urbi
Improvisus adest: maculis quem thracius albis
Portat equus, cristaque tegit galea aurea rubra. 5o
Ecquis erit mecum, iuvenes, qui primus in hostem?
153 0. ENEIDE
Meco sarà contra i nimici il primo?
E quel ch'era di pugna indizio e segno,
L' asta a l'aura avventando, alteramente
Trascorse il campo, ed ingaggiò battaglia. — 8o
Con alte grida e con orribil voci
Fremendo lo seguiro i suoi compagni,
Non senza meraviglia che si vili
Fossero i Teucri a non osar del pari
Uscirgli a fronte, non mostrarsi in campo, 85
Ferir da lunge, e di muraglia armarsi.
Turno di qua di là turbato e fiero
Si spinge, e scorre il piano, e cerchia il muro,
E d'entrar s argomenta ov’ anche è chiuso.
Come rabbioso ed affamato lupo 9o
Al pieno ovile insidiando, freme
La notte, al vento ed a la pioggia esposto;
Quando sotto le madri i puri agnelli
En, ait: et iaculum adtorquens emittit in auras,
Principium pugnae, et campo sese arduus infert.
Clamore excipiunt socii, fremituque sequuntur
Horrisono: Teucrum mirantur inertia corda; 92
Non aequo dare se campo, non obvia ferre
Arma viros, sed castra fovere. Huc turbidus atque huc
Lustrat equo muros, aditumque per avia quaerit.
Ac veluti pleno lupus insidiatus ovili,
Quum fremit ad caulas, ventos perpessus et imbres, 60
Nocte super media; tuti sub matribus agni
.. Balatum exercent: ille, asper et improbus, ira
LIBRO NONO 153
Belan securi, ed ei la fame e l’ira
Incontro a lor che gli' son lunge, accoglie; 99
Così gli occhi di foco e ’1 cor di sdegno
ll Rutulo infiammato, anelo e fiero
Va de’ nimici agli steccati intorno,
Ogni loco, ogni astuzia, ogni sentiero
Investigando , onde o co’ suoi vi salga, 100
O lor ne sbuchi, e ne gli tiri al piano.
Al fin l’armata assaglie, ch' a' ripari
Da l'un canto congiunta, entro un canale
D' onde e d' argini cinta, era nascosta.
Qui foco esclama, e foco di sua mano . 103
Con un ardente pino a' suoi seguaci
Dispensa, e lor con la presenza accende:
Onde tosto e le faci e i legni appresi,
Saevit in absentes: collecta fatigat edendi
Ex longo rabies, et siccae sanguine fauces.
Haud aliter Rutulo, muros et castra tuenti, 65
Ignescunt irae; duris dolor ossibus ardet;
Qua tentet ratione aditus, et qua via clausos
Excutiat Teucros vallo, atque effundat in aequor.
Classem, quae lateri castrorum adiuncta latebat,
Aggeribus septam circum et fluvialibus undis 70
Invadit, sociosque incendia poscit ovantes;
Atque manum pinu flagranti fervidus implet.
Tum vero incumbunt: urget praesentia Turni,
"tque amnis facibus pubes accingitur atris.
Diripuere focos; piceum fert fumida lumen 25
Eneide /ol. II 20
154 ENEIDE
Fumo, fiamme, faville e vampi e nubi
E volumi di pece al ciel n'andaro. 110
Muse, ditene or voi qual nume allora
Scampò de’ Teucri i legni, e come un tanto
De la novella Troia incendio estinse.
Fama di tempo in tempo e prisca fede
N'avvera il fatto, e voi conto ne’l fate. 115
Dicon che quando a navigar costretto .
Enea primieramente i suoi navili
A formar cominciò nel bosco Idéo;
D' Ida di Berecinto e de gli Dei
La madre, al sommo Giove orando, disse: 120
Figlio, che sei per me de l'universo
Monarca eterno, a me tua cara madre
Fa' quel ch'io chieggio, e tu mi devi, onore.
E nel Gargaro giogo un bosco in cima
Da me diletto , ed al mio nume additto 125
T'aeda, et commixtam Vulcanus ad astra favillam.
Quis Deus, o Musae, tam saeva incendia Teucris
Avertit? tantos ratibus quis depulit ignes?
Dicite. Prisca fides facto, sed fama perennis.
Tempore quo primum phrygia formabat in Ida 80
"Eneas classem, et pelagi petere alta parabat ;
Ipsa Deüm fertur genitrix Berecynthia magnum
Vocibus his affata Iovem: Da, nate, petenti,
Quod tua cara parens domito te poscit Olympo.
Pinea silva mihi, multos dilecta per annos, 85
* Lucus in arce fuit summa, quo sacra ferebant, *
LIBRO NONO 155
Già di gran tempo. Era d'abeti e d' aceri
E di pini e di peci ombroso e denso;
Ma quando de l'armata ebbe uopo in prima
Il giovine Troiano, al magistero
Volentier de' suoi legni il concedei. 130
Quinci uscir le sue navi; e come figlie
Di quella selva, a me son sacre e care
Sì ch'or ne temo; e del timor che n'aggio
Priego che m' assicuri; e 1 priego mio
Questo possa appo a te, che tanto puoi, 135
Che nè da corso mai, nè da fortuna
Sian di venti, o di flutti, e di tempeste
Squassate o vinte: e lor vaglia che nate
Son ne’ miei monti. A cui Giove rispose:
Madre, a che stringi i Fati? E qual, per cui 140
Cerchi tu privilegio? A mortal cosa
Farò dono immortale? E mortal uomo
Non sarà sottoposto a’ rischi umani?
* Nigranti picea trabibusque obscurus acernis: *
Has ego dardanio iuveni, quum classis egeret,
Laeta dedi: nunc sollicitam timor anxius angit. —
Salve metus , atque hoc precibus sine posse parentem ,
Neu cursu quassatae ullo, neu turbine venti
Vincantur: prosit nostris in montibus ortas.
Filius huic contra, torquet qui sidera mundi:
O genitrix, quo fata vocas? aut quid petis istis?
Mortaline manu factae immortale carinae 95
Fas habeant? certusque incerta pericula lustret
pre Ce ge gg —_ ge VE — Lilo -..
156 ENEIDE
Ed a qual de gli Dei tanto è permesso?
Più tosto allor che saran giunte al fine, 145
E che in porto saranno, a quelle tutte
Che scampate da l'onde il Teucro duce
Avran ne' campi di Laurento esposto,
Torró la mortal forma, e Dee farolle,
Che qual di Néreo e Doto e Galatea 150
Fendan co' petti e con le braccia il mare.
Cosi detto, il torrente e la vorago
E la squallida ripa e l' atra pece
D' Acheronte giurando, abbassò | ciglio,
E fe' tutto tremar col cenno il mondo. 155
Or questo era quel di, quest' era il fine
Da le Parche dovuto ‘a i Teucri legni:
Onde la madre Idéa contra l'oltraggio
AEneas? cui tanta Deo permissa potestas?
Immo, ubi defunctae finem, portusque tenebunt |
Ausonios, olim quaecumque evaserit undis,
Dardaniumque ducem laurentia vexerit arva, 100
Mortalém eripiam formam, magnique iubebo
4I quoris esse Deas: qualis nereia Doto,
Et Galatea secant spumantem pectore pontum. .
Dixerat: idque ratum stygii per flumina fratris,
Per pice torrentes atraque voragine ripas 102
Annuit, et totum nutu tremefecit Olympum.
Ergo aderat promissa dies, et tempora Parcae
Debita complerant, quum Turni iniuria matrem
Admonuit ratibus sacris depellere taedas.
LIBRO NONO 197
Si fe' di Turno, e gli sottrasse al foco.
Primieramente inusitata luce 160
Balenando rifulse. Indi un gran nembo
Di Coribanti per lo ciel trascorse
Di vér l' Aurora; ed una voce udissi
Ch' empié di meraviglia e di spavento
L' un esercito e l'altro: O miei Troiani, 16)
Dicendo, non vi caglia a' miei navili
Porger soccorso; né perció nel campo
Uscite a rischio. Árderà Turno il mare
Pria che le sacre a me dilette navi.
E voi, mie navi, itene sciolte; e Dee 170
Siate del mare. Io genitrice vostra
Lo vi comando. A questa voce in quanto
Udissi a pena, s'allentàár le funi
De'lor ritegni; e di delfini in guisa
Co i rostri si tuffaro. Indi sorgendo 179
Hic primum nova lux oculis offulsit, et ingens 110
Visus ab aurora caelum transcurrere nimbus,
Idaeique chori: tum vox horrenda per auras
Excidit, et Troum Rutulorumque agmina complet:
Ne trepidate meas, Teucri, defendere naves,
Neve armate manus: maria ante exurere Turno,
Quam sacras dabitur pinus. Vos ite solutae,
Ite, Deae pelagi; genitrix iubet. Et sua quaeque
Continuo puppes abrumpunt vincula ripis;
Delphinumque modo demersis aequore rostris
Ima petunt: hinc virgineae (mirabile monstrum) 120
158 ENEIDE
(Mirabil mostro!) quante a riva in prima
Eran le navi, tante di donzelle
Si vider per lo mar sereni aspetti.
Sgomentaronsi i Rutuli; e Messápo
Co' suoi cavalli attonito fermossi . 180
Il padre Tiberin roco mugghiando
Dal mar fuggissi. Né perciò di Turno
Cessò l’audacia, anzi via più feroce,
Gli altri esortando e riprendendo, Ah, disse,
Di che temete? Incontro a i Teucri stessi 185
Vengon questi prodigii; e loro ha Giove
De le lor forze esausti. Il ferro e ’1 fuoco
Non aspettan de’ Rutuli: han del mare
Perduta e de la fuga ogni speranza.
Essi del mare infino a qui son privi; 190
E la terra è per noi: tante son genti
* Quot prius aeratae steterant ad litora prorae, *
Reddunt se totidem facies, pontoque feruntur.
Obstupuere animis Rutuli: conterritus ipse
Turbatis Messapus equis: cunctatur et amnis
- Rauca sonans ,revocatquepedem T'iberinusabalto. 1235
At non audaci cessit fiducia Turno;
Ultro animos tollit dictis, atque increpat ultro:
T'roianos haec monstra petunt: his luppiter ipse
Auxilium solitum eripuit; non tela, nec ignes
Exspectant Rutulos. Ergo maria invia Teucris, 130
Nec spes ulla fugae: rerum pars altera ademta est:
Terra autem in nostris manibus: tot millia gentes
LIBRO NONO 159
D'Italia in arme. Né tem’ io de’ vanti
Che de’ lor vaticinii e de’ lor fati
Da lor si danno. Assai de’ fati, assai
È l'intento di Venere adempito, 195
Che son nel Lazio. E ’ncontro a i fati. loro
Son anco i miei, che tor del Lazio io deggia,
Anzi del mondo questi scellerati,
De l’altrui donne usurpatori e drudi:
Ché non soli gli Atridi, e non sola Argo 200
N° han duolo e sdegno. Ob! basta ch’ una volta
Ne son periti. Sì, se lor bastasse
D’ aver in ciò sol una volta errato.
Nuovo error, nuova pena. Or non aranno
Omai quest infelici in odio affatto 202
Le donne tutte, a tal di già condotti,
Che non han de la vita altra fidanza,
Che questo poco e debile steccato,
Che da lor ne divide? E tanto a pena
Arma ferunt italae. Nil me fatalia terrent,
Si qua Phryges prae se iactant, responsa Deorum.
Sat fatis Venerique datum, tetigere quod arva 135
Fertilis Ausoniae T'róes. Sunt et mea contra
F'ata mihi, ferro sceleratam exscindere gentem,
Coniuge praerepta: nec solos tangit Atridas
Iste dolor, solisque licet capere arma Mycenis.
Sed periisse semel satis est: peccare fuisset i {0
Ante satis, penitus modo non genus omne perosos
Femineum. Quibus haec medii fiducia valli,
--— = —-
160 ENEIDE
| Son lunge dal morir, quanto s' indugia 210
A varcar questa fossa. In ció riposto
Haa la speme e l' ardire. O non han visto
Le mura anco di Troia, che costrutte
Fur per man di Nettuno, a terra sparse
E'n cenere converse? Ma chi meco 212
Di voi, guerrieri eletti, è che s' accinga
D' assalir queste mura e queste genti
Già di paura offese? A me lor contra
D' uopo non son nè l' armi di Vulcano,
Nè mille navi. E vengane pur tutta 220
L' Etruria insieme. E non furtivamente
E non di notte, come fanno i vili,
Il Palladio involando, e de la rócca
I custodi uccidendo, assalirògli;
Né del cavallo ne l’ oscuro ventre 223
Mi appiatterò. Di giorno apertamente
Fossarumque morae, leti discrimina parva,
Dant animos. At non viderunt moenia Troiae,
Neptuni fabricata manu considere in ignes? — 145
Sed vos, o lecti, ferro qui scindere vallum
Apparat, et mecum invadit trepidantia castra?
Non armis mihi Vulcani, non mille carinis
Est opus in T'eucros. Addant se protenus omnes
Etrusci socios. Tenebras et inertia furta 150
^ Palladii, caesis summae custodibus arcis, *
Ne timeant; nec equi caeca condemur in alvo:
Luce palam, certum est igni circumdare muros. .
LIBRO NONO 161
D' armi e di foco cingerógli in guisa
Ch’ altro lor sembri, che garzoni e cerne
Aver di Greci e di Pelasgi intorno,
Di cui l’ assedio infino al decim' anno 23a
Ettor sostenne. Or poscia che del giorno
S' è buona parte insino a qui passata
Felicemente, il resto che n' avanza
Attendete a posarvi, a ristorarvi ,
À disporvi a l'assalto; e ne sperate 335
Lieto successo. Indi a Messápo incarco
Si dà, che sentinelle e guardie e fochi
Disponga anzi a le porte e'ntorno al muro.
Ei sette e sette capitani egregi ,
Rutuli tutti, a quest' impresa elesse, 20
Con cento che n'avea ciascuno appresso
Di purpurei cimieri ornati e d'oro.
Questi, le mute variando e l’ore,
Haud sibi cum Danais rem faxo et pube pelasga
Esse putent, decimum quos distulit Hector in annum.
Nunc adeo, melior quoniam pars acta diei,
Quod superest, laeti bene gestis corpora rebus
Procurate, viri, et pugnam sperate parati.
Interea vigilum excubiis obsidere portas,
Cura datur Messapo, et moenia cingere flammis.
Bis septem, rutulo muros qui milite servent,
Delecti: ast illos centeni quemque sequuntur
Purpurei cristis iuvenes auroque corusci.
Discurrunt, variantque v vices, fusique per herbam
Eneide Z'ol. II 21
16a ENEIDE
Scorrevano a vicenda; e ’ntorno a’ fochi'
Desti in su l’ erba, infra le tazze e l' urne 243
Traean la notte in gozzoviglie e'n giuochi.
Stavano i Teucri il campo rimirando
Da la muraglia; e per timore armati
Visitavan le porte, e ’n su’ ripari
Facean bertesche e sferratoie e ponti. 250
Era Memmo lor sopra e ’1 buon Sergesto,
Che fur dal padre Enea nel suo partire
A guerreggiar, se guerra si rompesse,
Per condottieri e per maestri eletti.
Già sulle mura, ovunque o da periglio, ^ 255
O da la vece eran disposti, ognuno
Tenea il suo luogo. Un de’ più fieri in arme,
Niso d'lrtaco il figlio, ad una porta
Era proposto. Da le cacce d'Ida:
I
Indulgent vino, et vertunt crateras aenos. 16
Collucent ignes: noctem custodia ducit
Insomnem ludo.
Haec super e vallo prospectant Troes, et armis
Alta tenent: nec nan trepidi formidine portas
Explorant, pontesque et propugnacula iungunt; 170
Tela gerunt. Instant Mnestheus acerque Serestus:
Quos pater /neas, si quando adversa vocarent,
Rectores iuvenum, et rerum dedit esse magistros.
Omnis per muros legio, sortita periclum,
Excubat, exercetque vices, quod cuiquetuendum est.
Nisus erat portae custas, acerrimus armis,
Li
LIBRO NONO 163
Venne costui mandato al Troian duce, 260
Gran feritor di dardo e di saette. |
Eurialo era seco, un giovinetto
Il più bello, il più gaio e’l più leggiadro,
Che nel campo Troiano arme vestisse;
Ch'a pena avea la rugiadosa guancia 265
Del primo fior di gioventute aspersa.
Era tra questi due solo un amore
Ed un volere; e nel mestier de l' armi
L/ un sempre era con l’ altro ed ambi insieme
Stavano allor vegghiando a la difesa 270
Di quella porta. Disse Niso in prima:
Eurialo, io non so se Dio mi sforza
A seguir quel ch'io penso, o se ’l pensiero
Stesso di noi fassi a noi forza e Dio.
Un desiderio ardente il cor m' invoglia 275
D' uscire a campo, e far contra i nemici
Un qualche degno e memorabil fatto:
Hyrtacides, comitem /Eneae quem miserat Ida
V'enatrix, iaculo celerem levibusque sagittis;
Et iuxta comes Euryalus, quo pulcrior alter
Non fuit Éneadum, troiana neque induit arma;
Ora puer prima signans intonsa iuventa.
His amor unus erat, pariterque in bella ruebant:
Tum quoque communi portam statione tenebant.
Nisus ait: Diine hunc ardorem mentibus addunt,
Euryale? an sua cuique Deus fit dira cupido? 185
Aut pugnam;aut aliquid iamduduminvadere magnum
104 ENEIDE
Sì di star pigro e neghittoso abborro.
Tu vedi là come securi ed ebbri
E sonnacchiosi i Rutuli si stanno 280
Con rari fochi e gran silenzio intorno.
L'occasione è bella, ed io son fermo
Di porla in uso: or in qual modo, ascolta.
Ascanio, i consiglieri e ’l popol tutto,
Per richiamare Enea, per avvisarlo, 285
E per avvisi riportar da lui,
Cercan messaggi. lo, quando a te promesso
Premio ne sia (ch’a me la fama sola
Basta del fatto ) di poter m'affido
Lungo a quel colle investigar sentiero , 290
Onde a Pallanto a ritrovarlo io vada
Securamente. Eurialo a tal dire
Stupissi in prima; indi d' amore acceso
Mens agitat mihi: nec placida contenta quiete est.
Cernis, quae Rutulos habeat fiducia rerum.
Lumina rara micant; somno vinoque sepulti
Procubuere: silent late loca. Percipe porro, 199
Quid dubitem, et quae nunc animo sententia surgat.
4Einean acciri omnes populusque patresque
Exposcunt; mittique viros, qui certa reportent.
Si tibi, quae posco, promittunt, nam mihi facti
Fama sat est, tumulo videor reperire sub illo 195
Posse viam ad muros et moenia pallantea.
Obstupuit magno laudum percussus amore
Euryalus; simul his ardentem affatur amicum:
LIBRO NONO 165
Di tanta lode, al suo diletto amico.
Così rispose: Adunque ne l’ imprese 299
Di momento e d'onore io da te, Niso,
Son così rifiutato? E te poss’ io
Lassar sì solo a sì gran rischio andare?
A me non diè questa creanza Ofelte
Mio genitore, il cui valor mostrossi 300
Ne gli affanni di Troia, e nel terrore
De l'argolica guerra. Ed io tal saggio
Non t' ho dato di me, teco seguendo
Il duro fato e la fortuna avversa
Del magnanimo Enea. Questo mio core 305
È spregiatore, è spregiatore anch’ egli
Di questa vita, e degnamente spesa .
La tiene allor che gloria se ne merchi,
E quel che cerchi ed a me nieghi, onore.
Soggiunse Niso: Altro di te concetto 310
Non ebbi io mai, né tal sei tu ch'io deggia
Mene igitur socium summis adiungere rebus,
Nise, fugis? solum te in tanta pericula mittam? 200
Non ita me genitor, bellis assuetus, Opheltes
Argolicum terrorem inter T'roiaeque labores
Sublatum erudiit: nec tecum talia gessi,
Magnanimum /Enean et fata extrema sequutus.
Est hic, est animus lucis contemtor, et istum 205
Qui vita bene credat emi, quo tendis, honorem.
Nisus ad haec: Equidem de te nil tale verebar:
Nec fas, non. Ita me referat tibi magnus ovantem
166 ' ENEIDEÉ
Averlo in altra guisa. Così Giove
Vittorioso mi ti renda e lieto
Da questa impresa, o qual altro sia nume
Che propizio e benigno ne si mostri. 315
Ma se per caso o per destino avverso
( Come sovente in questi rischi avviene )
Io vi perissi, il mio contento in questo -
È che tu viva, sì perchè di vita
Son più degni i tuoi giorni, e sì perch'io 320
Aggia chi dopo me, se non con l’arme,
Almen con l’ oro il mio corpo ricovre,
E lo ricopra. E s' ancor ciò .m' è tolto,
Alfin sia chi d' esequie e di sepolcro
Lontan m' onori. Oltre di ciò, cagione 325
Esser non deggio a tua madre infelice
D'un dolor tanto: a tua madre che sola
Di tante donne ha di seguirti osato,
I comodi spregiando e la quiete
luppiter, aut quicumque oculis haec adspicit aequis.
Sed si quis, (quae multa vides discrimine tali) 210
Si quis in adversum rapiat casusve Deusve,
Te superesse velim: tua vita dignior aetas.
Sit, qui me raptum pugna, pretiove redemtum
Mandet humo solita; aut, si qua id fortuna vetabit,
Absenti ferat inferias, decoretque sepulcro. 215
Neu matri miserae tanti sim caussa doloris;
Quae te sola, puer, multis e matribus ausa
Prosequitur, magni nec moenia curat Acestae.
LIBRO NONO 167
De la città d' Aceste. A ciò di nuovo 330
Eurialo rispose: Indarno adduci
Sì vane scuse; ed io già fermo e saldo
Nel proposito mio pensier non muto.
Affrettiamci a l'impresa. E, così detto,
Destò le sentinelle, e le ripose 339
In vece loro; e l' uno e l’altro insieme
Se ne partiro, e ne la reggia andaro.
Tutti gli altri animali avean, dormendo,
Sovra la terra oblío, tregua e riposo
Da le fatiche e dagli affanni loro. 340
I Teucri condottieri e gli altri eletti,
Che de la guerra avean l' imperio e ’l carco,
S' erano e de la guerra e de la somma
Di tutto | regno a consigliar ristretti;
E nel mezzo del campo altri a gli scudi, 345
Altri a l'aste appoggiati, avean consulta
lile autem: Caussas nequidquam nectis inanes;
Nec mea iam mutata loco sententia cedit. 220
Acceleremus, ait. Vigiles simul excitat. Illi
Succedunt, servantque vices: statione relicta,
Ipse comes Niso graditur, regemque requirunt.
Cetera per terras omnes animalia somno
Laxabant curas et corda oblita laborum. 225
Ductores Teucrum primi, delecta iuventus,
Consilium summis regni de rebus habebant,
Quid facerent, quisve /Eneae iam nuntius esset:
Stant longis annixi hastis, et scuta tenentes
(0 RS
168 ENEIDE
Di che far si dovésse, e chi per messo
Ad Enea si mandasse. I due compagni
D’ essere ammessi e ’ncontanente uditi
Fecer gran ressa, e di portar sembiante 350
Cosa di gran momento, e di gran danno
Se s'indugiasse. A questa fretta il primo
Si fece Ascanio avanti; e vólto a Niso
Comandò che dicesse. Egli altamente
Parlando incominciò : Troiani, udite 355
Discretamente: e quel che si propone
E si dice da noi, non misurate
Da gli anni nostri. I Rutuli sepolti
Se ne stan da la crapula e dal souno;
E noi stessi appostato avemo un loco 360
Da quella porta che riguarda al mare,
Atto a le nostre insidie, ove la strada
Più larga in due si parte. Intorno ‘al campo
Sono i fochi interrotti: il fumo oscuro‘
Castrorum et campi medio. Tum Nisus et una 230
Euryalus confestim alacres admittier orant:
Rem magnam, pretiumque morae fore. Primus Iulus
Accepit trepidos, ao Nisum dicere iussit.
Tunc sic Hyrtacides: Audite o mentibus aequis,
/Eneadae, neve haec nostris spectentur ab annis,
Quae ferimus. Rutuli somno vinoque sepulti
Conticuere; locum insidiis conspeximus ipsi,
Qui patet in bivio portae, quae proxima ponto.
Interrupti ignes, aterque ad sidera fumus
LIBRO NONO 169
Sorge a le stelle. Se da voi n’ è dato - 365
D' usar questa fortuna, e quest’ onore
Ne si fa di mandarne al nostro duce;
Al Pallantéo n’ andremo, e ne vedrete
Assai tosto tornar carchi di spoglie
De gli avversari nostri, e tutti aspersi 370
Del sangue loro. E non fia che la strada
Ne gabbi: ché più volte qui d' intorno
Cacciando, avemo e tutta questa valle -
E tutto il fiume attraversato e scorso.
Qui d'anni grave e di pensier maturo 379
Alete al ciel rivolto, O patrii Dii,
Disse esclamando, il cui nume fu sempre
Propizio a Troia, pur del tutto spenta
Non volete che sia mercè di voi,
Poscia che questo ardire e questi cori 380
Ne' petti a' nostá giovani ponete,
Erigitur; si fortuna permittitis uti, 24a
Quaesitum "nean ad moenia pallantea,
Mox hic cum spoliis, ingenti caede peracta,
Adfore cernetis. Nec nos via fallit euntes:
Vidimus obscuris primam sub vallibus urbem,
Venatu assiduo, et totum cognovimus amnem. 245
Hic annis gravis, atque animi maturus Aletes:
Di patrii, quorum semper sub numine Troia est;
Non tamen omnino T'eucros delere paratis,
Quum tales animos iuvenum, et tam certa tulistis
Pectora. Sic memorans, humeros dextrasque tenebat
Eneide 7ol. II 22
70 ' ENEIDE
E stringendo le man, gli omeri e '1 collo
Or de l' uno or de l’altro, ambi onorava,
Di dolcezza piangendo. E qual, dicea,
Qual, generosi figli, a voi darassi
Di voi degna mercede? Iddio, ch’ è primo
De gli uomini e supremo guiderdone,
E la vostra virtü premio a se stessa
Sia primamente. Enea poscia, userayvi
Sua largitate, e questo giovinetto
Che d'un tal vostro -merto avrà mai sempre
Dolce ricordo. Anzi io, soggiunse lulo,
Che, senza il padre mio, la mia salute
Veggio in periglio, per gli dei Penati,
Per la casa d' Assàraco, per quanto
Dovete al sacro e venerabil nume
De la gran Vesta (ogni fortuna mia
Ponendo, ogni mio affare in: grembo a voi)
Amborum, et vultum lacrimis atque ora rigabat:
Quae vobis, quae digna, viri, pro laudibus istis,
Praemia posse rear solvi? pulcáerrima primum
Di, moresque dabunt vestri: tum cetera reddet
Actutum pius /Eneas, atque integer aevi
Ascanius, meriti tanti non immemor umquam.
Immo ego vos, cui sola salus genitore reducto,
Excipit Ascanius, per magnos, Nise, Penates,
Assaracique Larem, et canae penetralia Vestae,
Obtestor (quaecumque mihi fortuna fidesque est,
In vestris pono gremiis): revocate parentem,
385
390
399
255
260
LIBRO NONO 17t
Vi prego a rivocare il padre mio.
Fate ch'io lo riveggia; e nulla poi 400
Sarà di ch'io più tema. E già vi dono
Due gran vasi d' argento, che scolpiti
Sono a figure; un de più ricchi arnesi
Che del sacco d' Arisba in preda avesse
Il padre mio; due tripodi; due d' oro 405
Maggior talenti, ed un tazzone antico
De la sidonia Dido. E se n'é dato
Tener d'Italia il desiato regno,
E che preda sortirne unqua mi tocchi,
Quello stesso destrier, quelle stesse armi — 410
Guarnite d' oro, onde va Turno altero,
E, quel suo scudo, e quel cimier sanguigno
Sottrarró da la sorte; e di già, Niso,
Gli ti consegno; e ti prometto in nome
Del padre mio, che largiratti ancora 415
Reddite conspectum: nihil illo triste recepto.
Bina dabo argento perfecta, atque aspera signis
Pocula, devicta genitor quae cepit Arisba;
Et tripodas geminos; auri duo magna talenta, 265
Cratera antiquum, quem dat sidonia Dido.
Si vero capere Italiam, sceptrisque potiri
Contigerit victori, et praedae ducere sortem:
. F'idisti quo Turnus equo, quibus ibat in armis
Aureus: ipsum illum clypeum, cristasque rubentes
Excipiam sorti, iam nunc tua praemia, Nise.
Praeterea bis sex genitor lectissima matrum
172 ENEIDE
Dodici fra mill’ altri eletti corpi
Di bellissime donne, e dodici altri
Di giovani prigioni, e l' armi loro
Con essi insieme , e di Latino stesso |
La regia villa. Or te, mio venerando 420
Fanciullo, abbraccio, a gli cui giorni i miei
Van più vicini. Io te cou tutto il core
Accetto per compagno e per fratello
In ogni caso; e nulla o gloria o gioia
Procurerommi in pace unqua od in guerra, 425
Che non sii meco d’ ogni mio pensiero,
E d'ogni ben partecipe e consorte ;
E ne le tue parole e ne’ tuoi fatti
Somma speme avrò sempre e somma fede.
Eurîalo rispose: O fera, o mite 430
Che fortuna mi sia, non sarà mai
Ch' io discordi da me: mai non uguale
Lo mio cor non vedrassi a questa impresa:
Corpora, captivosque dabit, suaque omnibus arma:
Insuper his, campi quod rex habet ipse Latinus.
J'e vero, mea quem spatiis propioribus aetas 279
Insequitur, venerande puer, iam pectore toto
Accipio, et comitem casus cemplector in omnes.
Nulla meis sine te quaeretur gloria rebus;
Seu pacem, seu bella geram: tibi maxima rerum,
F'erborumque fides. Contra quem talia fatur 280
Euryalus: Me nulla dies tam fortibus ausis
Dissimilem arguerit: tantum, fortuna secunda,
LIBRO NONO 173
Ma sopra a gli altri tuoi promessi doni
Questo solo bram'io. La. madre mia 435
Che dal ceppo di Priamo è discesa,
E che per me seguire ha la meschina
Non pur di Troia abbandonato il nido, :
Ma '1 ricovro d' Aceste, e la sua vita
Stessa (a tanti per me l'ha rischi esposta) 440
Di questo mio periglio, qual che e' sia,
Nulla ha notizia; ed io da lei mi parto
Senza che la saluti, e che la veggia.
Per questa man, per questa notte io giuro,
Signor, che né vederla, né la pieta
Soffrir de le sue lagrime non posso.
Tu questa derelitta poverella
Consola, te ne priego, e la sovvieni
In vece mia. Se tu di ciò m' affidi,
Andrò con questa speme ad ogni rischio 450
Con più baldanza. Si commosser tutti
eM
b
Gt
Aut adversa, cadat. Sed.te super omnia dona
Unum oro: genitrix Priami de gente vetusta
Est mihi, quam miseram tenuit non ilia tellus 285
Mecum excedentem, non moenia regis Acestae.
Hancego nuncignaram huius quodcumque pericli est,
Inque salutatam linquoj nox, et tua testis
Dextera, quod nequeam lacrimas perferre parentis.
At tu, oro, solare inopem, et succurre relictae. 290
Hanc sine me spem ferre tui: audentior ibo
In. casus omnes. Percussa mente dederunt
174 ENEIDE
A tai parole, e lagrimaro i Teucri;
E più di tutti Ascanio, a cui sovvenne
De la pietà ch'ebbe suo padre al padre;
E disse al giovinetto: Io mi ti lego 455
Per fede a tutto cio che la grandezza
Di questa impresa e ’l tuo valor richiede.
E perché mia sia la tua madre, il nome
Sol di Creüsa, e null' altro le manca.
Né di picciolo merto é ch'un tal figlio 460
N'aggia prodotto: segua che che sia
Di questo fatto. Ed io: per lo mio capo
Ti giuro, per lo qual solea pur dianzi
Giurar mio padre, ch'a la madre tua,
A tutta la tua stirpe si daranno 40»
I doni stessi che serbar mi giova
Pur a te nel felice tuo ritorno.
Cosi disse piangendo; e la sua spada,
Dardanidae lacrimas, ante omnes pulcher Iulus:
Atque animum patriae strinxit pietatis imago.
T'um sic effatur: 295
Spondeo digna tuis ingentibus omnia coeptis.
Namque erit ista mihi genitrix, nomenque Creusae
Solum defuerit; nec partum gratia talem
Parva manet. Casus factum quicumque sequuntur:
Per caput hoc iuro, per quod pater ante solebat: 300
Quae tibi polliceor reduci, rebusque secundis,
Haec eadem matrique tuae, generique manebunt.
Sic ait illacrimans; humero simul exsuit ensem
Qt
LIBRO NONO | 17
Che di man di Licàone: guarnito
‘ Avea d' avorio il fodro , e l'elsa d'oro, 470
Distaccossi dal fianco, e lui ne cinse.
Memmo al tergo di Niso un tergo impose
Di villoso leone; e'1 fido Alete
Gli scambiò l’ elmo. Così tosto armati
Se n'uscir de la reggia; e 1 primi tutti 479
Giovani e vecchi in vece d' onoranza
Fino a la porta con preconii e voti
Gli accompagnaro. Il giovinetto Iulo
Con viril cura e con pensier maturi
Innanzi agli anni, ragionando in mezzo . 480
Giva d’ entrambi: ed or l’ uno ed or l' altro
Molto avvertendo, molte cose a dire
Mandava al padre: le quai tutte al vento
Furon commesse, e dissipate a I aura.
Escono al fine. E già varcato il fosso, 485
Auratum, mira quem fecerat arte Lycaon
Gnossius, atque habilem vagina aptarat eburna. 305
Dat Niso Mnestheus pellem, horrentisque leonis
Exsuvias; galeam fidus permutat Aletes.
Protenus armati incedunt; quos omnis euntes
Primorum manus ad portas iueenumque senumque
Prosequitur votis. Necnon et pulcher Julus 310
Ante annos animumque gerens curamque virilem,
Multa patri portanda dabat mandata. Sed.aurae
Omnia discerpunt, et nubibus irrita donant.
Egressi superant fossas, noctisque per umbram
176 ENEIDE
Da le notturne tenebre coverti
Si metton per la via che gli conduce
Al campo de’ nemici, anzi a la morte.
Ma non morranno, ché macello e strage
Faran di molti in prima. Ovunque vanno — 49o
Veggion corpi di genti, che sepolti
Son dal sonno e dal vino. I carri vóti
Con ruote e briglie intorno, uomini ed otri
E tazze e scudi in un miscuglio avvolti.
Disse d’Irtaco il figlio: Or qui bisogua, 49)
Eurialo, aver core, oprar le mani,
E conoscere il tempo. Il cammin nostro
È per di qua. Tu qui ti ferma, e l’ occhio
Gira per tutto, che non sia da tergo
Chi n' impedisca; ed io tosto col ferro 500
Sgombreró ’1 passo, e t' aprirò ’l sentiero .
Ciò cheto disse. Indi Rannete assalse,
Castra inimica petunt, multis tamen ante futuri
Exitio. Passim somno vinoque per herbam
Corpora fusa vident, arrectos litore currus,
Inter lora rotasque viros, simul arma, iacere,
Fina simul. Prior Hyrtacides sic ore loquutus:
Euryale , audendum dextra. Nunc ipsa vocat res .
Hac iter est. Tu, ne qua manus se attollere nobis
A tergo possit , custodi , et consule longe.
Haec ego vasta dabo , et lato te limite ducam.
Sic memorat , vocemque premit ; simul ense superbum
Rhamnetem aggreditur , qui forte tapetibus altis
LIBRO NONO 177
Il Superbo Rannete, che per sorte
Entro una sua trabacca avanti a lui
In su’ tappeti a grand’ agio dormia, 503
E russava altamente. Era costui
A re Turno gratissimo, ed anch’ egli
Rege e ’ndovino; ma non seppe il folle
Indovinar quel ch'a lui stesso avvenne,
Tre suoi famigli, che dormendo appresso — 51o
Giacean fra l|' armi rovesciati a caso,
Tutti in un mucchio uccise, ed un valletto
Ch’ era di Remo, e sotto i suoi cavalli
Lo stesso auriga. A costui trasse un colpo
Che gli mandò giù ciendoloni il colla: 515
Indi al padron di netto lo ricise
Sì, che | sangue spicciando d' ogni vena,
La terra, lo stramazzo e 1 desco intrise,
Tamiro estinse dopo questi e Lamo,
E ’l giovine Sarrano. Un bel garzone 520
Exstructus toto proflabat pectore somnum ;
Rex idem, et regi T'urno gratissimus augur :
Sed non augurio potuit depellere pestem.
Tres iuxta famulos temere inter tela iacentes ,
Armigerumque Remi premit , aurigamque sub ipsis
Nactus equis; ferroque secat pendentia colla .
Tum caput ipsi aufert domino, truncumque reliquit
Sanguine singultantem ; atro tepefacta cruore
Terra torique madent . Necnon. Lamyrumque La-
munque,
Eneide Zol. II 23
178 ENEIDE
Era costui, gran giocatore, e n gioco
Insino allora avea sempre vegliato.
Felice lui per lo suo vizio stesso,
Se giocato e perduto ancora avesse
Tutta la notte! Era a veder tra loro 525
Il fiero Niso, qual, da fame spinto,
Non pasciuto leone, un pieno ovile
Imbelle e per timor già muto assaglie,
Che d' unghie armato, e sanguinoso il dente
Traendo e divorando ancide e rugge. 530
Ne fe’ strage minor da l'altro canto
Eurialo, ch' acceso e furioso
Tra molta plebe molti senza nome,
E quasi senza vita a morte trasse;
Sì dal sonno eran vinti: e de’ nomati 535
Uccise Ebeso, Fado, Abari e Reto.
Questo Reto era desto : onde veggendo
Et iuvenem Sarranum , illa qui plurima nocte 335
Luserat , insignis facie , multoque iacebat
Membra. Deo victus: felix, si protenus illum
4Equasset nocti ludum , in lucemque tulisset.
Impastus ceu plena leo per ovilia turbans ,
Suadet enim vesana fames , manditque trahitque
Molle pecus, mutumque metu: fremit ore cruento.
Nec minor Euryali caedes : incensus et ipse
Perfurit , ac multam in medio sine nomine plebem ,
Fadumque Herbesumque subit, Rhoetumque Aba-
rimque ,
LIBRO NONO 174)
Con la morte de gli altri il suo periglio,
Per la paura. appo d' un’ urna ascoso
Quatto e queto si stava. Indi sorgendo 540
Gli fu '] giovine sopra, e ’l ferro tutto
Entro al petto gl immerse, e con gran parte
De la sua vita indietro lo ritrasse;
Sì che tra | vino e'l sangue, ond' era involta,
Gli usci l'alma di purpura vestita. 545
Con questa occision di buia notte
E di furtivo agguato, il buon garzone
Fervidamente instava. E già rivolto
S' era contro a la schiera di Messàpo,
Là've'l foco vedea del tutto estinto, 550
E là've i suoi cavalli a la campagna
Pascean legati; allor che Niso il vide
Che da l’ occision e da l' ardore
Trasportar si lasciava. E brevemente:
Non più, gli disse, chè il nimico sole 555
Ignaros; Rhoetum vigilantem et cuncta videntem ;
Sed magnum metuens se post cratera tegebat :
Pectore in adverso totum cui cominus ensem
Condidit assurgenti , et multa morte recepit.
Purpuream vomit ille animam;et cumsanguine mixta
Fina refert moriens. Hic furto fervidus instat . 350
lamque ad Messapi socios tendebat, ubi ignem
Deficere extremum, et religatos rite videbat
Carpere gramen equos: breviter quum talia Nisus ,
( Sensit enim nimia caede atque cupidine ferri )
180 ENEIDE
Ne sorge incontra. Ássai di sangue ostile
Fin qui s' é sparso: assai di largo avemo.
Molt' armi, molt' argenti e molt arnesi
Lasciaro in dietro. I guarnimenti soli
Del caval di Rannete e le sue borchie 560
Eurialo si prese, con un cinto
Bollato d’oro, un prezioso dono
Che Cedico, un ricchissimo tiranno
A Remolo Tiburte ospite assente
Fece in quel tempo. Remolo al nipote . 565
Lo lasciò per retaggio: e questi in guerra
Ne fu poscia da’ Rutuli spogliato :
Quinci gli ebbe Rannete, e quinci preda
Fur d'Eurialo al fine. Egli gravonne
I forti omeri indarno. Appresso in capo 570
S' adattò di Messàpo un lucid' elmo
D' alto cimiero adorno; e 'n questa guisa
Absistamus, ait: nam lux inimica propinquat. 355
Poenarum exhaustum satis est: via facta per hostes.
Multa virum solido argento perfecta relinquunt
Armaque, craterasque simul, pulcrosque tapetas.
E uryalus phaleras Rhamnetis , et aurea bullis
Cingula; tiburti Remulo ditissimus olim 360
Quae mittit dona , hospitio quum iungeret absens,
Caedicus: ille suo moriens dat habere nepoti:
Post mortem bello Rutuli pugnaque potiti;
Haec rapit , atque humeris nequidquam fortibusaptat.
Tum galeam Messapi habilem , cristisque decoram
LIBRO NONO 18t
$e ne partian vittoriosi e salvi.
Intanto di Laurento eran le schiere
Uscite a campo, e i lor cavalli avanti 575
Precorrean l' ordinanza, ed al re Turno
Ne portavano avviso. Eran trecento
Tutti di scudo armati; e capo e guida
N'era Volscente. Già vicini al campo
Scorgean le mura; quando fuor di strada 580
Videro da man manca i due compagni
Tener sentiero obliquo. Era un barlume
La 'v' era l'ombra, e là ’vera la luna,
A gli avversi suoi raggi la celata
Del mal accorto Eurialo rifulse. 585
Di cotal vista insospettì Volscente,
E gridò da la squadra: O là fermate.
Chi viva? A che venite? Ove n’ andate?
Chi siete voi? La lor risposta incontro
Induit. Excedunt castris , et tuta capessunt.
Interea praemissi equites ex urbe latina,
Cetera dum legio campis instructa moratur,
Ibant, et Turno regi responsa ferebant ,
T'ercentum , scutati omnes , Volscente magistro.
Jamque propinquabani castris , murosque subibant :
Quum procul hos laevo flectentes limite cernunt ;
Et galea Euryalum sublustri noctis in umbra
Prodidit immemorem , rad iisque adversa refulsit.
Haud temereestvisum.Conclamatabagmine Volscens:
State, viri: quae caussa viae? quive estis in armis?
182 ENEIDE
Fu sol di porsi in fuga, e prevalersi 590
De la selva e del buio. I cavalieri
Ratto chi qua chi là corsero. a’ passi,
Circondarono il bosco; ad ogni uscita
Posero assedio. Era la selva un'ampia
Macchia d'elci e di pruni orrida e folta, — 595
Ch’ avea rari i sentieri, occulti e stretti.
E gl intrichi de’ rami e de la preda
Ch’ era pur grave, e ’1 dubbio de la strada
Tenean sovente Eurialo impedito.
Niso disciolto e lieve, e del compagno Goo
Non s'accorgendo ch’ era in dietro assai,
Oltre si spinse. E già fuor de’ nemici
Era ne campi che dal nome d' Alba
Si son poi detti Albani. Allor le razze
E le stalle v' avea de'suoi cavalli 605
Quove tenetis iter ? Nihil illi tendere contra:
Sed celerare fugam in silvas , et fidere nocti:
Obiiciunt equites sese ad divortia nota , .
Hinc atque hinc, omnemque abitum custode coronant.
Silva fuit , late dumis atque ilice nigra
Horrida , quam densi complerant undique sentes :
^ Rara per occultos lucebat semita calles .
Euryalum tenebrae ramorum onerosaque praeda
Impediunt , fallitque timor regione viarum. 385
Nisus abit: iamque imprudens evaserat hostes ,
Atque lacus, qui post Albae de nomine dicti
Albani: tum rex stabula alta Latinus habebat.
LIBRO NONO 183
II re Latino. E qui poscia ch' un poco
Ebbe il suo caro amico indarno atteso,
Gridando, Ah disse, Eurialo infelice,
U' sei rimaso? U' più (lasso) ti trovo
Per questo labirinto? E tosto in dietro 610
Rivolto, per le vie, per l' orme stesse
Di tornar ricercando, si rimbosca.
Erra pria lungamente, e nulla sente:
Poscia sente di trombe e di cavalli
E di voci un tumulto; e vede appresso 615
Eurialo fra mezzo a quelle genti,
Qual cacciato leone. E già dal loco
E da la notte oppresso si travaglia,
E si difende il poverello in vano.
Che farà? Con che forze, e con qual armi 620
Fia che lo scampi? Avventerassi in mezzo
Ut stetit, et frustra absentem respexit amicum:
Euryale, infelix qua te regione reliqui? 390
Quave sequar? Rursus perplexum iter omnerevolvens
Fallacis silvae, simul et vestigia retro
Observata legit, dumisque silentibus errat:
Audit equos, audit strepitus et signa sequentum.
Nec longum in medio tempus; quum clamorad aures
Pervenit, ac videt Euryalum, quem iam manusomnis,
F'raude loci et noctis, subito turbante tumultu,
Oppressum rapit et conantem plurima frustra.
Quid faciat? qua vi iuvenem, quibus audeat armis
Eripere? an sese medios moriturus in enses 400
184 ENEIDE
De' nemici a morir morte onorata ?
Così risolve: e prestamente un dardo
S’ adatta in mano; e volto in vér la Luna,
Ch'allora alto splendea , così la prega: 625
Tu, Dea, tu de la notte eterno lume,
Tu regina de’ boschi, in tanto rischio
Ne porgi aita. E s' Irtaco mio padre
Per me de le sue cacce, io de le mie
Il dritto unqua t'offrimmo; e se t'appesi, 630
E se t'affissi mai teschio nè spoglia
Di fera belva, or mi concedi ch’ io
Questa gente scompigli , e la mia mano
Reggi e i miei colpi. E, ciò dicendo, il dardo
Vibrò di tutta forza. Egli volando 635
Fende la notte, e giunse ove a rincontro
Era Sulmone, e l'investi nel tergo
Là 've pendea la targa; e ’] ferro e l'asta
Passogli al petto, e gli trafisse il core.
Faferat, et pulcram properet per vulnera mortem?
Ocius adducto torquens hastile lacerto,
Suspiciens altam Lunam, et sic voce precatur:
Tu, Dea, tu praesens nostro succurre labori,
Astrorum decus , et nemorum Latonia custos; 405
Si qua tuis umquam pro. me pater Hyrtacus aris
Dona tulit,si qua ipse meis venatibus auxi,
Suspendive tholo , aut sacra ad fastigia fixi;
Hunc sine me. turbare globum, et rege tela per auras.
Dixerat: et toto connixus corpore ferrum 4ia
LIBRO NONO 185
Cadde freddo il meschino; e con un caldo 64o
Fiume di sangue, che gli uscío davanti,
Finì la vita, e col singhiozzo il fiato.
Guardansi l’ uno a l'altro; e tutti insieme
Miran d'intorno di stupor confusi
E di timor d'insidie. E Niso intanto 645
Via più si stadia; ed ecco un altro fiero
Colpo, ch’ avea di già librato, e dritto
Di sopra gli si spicca da l’orecchio,
E per laura ronzando in una tempia
Si conficca di Tago, e passa a l'altra. 650
Volscente acceso d’ira, non veggendo
Con chi sfogarla; al giovine rivolto,
Tu me ne pagherai per ambi il fio,
Disse, e strinse la spada, e ver lui corse.
Coniicit : hasta volans noctis diverberat umbras ,
Et venit adversi in tergum Sulmonis, ibique
Frangitur, ac fisso transit praecordia ligno.
Volvitur ille vomens calidum de pectore flumen
Frigidus, et longis singultibus ilia pulsat. 415
Diversi circumspiciunt. Hoc acrior idem
Ecce aliud summa telum librabat ab aure.
Dum trepidant, iit hasta Tago per tempus utrumque
Stridens, traiectoque haesit tepefacta cerebro.
Saevit atrox Volscens, nec teli conspicit usquam
Auctorem, nec quo se ardens immittere possit.
Tu tamen interea calido mihi sanguine poenas
Persolves amborum, inquit: simul ense recluso
Encide Pol. 11 24
180 ENEIDE
Ne sorge incontra. Assai di sangue ostile
Fin qui s' è sparso: assai di largo avemo.
Molt' armi, molt' argenti e molt arnesi
Lasciaro in dietro. I guarnimenti soli
Del caval di Rannete e le sue borchie 560
Eurialo si prese, con un cinto
Bollato d’oro, un prezioso dono
Che Cedico, un ricchissimo tiranno
A Remolo Tiburte ospite assente
Fece in quel tempo. Remolo al nipote . 565
Lo lasciò per retaggio: e questi in guerra
Ne fu poscia da’ Rutuli spogliato:
Quinci gli ebbe Rannete, e quinci preda
Fur d'Eurialo al fine. Egli gravonne
I forti omeri indarno. Appresso in capo 520
S' adattò di Messàpo un lucid’ elmo
D' alto cimiero adorno; e 'n questa guisa
Absistamus, ait: nam lux inimica propinquat. 355
Poenarum exhaustum satis est: via facta per hostes.
Multa virum solido argento perfecta relinquunt
4rmaque, craterasque simul , pulcrosque tapetas.
E uryalus phaleras Rhamnetis , et aurea bullis
Cingula; tiburti Remulo ditissimus olim 360
Quae mittit dona, hospitio quum iungeret absens,
Caedicus: ille suo moriens dat habere nepoti:
Post mortem bello Rutuli pugnaque potiti;
Haec rapit , atque humeris nequidquam fortibus aptat.
Tum galeam Messapi habilem , cristisque decoram
LIBRO NONO 181
Se ne partian vittoriosi e salvi.
Intanto di Laurento eran le schiere
Uscite a campo, e i lor cavalli avanti 575
Precorrean l'ordinanza, ed al re Turno
Ne portavano avviso. Eran trecento
Tutti di scudo armati; e capo e guida
N’ era Volscente. Già vicini al campo
Scorgean le mura; quando fuor di strada ^ 580
Videro da man manca i due compagni
Tener sentiero obliquo. Era un barlume
La 'v' era l'ombra, e là ’vera la luna,
A gli avversi suoi raggi la celata
Del mal accorto Eurialo rifulse. 585
Di cotal vista insospetti Volscente,
E gridò da la squadra: O là fermate,
Chi viva? A che venite? Ove n’ andate?
Chi siete voi? La lor risposta incontro
Induit. Excedunt castris , et tuta capessunt.
Interea praemissi equites ex urbe latina,
Cetera dum legio campis instructa moratur,
Ibant, et Turno regi responsa ferebant ,
T'ercentum , scutati omnes , Volscente magistro.
lamque propinquabant castris , murosque subibant :
Quum procul hos laevo flectentes limite cernunt ;
Et galea Euryalum sublustri noctis in umbra
Prodidit immemorem , rad iisque adversa refulsit.
Haud temereestvisum.Conclamatabagmine Volscens:
State, viri: quae caussa viae? quiye estis in armis?
182 ENEIDE
Fu sol di porsi in fuga, e prevalersi 590
De la selva e del buio. I cavalieri
Ratto chi qua chi là corsero- a’ passi,
Circondarono il bosco; ad ogni uscita
Posero assedio. Era la selva un'ampia
Macchia d'elci e di pruni orrida e folta, — 595
Ch’ avea rari i sentieri, occulti e stretti.
E gl’ intrichi de rami e de la preda
Ch' era pur grave, e '| dubbio de la strada
Tenean sovente Eurialo impedito.
Niso disciolto e lieve, e del compagno Goo
Non s'accorgendo ch’ era in dietro assai,
Oltre si spinse. E già fuor de' nemici
Era ne campi che dal nome d' Alba
Si son poi detti Albani. Allor le razze
E le stalle v' avea de'suoi cavalli 605
Quove tenetis iter ? Nihil illi tendere contra:
Sed celerare fugam in silvas , et fidere nocti:
Obiiciunt equites sese ad divortia nota , .
Hinc atque hinc, omnemque abitum custode coronant.
Silva fuit , late dumis atque ilice nigra
Horrida , quam densi complerant undique sentes :
Rara per occultos lucebat semita calles .
Euryalum tenebrae ramorum onerosaque praeda
Impediunt , fallitque timor regione viarum. 385
Nisus abit: iamque imprudens evaserat hostes ,
Atque lacus, qui post Albae de nomine dicti
Albani: tum rex stabula alta Latinus habebat.
LIBRO NONO 183
I re Latino. E qui poscia ch’ un poco
Ebhe il suo caro amico indarno atteso,
Gridando, Ah disse, Eurialo infelice, -
U' sei rimaso? U' più (lasso) ti trovo
Per questo labirinto? E tosto in dietro 610
Rivolto, per le vie, per l' orme stesse
Di tornar ricercando, si rimbosca.
Erra pria lungamente, e nulla sente:
Poscia sente di trombe e di cavalli
E di voci un tumulto; e vede appresso 615
Eurialo fra mezzo a quelle genti,
Qual cacciato leone. E già dal loco
E da Ja notte oppresso si travaglia,
E si difende il poverello in vano.
Che farà? Con che forze, e con qual armi 620
Fia che lo scampi? Avventerassi in mezzo
Ut stetit, et frustra absentem respexit amicum:
Euryale, infelix qua te regione reliqui? 390
Quave sequar? Rursus perplexum iter omnerevolvens
Fallacis silvae, simul et vestigia retro
Observata legit, dumisque silentibus errat:
Audit equos, audit strepitus et signa sequentum.
Nec longum in medio tempus; quum clamorad aures
Pervenit, ac videt Euryalum, quem iam manusomnis,
F'raude loci et noctis, subito turbante tumultu,
Oppressum rapit et conantem plurima frustra.
Quid faciat? qua vi iuvenem, quibus audeat armis
Eripere? an sese medios moriturus in enses 400
190 ENEIDE
Da la sinistra incontra si mostraro;
Ché la destra dal fiume era difesa.
E chi dalle trincee, chi da le torri 725
Stavan dolenti rimirando i teschi
Ne l’ aste affissi polverosi e lordi,
Ch' ancor sangue gocciando eran pur troppo
Così lunge da’ miseri compagni
Raffigurati a le fattezze conte. 730
Spiegò la fama le sue penne intanto,
E la trista novella in ogni parte
Sparse per la città, sì ch' a gli orecchi
De la madre d' Eurialo pervenne.
Corse subitamente un gel per l’ ossa 73
A la meschina; e de le man le usciro
Le sue tele e i suoi fili. Indi, rapita
Dal duolo e da la furia, forsennata
E scapigliata ne la strada uscío;
E per mezzo de larmi e de le genti 7o
Qt
ZEneadae duri murorum in parte sinistra
Opposuere aciem; nam dextera cingitur amni,
Ingentesque tenent fossas, et turribus altis 470
Stant moesti: simul ora virum praefixa movebant,
Nota nimis miseris, atroque fluentia tabo.
Interea pavidam volitans pennata per urbem
Nuntia Fama ruit, matrisque allabitur aures
. Euryali. At subitus miserae calor ossa reliquit. 475
Excussi manibus radii, revolutaque pensa.
Evolat infelix, et, femineo ululatu,
LIBRO NONO 19t
Correndo, e mugolando, senza tema
Di periglio e di biasmo , andò gridando ,
E di questi lamenti il cielo empiendo :
Ahi così concio, Eurialo, mi torni? i
Eurialo sei tu? Tu sei 1 mio figlio, 745
Ch’ eri la mia speranza e '| mio riposo
Ne l'estreme giornate di mia vita !
Ahi come così sola mi lasciasti ,
Crudele? E come a così gran periglio
N' andasti , anzi a la morte, che tua madre 750
Non ti parlasse, oimé! l'ultima volta,
Né che pur ti vedesse? Ah! ch'or ti veggio
In peregrina terra esca di cani,
D' avoltoi e di corvi. Ed io tua madre,
Io cui l'esequie eran dovute e "| duolo 722
D'un cotal figlio, non t ho chiusi gli occhi,
Nè lavate le piaghe, né coperte
Con quella veste che con tanto studio
Scissa comam, muros amens atque agmina cursu
Prima petit, non illa virum, non illa pericli,
Telorumque memor; caelum dehinc questibus implet:
Hunc ego te, Euryale, adspicio? tune illa senectae
Sera meae requies potuisti linquere solum,
Crudelis? nec te, sub tanta pericula missum,
Affari extremum miserae data copia matri?
Heu, terra ignota canibus data praeda latinis, 485
Alitibusque iaces! nec te tua funera mater
Produxi, pressive oculos, aut vulnera lavi,
192 ENEIDE
T ho per trastullo de la mia vecchiezza
Tessuta io stessa e ricamata in vano. 760
Figlio, dove ti cerco? Ove ti trovo
Sì diviso da te? come raccozzo
Le tue così sbranate e sparse membra ?
Sol questa parle del tuo corpo rendi
A la tua madre, che per esser teco 765
T'ha per terra e per mar tanto seguito,
E seguiratü dopo morte ancora?
In me, Rutuli, in me tutti volgete
I vostri ferri, se pur regna in voi
Pietade alcuna. A me la morte date 770
Pria ch'a null'altro. O tu, Padre celeste,
Miserere di me. Tu col tuo télo
Mi trabocca nel Tartaro e m'ancidi,
Poiché romper non posso in altra guisa
Questa crudele e disperata vita. 773
Da questo pianto una mestizia, un duolo
Veste tegens, tibi quam noctes festina diesque
Urgebam, et tela curas solabar aniles.
Quo sequar? aut quae nunc artus avulsaque membra
Et funus lacerum tellus habet? hoc mihi de te,
Nate, refers? hoc sum terraque marique sequuta?
F'igite me, si qua est pietas, in me omnia tela
Coniicite, o Rutuli: me primam absumite ferro.
Aut tu, magne pater Diviém, miserere, tuoque 495
Invisum hoc detrude caput sub Tartara telo,
Quando aliter nequeo crudelem abrumpere vitam.
LIBRO NONO 193
Nacque ne’ Teucri, e tale anco ne l' armi
Un languore, un timore, una desidia,
Che grami, addolorati e di già vinti
Sembravan tutti. Onde Attore ed Idéo, 780
Con quel di lei togliendo il pianto altrui,
Per consiglio del saggio Ilionéo,
E per compassion del buono lülo
Che molto amaramente ne piangea,
Tosto a braccia prendendola, ambedue ^ 785
La portaro a l'albergo. Ed ecco intanto
Squillar s'ode da lunge un suon di trombe,
Un dare a l'arme, ed un gridar di genti
Tal, che ne tuona e ne rimugghia il cielo .
E veggonsi in un tempo i Volsci tutti 790
Sotto pavesi consertati e stretti
In guisa di testuggine appressarsi ,
Empier le fosse, dirupare il vallo,
E tentar la salita, e por le scale
Hoc fletu concussi animi, moestusque per omnes
It gemitus: torpent infractae ad praelia vires.
Illam incendentem luctus Idaeus, et Actor, 500
Ilionei monitu, et multum lacrimantis Iuli,
Corripiunt, interque manus sub tecta reponunt.
At tuba terribilem sonitum procul aere canoro
Increpuit: sequitur clamor, caelumque remugit.
Accelerant acta pariter testudine Volsci, 505
Et fossas implere parant, ac vellere vallum.
Quaerunt pars aditum, et scalis adscendere muros,
Eneide 77ol. II 25
194 ENEÍDE
Là dove la muraglia era di sopra 795
Con minor guardia, e là 've raro id cerchio
Tralucea de la gente. Incontro a loro
I Teucri i sassi, i travi ed ozni télo
Avventaron dal muro; e con le picche
Risospingendo , come it lungo assedio 800
Insegnò lor di Troia, a la difesa
Si fermàr de’ ripari; e le pareti
E i pilastri e le torti addosso a loro
E sopra a la testuggine gittando,
Gli scudi dissiparono e le genti, 805
Sì che più di combattere al coverto
Non si curaro. Ma d’ogni arme un nembo
Lanciando a la scoperta, i bastioni
Offendean de’ Troiani. E d'una parte
Qua rara est acies, interlucetque corona
Non tam spissa viris. Telorum effundere contra
Omne genus Teucri, ac duris detrudere contis, 510
Assueti longo muros defendere belio.
Saxa quoque infesto volvebant pondere, si qua
Possent tectam aotem perrumpere , quum tamenomnes
Ferre iuvat subter densa testudine casus.
Nec iam sufficiunt: nam, qua globus imminet ingens,
Immanem Teucri molem volvuntque ruunigue,
Quae stravit Rutulos late armorumque resolvit
Tegmina. Nec curant caeco contendere Marte
Amplius audaces Rutuli, sed pellere vallo
Missilibus certant. 520
LIBRO NONO 195
Mezenzio, formidabile a vedere, 810
Sen gia con un gran pino acceso in mano
Lo steccato infogando. Iva da l’altro
Il fier Messápo , di Nettuno il figlio ,
Domator de’ corsieri ; e scisso il vallo,
Scale, scale gridava, e per lo muro 815
Rampicando saliva. Or qui m'è d'uopo,
Calliope , il tuo canto a dir le prowe,
A dir l’oecision, che di sua mano
Fece Turno in quel dì; chi, quali, e quanti
A lOrco ne mandasse. Ogni successo 820
Spiega di questa guerra in queste carte.
Tutto a voi, Muse, è conto; e voi la possa
E l’arte evete di contarlo altrui. .
Era una torre di sublime altezza
Con bertesche e con ponti an sopra l'altro, 825
Loco opportuno. À questa eran d' intorno
Parte alia horrendus visu guassabat etruscam
Pinum, et fumiferos infert Mezentius ignes.
At Messapus equum domitor, neptunia proles,
Rescindit vallum, et scalas in moenia poscit.
Vos, o Calliope, precor, adspirate canenti, 525
Quas ibi tunc ferro strages, quae funera Turnus
Ediderit; quem quisque virum demiserit Orco:
Et mecum ingentes oras evolvite belli.
* Et meministis enim, Divae, et memorare potestis * .
Turris erat vasto suspectu, et pontibus altis, 530
Opportuna loco: summis quam viribus omnes
190 ENEIDE
Di fuor gl'Italiani, e dentro i Teucri ;
E quei facean per espugnarla ogni opra,
E questi per tenerla. Avanti a tutti
Si spinse Turno; ed una face ardente - 830
Lanciovvi da l'un fianco, ove s' apprese
Con molta fiamma; così fiero il vento,
Così secchi e disposti erano 1 legni.
Ardea la torre da quel canto, e dentro
La gente per timor cercava indarno 835
Di ritrarsi dal foco: onde a la parte
Da l' incendio remota in un sol mucchio
Si ristrinsero insieme; e da quel peso
Da quel lato in un subito la torre
Quasi spinta inchinossi, aprissi e cadde. . 840
Il ciel ne ritonò; la gente infranta,
Storpiata, sfracellata, infra i suoi legni
Da larmi proprie infissa, e fin ne l'aura
Expugnare Itali, summaque evertere opum vi
Certabant: T'roes contra defendere saxis,
Perque cavas densi tela intorquere fenestras.
Princeps ardentem coniecit lampada Turnus, | 535
« Et flammam affixit lateri; quae plurima vento
Corripuit tabulas, et postibus haesit adesis.
T'urbati trepidare intus, frustraque malorum
Velle fugam. Dum se glomerant, retroque residunt
In partem, quae peste caret, tum pondere turris 540
Procubuit subito, et caelum tonat omne fragore.
Semineces ad terram, immani mole sequuta,
LIBRO NONO 197
Morta e sepolta a terra se ne venne.
Soli due vivi; e per ventura intatti 845
Dal nembo de la polvere, e dal fumo
Uscir nel campo: Elenore fu l’ uno,
Lico fu l'altro. Elenore un garzone
Di prima barba, di Licinia serva
E di Meonio re nato di furto, 850
E sotto Troia. a militar mandato
Furtivamente. E'si trovò com’ era
Pria nella terra lievemente armato
Col brando ignudo, e con la targa al collo
Bianca del tutto, come non dipinta 855
D'alcun suo fatto glorioso ancora. .
Questi, vistosi in mezzo a tante genti
Di Turno e de Latini, come fera
Ch'aggia di cacciatori un cerchio intorno,
Muove contro a gli spiedi, incontr' a l’ armi; 860
Confixique suis telis, et pectora duro
T'ransfossi ligno veniunt. Vix unus Helenor,
Et Lycus elapsi: quorum primaevus Helenor, 545
Maeonio regi quem serva Licymnia furtim
Sustulerat, vetitisque ad T'roiam miserat armis,
Ense levis nudo, parmaque inglorius alba.
Isque, ubi se T'urni media inter millia vidit;
Hinc acies , atque hino acies adstare latinas: 550
. Ut fera , quae, densa venantum septa corona ,
Contra tela furit, seseque haud nescia morti
Iniicit, et saltu supra venabula fertur:
198 ENEIDE
Mosse là 've più folte eran le schiere,
E certo di morire a morte corse.
Ma Lico in su le ‘gambe assai più destro
Infra l'armi e i nemici a fuggir vólto,
Giunse a le mura, ed aggrappossi un guisa 865
Che stendea già le mani a’ suoì compagni.
Quando Turno e co’ piedi e con la spada
Lo sopraggiunse, e come vincitore
Rampognando gli disse: E che? pensasti,
Folle, uscirmi di mano? E le man tosto 870
Gli pose addosso, e siccome dal muro
Pendea, col muro insieme a terra il trasse.
In quella guisa che gli adunchi ugnoni
Contra uma lepre, o contra un bianco cigno
Stende l’augel di Giove, o ’1 marzio lupo 875
Da de reti rapisce un agnelletto ,
Haud aliter iuvenis medios moriturus in hostes
Irruit ; et, qua tela vidit densissimu, tendit. 555
At pedibus longe melior Lycus, inter et hostes,
Inter et arma fuga muros tenet, altague certat
Prendere tecta manu, sociwmque attingere desctras.
Quem 'nmus, pariter cursu telogue seguutus,
Increpat his victor; Nostrasne evadere, demens,
Sperasti te posse manus? simul arripit ipsum
Pendentem, et magna muri cum parte revellit.
Qualis ubi autleporem aut candenti corpore cy cum,
Sustulit alta petens pedibus lovis armiger mnucis ;
Quaesitum aut vnatri mulis balatibus agnum 565
LIBRO NONO 199
Che dalla madre sia belato invano.
Si rinnovàr le grida, e tutti msieme
O le faci avventando , o '1 fosso empiendo,
Rinforzavan l’ assalto . Ilionéo 880
Con un perzo di monte, a cui la pinta
Dié giù da' merli, sopra al ponte infranse
Lutezio ch’ a la porta era col foco.
Ligero uccise Emazione; Agila
Uccise Corinto, buon feritori . 885
L' uno. di dardo, e l'altro di saette.
Ortigio da Centa trafitto gincque ;
Cenée da Turno: ammazzò Turno ancora
Iti e Prezaolo e Clonio e Diosippo,
E Sagari con Ida: Ida che in alto 890
Stava d’un torrione a la difesa.
Capi ancise Priverno. Awea costui
Martius a. stabulis rapuit lupus. Undique clamor
Tollitur; invadunt, et fossas aggere complent.
Ardentes taedas alii ad fastigia iactant.
Hioneus saxo atque ingenti fragmine montis
Lucetium portae subeuntem, ignesque ferentem,570
Emathiona Liger, Corynaeum sternit Asylas,
Hic iaculo barsus, hic longe fallante sagitta.
Ortygium Caeneus, victorem Caenea Turnus,
Turnus Itym,Cloniumque, Diorippwn, Promolum-
que, | |
Et Sagarim, et summis stantem pre turribus Idan.
Priveraum Capys. Hunc primo lapis hasta Temillae
200 PNEIDE
Pria nel fianco una picciola ferita,
Anzi una graffiatura, che passando
Fe l'asta di Temilla: e ’1 male accorto, 895
Per su porvi la mano, abbandonato
Avea lo scudo; quando ecco volando
Venne una freccia che la mano e !] fianco
Insieme gli confisse; e via passando
Penetrógli al polmone. Il mortal colpo 900
Sì lo spirar de l’ anima gli tolse,
Che non mai più spiró. Stavasi Arcente,
D'Arcente il figlio, in su’ ripari ardito
Egregiamente armato, e - sopra l’ arme
D' una purpurea cotta era addobbato 905
Di ferrigno color, di drappo Ibero;
Un giovine leggiadro., che dal padre
Fu nel bosco di Marte a l'armi avvezzo
Lungo al Simeto, u'l'ara di Palíco
Tinta non come pria di sangue umano, gio
Più pingue e più placabile si mostra .
Strinxerat; ille manum proiecto tegmine demens
Ad vulnus tulit: ergo aliis allapsa sagitta,
Et laevo infixa est lateri manus, abditague intus
Spiramenta animae letali vulnere rumpit. 580
Stabat in egregiis Arcentis filius armis,
Pictus acu chlamydem, et ferrugine clarus hibera,
Insignis facie; genitor quem miserat Arcens,
Eductum Martis luco, symaethia circum
Flumina, pinguis ubi et placabilis ara Palici. 585
LIBRO NONO 201 |
, Mezenzio il vide; e l' altre armi deposte,
Prese la fromba, e con tre giri intorno
Se l' avvolse a la testa. Indi scoppiando -
Allentó ’1 piombo, che dal moto acceso 915
Squagliossi, e con gran rombo in una tempia
Il garzon percotendo, ne l'arena
Morto quanto era lungo lo distese.
Ascanio che fin qui solo a la caccia
Avea l' arco adoprato, or primamente 910
Oprollo in guerra, e col primiero colpo
Il feroce Numáno a terra stese.
Remolo era costui per soprannome
Chiamato; e poco avanti avea per moglie
Presa di Turno una minor sorella. 925
Ei di questo favor, di questo nuovo
Suo regno insuperbito , altero e gonfio
Stava ne l' antiguardia , e con le grida
Stridentem fundam, positis Mezentius hastis,
Ipse ter adducta circum caput egit habena;
Et media adversi liquefacto tempora plumbo
Diffidit, ac multa porrectum extendit arena.
T'um primum bello celerem intendisse sagittam
Dicitur , ante feras solitus terrere fugaces,
Ascanius, fortemque manu fudisse Numanum;
Cui Remulo cognomen erat; Turnique minorem
Germanam nuper thalamo sociatus habebat.
Is primam ante aciem digna atque indigna relatu
Vociferans, tumidusque novo praecordia regno
Eneide Vol. II 26
202 d ENEIDE
Si ringrandiva; e di lontano i Teucri
Schernendo, in cotal guisa alto dicea: 930
Questo è l’ onor che voi, Frigi, vi fate
D' un altro assedio? Un’ altra volta in gabbia
Vi riponete? E pur col vostro muro,
‘ E co i vostri ripari or. da la morte
Vi riparate? e voi, voi fate guerra 935
Per usurpare a noi le donne nostre ?
Qual Dio, qual infortunio, qual follia
V' ha condotti in Italia? E chi pensate
Di trovar qui? Quei profumati Atridi,
O "1 ben parlante Ulisse? In una gente. 940
Avete dato che da stirpe è dura.
I nostri figli non son nati a pena,
Che si tuffan ne fiumi. A l’onde, al gelo
Noi gl’ induriamo, e gl’ incallimo in prima; -
Poscia per le montagne e per le selve 949
Fanciulli se ne van la notte e '1 giorno.
Il lor studio è la caccia; e '1 lor diletto
Ibat, et ingentem sese clamore ferebat:
Non pudet obsidione iterum valloque teneri,
Bis capti Phryges, et Marti praetendere muros?
En, qui nostra sibi bello connubia poscunt! 600
Quis Deus Italiam, quae vos dementia adegit?
Non hic Atridae, nec fandi fictor Ulixes.
Durum ab stirpe genus, natos ad flumina primum
Deferimus, saevoque gelu duramus et undis:
Venatu invigilant pueri, silvasque fatigant: —— 605
LIBRO NONO 203
El cavalcare, e'l trar di fromba e d' arco.
La gioventù ne le fatiche avvezza,
E contenta del poco, o col bidente 990
Doma la terra, o con l' aratro i buoi,
O col ferro i nemici. Il ferro sempre
Avemo per le mani. Una sol’ asta
Ne fa picca e pungetto. A noi vecchiezza
Non toglie ardire, e de. le forze ancora. — 955.
Non ci fa, come voi, debili e scemi.
Per canute che sian le nostre teste,
Veston celate, e nuove prede ogn' ora
Quando da' boschi e quando da' nemici
Addur ne giova, e viver di rapina. 960
Voi con l' ostro e co’ fregi e co’ ricami,
Con le cotte a divisa e con le giubbe
Immanicate e co i fiocchetti in testa
A che valete? a gir così dipinti.
Flectere ludus equos, et spicula tendere cornu.
At patiens operum, parvoque assueta iuventus,
‘ Aut rastris terram domat, aut quatit oppida bello.
Omne aevum ferro teritur, versaque iuvencum
Terga fatigamus hasta: nec tarda senectus 610
Debilitat vires animi, mutatque vigorem:
Canitiem galea premimus; semperque recentes
Comportare iuvat praedas, et vivere rapto.
Vobis picta croco, et fulgenti murice, vestis;
Desidiae cordi; iuvat indulgere choreis: 615
Et tunicae manicas, et habent redimicula mitrae.
204 , ENEIDE
E così neghittosi? A far balletti 965
Da donnicciuole. O Frigi, o Frigiesse
Più tosto! in questa guisa si guerreggia ?
Via ne Dindimi monti, ove la piva
Vi chiama e ’l tamburino el zufoletto .
E con quei vostri galli, anzi galline 979
Di Berecinto , ite saltando in tresca;
E larmi e 1 ferro, che non fan per voi,
Lasciate a quei che son prodi e guerrieri.
Non poté tanto orgoglio e tanto oltraggio
Soffrir d'un folle il generoso Iulo, 975
E teso l'arco con la cocca al nervo,
Rimirò ’l cielo, e disse: Onnipotente
Giove, tu l'ardir mio, tu la mia mano
Fomenta e reggi. Ed io sacri e solenni
Ti farò doni: io condurrotti a l'ara 980
Un candido giovenco che la fronte
O vere Phrygiae, neque enim Phryges, ite per alta
Dindyma, ubi assuetis biforem dat tibia cantum.
Tympana vos buxusque vocant berecynthia matris
Idacae. Sinite arma viris, et cedite ferro. 620
Talia iactantem dictis, ac dira canentem
Non tulit Ascanius; nervoque obversus equino
Intendit telum; diversaque brachia ducens
Constitit, ante Iovem supplex per vota precatus:
Juppiter omnipotens, audacibus annue coeptis. 625
Ipse tibi ad tua templa feram solemnia dona,
Et statuam ante aras aurata fronte iuvencum
LIBRO NONO 205
Aggia indorata, e de la madre al pari
Erga la testa, e già scherzi e già coazi
Con le corna, e co piè sparga l' arena.
Giove, mentre dicea, tonò dal manco 985
Sinistro lato; e col suo tuono insieme
Scoccò l'arco mortifero di Iulo.
Volò I orribil télo, e per le tempie
Di Remolo passando, le trafisse.
Or va’, t' insuperbisci; or va’, deridi, 090
Scempio, l'altrui virtù. Queste risposte
Mandano i Frigi che son chiusi in gabbia
A i Rutuli signor dela campagna.
Questo sol disse Ascanio; ed al suo colpo
Le grida i Teucri e gli animi in un tempo 995
Al cielo alzaro. Era il crinito Apollo,
Quando ciò fu, ne la celeste piaggia
Sovra una nube assiso; e d'alto. il campo .
Candentem, pariterque caput cum matre ferentem,
Jam cornu petat, et pedibus qui spargat arenam.
Audiit, et caeli genitor de parte serena 650
Intonuit laesum. Sonat una fatifer arcus.
Effugit horrendum stridens adducta sagitta,
Perque caput Remuli venit, et cava tempora ferro
Traiicit. I, verbis virtutem illude superbis.
Bis capti Phryges haec Rutulis responsa remittunt.
Hoc tantum Ascanius. Teucri clamore sequuntur,
Laetitiaque fremunt, animosque ad sidera tollunt.
4theria tum forte plaga orinitus Apollo
206 ENEIDE
Scorgendo de Troiani e de gli Ausoni,
Come vede ogni cosa, visto il colpo 1000
Del vincitore arciero, in vér lui disse:
Ahi buon fanciullo, in cui virtü s' avanza!
Così vassi a le stelle. Or ben tu mostri
Che da gli Dii sei nato, e ch'altri Dü
Nasceranmo da te. Tu sei ben degno 1005
Ch’ ogni guerra, che '| Fato ancor minacci
A la casa d' Ássáraco, s acqueti
Per tua grandezza, a cui Troia è minore,
Sì che già non ti cape. E, così detto,
Si fendè l'aura avanti, e vér la terra 1010
Calossi, trasmutossi, e come fosse
Il vecchio Bute, al giovine accostossi .
Fu Bute in. prima del Dardanio Anchise
Valletto d'arme e cameriero e paggio,
E poscia per custode e per compagno : 1015
Desuper ausonias acies, urbemque videbat
Nube sedens, atque his victorem affatur Iulum:
Macte nova virtute, puer. Sic itur ad astra,
Dis genite, et geniture Deos. Iure omnia bella
Gente sub Assaraci fato ventura resident:
Nec te Troia capit. Simul, haec effatus, ab alto
4Ethere se mittit, spirantes dimovet auras, 645
Ascaniumque petit. Forma tum vertitur oris
Antiquum in Buten. Hic dardanio Anchisae
. Armiger ante fuit, fidusque ad limina custos:
Tum comitem Ascanio pater addidit. Ibat Apollo
LIBRO NONO 207
L’ ebbe Ascanio dal padre. A questo vecchio
Mostrossi Apollo di color, di voce,
.D' andar, di canutezza e. d armatura
Simile in tutto;.ed a l’andente Iulo |
Fatto vicino, in tal guisa gli disse: 1020
Bastiti aver , d' Enea preclaro figlio,
Senza alcun rischio tuo Numano ucciso.
Di questa prima lode il grande Apollo
Ti privilegia, e non t' invidia il colpo,
Né 'l.paraggio de !' arco. Or da la pugna 1025
Ritraggiti . E, ció detto, da la vista
De’ circostanti si ritrasse anch’ egli,
E sormontando dissipossi e sparve.
Rassembrarono in Bute i Teucri Apollo,
E riconobber la faretra e l’ arco, - 1030
Che fuggendo sonar anco s' udiro.
E fér si con le preci e col precetto
Omnia longaevo similis, vocemque coloremque, 650
Et crines albos et saeva sonoribus arma:
Atque his ardentem dictis affatur Iulum:
Sit satis, /Eineada, telis impune Numanum
Oppetiisse tuis: primam hanc tibi magnus Apallo
Concedit laudem, et paribus non invidet armis: 655
Cetera parce, puer, bello. Sic orsus Apollo
Mortales medio adspectus sermone reliquit, .
Et procul in tenuem ex oculis evanuit auram.
Agnovere Deum proceres divinaque tela :
Dardanidae, pharetramque fuga sénsere sonantem.
208 ENEIDE
D'un tanto Iddio, ch’ Ascanio ancor che vago
Fosse di pugna, se ne tolse al fine;
Ed essi apertamente a ripentaglio 1035
Misero in vece sua le vite loro.
Spargesi un grido per le mura in tanto
Per tutte le difese; e tutti a gli archi
Tutti a tirar, tutti a lanciar si diero
D'ogni sorte arme, e d'ogni parte il suolo 1040
N'era coverto , quando altro conflitto
Cominciossi di scudi e di celate,
Una mischia di picche, una battaglia
Che crescea tutta volta, rinforzando
Con quella furia che di pioggia un nembo 1045
Vien da l’occaso, allor che d' oriente
Fan sorgendo i Capretti a noi tempesta:
O quando orrido e torbo e d' austri cinto
E "n grandine converso irato Giove,
D' alto precipitando , si devolve 1050
Ergo avidum pugnae, dictis ac numine Phoebi,
Ascanium prohibent: ipsi in certamina rursus
Succedunt, animasque in aperta pericula mittunt.
It clamor totis per propugnacula muris:
Intendunt acres arcus, amentaque torquent. — 665
Sternitur omne solum telis: tum scuta cavueque
Dant sonitum flictu galeae: pugna aspera surgit:
Quantus ab occasu veniens pluvialibus Hoedis
Verberat imber humum: quam multa grandine nimbi
In vada praecipitant quum Jupiter horridus Austris
LIBRO NONO 200
Sopra la terra, e ’l ciel rompendo intuona .
Pandaro e Bizia d' Alcanóro Ideo,
E d'Iéra salvatica sua moglie
Figli, in Ida acquistati, e d'Ida usciti
L' uno a l' altro simile, ed ambidue 1055
A quegli abeti ed a quei monti uguali
Ond’ eran nati, avean dal teucro duce
Una porta in custodia. E confidati - |
Ne le forze e ne l' armi, a bello studio
La lasciarono aperta, ed a’ nimici 1000
Fér da le mura marziale invito.
Essi armati di ferro, un da la destra,
L/ altro da la sinistra, a due pilastri
Sembianti, anzi a due torri che nel mezzo
Tengan la porta, con le teste in alto 1065
E co raggi de gli elmi i campi intorno
Folgorando, squassavano i cimieri
Fin sovr' a’ merli. In cotal guisa nate
T'orquet aquosam hiemem, et caelo cava nubila rum-
pit. | |
Pandarus et Bitias, idaeo Alcanore creti,
Quos lovis eduxit luco silvestris Iaera,
Abietibus iuvenes patriis et montibus aequos,
Portam, quae ducis imperio commissa, recludunt
Freti armis, ultroque invitant moenibus hostem.
Ipsi intus dextra ac laeva pro turribus adstant
Armati ferro, et cristis capita alta corusci:
Quales aeriae liquentia flumina circum,
Eneide Z’ol. II 27
210 ENEIDE
Ne le ripe si veggon di Liquezio,
De l Adice, o del Pò due querce altere — 1070
Sorgere al cielo, e sventolarsi & l'aura.
Visto l' adito aperto , incontanente
, Vi si spinsero i Rutuli. E Quercente
Ed Equicolo i primi armati e fieri,
. L'ardito Omaro e '1 bellicoso Emone 1075
Tutti co' lor compagni impeto féro;
E tutti o fur da' Teucri in fuga vòlti,
O ne l' entrar di quella porta ancisi.
Giunto a gli animi infesti il sangue sparso,
S' accrebber l’ ire; e de Troiani in tanto 1080
Tale un numero altronde vi concorse,
Che prender zuffa, e tener campo osaro.
Turno sfogava il suo furore altrove
Contra i nemici; quando un messo avanti
Sive Padi ripis, Athesim seu propter amoenum 680
Consurgunt geminae quercus, intonsaque caelo
Attollunt capita, et sublimi vertice nutant:
Irrumpunt, aditus Rutuli ut videre patentes.
Continuo Quercens, et pulcher Aquicolus armis,
Et praeceps animi Tmarus, et mavortius Haemon ,
Agminibus totis aut versi terga dedere,
Aut ipso portae posuere in limine vitam.
T'um magis increscunt animis discordibus irae:
Et iam collecti Troes glomerantur eodem,
Et conferre manum, et procurrere longius audent.
Ductori Turno, diversa in parte furenti,
LIBRO NONO 21!
Gli comparve dicendo, che di Troia 1095
Erano usciti , e stavan con le porte,
Quanto eran larghe, a far strage e macello
De le sue genti. Ei tosto da quel canto
Lasciò l impresa; e contro i due fratelli
A la dardania porta irato accorse. 1090
E primamente Antifate, che primo
' Gli venne avanti, un giovine bastardo
Di Sarpedonte, e di tebana madre,
Con un colpo di dardo a terra stese.
Colpillo ne lo stomaco, e passogli 1095
Oltre al polmone, onde di caldo sangue ,
Quasi d' un antro, dilagossi un fonte.
Merope, Afidno ed Erimanto appresso
Uccise con la spada, un dopo l’altro
Come a caso incontrógli. Atterro Bizia 1100
Turbantique viros, perfertur nuntius, hostem
Fervere caede nova, et portas praebere patentes.
Deserit inceptum, atque immani concitus ira
Dardaniam ruit ad portam, fratresque superbos: 695
Et primum Antiphaten, is enim se primus agebat,
T'hebana de matre nothum Sarpedonis alti,
Coniecto sternit iaculo: volat itala cornus
"era per tenerum, stomachoque infixa sub altum
Pectus abit: reddit specus atri vulneris undam 700
Spumantem, et fixo ferrum in pulmone tepescit.
Tum Meropem, atque Erymantha manu,tum sternit
Aphidnum;
212 ENEIDE
Dopo costoro, ma non già col dardo,
E men col brando; ch’ altro colpo er’ uopo
A sì gran corpo. À costui, mentre infuria,
Mentre stizza per gli occhi avventa e foco ,
Infocato , impiombato e grave un télo 1105
Scaricò di. falarica, che in guisa
Di fulmine stridendo e percotendo
Lo giunse sì che né lo scudo avvolto
Di due bovine terga, né la fida
Lorica.di due squame e d'ór contesta 1110
Non lo sostenne. Barcollando cadde
La smisurata mole, e tal dié crollo
Che 1 terren se ne scosse, e '| gran suo scudo
Gli tonó sopra. In tal guisa di Baia
Su l' eüboica riva il grave sasso, 1115
Ch'é sopra l' onde a fermar l’ opre eretto,
Da l'alto ordigno ov’ era dianzi appeso,
Si spicca e piomba, e fin ne l’imo fondo
Tum Bitian ardentem oculis, animisque frementem,
Non iaculo: ( neque enim iaculo vitam ille dedisset)
Sed magnum stridens contorta phalarica venit, 705
Fulminis acta modo, quam nec duo taurea terga ,
Nec duplici squama lorica fidelis et auro
Sustinuit. Collapsa ruunt immania membra:
Dat tellus gemitum, et clypeum super intonat ingens.
Qualis in euboico Baiarum litore quondam 710
Saxea pila cadit, magnis quam molibus ante
Constructam ponto iaciunt: sic illa ruinam .
LIBRO NONO 213 -
Ruinando si tuffa, e frange il mare,
E disperge l'arena: onde ne trema 1120
Procida ed Ischia, e '| gran Tiféo se n' ange,
Cui sì duro covile ha Giove imposto.
Qui Marte il suo potere e '| suo favore
Volse verso i Latini. Animi e forze
Aggiunse loro, gl'incitó, gli accese; 1125
E di tema e di fuga e di scompiglio
Diè cagione a’ Troiani. E già ch'a pugna
S'era venuto, e de la pugna il nume
Era con loro; accolti d'ogni parte
Si ristringono i Rutuli, e fan testa. 1130
Pandaro, poi che '| suo fratello estinto
Si vide avanti, e la fortuna avversa,
A la porta con gli omeri appuntossi:
E sì com'era poderoso e grande,
Prona trahit, penitusque vadis illisa recumbit:
Miscent se maria, et nigrae attolluntur arenae.
T'um sonitu Prochyta alta tremit, durumque cubile
Inarime lovis imperiis imposta T'yphoeo.
Hic Mars armipotens animum viresque Latinis
Addidit, et stimulos acres sub pectore vertit;
Immisitque fugam Teucris, atrumque timorem.
Undique conveniunt; quoniam data copia pugnae,
Bellatorque animos Deus incidit.
Pandarus, ut fuso germanum corpore cernit,
Et quo sit fortuna loco, qui casus agat res,
Portam vi multa converso cardine torquet,
è r_——u—++——____——__m_ em.
2:54 ENEIDE
Con molta forza la respinse e chiuse, 1135
Molti esclusi de'suoi, che per la fretta
Rimaser ne le peste, e molti inclusi
Ch'eran nimici: e non s'avvide il folle,
Che de' nimici in quella calca ancora
Era lo stesso re da lui raccolto 1140
À far de'suoi, qual tra le greggi imbelli
Ircana tigre immane. Ei non. più tosto
Fu dentro, che raggiò da gli occhi un lume
Spaventevole e fiero; e l'armi sue
Fieramente sonaro. Il suo cimiero 1145
Ne l'aura. ondeggiò sangue, e dal suo scudo
Uscir folgori e lampi. Incontanente
La sua faccia odiata e l'suo gran fusto
. Raffigurando, i Teucri si turbaro.
Pandaro allor de la fraterna morte 1190
Obnixus latis humeris, multosque suorum 725
Moenibus exclusos duro in certamine linquit;
Ast alios secum includit recipitque ruentes,
Demens! qui rutulum in medio non agmine regem
Viderit irrumpentem, ultroque incluserit urbi:
Immanem veluti pectora inter inertia tigrim. 730
Continuo nova lux oculis offulsit, et arma
Horrendum sonuere: tremunt in vertice cristae
Sanguineae, clypeoque micantia fulmina mittunt.
«Agnoscunt faciem invisam atque immania membra
Turbati subito /Eneadae. Tum Pandarus ingens
Emicat, et mortis fraternae fervidus ira,
LIBRO NONO 215
Fervidamente irato, avanti a tutü
Gli si fe ’ncontro, e disse: E non è, Turno,
Questa la reggia che t’ assegna in dote
La tua regina; e non hai d' Ardea intorno
Le patrie mura. Ne le forze entrato 1159
Sei de’ nimici, onde scampar non puoi.
Or via, Turno ghignando gli rispose
Placidamente , via se tanto ardisci,
Meco ti prova; che ben tostamente
A Priamo dirai ch'in questa Troia, 1160
Come ancor ne la sua, trovossi Achille.
Ciò detto, gli avventó Pandaro un dardo
Di tutta forza nodoroso e grave,
E di ruvida ancor corteccia involto.
L'aura lo prese, e la saturnia Giuno 1163
Deviò ’1 colpo sì che da la mira
Si torse, e ne la porta si confisse.
Effatur: Non haec dotalis regia Amatae;
Nec muris cohibet patriis media Ardea Turnum.
Castra inimica vides: nulla hinc exire potestas.
Olli subridens sedato pectore Turnus: 74o
Incipe, si qua animo virtus, et consere dextram:
Ilic etiam inventum Priamo narrabis Achillem.
Dixerat. Ille rudem nodis et cortice crudo
Intorquet summis annixus viribus hastam.
Excepere aurae vulnus: saturnia Iuno 749
Detorsit veniens; portaeque infigitur hasta.
At non hoc telum, mea quod vi dextera versat,
216 ENEIDE
Non si cadrà questa mia spada in fallo,
Disse allor Turno; tale è chi la vibra,
E tal fa colpo. Ed a ferire alzato 1170
L'inves ne la fronte, e gli divise
Le tempie, le mascelle e ’1 mento ignudo
Ancor di barba, infin là ’ve s'appicca
Il collo al petto. Al suon de la percossa,
Al fracasso de l'armi, a la ruina, 1175
Che fer cadendo quelle membra immani,
Tremó la terra, e ne fu d'atro sangue
E di cervella aspersa. Egli morendo
Giacque rovescio, e dechinó la testa
Parte a l’ omero destro, e parte al manco. 1180
AJ cader di costui tal prese i Teucri
Tema e spavento, che dispersi in fuga
Sen giro. E s'era il vincitore accorto
D'’ aprir la porta e di por dentro i suoi,
Effugies; neque enim is teli nec vulneris auctor.
Sic ait, et sublatum alte consurgit in ensem,
Et mediam ferro gemina inter tempora frontem 750
Dividit, impubesque immani vulnere malas.
Fit sonus: ingenti concussa est pondere tellus.
Collapsos artus atque arma cruenta cerebro
Sternit humi moriens: atque illi partibus aequis
Huc caput atque illuc humero ex utroque pependit.
| Diffugiunt versi trepida formidine Troes.
Et, si contínuo victorem ea cura subisset,
Rumpere claustra manu, sociosque immittere portis,
LIBRO NONO 217
Fóra stato quel giorno e de la guerra 1185
E de' Troiani il fine. Ma la furia
E Pardor di combattere e l’ insana
Ingordigia di sangue ne '| distolse.
Onde seguendo, in Falari ed in Gige
S'abbatté prima. A l'uno il petto aperse; 1190
Sgherrettò l'altro. A quei ch'erano in fuga
Con l’ aste di color ch’ eran caduti,
Feria le terga; e nuova occasione
Gli ponea tuttavia nuov armi in mano;
Siccome ancor Giunon nuovo ardimento — 1199
Gli dava e nuove forze. Ali tra questi
Mandó per terra, e Fégea confisse
Con lo suo scudo. Uecise in su le mura,
Mentre a’ nemici eran di fuori intenti,
Alio ed Alcadro e Pritane e Nomone. 1200
A Lincéo, ch'osò di stargli a fronte
Ultimus ille dies bello gentique fuisset.
Sed furor ardentem, caedisque insana cupido 760
Egit in adversos.
Principio Phalerim, et succiso poplite Gygen
Excipit: hinc raptas fugientibus ingerit hastas —
In tergus: Iuno vires animumque ministrat.
Addit Halym comitem, et confixa Phegea parma;
Ignaros deinde in muris, Martemque cientes,
Alcandrumque Haliumque Noemonaque Prytanim-
que;
Lyncea tendentem contra, sociosque vocantem
Eneide /ol. II 28
218 ENEIDE
E chiamare i compagni, con un colpo,
Che di rovescio con gran forza diegli,
Recise il capo, e l’avventò con l'elmo
Lunge dal busto. Dopo questi ancise 1205
Amico, un cacciator ch'era in campagna
Gran distruttor di fere,e gran maestro
D'armar di tosco le saette e ’l ferro:
E Clizio ancise d' Eólo il buon figlio,
E Cretéo de le Muse il caro amico 1210
E ’1 diletto compagno, che di versi
E di cetre e di numeri e di corde
Era sol vago, e di cantar mai sempre
O d'armi, o di cavalli, o di battaglie.
I condottier de’ Teucri udita al fine 1215
De' suoi la strage, insieme s'adunaro
Memmo e Seresto. E visti i lor compagni
Vibranti gladio connixus ab aggere dexter
Occupat: huic uno deiectum cominus ictu 770
Cum galea longe iacuit caput. Inde ferarum
Vastatorem Amycum, quo non felicior alter,
Ungere tela manu, ferrumque armare veneno:
Et Clytium aeoliden, et amicum Crethea Musis,
Crethea Musarum comitem, cui carmina semper
Et citharae cordi, numerosque intendere nervis:
Semper equos atque arma virum pugnasque canebat,
Tandem ductores, audita caede suorum,
. Conveniunt Teucri, Mnestheus acerque Serestus,
Palantesque vident socios, hostemque receptum. 780
LIBRO NONO 219
Dispersi, e già '| nimico in salvo addursi,
Gridando, Oh, disse Memmo, ove fuggite ?
Ove n' andate? e qual ridotto avete 1220
O di mura o di sito altro che questo?
Dunque un sol uomo; e d'ogni parte chiuso
In poter vostro, avrà, miei cittadini ,
Senza alcun danno suo fatto di noi
Ne la nostra città sì gran macello? 1225
Tanti de’ nostri giovani sotterra .
Avrà mandati? E noi, noi non avremo
(Si codardi saremo) o de la nostra
Infortunata patria, o de gli antichi
Nostri Penati, o del gran nostro Enea 123o
Né pietà , né rispetto, né vergogna?
Da questo dire accesi e rincorati —
. Si ristrinsero insieme. E Turno intanto
Da la pugna allentando in vér la parte
Et Mnestheus: Quo deinde fugam, quo tenditis? in-
quit.
Quos alios muros, quae iam ultra moenia habetis?
Unus homo, et vestris, o cives, undique saeptus
4ggeribus, tantas strages impune per urbem
Ediderit? iuvenum primos tot miserit Orco? 785
Non infelicis patriae, veterumque Deorum,
Et magni /Eneae segnes miseretque pudetque?
Talibus accensi firmantur, et agmine denso
Consistunt. Turnus paullatim excedere pugna,
Et fluvium petere, ac partem, quae cingitur amni.
220 ENEIDE
Che dal fiume era cinta, a poco a poco 1235
Appressossi a la riva: onde i Troiani
Con impeto maggior, con maggior grida
Gli furon sopra. E qual fiero leone
Che da la moltitudine e da l’ armi
Si vede oppresso, tra fierezza e tema 1240
Torvamente mirando, si ritira;
Ché né ’1 valor, nè l'ira gli consente
Volgere il tergo, né de’ cacciatori,
Nè di spiedi spuntar puote il rincontro:
Così Turno dubbioso o di ritrarsi, 1245
O di spingersi avanti, irato e lento,
Guardingo e minaccioso se n’ andava:
E due volte avventandosi nel mezzo
Si cacciò de’ nemici; ed altrettante
Gli ruppe, e salvo in dietro si ritrasse. — 1250
Al fine in un drappello insieme accolte
Acrius hoc Teucri clamore incumbere magno,
Et glomerare manum: ceu saevum turba leonem
Quum telis premit infensis : at territus ille,
"Asper, acerba tuens, retro redit: et neque terga
Ira dare aut virtus patitur; nec tendere contra 795
Ille quidem hoc cupiens, potis est per tela virosque.
Haud aliter retro dubius vestigia T'urnus
Improperata refert, et mens exaestuat ira.
Quin etiam bis tum medios invaserat hostes:
Bis confusa fuga per muros agmina vertit. 800
Sed manus e castris propere coit omnis in unum.
LIBRO NONO 22
Le Teucre genti incontro gli si féro
E di Saturno non osò la figlia
Di più forza prestargli; chè dal cielo
Giove a la sua sorella avea mandato 1255
Iri a farne richiamo, e minacciarle,
Se Turno immantinente da le mura
Non uscia de' Troiani. Or non potendo
Più ’1 giovine supplire o con la destra,
Ch' era a ferir già stanca, o con lo scudo, 1260
Che di dardi e.di frecce era coverto;
L'elmo già spennacchiato, e l'armi tutte
Smagliate e fesse, con un nembo addosso
Di sassi per le tempie , e d' aste a' fianchi,
Già da Memmo incalzato, alfin cedette. 1265
E come di sudor colava, ansava,
E quasi rifiatar più non potea,
Nec contra vires audet saturnia Iuno
Sufficere; aeriam caelo nam luppiter Irim
Demisit, germanae haud mollia iussa ferentem,
Ni Turnus cedat Teucrorum moenibus altis. 805
Ergo nec clypeo iuvenis subsistere tantum,
Nec dextra valet: iniectis sic undique telis
Obruitur. Strepit assiduo cava tempora circum
Tinnitu galea, et saxis solida aera fatiscunt;
Discussaeque iubae capiti: nec sufficit umbo 810
Ictibus: ingeminant hastis et Troes et ipse
Fulmineus Mnestheus. T'um toto corpore sudor
Liquitur et piceum (nec respirare potestas)
222 ENEIDE
Con tutte l’armi in dosso un salto prese,
E nel Tebro avventossi. Il biondo Tebro
Placido lo raccolse; e salvo e lieto, 1270
E da l' occision purgato e mondo,
Su l'altra riva a’ suoi lo ricondusse.
Flumen agit: fessos quatit acer anhelitus artus.
Tum demum praeceps saltu sese omnibus armis 815
In fluvium dedit. Ille suo cum gurgite flavo
"ccepit venientem, ac mollibus extulit undis,
Et laetum sociis abluta caede remisit.
Fine del Libro nono.
DELL’ ENEIDE
DI VIRGILIO
LIBRO DECIMO
c—ÜÓÓün m
ARGOMENTO
Di Gino , e Citerea P alte contese
Giove tenta placare . Enea ritorna
Cinto d" aiuti , a cui nel lido fanno
Duro incontro i Latin: per man di Turno
Cade Pallante , e poi d? Enea Mezenzio .
Aprissi la magion celeste intanto,
E del cielo il gran Padre in cima ascese
Del suo cerchio stellato. Indi mirando
La terra, e de’ Troiani e de’ Latini
Visto il conflitto, a sé de gli altri Dei 9
Chiamò 1 consiglio. E com' era da l'orto
E. da l'occaso la sua reggia aperta,
Ratto tutti adunati, assisi e cheti,
Disse egli in prima: Cittadini eterni,
Panditur interea domus omnipotentis Olympi,
Conciliumque vocat Divum pater atque hominum rex
Sideream in sedem: terras unde arduus omnes,
Castraque Dardanidím adspectat , populosque la-
tinos.
Considunt tectis bipatentibus. Incipit ipse: 5
Caelicolae magni, quia nam sententia vobis
224 ENEIDE
Qual v' ha cagione a distornar rivolti 10
Quel ch'é già stabilito? A che tra voi
Con tanta iniquità tanto contrasto ?
Non s'è da me già proibito e fermo
Che non deggian gli Ausoni incontro a’ Teucri
Sorgere a l' armi? Che discordia è questa 15
Contro al divieto mio? Qual ha timore
A la guerra incitati o questi o quelli?
Tempo vi si darà ben degno allora
Di guerreggiar (non l' affrettate or voi )
Che la fera Cartago aprirà l'alpi, 20
Grave a Roma portando esizio e strage.
Allora a gli odii, al sangue, a le rapine
Larga vi si darà licenza e campo.
Or lietamente la tenzone e l' armi
Fermate; e sia tra voi concordia e pace. 25
Tal fece ragionando il gran monarca
Breve proposta. Ma non brevemente
Versa retro, tantum que animis certatis iniquis?
Abnueram bello Italiam concurrere T'eucris.
Quae contra vetitum discordia? quis metus aut hos,
Aut hos arma sequi, ferrumque lacessere suasit? 10
Adveniet iustum pugnae, ne accersite, tempus,
Quum fera Carthago romanis arcibus olim ©
Exitium magnum, atque Alpes immittet apertas:
Tum certare odüs, tum res rapuisse licebit.
Nunc sinite, et placidum laeti componite foedus.
luppiter haec paucis: at non Venus aurea contra
o
LIBRO DECIMO 225
Venere in questa guisa gli rispose:
Padre e re de’ celesti, e de’ mortali
Eterna possa (e qual altra maggiore Jo
S' implora altronde?) ecco tu stesso vedi
L'arroganza de' Rutuli, e quel fasto
Con che Turno cavalca; e vedi il vampo
E la ruina che si mena avanti,
Da la sua tracotanza e dal successo 3
Di questa pugna insuperbito e gonfio.
Vedi i Teucri infelici, ch’ ancor chiusi
Non son securi; e ’nfin dentro a le porte
E "n su'ripari e ’n su le lor difese
Son combattuti; e la lor propria fossa 4o
E di lor sangue un lago. Di ciò nulla
Il mio figlio non sa: tanto n' é lunge.
Or non fia ch' una volta esca d'assedio
Questa misera gente? Ecco han le mura
Pauca refert.
O pater, o hominum Divimque aeterna potestas!
(Namque aliud quid sit, quod iam implorare quea-
mus?)
Cernis, ut insultent Rutuli; Turnusque feratur 20
Per medios insignis equis, tumidusque secundo
Marte ruat? Non clausa tegunt iam moenia T'eucros:
Quin intra portas atque ipsis praelia miscent
Aggeribus murorum, et inundant sanguine fossae.
4Eneas ignarus abest. Numquamne levari . a9
Obsidione sines? Muris iterum imminet hostis
Eneide 7"ol. II 29
226 ENEIDE
De l'altra Troia altri nimici attorno; 45
Altro esercito in campo; un'altra volta
D' Arpi vien Diomede a’ danni suoi.
Resta, cred’ io, ch’ un’ altra volta ancora
Io sia da lui ferita, e che di nuovo
Sia la tua figlia a mortal ferro esposta. 50
Signor, se contra ]a tua voglia i Teucri
Son venuti in Italia, è ben ragione
Che sian puniti, e del tuo aiuto indegai :
Ma se tratti vi sono, e s'è lor dato
Da gli oracoli tutti e de’ celesti 92
E de' gl' inferni, qual puó senno o forza
A Giove opporsi, e far nuovo destino ?
Ch' io non vo'dir de le combuste navi
Su la spiaggia Ericina, né de' venti
Che ’1 re spinse d' Eólia a tempestarlo, 6o
Nascentis Troiae, nec non exercitus alter:
"tque iterum in Teucros aetolis surgit ab Arpis
T'ydides. Equidem, credo, mea eulnera restant:
Et tua progenies mortalia demoror arma. Jo
Si sine pace tua atque invito numine T'roes
Italiam petiere; luant peccata, neque illos
Juveris auxilio. Sin tot responsa sequuti,
Quae Superi Manesque dabant; cur nunc tua quis-
quam
Vertere iussa potest? aut cur nova condere fata? 35
Quid repetam exustas erycino in litore classes?
Quid tempestatum regem, ventosque furentes,
LIBRO DECIMO . 227
Nè d'Iri che di qui fu già mandata
Per darle al foco. Infin da l’ Acheronte
Tratte ha le Furie (questa sol mancava
Parte de l' universo non tentata
A loro offesa ) d' Acheronte, dico,
Ha tratta Aletto a suscitar l'Italia
Incontr' a loro. Or, Signor mio, non curo
Più d' altro imperio. lo lo sperava allora
Gh' era più fortunata. Imperi e vinca
Or chi t'aggrada. E s' anco non è loco
Nel mondo, ove a la tua dura consorte
Piaccia che sian quest’ infelici accolti,
Per l’ incendio, Signor, per la ruina,
E per la solitudine ti prego
De la mia Troia, che ritrar mi lasci
Salvo da questa guerra Ascanio almeno .
Lasciami, Padre mio, questo nipote
Mantener vivo; e se ne vada Enea
4Eolia excitos? aut actam nubibus I im?
Nunc etiam Manes (haec intentata 14anebat
Sors rerum) movet, et Superis imm«ssa repente
Alecto, medias Italum bacchata per urbes.
INil super imperio moveor: speravimus ista,
Dum fortuna fuit: vincant, quos vincere mavis.
Si nulla est regio, Teucris quam det tua coniux
Dura; per eversae, genitor, fumantia Troiae
Excidia obtestor, liceat dimittere ab armis
Incolumen Ascanium, liceat superesse nepotem:
c
Ct
79
40
45
228 i ENEIDE
Ramingo , ovunque il mare o la fortuna
Lo si tramandi. Io lo terrò da !' armi 80
Remoto ne’ miei lochi,o d' Amatunta,
O d'Idalio, o di Pafo, o di Citéra
A menar. vita ignobile e privata,
Pur che sicura. E tu, come a te piace,
Comanda ch'a l Ausonia il giogo imposto — 85
Sia da Cartago, sì che più non l'osti
In alcun tempo. Or che, padre, ne giova
Che da l' occisioni e da gl’ incendi
De la lor patria e da tant’ altri rischi
Sian già del mare e de la terra usciti? 90
E che val che da te sia lor promessa,
Da lor tanto ricerca, e già trovata
Questa Troia novella , se di nuovo
Convien che caggia? Assai meglio sarebbe
ZEneas sane ignotis iactetur in undis;
Et, quamcumque viam dederit fortuna, sequatur.
Hunc tegere, et dirae valeam subducere pugnae. 50
Est Amathus, est celsa mihi Paphus atque Cythera
Idaliaeque domus: positis inglorius armis
Exigat hic aevum. Magna ditione iubeto
Carthago premat Ausoniam: nihil urbibus inde
Obstabit tyriis. Quid pestem evadere belli 95
luvit, et argolicos medium fugisse per ignes?
Totque maris vastaeque exhausta pericula terrae, —
Dum Latium Teucri,recidivaque Pergama quaerunt?
Non satius cineres patriae insedisse supremos,
LIBRO DECIMO 229
Che fosser tra le ceneri e nel guasto, 93
Dove fu l'altra, A Xanto, a Simóenta
Fa’, ti prego, Signor, che si radduca
Questa gente infelice, e che ritorni
À passar d’ Ilio i guai. Giunone allora
Infuriata, A che, disse, mi tenti, 100
Perch'io rompa il silenzio, e mostri il duolo
Ch'ho portato nel cor gran tempo ascoso?
Qual è mai per tua fé stato uomo, o Dio
Ch’ Enea sforzasse a cercar briga? a farsi
Nemico il re Latino? Oh ’1 fato addotto 105
L' ha ne l'Italia! Sì, ma da le furie
C'è spinto di Cassandra. E chi gli ha dato
Consiglio? io forse, ch’ abbandoni i suoi?
Io che dia la sua vita in preda a’ venti?
Io, che la cura e ’l carco de la guerra 110
Lasci in man d' un fanciullo? e che sollevi
Atque solum, guo Troia fuit? Xanthum et Simoenta
Redde, oro, miseris: iterumque revolvere casus
Da, pater, iliacos Teucris. Tum regia Iuno
Acta furore gravi: Quid me alta silentia cogis
Rumpere, et obductum verbis vulgare dolorem?
"Enean hominum quisquam Divumque subegit 65
Bella sequi, aut hostem regi se inferre Latino?
Italiam fatis petiit auctoribus: esto:
Cassandrae impulsus furiis. Num linquere castra
Hortati sumus, aut vitam committere ventis?
Num puero summam belli, num credere muros? 70
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sive nubibus Iris?
Xu. circumdare flammis
‘um consistere terra: — 55
va Venilia mater.
m ferre Latinis?
E "atque avertere praedas?
iS zülergmiis abducere pactas?
rat Ta nere puppibus arma? 80
si
uc Eicgvioion abducere Graium,
Sp...
LIBRO DECIMO 231
Di lui la nebbia e ?] vento; tu la forma
Cangiar delle sue navi in altrettante 130
Ninfe di mare; ed io cosa nefanda
Farò se porgo a’ Rutuli un aiuto,
Per minimo che sia? Non v'è tuo figlio
Presente ; non vi sia: non sa; non sappia.
Sei regina di Pafo, d' Amatunta, 135
Di Citéra e d' ldalio: e che vai dunque
Provocando con l'armi una contrada
Non tua, pregna di guerre? e stuzzicando
Si bellicosa gente? Ed io son quella,
Io, che l'afflitte lor fortune agogno 140
Di porre al fondo? E perchè non più tosto
Chi de’ Greci a le man gli pose in prima?
Chi prima fu cagion ch'a guerra addusse
L' Europa e l'Asia) Chi commise il furto
Che fu de la rottura il primo seme? 145
lo condussi l’ adultero Pastore
Proque viro nebulam, et ventos obtendere inanes:
Et potes in totidem classem convertere Nymphas.
Nos aliquid Rutulos contra iuvisse, nefandum est?
"Eneas ignarus abest: ignarus et absit. 85
Est Paphus Idaliumque tibi, sunt alta Cythera.
Quid gravidam bellis urbem et corda aspera tentas?
Nosne tibi fluxas Phrygiae res vertere fundo
Conamur? nos? an miseros qui Troas Achivis
Obiecit? quae caussa fuit consurgere in arma — 9o
Europamque 4siamque, et foedera solvere furto?
232 ENEIDE
A l'impresa di Sparta? Io fui ch'a l'armi,
Jo ch'a l'amor l'accesi? Allora il tempo
Fu d'aver tema e gelosia de' tuoi,
Non or che le querele e le rampogue 150
Che ne fai, sono ingiuste e tarde e vane.
Cosi Giuno dicea; quando fremendo
Gli Dei tutti mostràr, che chi con questa
Consentian , chi con quella. In guisa tale
S' odono i primi vénti entro una selva 150
Mormorar lunge, e non veduti ancora
Porgere a'marinari indizio e tema
Di propinqua tempesta. Allor del cielo
Il sommo, eterno, onnipotente Padre
‘ Riprese a dire. Al suo parlar chetossi 160
La celeste magion; chetàrsi i venti,
E l'aria e l'onde; e sola infino al centro
Me duce dardanius Spartam expugnavit adulter?
Aut ego tela dedi, fovive Cupidine bella?
Tunc decuit metuisse tuis: nunc sera querelis
Haud iustis assurgis, et irrita iurgia iactas.. 99
Talibus orabat Iuno; cunctique fremebant
Caelicolae assensu vario: ceu flamina prima,
Quum deprensa fremunt silvis, et caeca volutant
Murmura, venturos nautis prudentia ventos.
T'um pater omnipotens, rerum cui summa potestas,
Infit: eo dicente Deum domus alta silescit,
Et tremefacta solo tellus; silet arduus aether:
Tum Zephyri posuere; premitplacidaaequorapontus.
LIBRO DECIMO 233
Tremò la terra. Ei disse: Or che gli Ausoni
" Confederar co Teucri ne si toglie ,
E voi tra voi non v' accordate, udite 165
Quel ch’ io vi dico, e i miei detti avvertite,
Quella stessa fortuna e quella speme,
Qual ch' ella sia, chei Ratuli o i Troiani
Oggi da lor faransi, io vi prometto
Aver per rata, e non punto inchinarmi 170
Più da quei che da questi: e sia l’ assedio
De’ Teucri o per destino, o per errore,
O per false risposte. E ciò dico anco
De’ Rutuli . Il successo e buono e rio
Fia d'una parte e d'altra qual ciascuna 175
Per sé lo s' ordirà. Giove con ambi
Si starà parimente , e '| Fato in mezzo.
Cosi detto, il torrente e la vorago
E la squallida ripa e l'atra pece
"Accipite ergo, animis atque haec mea figite dicta.
Quandoquidem Ausonios coniungi foedere Teucris
Haud licitum ; nec vestra capit discordia finem:
Quae cuique est fortuna hodie , quam quisque secat
spem ,
Tros Rutulusve fuat , nullo discrimine habebo:
Seu fatis Italum castra obsidione tenentur ,
Sive errore malo T'roiae , monitisque sinistris. 110
Nec Rutulos solvo: sua cuique exorsa laborem
Fortunamque ferent. Rex luppiter omnibus idem.
Fata viam invenient. Stygü per lumina fratris ;
Eneide 7. II 3o
I oct d
234 ENEIDE
D' Acheronte giurando , abbassò ’ ciglio, 180
E tremar fe’ col cenno il mondo tutto .
Finito il ragionar , suso levossi
Del seggio d'oro; e gli fer tutti intorno
Corona e compagnia fino a l'albergo .
L' esercito de’ Rutuli stringendo 185
L'assedio intanto , in su le porte e "ntorno
Facea de la muraglia incendii e stragi;
E i Teucri assediati, entro a i ripari
E sopra a i torrioni a la difesa
Stavan, miseri! indarno; e senza speme 190
Di fuga un raro cerchio avean disteso
Su per le mura. Era de’ primi Iaso
D' Imbrasio il figlio, e l’ figlio d' Icetóne
Detto Timete, e '1 buon Castore insieme
Col vecchio Tebro, ed ambi dopo questi 195
Per pice torrentes atraque voragine ripas
Annuit , et totum nutu tremefecit Olympum. 115
Hic finis fandi. Solio tum luppiter aureo
Surgit , caelicolae medium quem ad limina ducunt .
Interea Rutuli portis circum omnibus instant
Sternere caede viros , et moenia cingere flammis.
At legio /Eneadum vallis obsessa tenetur: 120
Nec spes ulla fugae . Miseri stant turribus altis
Nequidqguam , et rara muros cinxere corona:
Asius Imbrasides , hicetaoniusque Thymoetes ,
Assaracique duo , et senior cum Castore Thymbris ,
Prima acies. Hos germani Sarpedonis ambo, — 135
LIBRO DECIMO 235
Di Sarpedonte i frati: e Chiaro, ed Emo
Onor di Licia, e di Lirnesso Ammone.
Questi con un gran sasso era venuto
Su la muraglia, che-’l1 maggior catollo
Era d’ un monte; ed egli era non punto 200
Minor del padre Clizio e di Menesto
Suo famoso fratello. Altri con Sassi,
Altri con dardi, e chi con le saette,
E chi col foco a guardia eran del muro.
In mezzo de le schiere il vago Iulo , 202
Gran: nipote di Dardano e gran cura
De la bella Ciprigna, il volto e ’1 capo
Ignudo, risplendea qual chiara gemma
Che in ór legata altrui raggi dal petto
O da la fronte; o qual da dotta mano 210
In ebano commesso, o in terebinto
Caudido avorio a gli occhi s' appresenta.
Et Clarus et Themon, Lycia comitantur ab alta .
Fert ingens toto connixus corpore saxum ,
Haud partem exiguam montis , lyrnessius Acmon ,
Nec Clytio genitore minor , nec fratre Menestheo.
Hi iaculis , illi certant defendere saxis , 130
Molirique ignem , nervoque aptare sagittas .
Ipse inter medios , Veneris iustissima cura ,
Dardanius caput ecce puer detectus honestum ,
Qualis gemma , micat , fulvum quae dividit aurum,
Aut collo decus , aut capiti ; vel quale per artem
Inclusum buxo , aut oricia terebintho,
236 ENEIDE
Sovra al collo di latte il biondo crine
Avea disteso, e d’ oro un lento nastro
Cli facea sotto e fregio insieme e nodo. 215
Ismaro , e tu fra sì famosa gente
Con l’ arco saettar ferite e tosco
Fosti veduto, generosa pianta
Del Meonio paese, ove fecondi
Sono i campi di biade, e i fiumi d’oro. 220
Memmo v'era ancor egli, a cui la fuga
Dianzi di. Turno avea gloria acquistata,
Ond' era fino al ciel sublime e chiaro.
Eravi Capi, onde poi Capua il nome
E l origine ha presa. Avean costoro 225
Tra lor diviso il carico e ’l periglio
Di sì dura battaglia. E ’n questo mentre
Solcava Enea di mezza notte il mare.
Egli, poiché d’ Evandro ebbe lasciato
Lucet ebur; fusos cervix cui lactea crines
Accipit; et molli subnectens circulus auro.
Te quoque magnanimae viderunt , Ismare, gentes È
Vulnera dirigere , et calamos armare veneno, 140f
Maeonia generose domo : ubi pinguia culta :
Exercentque viri , Pactolusque irrigat auro.
Adfuit et Mnestheus , quem pulsi pristina Turni
Aggere murorum sublimem gloria tollit ;
Et Capys : hinc nomen campana e ducitur urbi . 14
Jlli inter sese duri certamina belli
Contulerant: media /Eneas freta nocte secabat ;.
H YX'qvm "wey equa A "undue
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LIBRO DECIMO 235
L' amico albergo, e che nel campo giunse 230
De' Toschi, al tosco rege appresentossi .
E con lui ristringendosi il suo nome,
Il suo legnaggio, la sua patria, in somma
Chi fosse, che chiedesse, che portasse
Gli espose; e qual-Mezenzio appoggio avesse, 235
E l'orgoglio di Turno, e l'apparecchio
E l'incostanza de l’ umane cose
Gli pose avanti. A le ragioni aggiunse
Esempi e preci sì, ch’ immantinente
Tarconte acconsentì. Strinser la lega, 240
Unir le forze, ed apprestàr le genti
In un momento. Di straniero duce
Provvisti i Lidi, e già dal Fato sciolti
Salir sovra l’armata. E pria di tutti
Uscio d' Enea la capitana avanti. 249
Questa avea: sotto al suo rostro dipinti,
Quai sotto al carro de la madre Idea,
Namque , ut ab Evandro castris ingressus etruscis,
Regem adit, et regi memorat nomenque genusque ;
Quidve petat , quidee ipse ferat ; Mezentius arma
Quae sibi conciliet , violentaque pectora Turni
Edocet ; humanis quae sit fiducia rebus
Admonet, immiscetque preces. Haud fit mora; Tarcho
. Iungit opes, foedusque ferit : tum libera fati
Classem conscendit iussis gens lydia Divim, 155
Externo commissa duci. /Eneia puppis
Prima tenet, rostro phrygios subiuncta leones:
238 ENEIDE
Due che '1 legno traean frigii leoni,
E d'Ida gli pendea di sopra il monte,
Amaro suo disio, dolce ricordo 250
Del patrio nido. In su la poppa assiso
Stava il Duce Troiano; e da sinistra
Avea d'Evandro il figlio, che tra via
L/ interrogava or del viaggio stesso
E de le stelle, ed or de glialtri suoi 255
O per terra o per mar passati affanni.
Apritemi Elicona, alme Sorelle,
E cantate con me che gente e quanta
D'Etruria Enea seguisse, e di che parte,
E con qual’ armi, e come il mar solcasse. 260
Massico il primo in su la Tigre imposto
Avea di mille giovani un drappello,
Che di Chiusi e di Cosa eran venuti
Con l'arco in mano e con saette a’ fianchi .
Imminet Ida super, profugis gratissima Teucris.
Hic magnus sedet /Eeneas, secumque volutat
Eventus belli varios; Pallasque sinistro 160
A4ffxus lateri iam quaerit sidera, opacae
Noctis iter , iam quae passus terraque marique .
Pandite nunc Helicona, Deae, cantusque movete;
Quae manus interea tuscis comitetur ab oris
4Enean , armetque rates, pelagoque vehatur. 165
Massicus aerata princeps secat aequora Tigri,
Sub quo mille manus iuvenum, qui moenia Clusi,
Quique urbem liquere Cosas, queis tela, sagittae,
«gn
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A — - "^
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LIBRO DECIMO 239
Appresso a lui seguendo il torvo Abante 265
Sotto l'insegna del dorato Apollo
Seicento n’ imbarcò di Populonia ,
Trecento d' Elba , in cui ferrigna vena
Abbonda sì che n'erano ancor essi
Dal capo a i piè tutti di ferro armati. 270
Asila il terzo, sacerdote e mago
Che di fibre e di fulmini e d' uccegli
E di stelle era interprete e ’ndovino,
Mille ne conducea, ch’ un’ ordinanza
Facean tutta di picche; e tutti a Pisa 279
Eran soggetti, a la novella Pisa
Che, già figlia d’ Alféo, d’ Arno ora è sposa.
Asture, ardito cavaliero e- bello ,
. E con bell armi di color diverse ,
Corytique leves humeris, et letifer arcus.
Una torvus Abas: huic totum insignibus armis 170
Agmen, et aurato fulgebat Apolline puppis . |
Sexcentos illi dederat Populonia mater
Expertos belli iuvenes: ast Ilva trecentos
Insula, inexhaustis Chalybum generosa metallis .
Tertius, ille hominum Divimque interpres Asylas,
Cui pecudum fibrae, caeli cui sidera parent,
Et linguae volucrum , et praesagi fulminis ignes ,
Mille rapit densos acie atque horrentibus hastis.
Hos parere iubent alpheae ab origine Pisae :
Urbs etrusca solo. Sequitur pulcherrimus Astur,
dstur equo fidens et versicoloribus armis.
ht rendi
249 ENEIDE
Vien. dopo questi con trecento appresso 280
Di varii lochi, ma d'un solo amore -
Accesi a seguitarlo. Eran mandati
Da Cerete e da i campi di Mignone,
Da i Pirgi antichi e da l' aperte spiagge
De la non salutifera Gravisca. 285
Di te non taceró , Cigno gentile,
Di Cupavo dicendo, ancor che poche
Fosser le genti sue. Questi di Cigno
Era figliuolo, onde ne l’ elmo avea
De le sue penne un candido cimiero 290
In memoria del padre, e de la nuova
Forma in ch'ei si cangiò, tua colpa, Amore.
Ché de l’ amor di Faetonte acceso,
Come si dice, mentre che piangendo
Stava la morte sua, mentre ch’ a l'ombra 299
De le pioppe, che pria gli eran sorelle,
Sfogava con la Musa il suo dolore;
Tercentum adiciunt , mens omnibus una sequendi,
Qui Caerete domo, qui sunt Minionis in arvis,
Et Pyrgi veteres, intempestaeque Graviscae .
Non ego te, Ligurum ductor fortissime bello, 185
T'ransierim, Cinyra, et paucis comitate Cupavo,
Cuius olorinae surgunt de vertice pennae:
(Crimen amor vestrum, formaeque insigne paternae. )
Namque ferunt, luctu Cycnum Phaethontis amati,
Populeas inter frondes, umbramque sororum 199
Dum canit, et inoestiun Musa solatur amorem,
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LIBRO DECIMO 24t
Fatto cantando già canuto e véglio
Iu augel si converse, e con la voce
E con l'ali da terra al cielo alzossi. 300
Il suo figlio co' suoi portava un legno
A cui sotto la prora e sopra l onde
Stava un centauro minaccioso e torvo,
Che con le braccia e con un sasso in alto.
Sembrava di ferirle, e via correndo . — 305
Col petto le facea spumose e bianche. .
Ocno poscia venia, del tosco. fiume
E di Manto indovina il chiaro figlio,
Che te, mia patria, ‘eresse,.e che del nome
De la gran madre sua Mantua ti disse; 310
Mantua d' alto legnaggio, illustre e ricca,
E non d'un sangue. Tre le genti sono,
E de le tre ciascuna a quattro impera,
Di cui tutte ella è capo, e tutte insieme
Canentem molli pluma duxisse senectam,
Linquentem terras, et sidera voce sequentem.
| Filius, aequales comitatus classe catervas,
Ingentem remis Centaurum promovet: ille 195
Instat aquae, saxumque undis immane minatur
Arduus, et longa sulcat maria alta carina.
lile etiam patriis agmen ciet Ocnus ab oris,
Fatidicae Mantus, et tusci filius amnis,
Qui Muros, matr isque dedit tibi, Mantua, nomen,
Mantua «lives avis: sed non genus omnibus unum.
Gens illi triplex, populi sub gente quaterni:
Eneide 7o. 11 | Ji
242 ENEIDE
Son con le forze de l Etruria unite. 315
Quinci ne fur coutro Mezenzio armati
Cinquecento altri; e Mincio un figlio altero
Del gran Bénaco fu che gli condusse
Di verdi canne inghirlandato il fronte.
Giva il superbo Aulete con un legno 320
Di cento travi il mar solcando in guisa
Che spumante il facea, sonoro e crespo.
Premea le spalle d'un Tritone immane
Che con la cava sua cerulea conca
Tremar si facea l' acqua e i liti intorno. 325
Dal mezzo in su, la fronte ispido e | mento
Sembra d' umana forma; e ’1 ventre in pesce
Gli si ristringe, e col ferino petto
Fende il mar sì che rumoreggia e spuma.
Da questi eletti eroi con queste genti 330
Eran | onde tirrene allor solcate
Ipsa caput populis; tusco de sanguine vires.
Hinc quoque quingentos in se Mezentius armat,
Quos patre Benaco velatus arundine glauca 20)
Mincius infesta ducebat in aequora pinu.
It gravis Auletes, centenaque arbore fluctum
Verberat assurgens: spumant vada marmore verso.
Hunc vehit immanis Triton , et caerula concha
Exterrens freta: cui laterum tenus hispida nanti
Frons hominem praefert, in pristim desinit alvus;
Spumea semifero sub pectore murmurat unda.
Tot lecti proceres ter denis navibus ibant
— pue owe mo
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ITPPPEIPPPPM
RAS ACALAA GILALO A4 MA apase Lila daino
"ww. ee” S.
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LIBRO DECIMO 243
In sussidio di Troia. E già dal cielo
Caduto il giorno, era de l' erta in cima
La vaga Luna, quando il Frigio Duce
Or al timone, or a la vela intento 33
Co suoi pensier vegliava. Ed ecco avanti
Nuotando gli si fa di Ninfe un coro,
Di lui prima compagne, e quelle stesse
Che, già sue navi, da Cibele in Ninfe
Furon converse, e Dee fatte del mare. 3 {0
Tante in frotta ne gian per l’ onde a nuoto
Quante eran navi in prima. li di lontano
Riconosciuto il re, danzando in cerchio
Gli si strinsero intorno. Una fra l altre
La più di tutte accorta parlatrice, 349
Cimodocèa , la sua nave seguendo,
Con la destra a la poppa, e con la manca
GI
Subsidio Troiae, et campos salis aere secabant.
Jamque dies caelo concesserat, almaque curru 215
Noctivago Phoebe medium pulsabat Olympum.
neas ( neque enim membris dat cura quietem )
Ipse sedens, clavumque regit, velisque ministrat.
4tque illi medio in spatio chorus ecce suarum
Occurrit comitum: Nymphae, quas alma Cybele 220
Numen habere maris, Nymphasque e navibus esse
Jusserat, innabant pariter, fluctusque secabant,
Quot prius aeratae steterant ad litora prorae.
Agnoscunt longe regem, lustrantque choreis.
Quarum, quae fandi doctissima, Cymodocea, ^ 235
244 ENEIDE
Tacita remigando, il capo e ’1 dorso
Solo a galla tenendo, d’ improvviso
Così gli disse: Enea stirpe divina, 350
Vegli ta ? Veglia: il fune allenta, e ’1 seno
Apri a le vele tue. De la tua classe
Noi fummo i legni e de la selva Idea,
E siamo or Ninfe. I Rutuli col foco
N' hanno e col ferro dipartite e spinte 355
Da' tuoi nostro mal grado. Or te cercando
Siam qui venute. Per pietà di noi
La Berecinzia Madre in questa forma
N° ha del mar fatte abitatrici e Dee.
Ma "1 tuo fanciullo Iulo in mezzo a l' armi 360
Si sta cinto di fossa e di muraglia
Da' feroci Latini assediato.
I tuoi cavalli e gli Arcadi e gli Etrusci
Pone sequens dextra puppim tenet, ipsaque dorso
Eminet, ac laeya tacitis subremigat undis.
Tum sic ignarum alloquitur: Vigilasne Dem gens,
nea? vigila, et velis immitte rudentes.
Nos sumus idaeae sacro de vertice pinus, 230
Nunc pelagi Nymphae, classis tua. Perfidus ut nos
Praecipites ferro Rutulus flammaque premebat;
Rupimus invitae tua vincula, teque per aequor
Quaerimus: hanc genitrix faciem miserata refecit,
Et dedit esse Deas, aevumque agitare sub undis. 235
At puer Ascanius muro fossisque tenetur
Tela inter media atque horrentes Marte Latinos,
Ct
LIBRO DECIMO . 2]
Unitamente han di già preso il loco
Comandato da te. Turno disegna 365
Co’ suoi d' attraversarli, e porsi in mezzo
Tra'] campo e loro. Or via naviga, approda;
Sorgi tu pria che '] sole, e sii tu '1 primo
Ad ordinar le tue genti a battaglia.
Prendi l’invitto e luminoso scudo 370
Da Vulcan fabbricato e d' àr commesso,
Ché diman, se mi eredi, alta e famosa
Farai tu strage de’ nemici tuoi
Ciò disse, e come esperta al legna in poppa.
"Tal dié pinta al partir, che più veloce 375
Corse che dardo. © stral che "| vento adegwi.
Dietro gli altri affrettàr sì che stupore
N’ebbe d' Anchise il Figlio. E rineorato
Jam loca iussa tenent forti permixtus Etrusco
Arcas eques. Medias illis opponere turmas,
Ne castris iungant, certa est sententia Turno. 240
Surge age, et aurora socios veniente vocari
Primus in arma iube, et clypeumcape, quem dedit ipse
Invictum ignipotens, atque oras ambüt auro.
Crastina lux, mea si non irrita dicta putaris
Ingentes rutulae spectabit caedis acervos. 245
Dixerat: et dextra discedens impulit altam,
Haud ignara modi, puppim. Fugit illa per undas
Ocior et iaculo et ventos aequante sagitta.
Inde aliae celerant cursus. Stupet inscius ipse
. Tros anchisiades: animos tamen omine tollit. 250
4
246 ENEIDE
Da sì felice annunzio, al cielo orando
Divotamente si rivolse, e disse: 38o
Alma Dea de gli Dei gran genitrice ,
Di Dindimo regina, che di torri
Vai coronata e "n su leoni assisa,
Te per mia duce a questa pugna invoco.
Tu rendi questo augurio e questo giorno, — 385 -
Ti priego, a i Frigi tuoi propizio e lieto.
Questo sol disse; e luminoso intanto
Si fece il mondo. Ei primamente impose
Che ratto al segno suo ciascun ne gisse,
Ch' ognun s'armasse , ognuno a la battaglia 390
Si disponesse. E già venuto a vista
De' Rutuli e de' Teucri, alto levossi
In su la poppa; s' imbracció lo scudo,
E lo vibró si ch' ambedue raggiando
‘ Empié di luce e di baleni i campi 395
T'um breviter supera adspectans convexa precatur:
Alma parens idaea Dem, cui Dindyma cordi,
Turrigeraeque urbes, biiug ique ad frena leones;
Tu mihi nunc pugnae princeps, tu rite propinques
Augurium,Phrygibusque adsis pede, Diva, secundo.
Tantum effatus: et interea revoluta ruebat 256
Matura iam luce dies, noctemque fugarat.
Principio sociis edicit, signa sequantur,
Atque animos aptent armis, pugnaeque parent se.
Jamque in conspectu T'eucros habet, et sua castra,
Stans celsa in puppi: clypeum quum deinde sinistra
LIBRO DECIMO 247
Di su le mura la dardania gente
Gioiosa infino al ciel le grida alzaro;
E sopraggiunta la speranza a l' ira:
A trar di nuovo e saettar si diero
Con un rumor, qual sotto l' atre nubi 4oo
Nel dar segno di nembi e nel fuggirli
Fan le strimonie gru schiamazzo e rombo.
Mentre ció Turno e gli altri Ausonii duci
Stavan meravigliando, ecco a la riva
Si fa pien d' armi e di navilii il mare, 405
Enea di cima al capo e de la cresta
Del fin elmo spargea lampi e scintille
D' ardente fiamma; e gran lustri e gran fochi
Raggiava de lo scudo il colmo e l' oro,
Come ne la serena umida notte 410
La lugubre e mortifera cometa
Sembra che sangue avventi; o ’l sirio cane,
Extulit ardentem. Clamorem ad sidera tollunt
Dardanidae e muris: spes addita suscitat iras.
Tela manu iaciunt: quales sub nubibus atris
Strymoniae dant signa grues, atque aethera tranant
Cum sonitu, fugiuntque Notos clamore secundo.
At rutulo regi, ducibusque ea mira videri
Ausoniis; donec versas ad litora puppes
Respiciunt, totumque allabi classibus aequor.
Ardet apex capiti, cristisque a vertice flamma 270
Funditur, et vastos umbo vomit aureus ignes:
Non secus ac liquida si quando nocte cometae
248 ENEIDE
Quando nascendo a’ miseri mortali
Ardore e sete e pestilenza apporta,
E col funesto lume il ciel contrista. 415
Non men per questo ba Turno ardire, e speme
D' occupar prima il lito, e da la terra
Ributtare i nemici. Egli, animando
E riprendendo la sua gente, avanti
Si spinge a tutti, e grida: Ecco adempito 420
Vostro maggior disío. Più non vi sono
Le mura in mezzo. In voi, ne le man vostre
La pugna e Marte e la vittoria è posta.
Or qui de la sua donna, de' suoi figli,
De la sua casa si rammenti ognuno : 425
Ognun d’avanti si proponga i fatti
E le lodi de’ padri. Andiam noi prima
A rincontrargli, infin che l'onda e ’1 moto
Ce gli rende del mar non fermi ancora.
Sanguinei lugubre rubent, aut sirius ardor:
Ille sitim morbosque ferens mortalibus aegris
Nascitur, et laevo contristat lumine caelum. — 275
Haud tamen audaci Turno fiducia cessit
Litora praecipere , et. venientes pellere terra.
* Ultro ani mos tollit dictis, atque increpat ultro. *
Quod votis optastis, adest, perfringere dextra:
In manibus Mars ipse , viri. Nunc coniugis esto 280
Quisque suae tect ique memor: nunc magna referto
Facta patrum, laudes. Ultro occurramus ad undam,
Dum trepidi, egressisque labant vestigia prima.
LIBRO DECIMO 249
Via, ch’ agli arditi è la Fortuna amica. 430
Detto così, va divisando come
Parte lor contra ue conduca, e parte
A Y assedio ne lasci. Intanto Enea
Per disbarcare i suoi, le scafe e i ponti
Avea già presti. E.di lor molti attenti 435
Al ritorno de’ flutti con un salto
. Si Janciarono in secco; e chi co' remi
Chi con le travi ne l' arena usciro.
Tarconte, poi ch'ebbe la riva tutta
Ben adocchiata , non là dove il vado 410
Disperava del tutto, o: dove l’onda
Mormorando frangea , ma dove cheta
E senza intoppo avea corso e ricorso ,
Voltó le prore; e, Via, disse, compagni,
Via, gente eletta, ite con tutti i remi 419
Di tutta forza, e sì pingete i legni
Audentes fortuna iuvat.
Haec ait, et secum versat, quos ducere contra, 285
Vel quibus obsessos possit concredere muros.
Interea Eneas socios de puppibus altis
Pontibus exponit. Multi servare recursus
Languentis pelagi, et brevibus se credere saltu:
Per remos alii. Speculatus litora Tarchon, 200
Qua vada non spirant, nec fracta remurmurat unda,
Sed mare inoffensum crescenti allabitur aestu:
Advertit subito proras, sociosque precatur;
Nune, o lecta manus, validis incumbite remis;
Eneide 77ol. II 3a
250 ENEIDE
Che si faccian da lor canale e stazzo:
Dividete co'rostri e con le prore
Questa nemica terra; in questa terra
Mi gittate una volta, e che che sia 450
Segua poi del navile. A questo pregio
Non curo del suo danno: afferri, e pera.
Al detto di Tarconte alto in su’ remi
Levàrsi; e si co'rostri a'liti urtaro,
Ch’ empiér di spuma il mar, di sabbia i campi; 455
E i legni tutti ne l'asciutto infissi
Fermàrsi interi. Ma non già, Tarconte,
Il legno tuo, che d' una ascosa falda
Ebbe di sasso in approdando intoppo;
Dal cui dorso inchinato, e dal mareggio 460
Lungamente battuto, al fin del tutto
Aperto e sconquassato, in mezzo a l’ onde
Le genti espose; e ’1 peso e l'imbarazzo
Tollite, ferte rates; inimicam findite rostris — 295
Hanc terram, sulcumque sibi premat ipsa carina.
F'rangere nec tali puppim statione recuso;
Arrepta tellure semel. Quae talia postquam
Effatus Tarchon , socii consurgere tonsis ,
Spumantesque rates arvis inferre latinis: 300
Donec rostra tenent siccum , et sedere carinae
Omnes innocuae. Sed non puppis tua, Tarchon:
Namque inflicta vadis, dorso dum pendet iniquo,
Anceps, sustentata diu, fluctusque fatigat,
Solvitur, atque viros mediis exponit in undis: 305
LIBRO DECIMO 251
De l' armi, e gli armamenti infranti e sparsi
Del rotto, legno, e’l flutto che rediva 465
Le tennero impedite e risospinte.
Turno le schiere sue rapidamente
Al mar condusse, e tutte in ordinanza
Su ’l lito incontro a’ Teucri le dispose.
Dieron le trombe il segno. Il Troian Duce 470
Fu che prima assalì le torme agresti ,
E si fe’ con la strage de’ Latini
E con la morte di Terone in prima
Augurio a la vittoria. Era. Terone
Un di corpo maggior de gli altri tutti; 479
E tanto ebbe d'ardir che da sé stesso
Incontr Enea si mosse. Enea col brando
Tal un colpo gli trasse, che lo scudo,
Benchè ferrato , e la corazza e l fianco —
Forògli insieme. Indi avventossi a Lica 430
Che da l'aperte viscere fu tratto
Fragmina remorum quos et fluitantia transtra
Impediunt, retrahitque pedem simul unda relabens.
Nec Turnum segnis retinet mora; sed rapit acer
Totam aciem in Teucros, et contra in litore sistit.
Signa canunt. Primus turmas invasit agrestes 310
"Eneas, omen pugnae, stravitque Latinos,
Occiso T'herone, virum qui maximus ultro
4Eneam petit: huic gladio perque aerea scuta,
Per tunicam squalentem auro, latus haurit apertum.
Inde Lychan ferit, exsectum iam matre peremta, 315
nba ENEIDE
De la già morta madre, e pargoletto,
Preservato dal ferro, a te fu sacro,.
Febo, padre di luce; ed or morendo
Vittima cadde a Marte. Uccise appresso 485
Cisso feroce , e Gia di corpo immane,
Ch’ ambi di mazze armati ivan le schiere
De’ suoi Teucri atterrando. E lor non. valse
Né d' Ercole aver l’armi né le braccia
D' erculea forza, né che già Melampo 490
Lor padre in compagnia d' Ercole fosse
Allor che de la terra a soffrir ebbe
I duri affanni. A Faro un dardo trasse
Mentre gridando e millantando incontra
Gli si facea. Colpillo in bocca a punto, 499
Sì che la chiuse e l’acchetò per sempre.
E tu, Cidon, per le sue mani estinto
Misero! giaceresti a Clizio appresso
Et tibi, Phoebe, sacrum, casus evadere ferri
Quod licuit parvo. Nec longe, Cissea durum,
Immanemque Gyan, sternentes agmina clava,
Deiecit leto: nihil illos Herculis arma,
Nec validae iuvere manus, genitorque Melampus,
Alcidae comes, usque graves quum terra labores
Praebuit. Ecce Pharo, voces dum iactat inertes,
Intorquens iaculum clamanti sistit in ore.
Tu quoque, flaventem prima lanugine malas
Dum sequeris Clytium infelix, nova gaudia, Cydon;
Dardania stratus dextra, securus amorum,
LIBRO DECIMO 253
Tuo novo ‘amore, a cui de’ primi fiori |
Eran le guance colorite a pena; 900
Né piü stato saresti esca a gli amori
De’ suoi simfli, onde mai sempre ardevi;
Se non che de’ fratelli ebbe una schiera
Subitamente addosso. Eran costoro
Sette figli di Forco, e sette dardi 505
Gli avventaro in un tempo. Altri de’ quali
Da l' elmo e da lo scudo risospinti,
Altri furon da Venere sbattuti
Sì ch'o vani, o leggeri il corpo a pena
Leccàr passando. In questa Enea rivolto, 510
Dammi, disse ad Acate, de' gl’ intrisi
Nel sangue greco, e sotto Ilio provati;
E non fia colpo in fallo. Una grand’ asta
Gli porse Acate in prima, ed ei la trasse
Sì che volando ne lo scudo aggiunse 515
Di Méone, e la piastra ond’ era cinto
Qui iuvenum tibi semper erant, miserande, iaceres:
Ni fratrum stipata cohors foret obvia, Phorci
Progenies, septem numero, septenaque tela
Coniiciunt: partim galea clypeoque resultant — 330
Irrita; deflexit partim stringentia corpus
Alma Venus. Fidum Eneas affatur Achaten:
Suggere tela mihi, non ullum dextera frustra
+ Torserit in Rutulos,steterunt quaein corpore Graium
Iliacis campis. Tum magnam corripit hastam, 335
Et iacit. Illa volans clypei transverberat aera
254 ENEIDE
E la corazza e ’l petto gli trafisse.
Alcanor suo fratello nel cadere,
Mentre le braccia al tergo gli puntella,
L'asta nel trapassare, il suo tenore
Continuando , insanguinata e calda
La destra gli confisse; e da le spalle
Pendé del frate, infin che l'un già morto,
E l’altro moribondo, a terra stesi
Giacquero entrambi. Numitóre il terzo 525
Da questo sconficcandola e da quello,
Lanciolla incontro Enea. Di ferir Jui
Non gli successe, ma del grande Acate
Graffiò la coscia lievemente, e scorse.
Clauso, il Sabino, ardito e poderoso 530
Qui si mostrò con una picca in mano
E Driope investì nel primo incontro.
Glie n’ appuntò nel gorgozzule, e pinse
Ct
‘420
Maeonis, et thoraca simul cum pectore rumpit.
Huic frater subit Alcanor, fratremque ruentem
Sustentat dextra: traiecto missa lacerto
Protinus hasta fugit, servatque cruenta tenorem;
Dexteraque ex humero nervis moribunda pependit.
Tum Numitor, iaculo fratris de corpore rapto,
"Enean petiit; sed non et figere contra
Est licitum; magnique femur perstrinxit Achatae.
Hic Curibus, fidens primaevo corpore, Clausus 349
Advenit, et rigida Dryopen ferit eminus hasta
Sub mentum, graviter pressa; pariterque loquentis
LIBRO DECIMO 255
Tanto che la parola e ’l fiato e l’ alma
In un gli tolse. Ed ei cadde boccone, 535
E per bocca gitió di sangue un fiume.
Cacciossi avanti, e tre di Tracia appresso
De la gente di Borea, e tre de’ figli
D’ Idante, alunni d’Ismara e di Troia,
In variate guise a terra stese. 540
Venne a rincontro Aleso, e de gli Aurunci
Un' ordinanza. Di Nettuno il figlio
Messapo i suoi cavalli avanti spinse,
Ed or questi sforzandosi, ed or quelli
Di cacciare i nemici, in su l' entrata 545
Si combattea d’Italia. E quai tra loro
S' azzuffano a le volte avversi, e pari
Di contesa e di forza in aria i vénti,
Che né lor, né le nugole, né | mare ,
Ceder si vede, e lungamente incerta 550
Vocem animamque rapit, traiecto gutture: at ille
Fronte ferit terram, et crassum vomit ore cruorem.
T'res quoque threicios Boreae de gente suprema, 350
Et tres, quos Idas pater, et patria Ismara mitgit,
Per varios sternit casus. Accurrit Halesus, |
Auruncaeque manus: subit et neptunia proles,
Insignis Messapus equis. Expellere tendunt
Nunc hi, nunc illi: certatur limine in ipso 355
Ausoniae. Magno discordes aethere venti
Praelia ceu tollunt, animis et viribus aequis:
Non ipsi inter se, non nubila, non mare cedunt:
256 ENEIDE
Sì la mischia travaglia, ch’ ogni cosa
. D' ogni parte tumultua e contrasta ;
Tale appunto de’ Rutuli e de’ Teucri
Era la pugua, e sì fiera e si stretta
Che giunte si vedean l' armi con l'armi, — 555
E le man con le mani, e i pie co' piedi.
D'altra parte ove rapido e torrente
Avea il fiume travolti arbori e sassi,
Da loco malagevole impediti
Gli arcadi cavalieri a pié smontaro. 560
E ne' pedestri assalti ancor non usi,
Da' Latini incalzati , avean le terga
Già volte a Lazio, quando ( quel che s' usa
In sì duri partiti) a lor rivolto
Pallante, or con preghiere, or con rampogne, 565
Ah compagni, ah fratelli, iva gridando,
Dove fuggite? Per onor di vai,
Anceps pugna diu; stant obnixi omnia contra.
Haud aliter troianae acies, aciesque latinae 360
° Concurrunt: haeret pede pes, densusque viro vir.
At partegex alia, qua saxa rotantia late
Impulerat torrens arbustaque diruta ripis,
Arcadas, insuetos acies inferre pedestres,
Ut vidit Pallas Latio dare terga sequaci; 365
Aspera queis natura loci dimittere quando
Suasit equos; unum quod rebus restat eg enis,
Nunc prece, nunc dictis virtutem accendit amaris:
Quo fugitis, socii? per vos et fortia facta,
LIBRO DECIMO 257
Per la memoria di tant’ altri vostri
Egregi fatti, per l’ egregia fama,
Per le vittorie del gran duce. Evandro, 970
E per la speme che di me concetta
A la paterna lode emula avete,
Non ponete ne’ piè vostra fidanza.
Col ferro aprir la strada ne conviene
Per mezzo di color che là vedete, 555
Che più folti n'incalzano e più feri.
Per là comanda l' alta patria nostra
Che voi meco n'andiate. E di lor nullo
È che sia Dio: son uomini ancor essi
Come siam noi; e noi.com'essi avemo 580
Il cor, le mani e l'armi. E dove, dove
Vi salverete? Non vedete il mare
Che v'é d'avanti, e che la terra manca
Al fuggir vostro? E se per l'onde ancora
Fuggiste, alfin dove n'andrete? a Troia? 58
Qt
Per ducis Evandri nomen, devictaque bella, 370
Spemque meam, patriae quae nuncsubitaemula laudi,
Fidite ne pedibus. Ferro rumpenda per hostes
Est via, qua globus ille virum densissimus urget:
Hac vos et Pallanta ducem patria alta reposcit.
Numina nulla premunt: mortali urgemur ab hoste
Mortales : totidem nobis animaeque manusque.
Ecce maris magna claudit nos obiice pontus,
Deest iam terra fugae:pelagus Troiamne petemus?
Haec ait, et medius densos prorumpit in hostes.
Eneide /ol. 74 33
258 ENEIDE
E, così detto, in mezzo de più densi
E de’ più formidabili nemici
Anzi a tutti avventossi. E Lago il primo
Per sua disavventura gli s° oppose.
Stava costui chinato, e per ferirlo 590
Divelto avea di terra un gran macigno,
Quando lo sopraggiunse, e ne la schiena
Tra costa e costa il suo dardo piantógli ;
Si che tirando e dimenando a pena
Ne lo ritrasse. Isbon , di Lago amico, 599
Mentr' egli in ciò s'occüpa, ebbe speranza
Di vendicarlo, e 'ncontra gli si mosse.
Ma non gli riuscì; ché mentre incauto,
Dal dolor trasportato e da lo sdegno
Del suo morto compagno, infuriava, Goo
Ne la spada del giovine infilzossi
Da l'un de' fianchi: onde trafitto e smunto
Ne fu di sangue il cor, d'ira il polmone.
Poscia Stenelo uccise; uccise appresso
Obvius huic primum, fatis adductus iniquis, —— 380
F'it Lagus; hunc, magno vellit dum pondere saxum,
Intorto figit telo, discrimina costis
Per medium qua spina dedit, hastamque receptat
Ossibus haerentem. Quem non super occupat Hisbo,
Ille quidem hoc sperans; nam Pallas ante ruentem,
Dum furit, incautum crudeli morte sodalis,
Excipit, atque ensem tumido in pulmone recondit.
Hinc Sthenelum petit, et Rhoeti de gente vetusta
LIBRO DECIMO 220
Anchemolo. Costui fu de l’ antica 605
Stirpe di Reto, incestuoso amante
Di sua matrigna. E voi, Laride e Timbro,
Figli di Dauco, ambi d'un parto nati,
Per le sue man cadeste. Eran costoro
Sì l'un del tutto a l’altro somigliante, Gio
Che dal padre indistinti e da la madre
Facean lor grato errore e dolce inganno.
Sol or Pallante (ahi! troppo duramente)
Vi fe’ diversi: ch’ a te ’l capo netto,
Timbro, recise; a te, Laride, in terra 615
Mandò la destra. E questa anche guizzando
Te per suo riconobbe, e con le dita
Strinse il tuo ferro, e’l brancicò più volte.
Gli Arcadi da’ conforti e da le prove
Accesi di Pallante, e per dolore 620
E per vergogna di furor s'armaro
Contra i nemici. Seguitò Pallante;
Anchemolum, thalamos ausum incestare novercae.
Vos etiam gemini rutulis cecidistis in arvis, 390
Daucia, Laride Thymberque, simillima proles,
Indiscreta suis, gratusque parentibus error;
At nunc dura dedit vobis discrimina Pallas:
Nam tibi, Thymbre, caput evandrius abstulit ensis:
Te decisa suum, Laride, dextera quaerit, 395
Semanimesque micant digiti, ferrumqueretractant.
Arcadas accensos monitu, et praeclara tuentes
F'acta viri, mixtus dolor et pudor armat in hostes.
260 ENEIDE
Ed a Retéo ch'era fuggendo in volta
Sopra una biga, nel passargli a canto
Trasse d' un' asta: e tanto Ilo d' indugio 625
Ebbe a la morte sua, ch’ ad Ilo indritto
Era quel colpo in prima. Ma Retéo
Venne di mezzo, e ricevello in vece
D'altri colpi, che dietro minacciando
Gli venian Teucro e Tiro i duo buon frati, 630
Che gli eran sopra. Traboccó dal carro
Mezzo tra vivo: e morto, e calcitrando
De’ Rutuli batté l’ amica terra.
Come il pastor ne’ dolci estivi giorni
A lo spirar de' venti il foco accende 635
In qualche selva: che diversamente
Lo sparge in prima; e con diversi incendi
Subito di Vulcan ne va la schiera
Ciò ch’ è di mezzo divorando in guisa
Tum Pallas biiugis fugientem Rhoetea praeter
T'raücit. Hoc spatium tantumque morae fuit Ilo:
llo namque procul validam direxerat hastam:
Quam medius Rhoeteus intercipit, optime Teuthra,
Te fugiens, fratremque T'yren: curruque volutus
Caedit semanimis Rutulorum calcibus arva.
"fc velut optato ventis uestate coortis, 405
Dispersa immittit silvis incendia pastor;
Correptis subito mediis, extenditur una
Horrida per latos acies vulcania campos:
Jlle sedens victor flammas despectat ovantes.
LIBRO DECIMO 2061
Cl’ un sol diventa; ed ei stassi in disparte 640
De] fatto altero, e. di veder gioioso
La vincitrice fiamma, e l'arso bosco:
Cosi "1 valor de gli Arcadi ristretto
Per soccorrer Pallante insieme unissi.
Ma ’1 bellicoso Alèso incontro a loro 645
Si ristrinse ancor ei con l'armi sue,
E Ladone e Demódoco e Fereto
Uccise in prima. Indi a Strimonio un colpo
Trasse di spada che la destra mano,
Mentre con un pugnal gli era a la gola, 650
Gli recise di netto. E sì d'un sasso
Feri Toante in volto, che gl'infranse
Il teschio tutto, e ne schizzàr col sangue
L/ ossa e '1 cervello. Era d' Aléso il padre
Mago e ’ndovino; e del suo figlio il fato — 655
Avea previsto ; onde gran tempo ascoso
In una selva il tenne. E non per questo
Franse il destino; chè già véglio a pena
Non aliter socium virtus coit omnis in unum, 410
T'eque iuvat, Palla. Sed bellis acer Halesus
T'endit in adversos, seque in sua colligit arma.
Ilic mactat Ladona, Pheretaque, Demodocumque:
Strymonio dextram fulgenti deripit ense
Elatam in iugulum; saxo ferit ora Thoantis, 415
Ossaque dispersit cerebro permixta cruento.
Fata canens silvis genitor celarat Halesum:
Ut senior leto canentia lumina solvit,
262 ENEIDE
Chiusi ebbe gli occhi, che le Parche addosso
Gli dier di mano: onde a morir devoto 660
Fu per l'armi d' Evandro. Incontro a lui
Mosse Pallante in cotal guisa orando:
Da’, padre Tebro, a questo dardo indrizzo ,
Fortuna e strada; ond'io nel petto il pianti
Del duro Aléso: e '1 dardo e le sue spoglie 665
A te fian poscia in questa quercia appese.
Udillo il Tebro; e mentre Aléso, aita
Porgendo ad Imion, lo scudo stende
Per coprir lui, se stesso discoverse
Al colpo di Pallante, e morto cadde . 670
Lauso, che de la pugna era gran parte,
Visto al cader d'un si degno campione
Caduta la contesa e l’ ardimento
De le schiere latine, egli in sua vece
Tosto avanti si spinse e rinfrancolle. 675
E prima di sua mano Abante ancise,
Ch' era di quella zuffa un duro intoppo,
Iniecere manum Parcae, telisque sacrarunt
Evandri. Quem sic Pallas petit ante precatus: 420
Da nunc, Thybri pater, ferro quod missile libro,
l'ortunam atque viam duri per pectus Halesi.
Haec arma exsuviasque viri tua quercus habebit.
Audiit illa Deus: dum texit Imaona Halesus,
Arcadio infelix telo dat pectus inermum. 425
At non caede viri tanta perterrita Lausus,
Pars ingens belli, sinit agmina: primus Abantem
LIBRO DECIMO 203
E de nemici il più saldo sostegno.
Or qui strage si fa d' Arcadi insieme,
‘E de’ Toschi, e di voi, Troiani intatti 680
Ancor da’ Greci. E qui d'ambe le parti
Tutti con tutti ad affrontar si vanno.
Pari le forze e pari i capitani
Son d° ambi i lati; e quinci e quindi ardenti
Si ristringono in guisa che gli estremi 685
Fanno ancor calca e ’mpedimento a’ primi.
Da questa parte sta Pallante, e Lauso
Da quella, i suoi ciascuno inanimando,
Spingendo e combattendo. E l' un diverso
Non è molto da l’ altro nè d' etate 690
Né di bellezza; e parimente il fato
A ciascuno ha di lor tolto il ritorno
Ne la sua patria. E non peró tra loro
S' affrontàr mai; ché "|l Regnator celeste
Riserbava la morte d' ambedue 695
Oppositum interimit, pugnae nodumque moramque.
Sternitur Arcadiae proles; sternuntur Etrusci;
Et vos, o Graiis imperdita corpora, Teucri. 430
Agmina concurrunt ducibusque et viribus aequis.
Extremi addensent acies: nec turba moveri
Tela manusque sinit. Hinc Pallas instat et urget,
Hinc contra Lausus, nec multum discrepat aetas,
Egregü formae, sed queis fortuna negarat 435
In patriam reditus. Ipsos concurrere passus
Haud tamen inter se magni regnator Olympi:
264 ENEIDE
À nemici maggiori. In questo mezzo
La Ninfa, che di Turno era sorella,
Il suo frate avvertisce, che soccorso
Procuri a Lauso. Ond' ei tosto col carro
Le schiere attraversando, a’ suoi compagni 700
Giunto che fu, Via, disse, or non è tempo
Che voi più combattiate. Io sol ne vado
Contra Pallante: a me solo è dovuta
La morte sua: così il suo padre stesso
V' intervenisse, e spettator ne fosse. 792
Detto ch' egli ebbe, incontanente i suoi,
Siccome imposto avea, del campo usciro.
Pallante , visti i Rutuli ritrarsi,
E lui sentendo, che con tanto orgoglio
Lor comandava; poscia che '| conobbe 710
Lo squadró tutto, e stupido fermossi
À veder si gran corpo. Indi feroce
Mox illos sua fata manent maiore sub hoste.
Interea soror alma monet succurrere Lauso
Turnum; qui volucri curro medium secat agmen.
Ut vidit socios: Tempus desistere pugnae:
Solus ego in Pallanta feror; soli mihi Pallas
Debetur: cuperem ipse parens spectator adesset.
Haec ait: et socii cesserunt aequore iusso.
At, Rutulum abscessu, iuvenis tum iussa superba
Miratus, stupet in Turno, corpusque per ingens
Lumina volvit, obitque truci procul omnia visu.
Talibus et dictis it contra dicta tyranni:
LIBRO DECIMO 265
Gli occhi intorno girando, a i detti suoi
Così rispose: Oggi o d’opime spoglie,
O di morte onorata il pregio acquisto . q19
E "| padre mio (tal è d' animo invitto
Incontr ogni fortuna, o buona o rea.
Che sia la mia ) ne porrà "1 core in pace.
Via, che d' altro é mestier che di minacce.
E, ciò detto, si mosse, e fiero in mezzo 720
Presentossi del campo . Un gel per l’ossa
E per le vene a gli Arcadi ne corse,
E Turno dalla biga con un salto .
Lanciossi a terra; oh’ assalirlo a piedi !
Prese consiglio. E qual fiero leone 72à
Che, veduto nel. pian da lunge un tora
Con le corna a battaglia esercitarsi,
Dal monte si dirupa e rugge e vola,
Tal fu di Turno la sembianza a punto
Nel girgli incontro. Il giovine, che meno — 73o
Avea di forze, s'avvisó di tempo
"ut spoliis ego iam raptis laudabor opimis,
Aut leto insigni. Sorti pater aequus utrique est: 450
T'olle minas. Fatus medium procedit in aequor:
Frigidus Arcadibus coit in praecordia sanguis.
Desiluit Turnus biiugis, pedes apparat ire
Cominus. Utque leo, specula quum vidit ab alta
Stare procul campis meditantem in praelia taurum,
Advolat: haud alia est Turni venientis imago.
Hunc ubi contiguum missae fore credidit hastae, .
Eneide /ol. II 34
206 ENEIDE
Prender vantaggio, e di provare osando
S'-aver potesse in alcun modo amica
Almen fortuna; e già ch’ a tiro d' asta
S' eran vicini, al ciel rivolto dis se: 735
Ercole, se ti fu del padre mio
L/ospizio accetto , e la sua mensa a grado,
Allor che peregrin seco albergasti,
Dammi, ti prego, a tanta impresa aita
Sì che Turno egli stesso in chiuder gli occhi 740
Veggia, e senta morendo ch'a me tocca
Vincere e spogliar lui d' armi e di vita.
Udillo Alcide, e per pietà che n’ ebbe
Nel suo cor se ne dolse e lagrimonne,
Quantunque indarno. E Giove per conforto 745
Del figlio suo, così seco ne disse:
Destinato a ciascuno è ’l giorno suo;
E breve in tutti e lubrica e fugace
E non mai reparabile se ’n vola
Ire prior Pallas, si qua sors adiuvet ausum
Viribus imparibus; magnumque ita ad aethera fatur :
. Perpatrishospitium,et mensas quas advena adisti,460
Te precor, Alcide, coeptis ingentibus adsis:
Cernat semineci sibi me rapere arma cruenta,
Victoremque ferant morientia lumina Turni.
Audiit Alcides iuvenem, magnumque sub imo
Corde premit gemitum, lacrimasque effudit inanes.
Tum genitor natum dictis affatur amicis:
Stat sua cuique dies: breve et irreparabile tempus
LIBRO DECIMO 267
L’ umana vita. Sol per fama è dato 790
A gli uomini, che sian vivaci e chiari |
Pià lungamente. Ma virtute é quella
Che gli fa tali. E non per questo alcuno
E che non muoia. E quanti ne moriro
Sotto il grand’ Ilio, ch’ eran nati in terra — 255
Di voi.celesti? E Sarpedonte è morto
‘Ch’ era mio figlio; e Turno anco mottrà;
E già de la sua vita è giunto al fine.
Così disse, e da’ rutuli confini |
Torse la vista. Allor Pallante trasse 760
Con gran forza il suo dardo, e ’l brando strinse
Incontro a Turno. Investì |] dardo a punto
Là ’ve | braccial su l’ omero s' affibbia,
E tra ’l1 suo groppo e l'orlo de lo scudo
Come strisciando , di sì vasto corpo 765
Lievemente afferrò la pelle a pena.
Omnibus est vitae: sed famam extendere factis,
Hoc virtutis opus. Troiae sub moenibus altis
, Tot nati cecidere Deum: quin occidit una 470
Sarpedon, mea progenies. Etiam sua Turnum
Fata vocant, metasque dati pervenit ad aevi.
Sic ait, atque oculos Rutulorum reiicit arvis.
At Pallas magnis emittit viribus hastam,
* Faginaque cava fulgentem deripit ensem.* - 475
Illa volans, humeris surgunt qua tegmina summa,
Incidit, atque viam clypei molita per oras,
Tandem etiam magno strinxit de corpore Turni.
268 . ENKIDE
Turno, poiché ’1 nodoso -e ben ferrato
Suo frassino brandito e bilanciato
Ebbe più volte , Or prova tu, gli disse,
Se 'l mio va dritto, e se colpisce e fora 770
Più del tuo ferro: e trasse. Andò ronzando
, Per l'aura, e con la punta a punto in mezzo
Si piantò de lo scudo. E tante piastre
Di metallo e d' acciaio, e tante cuoia
Ond' era cinto, e la corazza e’l petto 775
Passogli insieme. Il giovine ferito
‘ Tosto fuor si cavò di corpo il télo;
Ma non gli valse, che con esso il sangue
E la vita n'uscío. Cadde boccone
In su Ja piaga, e tal diè d' armi un crollo, 780
Che, ancor morendo, la nimica terra
Trepida ne divenne e sanguinosa.
Turno sopra il cadavero fermossi
Hic Turnus ferro praefixum robur acuto ——
In Pallanta diu librans iacit, atque ita fatur: 480
Adspice, num mage sit nostrum penetrabile telum. ,
Dixerat: at clypeum, tot ferri terga, tot aeris,
Quum pellis toties obeat circumdata tauri,
Vibranti medium cusnis transverberat ictu,
Loricaegue moras, et pectus perforat ingens. 485
Iile rapit calidum frustra de vulnere telum:
Una eademque via sanguis animusque sequuntur.
Corruit in vulnus; sonitum super arma dedere;
Et terram hostilem moriens petit ore cruento.
LIBRO DECIMO 269
Alteramente , e disse : Arcadi, udite,
E per me riportate al vostro Evandro, 785
Che qual di rivedere ha meritato
Il suo Pallante , “tal glie ne rimando;
E gli fo. grazia, che d’esequie ancora
E di sepolcro e di qual altro fregio,
Che conforto gli sia , l'orni, e l' onori; 799
Ch' assai ben caro infino a qui gli costa
L'amicizia d' Enea. Così dicendo,
Col manco pié calcó l'estinto corpo;
E d’oro un cinto ne rapi di pondo,
D'artificio e di pregio, ove per mano 795
Era del buon Eurizio istoriata
La fiera notte, e i sanguinosi letti
Di quell’ empie fanciulle, in grembo a cui
Fur già tanti iu un tempo e frati e sposi
Sotto fé d’ Imeneo giovani ancisi. 800
Di questa spoglia altero e baldanzoso
Quem Turnus super assistens,
Arcades, haec, inquit, memores mea dicta referte
Evandro: Qualem meruit, Pallanta remitto. —
Quisquis honostumuli ,quidquidsolamen humandi est,
‘ Largior: haud illi stabunt aeneia parvo
Hospitia. Et laevo pressit pede, talia fatus, 495
Exanimem, rapiens immania pondera baitei,
Impressumque nefas: una sub nocte iugali
Caesa manus iuvenum foede, thalamique cruenti:
. Quae Clonus Eurytides multo caelaverat auro,
270 ENEIDE
Vassene or Turno. O cieche umane menti,
Come siete de’ fati e del futuro
Poco avvedute! E come oltra ogni modo
Ne’ felici successi insuperbite ! 805
Tempo a Turno verrà .ch' ogni gran cosa
Ricompreria di non aver pur tocco |
Pallante; e le sue spoglie e '1 di che l'ebbe
In odio gli cadranno. Il morto corpo
Nel suo scudo composto i suoi. compagni 810
Levàr dal campo, e con solenne pompa
E con molti lamenti, e molto pianto
Lo riportaro al padre. Oh qual, Pallante,
Tornasti al padre tuo gloria e dolore!
Ch’ una stessa giornata , ch'a la guerra 815
Ti diede, a lui ti tolse. Oh pur gran monti
Lasciasti pria di tuoi nemici estinti!
Corse la fama, anzi il verace avviso
Quo nunc Turnus ovat spolio gaudetque potitus.500
Nescia mens hominum fati sortisque futurae,
Et servare modum, rebus sublata secundis!
T'urno tempus erit, magno quum optaverit emtum
Intactum Pallanta, et quum spolia ista diemque
Oderit. At socii multo gemitu lacrimisque 505
Impositum scuto referunt Pallanta frequentes.
O dolor atque decus magnum rediture parentil
Haec te prima dies bello dedit, haec eadem aufert,
Quum tamen ingentes Rutulorum linquis acervos!
Nec iam fama mali tanti, sed certior auctor 510
n |
-
LIBRO DECIMO 271
A lorecchie d'Enea d'um danno tale
E d'un tanto periglio, che già volto 1 820
Era il suo campo in fuga. Incontanente
Si fa col ferro una spianata intorno;
Poscia s'apre una via, di te cercando,
Turno, e’l tuo rintuzzar cresciuto orgoglio
Per la vittoria di. Pallante ucciso. 825
Pallante, Evandro e l’accoglienze loro
E le lor mense, ove con tanto amore
Forestier fu raccolto, e la contratta
Già tra loro amistà d'avanti a gli occhi
Si vedea sempre. E per onore a l'ombra 830
De l’amico, e per vittima al grand’ Orco
Molti giovani avea già destinati
Vivi sacrificar sopra al suo rogo;
E di già ne facea quattro d' Ufente
Addur legati, e quattro di Sulmona. 835
Advolat /Eineae, tenui discrimine leti
Esse suos: tempus, versis succurrere T'eucris.
Proxima quaeque metit gladio, latumque per agmen
Ardens limitem agit ferro; te, Turne, superbum
Caede nova quaerens. Pallas, Evander, in ipsis 515
Omnia sunt oculis; mensae, quas advena primas
T'unc adiit, dextraeque datae. Sulmone creatos
Quatuor hic iuvenes; totidem quos educat Ufens,
F'iventes rapit, inferias quos immolet umbris, .
Captivoque rogi perfundat sanguine flammas. 520
Inde Mago procul infensam conténderat hastam;
— . © zzxc=—=————mm6m6&mPmm———_— my reco
272 ENEIDE -
E tra via combattendo, incontr' a Mago
Tirò d' un'asta, a cui sotto chinossi
L'astuto a tempo sì che sopra al capo
Gli trapassò divincolando il colpo;
E ratto risorgendo, umilemente 8,40
Gli abbracciò le ginocchia, e così disse:
Per tuo padre e tuo figlio, Enea, ti prego,
A mio padre, a mio figlio mi conserva.
Di gran legnaggio io sono, gran tesori
Tenga d'argento sotterrati e d'oro 815
In massa e 'n conio. La vittoria vostra
Solo in me non consiste. Una sol' alma
In così grave e grande affar che monta?
Rispose Enea: Le tue conserve d'oro
E d' argento conserva a'figli tuoi. 850
Questi mercati ha Turno primamente
Tolti fra noi, poi ch’ ha Pallante ucciso .
Jlle astu subit; at tremebunda supervolat hasta.
Et genua anìplectens effatur talia supplex:
Per patrios manes, per spes surgentis Iuli,
T'e precor, hanc animam serves natoque patrique.
Est domus alta: iacent penitus defossa talenta
Caelati argenti; sunt auri pondera facti
Infectique mihi. Non hic victoria Teucrm
Vertitur: haud anima una dabit discrimina tanta.
Dixerat. /Eneas contra cui talia reddit: 530
Argenti atque auri memoras quae multa talenta,
Gnatis parce tuis: belli commercia Turnus
LIBRO DECIMO 273
Ed al mio padre ed al mio figlio in grado
Fia la tua morte. Ciò dicendo, a l' elmo.
La man gli stese;. e poichè gli ebbe il collo 855
Chinato al colpo, insino a l'elsa il ferro
Ne. la gola gl’ immerse. Indi non lunge :
Emonide incontrando , un sacerdote
Di Febo e di. Diana, il fronte adorno
Di sacra benda, e tutto rilucente 860
Di vesti e d' armi, addosso gli si scaglia .
Fugge Emonide, e cade. Enea gli è sopra,
Lo sacrifica a l' ombra, e d' ombra il copre.
Poscia.de l’ armi, che ’1 meschino a pompa
Portò più ch’ a difesa, il buon Seresto 865
Lo spoglia, e per trofeo le appende in campo
A te, gran Marte. Ecco di nuovo intanto
Cecolo , di Vulcan 1’ ardente figlio,
Sustulit ista prior iam tum Pallante peremto.
Hoc patris Anchisae manes, hoc sentit Iulus.
Sic fatus, galeam laeva tenet, atque reflexa 535
Cervice orantis capulo tenus applicat eusem.
Nec procul Haemonides, Phoebi Triviaeque sacerdos,
Infula cui sacra redimibat tempora vitta,
Totus collucens veste atque insignibus armis:
Quem congressus agit campo, lapsumque superstans
Ammolat, ingentique umbra tegit; arma Serestus
Lecta refert humeris, tibi, rex Gradive, trophaeum.
Instaurant acies Vulcani stirpe creatus
Caeculus, et veniens Marsorum montibus Umbro.
Eneide 7l. JI | 35
274 ENÉIDE
E '1 Marso Onibton né Í4 battaglia entrando,
E rimetterido le lor genti insfetie, — 870
Spingonsi avahti. Eneà da Y altra pátté
Infuriava. Ad Ansuré avventossi ,
E ’1 manco braccio con la spadà în tetra
Gittógli e de lo scudo fl cerclifo intero.
Gran cose avea costui ciànciate in pfirnà 875
E conceputé; e d Adempirfe áneorà
S'era promesso. Avea forsé anco in cielo
Riposti i suoi ‘pensieri, e $° augurava
Lunga vita e felice. E pur qui cadde.
Poscia Tarquito ardente, e d’atmi cihto 880
Fulgenti e ricche, ihcontro gli si fece.
Era costui di Fauno rirontanaro
E de la ninfa Driope creato,
Giovine fiero. Enea pàrossi avanti
A la sua furia, e pinse l' asta in guisa 885
Che lo scudo impedigli e la corazza.
Allora indarno il misero a pregarlo
Dardanides contra furit. 4niüris ense sinistrim
Et totum clypei ferro deiecerat orber.
Dixerat ille aliquid magnum, vimque adfore verbo
Crediderat, caeloque animuin fortasse ferebat,
Canitiemque sibi, et lóngos promiserat annos.
Tarquitus exsultans contra fulgentibus armis, 550
Silvicolae Fauno Dryope queri nympha crearat,
Obvius ardenti sese obtulit: ille reducta
Loricam clypeique ingens onus impedit hasta.
LIBRO DECIMO 272
Si diede. E mentre a dir molto s' affanna,
Per lo suo scampo, ei con gun colpo a terra
Gittógli il capo; e travo]gendo il tronco 890
Tiepido ancor sopra gli stette, e disse:
Qui con la tua bravura te ne stai,
Tremendo e formidabile guerriero .
Nè dj terra tua madre ti ricopra,
Né di tomba t' onori. A i lupi, a i coryi 895
Ti lascio, o che la piena in alcun fosso
Ti tragga, o che nel fiume, o che nel mare
Ai famelid pesci esca ti mandi.
Indi muove in un tempo incontro a Lica,
E segue Antéo, che ne Je prime schiere 900
Eran di Turno. Assaglie il forte Numa,
Fere il biondo Camerte. Era Camerte
Figlio a Volscente, generoso germe
Del magnanimo padre, e de’ più ricchi
Tum caput orantis nequidquam, et malta parantis
Dicere, detürbat terrae; truncumque tepentem 555
Provolvens, super haec inimico pectore fatur:
Istic nunc, ractuende, iace: non te optima mater
, Condet humi, patriove enerabit membra sepulcro:
Alitibus linquere feris: aut gurgite mersum
Unda feret, piscesque impasti vulnera lambent. 560
Protenus Antacum et Lucan, prima agmina Turni,
Parsequitur, fortemque Numam, fulyumque Ca-
mertem |
Magnanimo Folscente satum: ditissimus agri
—— — -——
276 ENEIDE
D' Ausonia tutta: in quel tempo reggea ' 905
La taciturna Amicla. In quella guisa :
Che si dice Egeón con cento braccia
E cento mani, da cinquanta bocche
Fiamme spirando e da cinquanta petti,
Esser già stato col gran Giove a fronte, 910
Quando contra i suoi folgori e'i suoi tuoni
Con altrettante spade ed ‘altrettanti
Scudi tonava e folgorava anch'egli;
In quella stessa Enea per tutto ’l campo,
Poich' una volta il suo ferro fu caldo . 915
Contra tutti vincendo infuriossi .
Ecco Niféo su quattro corridori
Si vede avanti; e contra gli si spinge
Sì ruinoso, e tal: fa lor fremendo
Tema e spavento, che i destrier rivolti 920
Lui dal carro traboccano, e disciolti
Qui fuit Ausonidum, et tacitis regnavit 4myclis. —
4Egaeon qualis, centum cui brachia dicunt, | 565
Centenasque manus, quinquaginta oribus ignem
Pectoribusque arsisse, lovis quum fulmina contra
Tot paribus streperet clypeis, tot stringeret enses.
Sic toto /Eineas desaevit in aequore victor,
Ut semel intepuit mucro. Quin ecce Niphaei — 570
Quadriiuges in equos adversaque pectora tendit:
"tque illi, longe gradientem et dira frementem .
Ut videre, metu versi retroque ruentes.
Effunduntque ducem, rapiuntque ad litora currus.
LIBRO DUODECIMO — 397
E ’1 difetto di tutti io solo ammendo; Jo
(Stiansi pure a vedere i tuoi Latini)
O ch' ei vincendo fia padrone a voi,
E marito.a Lavinia. A cui Latino
Col cor sedato in tal guisa rispose:
Giovine valoroso, al tuo valore, . 35
A la ferocia tua, che tanto eccede
Ne l’ armi, io deferisco. E tu dovrai
Appegarti di me, s' io, d’ ogni cosa
Temendo, con ragione e con maturo
Consiglio in tutti.i casi inveglio, e curo 40
Che ‘’1 mio stato si salvi e la tua vita.
A te, del vecchio Dauno erede e figlio,
Seggio e regno non manca, oltre a le terre
Di cui tu fatto hai da te stesso acquisto
Per forza d' armi. Oro, favori e gradi 49
Da Latino avrai sempre; e maritaggi
E donne d'alto affar son per lo Lazio,
E per le terre di Laurento assai.
Et solus ferro crimen commune refellam; -
Aut habeat victos; cedat Lavinia coniux. . T_—_
Olli sedato respondit corde Latinus:
O praestans animi iuvenis, quantum ipse feroci —
Frtute exsuperas, tanto me impensius aequum est
Consulere, atque omnes metuentem expendere casus.
Sunt tibi regna patris Dauni, sunt oppida capta
Multa manu: necnon aurumque animusque Latinoest.
Sunt aliae innuptae Latio et laurentibus agris,
278 ENEIDE
Si sta chinato, e col piè manco jn atto
Di ferir lui, la sua lancia a lo scudo 940
Entrò sotte di Lieago, e nel manon
Lato ne l' inguinaia il colse a punto,
E giù del carro moribondo il trasse.
Indi ancor egli motteggiolle, e disse:
A te né paventosi, né restii 949
Son già, Lücago, stati i tuoi cawalli.
Tu da te stesso un eì hel salto hai preso
Fuor del tue carro. E, ciò detto, a i destrieri
Diè di piglio. Il suo frate uscito intante
Dal carro stesso, nuafle e disarmato 950
Stendea le palme in tel guisa pregando:
Del per lo tuo valore e per coloro
Che ti fer tale, abbi di me, Signore,
Pietà, che supplicando in don ti chieggie
Lucagus ut pronus pendens in verbera telo
Admonuit büugos; praiecto dun pede laevo
Aptat se pugnae, subit oras hasta per Quas
Fulgentis clypei: tum laevum perforat inguen.
Excussus curru moribundus uolvitur arvis. 590
Quem pius JE neas diotis affatur amaris:
Lucage, nulla tuos currus fuga segnis eguarum
Prodidit, aut vanae vertere ex hostibus umbrae:
Ipse rotis saliens iuga deseris. Haec ita fatus
Arripuit biiugos: frater tendebat inermes 595
Infelia: palmas, aurru delapsus eodem.
Per te, per qui te talem genuere parentes,
LIBRO DBECIMO 979
Questa misera via. È segiitando 955
La sta preghiera; a léi rispose Enea:
Tu nen hai già così dianzi abbaixto .
Muori; e morerdo il tao frate accompagna .
E con queste parole il ffro spinse,
E gli apri "1 petto, e l'alma ne disciolee. 960
Mentre così per la campagna Enea
Strage facendo , e di torrente in guisa
E di tempesta infurfando soorre ,
Ascaniò € la TroiaBa gioventate
Indarno entró a le mara assediati 965
Saltano iù campo. Ed a Giunone intanto -
Così Giove favella: O mia diletta
Sorella e sposa, ‘ecco 'testé si vede
Corn' ha là tua credenza e ’1 tuo pensiero -
Verace incontro, e come Citerea 970
Sostentà i Teueti stoi. Vedi com" essi
Vir troiane, sine Mate animam, et miserére precantis.
Pluribus oranti AEneas: Haud talia dedum
Bicta dabas: morere, et fratrem ne desere frater.
Tum latebras animue, pectus, mucrone recludit.
Talia per campos edebat Yunera üuctor
Dardanius, torrentis-aguae , vel'turbinis atri
More furens. Tandem erumpunt ;etcastrarelinquunt
Ascanits puer, et nequidquam obsessa iuventus. 605
Iuhonem interea compellàt Fuppiter ultro:
O germana ‘mihi atque cadem gratissima: coniuz,
Ut rebare, Penus (nec te sententia fait)
280 ENEIDE
Non son nè valorosi, nè. guerrieri,
E i cor non hanno a i lor perigli eguali.
A cui Giunon tutta rimessa, Ah, disse,
Caro consorte, a che mi strazi e pugni, — 975
Quando è pur troppo il mio dolor pungente,
E. pur troppo tem’ io le tue punture?
Ma se qual era, e qual esser potrebbe,
Fosse or teco il poter de l' amor mio,
Teco che tanto puoi, da te negato 980
Non mi fóra, Signor, ch' oggi il mio Turno
Fosse da la battaglia e da la morte
Per me: sotfratto e conservato al vecchio
Dauno suo padre. Or péra, e col suo sangue,
Che pur è pio, la cupidigia estingua 985
De' suoi nemici. E pur anch'egli é nato
Dal nostro sangue: e pur Pilunno è quarto
Padre di lui: da lui pur largamente
T'roianas sustentat opes: non vivida bello
Dextra viris, animusque ferox, patiensque pericli.
Cui Iuno submissa: Quid, o pulcherrime coniux,
Sollicitas aegram et tua tristia dicta timentem?
Si mihi, quae quondam fuerat, quamque esse decebat ,
Vis in amore foret; non hoc mihi namque negares,
Omnipotens, quin et pugnae subducere Turnum,
Et Dauno possem incolumem servare parenti.
Nunc pereat, Teucrisque pio det sanguine poenas.
Ille tamen nostra deducit origine nomen,
Pilumnusque illi quartus pater; et tua larga.
LIBRO DEGIMO 281
Gli altar molte fiate e 1 tempii tuoi
Son de’ suoi molti doni ornati e carchi . 990
Cui del ciel brevemente il gran Motore
Così rispose: Se indugiar la morte,
Ch’ è già presente, e prolungare i giorni
A] già caduco giovine t' aggrada
Per alcun tempo, e tu con questo inteso 0995
L’ accetti, va'tu stessa, e da la pugna
Sottrallo e dal destino. A tuo contento
Fin qui mi lece. Ma se in ció presumi
Ancor più di sua vita, o de la guerra,
Che del tutto si mute o si distorni, 1000
In van lo speri. A cui Giuno piangendo
Soggiunse: E che saria, se quel che in voce
Ti gravi a darmi, almen nel tuo secreto
Mi concedessi.! E questa vita a Turno
Si stabilisse? già che indegna e cruda 1005
Saepe manu multisque oneravit limina donis. 620
Cui rex aetherü breviter sic fatur Olympi:
Si mora praesentis leti, tempusque caduco
Oratur iuveni, meque hoc ita ponere sentis;
Tolle fuga Turnum, atque instantibus eripe fatis.
Hacterius indulsisse vacat. Sin altior istis 625
Sub precibus venia ulla latet, totumque moveri,
Mutarive putas bellum; spes pascis inanes.
Cui Iuno illacrimans: Quid si, quod voce gravaris,
Mente dares? atque haec Turno rata vita maneret?
Nunc manet insontem gravis exitus: aut ego veri
Eneide 7ol. 11 30
Li
282 ENEIDE
Morte gli s' avvicina , o ch'io del vero
Mi gabbo. Tu che puoi, Signor, rivolgi
La mia paura e i tuoi pensieri in meglio.
Poscia che cosi disse, incontanente
Dal ciel discese, e con un nembo avanti 1010
E nubi intorno, occulta infra i due campi
Sopra terra calossi. Ivi di nebbia,
Di colori e di vento una figura
Formò (cosa mirabile a vedere! )
In sembianza d' Enea; d' Enea lo scudo, — 1015
La corazza, il cimicro e l’ armi tutte
Gli finse intorno, e gli dié il suono e '1 moto
Propri di lui , ma vani, e senza forze
E senza mente; in quella stessa guisa
Che si dice di notte ir vagabonde 1020
L'ombre de' morti, e che i sopiti sensi
Son da' sogni delusi e da fantasme.
Vana feror. Quod ut o potius formidine falsa
Ludar, et in melius tua, qui potes, orsa reflectas!
Haec ubi dicta dedit, caelo se protenus alto
Misit, agens hiemem nimbo succincta per auras:
Iliacamque aciem, et laurentia castra petivit. 635
Tum Dea nube cava tenuem sine viribus umbram
In faciem /Eneae (visu mirabile monstrum)
Dardaniis ornat telis, clypeumque iubasque
Divini assimulat capitis; dat inania verba;
Dat sine mente sonum, gressusque effingit euntis.
Morte obita quales fama est volitare figuras,
LIBRO DECIMO 282
Questa mentita imago anzi a le schiere
Lieta insultando, a Turno s' appresenta,
Lo provoca e lo sfida. E Turno incontra 1025
Le si spinge e l' affronta: e pria da lunge
Il suo dardo le avventa, al cui stridore
Volg' ella il tergo e fugge. Ed ei sospinto
Da la vana credenza, e da la folle.
Sua speme insuperbito, la persegue 1030
Con la spada impugnata: e, Dove, e dove,
Dicendo , Enea, ten fuggi? ove abbandoni
La tua sposa novella? Io di mia mano
De la terra fatale or or t'investo,
Che tanto per lo mar cercando andavi. 1035
E gridando l’ incalza, e non s' avvede
Che quel che segue e di ferir agogna,
Non é che nebbia che dal vento é spinta.
Era per.sorte in su la riva un sasso
Aut quae sopitos deludunt somnia sensus.
At primas laeta ante acies exsultat imago,
Irritatque virum telis, et voce lacessit.
Instat cui Turnus, stridentemque eminus hastam
Coniicit; illa dato vertit vestigia tergo.
Tum vero /Enean aversum ut cedere Turnus
Credidit, atque animo spem turbidus hausit inanem:
Quo fugis, /Enea? thalamos ne desere pactos:
Hac dabitur dextra. tellus quaesita per undas. 650
T'alia vociferans sequitur, strictumque coruscat
Mucronem, nec ferre videt sua gaudia ventos.
284 ENEIDE
Di molo in guisa; ed un navile a canto 1040
Gli-era legato, che la scala e ’l ponte
Avea su '] lito, onde ne fu pur dianzi
Osinio il re di Chiusi in terra esposto.
In questo legno, di fuggir mostrando,
Ricovrossi d' Enea la finta imago, 1045
E vi s'ascose. A cui dietro correndo
Turno senza dimora infuriato
]| ponte ascese. Era a la prora a pena,
Che Giunon ruppe il fune, e diede al leguo
Per lo travolto mare impeto e fuga. 1050
Intanto Enea, di Turno ricercando,
A battaglia il chiamava. Ed or di questo
Ed or di quello e di molti anco insieme
Facea strage e scompiglio; e la sua larva,
Poiché di più celarsi uopo non ebbe, 1055
Fuor de la nave uscendo alto: levossi, -
E con l'atra sua nube unissi, e sparve.
Forte ratis celsi coniuncta crepidine saxi
Expositis stabat scalis, et ponte parato,
Qua rex clusinis advectus Osinius oris. 655
Huc sese trepida /Eneae fugientis imago
Coniicit in latebras; nec Turnus segnior instat,
Exsuperatque moras, et pontes transilit altos.
Vix proram attigerat: rumpit Saturnia funem,
"foulsamque rapit revoluta per aequora navem. 660
Jilum autem 4Eneas absentem in praelia poscit:
Obvia multa virum demittit corpora morti.
LIBRO DECIMO 285
Turno cosi schernito: e già nel mezzo
Del mar sospinto, indietro rimirando
Come del fatto ignaro, e del suo scampo 1060
Sconoscente e superbo, al ciel gridando
Alzó le palme, e disse: Ah dunque io sono
D'un tanto scorno, onnipotente padre ,
‘ Da te degno tenuto? A tanta pena
M' hai riservato? Ove son io rapito? 1065
Onde mi parto? Chi così mi caccia?
Chi mi rimena ? E fia ch’un' altra volta
Io ritorni a Laurento? e ch’ io riveggia
L' oste. più con quest’ occhi? E che diranno
I miei seguaci, e quei che m'han per capo 1070
Di questa guerra, che da me son tutti
( Ahi vitupéro! ) abbandonati a morte?
E già rotti gli veggio, e già gli sento
T'um levis haud ultra latebras iam quaerit imago,
Sed sublime volans nubi se immiscuit atrae: —
Quum Turnum medio interea fert aequore turbo.
Respicit ignarus rerum, ingratusque salutis,
Et duplices cum voce manus ad sidera tendit:
Omnipotens genitor, tanton’ me crimine dignum
Duxisti, et tales voluisti expendere poenas?
Quo feror? unde abii? quae me fuga,quemve reducet?
Laurentesne iterum muros aut castra videbo?
Quid manus illa viruim, qui me,meaque arma sequuti?
Quosne (nefas) omnes infanda in morte reliqui?
Et nunc palantes video, gemitumque cadentum
286 ENEIDE
Gridar cadendo. O me lasso! che faccio ?
Qual è del mar la più profonda terra 1079
Che mi s'apra e m' ingoi? A voi più tosto,
Venti, incresca di me. Voi questo legno
Fiaccate in qualche scoglio, in qualche rupe,
Ch’ io stesso lo vi chieggio: o ne le Sirti
Mi seppellite, ove mai più non giunga 1030
Rutulo che mi veggia, o mi rinfacci
Questa vergogna e questa infamia, ond' io
Sono a me consapevole e nimico.
Così dicendo, un tanto disonore
In sè sdegnando, e di sè stesso fuori 1085
Strani, diversi e torbidi pensieri
Si volgea per la mente, o con la spada
Passarsi il petto, o traboccarsi in mezzo,
Sì com'era , del mare, e far, notando,
Prova o di ricondursi ond' era tolto , 1099
O d'affogarsi. E l'una e l'altra via
Accipio. Quid ago? aut quae iam satis ima dehiscat
Terra mihi? vos o potius miserescite, venti,
In rupes, in saxa (volens vos Turnus adoro)
F'erte ratem, saevisque vadis immittite syrtes,
Quo neque me Rutuli, neque conscia fama sequatur.
Haec memorans animo nunc huc, nunc fluctuat illuc;
An sese mucrone ob tantum dedecus amens
Induat, et crudum per costas exigat ensem:
Fluctibus an iaciat mediis, et litora nando
Curva petat, Teucrumque iterum se reddat in. arma.
LIBRO DECIMO 287
Tentò tre volte; e tre volte la Dea,
Di lui mossa a pietà, ne la distolse.
Dal turbine e dal mar cacciato. intanto
Si scorse il legno, che del padre Dauno — 1095
A l’antica magion per forza il trasse.
| Mezenzio in questo mentre che da l' ira
Era spinto di Giove, ardente e fiero
Entrò nella battaglia, e 1 Teucri assalse
Che già ’1 campo tenean superbi e lieti. — 1100
Da l’altro canto le tirrene schiere
Mossero incontro a lui. Contra lui solo
S' unir tutti de’ Toschi e gli odii e l'armi;
Ed egli, a tutti opposto, alpestro scoglio
Sembrava, che nel mar si sporga, ei flutti, 1105
E i vénti minacciar sì senta intorno,
E non punto si crolli. Ognun ch’ avanti
O l’ardir gli mandava o la fortuna
E
lati
Ter conatus utramque viam; ter maxima Iuno 685
Continuit, iuvenemque animi miseraia repressit.
Labitur alta secans fluctuque aestuque secundo:
Et patris antiquam Dauni defertur ad urbem.
At Iovis interea monitis Mezentius ardens
Succedit pugnae, Teucrosque invadit ovantes. 690
Concurrunt tyrrhenae acies, atque omnibus uni ,
Uni odiisque viro telisque frequentibus instant.
Jile, velut rupes, vastum quae prodit in aequor,
Obvia ventorum furiis, expostaque ponto,
. F'im cunctam atque minas perfert caelique marisque,
288 ENEIDE
A’ piè s distendea. Nel primo incontro
Ebro di Dolicào, Làtago e Palmo 1110
Tolse di mezzo. Ebro passó fuor fuori
Con un colpo di lancia: il volto e ’1 teschio,
Un gran macigno a Làtago avventando,
Infranse tutto, ambi i garetti a Palmo
Ch' avanti gli fuggia, tronchi di netto, 1115
Lascio che rampicando a morir lunge
A suo bell'agio andasse; ma de l'armi
Spogliollo in prima, e la corazza in collo
E l'elmo in testa al suo Lauso ne pose.
Uccise dopo questi il frigio Evante; 1120
Poscia Mimante ch’ era pari a Pari
Di nascimento, e d’amor seco unito.
D' Amico nacque, e ne la stessa notte
Teana la sua madre in luce il diede,
Che dié Paride al mondo Ecuba pregna 1125
Ipsa immota manens: prolem Dolichaonis Hebrum
Sternit humi, cum quo Latagum Palmumque fuga-
cem:
Sed Latagum saxo, atque ingenti fragmine montis
Occupat os faciemque adversam; poplite Palmum
Succiso volvi segnem sinit: armaque Lauso 700
Donat habere humeris, et vertice figere cristas.
Nec non Evanthen phrygium, Paridisque Mimanta
A qualem comitemque, una quem nocte T'heano
In lucem genitori Amyco dedit; eL face praegnans
Cisseis regina Parin creat : urbe paterna 703
LIBRO DEE€EIMO 289
Di fatal fiamma. E pur l' un d' essi ucciso
Fu ne la patria, e l’altro sconosciuto
Qui cadde. Era a veder Mezenzio in campo
Qual orrido, sannuto , irto cignale
In mezzo a' cani allor che da’ pineti 1130
Di Vesolo, o da’ boschi :0 da’ pantani
Di Laurento è cacciato, ove molt anni
Si sia difeso; ch'a le reti aggiunto
Si ferma, arruffa gli omeri, e fremisce
Co’ denti in guisa che non è. chi presso 1135
Osi affrontarlo , ma co’ dardi solo,
E con le grida a man salva dintorno
Gli fan tempesta. Così contro a lui
Non s'arrischiando le nimiche squadre
Stringere i ferri, le minacce e l’ armi 1140
Gli avventavan da lunge; ed ei fremendo
Occubat: ignarum Laurens habet ora Mimanta.
Ac velut ille canum morsu de montibus altis
Actus aper, multos F'esulus quem pinifer annos
Defendit, multosve palus laurentia, silva
Pastus arundinea; postquam inter retia ventum est,
Substitit, infremuitque ferox, et inhorruit armos:
Nec cuiquam irasci, propiusve accedere virtus:
Sed iaculis tutisque procul clamoribus instant. .
Haud aliter, iustae quibus est Mezentius irae,
Non ulli est animus stricto concurrere ferro: — 715
Missilibus longe et vasto clamore lacessunt.
Ille autem impavidus partes cunctatur in omnes,
Eneide 7l. I 37
290 ENEIDE
Stava intrepido e saldo, e con lo scudo
Sbattea de l'aste il tempestoso nembo .
Di Córito venuto a questa guerra
Era un Greco bandito, Acron chiamato, 1145
Novello sposo che, non giunto ancora
Con la sua donna, a le sue nozze il folle
Avea l armi anteposte. E in quella mischia
D' ostro e d' ór riguardevole e di penne,
Sponsali arnesi e doni, ovunque andava 1150
Per le schiere, facea strage e baruffa.
Mezenzio il vide; e qual digiuno e fiero
Leon da fame stimolato , errando
Si sta talor sotto la mandra, e rugge;
Se poi fugace damma, o di ramose 1155
Corna gli si discopre ‘un cervo avanti,
S' allegra, apre le canne, arruffa il dorso,
Si scaglia, ancide e sbrana; e '1 ceffo e l' ugne
D' atro sangue s'intride, in tal sembiante
Dentibus infrendens, et tergo decutit hastas.
Venerat antiquis Corythi de finibus Acron,
Graius homo, infectos linquens profugus hymenaeos.
Hunc ubi miscentem longe media agmina vidit,
Purpureum pennis, et pactae coniugis ostro:
Impastus stabula alta leo ceu saepe peragrans
( Suadet enim vesana fames ) si forte fugacem
Conspexit capream, aut surgentem incornua cereum ,
Gaudet, hians immane, comasque arrexit, et haeret
Visceribus super incumbens: lavit improba teter .
Ora cruor:
LIBRO DECIMO 291
Per mezzo de lo stuol Mezenzio altero. 1160
S' avventa. Acron per terra al primo incontro
Ne va rovescio; e l armi e ’1 petto infranto,
Sangue versando, e calcitrando spira.
Morto Acrone, ecco Oróde, che davanti
Gli si tolle. Ei lo segue; e non degnando 1165
Ferirlo in fuga, o che fuggendo occulto
Gli fosse il feritor, lo giunge e "| passa,
L/ incontra, lo provóca, a corpo a corpo
Con lui s' ezzuffa, che di forze e d' armi
Più valéa che di furto. Al fin l’ atterra, 1170
E l'asta e ’l piè sopra gl’ imprime e dice :
Ecco Oróde è caduto. Una gran parte
Giace de la battaglia. A questa voce
Lieti alzaro i compagni al ciel le grida:
Ed ei mentre spirava, Oh, disse a lui, — 1175
Qual che tu sii, non fia senza vendetta
Sic ruit in densos alacer Mezentius hostes.
Sternitur infelix Acron, et calcibus atram 730
Tundit humum exspirans, infractaque tela cruentat.
dtque idem fugientem haud est dignatus Oroden
Sternere, nec iacta caecum dare cuspide vulnus.
Obvius adversoque occurrit, seque viro vir
Contulit, haud furto melior, sed fortibus armis. 735
Tum super abiectum posito pede nixus et hasta,
Pars belli haud teninenda, viri, iacet altus Orodes.
Conclamant socii laetum Paeana sequuti.
llle autem exspirans: Non me, quicumque es, inulto,
- rompa o
202 ENEIDE
. La morle mia: né lungamente altero
N’ andrai; ché dietro a me nel campo. stesso
Cader convienti. A cui Mezenzio un riso
Tratto con ira, Or sii tu morto intanto, 1180
Rispose, e quel che può, Giove. disponga
Poscia di me. Così dicendo, il télo
Gli divelse dal corpo, ed ei le luci
Chiuse al gran buio ed al perpetuo sonno. -
Cedico uccise Alcàto . Socratóre 1185
Uccise Idaspe. A due la vita tolse
Rapo; a Partenio ed al gagliardo Orsone.
Messapo anch'egli a due la morte diede:
A Clonio da cavallo ; ad Ericate, |
Ch’ era pedone, a piede. Agi di Licia 1190
Movendo incontro a lui, fu da. Valero
Victor, nec longum laetabere: te quoque fata ‘740
Prospectaut paria, atque eadem mox arva tenebis.
Ad quem subridens mixta Mezentius ira;
Nunc morere: ast de me Diem pater atque hominum
rex
Viderit. Hoc dicens eduxit corpore telum.
Olli dura quies oculos et ferreus urget 749
Somnus, in aeternam clauduntur lumina noctem.
Caedicus Alcathoum obtruncat, Sacrator Hydaspen,
Partheniumque Rapo, et praedurum viribus Orsen;
Messapus Cloniumque, lycaoniumque Ericeten:
Illum infrenis equi lapsu tellure iacentem, 750
Hunc peditem pedes. Et lycius processerat Agis:
LIBRO DECIMO 293
Valoroso, e de’ suoi. degno campione ,
A terra steso: Atron da Salio anciso;
E Salio- da Nealce, che di dardo .
Era gran feritore e grande arciero. 1199
D' ambe le parti erano Morte, e Marte
Del pari; e parimente i vincitori
E i vinti ora cadendo, ora incalzando ,
Seguian la zuffa; né viltà, né fuga
Né di qua, né di là vedeasi ancora.
1200
L’ ira, la pertinacia e le fatiche
Erano e quinci e quindi ardenti e vane.
E di questi.e di quelli avean gli Dei,
Che dal ciel gli vedean , pietà e cordoglio.
. Btava. di qua Ciprigna e di là Giuno 1205
À rimirarli; e pallida fra mezzo
‘ Di molte mila infuriando andava
La nequitosa Erinni. Una grand’ asta
Quero tamen haud expers Valerus virtutis avitae
Deiicit: At Thronium Salius, Saliumque Nealces,
Insignis iaculo et longe fallente sagitta.
Jam gravis aequabat luctus et mutua Mavors
F'unera: caedebant pariter pariterque ruebant
7929
Fictores victique: neque his fuga nota, neque illis.
Df Iovis in tectis iram miserantur inanem
Amborum, et tantos mortalibus esse labores:
. Hinc Venus, hinc contra spectat saturnia Juno;
Pallida Tisiphone media inter millia saevit.
4t vero ingentem quatiens Mezentius hastam
294 ENEIDE
Prese Mezenzio un'altra volta in mano
E turbato squassandola, del campo 1210
Piantossi in mezzo , ad Orion simile
Quando co’ piè calca di Néreo i flutti,
E sega l' onde, con le spalle sopra
A l'onde tutte; o qual da’ monti a l' aura
Si spicca annoso cerro, e ’l capo asconde 1215
Infra le nubi. In tal sembianza armato
Stava Mezenzio . Enea tosto che ’l vede
Ratto incontro gli muove. Ed egli immoto
Di coraggio e di corpo, ad aspettarlo
Sta qual pilastro in sè fondato e saldo. 1220
Poscia ch’ a tiro d'asta avvicinato
Gli fu d’avanti, O mia destra, o mio dardo,
Disse, che Dii mi siete, il vostro nume
A questo colpo imploro: ed a te, Lauso,
Turbidus ingreditur campo: quam magnus Orion,
Quum pedes incedit medii per maxima Nerei
Stagna viam scindens , humero supereminet undas;
Aut, summis referens annosam montibus ornum,
Ingrediturque solo, et caput inter nubila condit:
T'alis se vastis infert Mezentius armis.
Huic contra /Eneas, speculatus in agmine longo,
Obvius ire parat. Manet imperterritus ille, 770
Hostem magnanimum opperiens, et mole sua stat;
Atque oculis spatium emensus, quantum satis hastae:
Dextra, mihi Deus, et telum, quod missile libro,
Nunc adsint: voveo praedonis corpore raptis .
LIBRO DECIMO 295
Già di questo ladron le spoglie e l'armi 1225
Per mio trofeo consacro. E, così detto ,
Trasse. Stridendo andò per l’ aura il télo ;
Ma giunto, e da lo scudo in altra parte
Sbattuto, di lontan percosse Antore
Fra le costole e ’1 fianco, Antor d' Alcide 1230
Onorato compagno. Era venuto .
D' Argo ad Evandro: e qui cadde il meschino
D'altrui ferita. Nel cader le luci
Al ciel rivolse , e d' Argo il dolce nome
Sospirando, le chiuse. Enea con l’ asta 1235
Ben tosto a lui rispose. E lo suo scudo
Percosse anch' egli, e l'interzate piastre .
Di ferro e le tre cuoia e le tre falde
Di tela, ond' era cinto, infino al vivo
Gli passò de la coscia..Ivi fermossi, 1240
Indutum spoliis ipsum te, Lause, trophaeum 775
/Eneae. Dixit, stridentemque eminus hastam
Inücit; illa volans clypeo est excussa, proculque
Egregium Antoren latus inter et ilia figit:
Herculis Antoren comitem, qui missus ab Argis
Haeserat Evandro, atque itala consederat urbe. 480
Sternitur infelix alieno vulnere, caelumque
Adspicit, et dulces moriens reminiscitur Argos.
Tum pius /Eneas hastam iacit: illa per orbem
Hire cavum triplici, per linea terga, tribusque
Transüt intextum tauris opus, imaque sedit ‘785
Inguine; sed vires haud pertulit. Ocius ensem
296 ENEIDE
Ché più forza non ebbe. Ma ben tosto’
Ricovrò con la spada. e fiero e lieto,
Visto già del nimico il sangue in terra
E "| terror re la fronte , a lui si strinse.‘
Lauso, che im-tanto rischio il cato padre 1245
Si vide avanti, amor, tema e dolore
Se ne sentì, ne sospirò, ne pianse.
E qui, giovine illustre, il caso indegno
De la tua morte e '1 tuo zelo e ’l tuo fato
Non taeeró; se pur tanta pietate - 1250
Fia chi creda de’ posteri, e d' un figlio
D'un empio padre. Il padre a si gran colpo -
Si trasse in dietro, ché di già ferito,
Benchè non gravemente, e da ]' intrico
De !' asta imbarazzato , era ala pugna 1255
Fatto inutile e tardo. Or mentre cede,
Mentre che de lo scudo il dardo ostile
Di sferrar s' argomenta, il buon garzone
Hineas, viso Tyrrheni sanguine laetus,
Eripit a:femine, et trepidanti fervidus instat.
Ingemuit cari graviter genitoris amore, |
Ut vidit, Lausus, lacrimaeque per ora eolutae; 290
Hic mortis durae casum, tuaque optima facta,
Si qua fidem tanto est operi latura vetustas,
Non equidem nec te, iuvenis memorande, silebo.
Ille pedem referens, et inutilis, inque ligatus
Cedebat, olypeoque inimicum hastile trahebat. 799
Prorupit iuvenis, seseque immiscuit armis:
LIBRO DECIMO 207
Succede ne la pugna, e del già mosso
Braccio e del brando che stridente e grave 1260
Calava per ferirlo, il mortal colpo
Ricevé con lo scudo e lo sostenne.
E perch’ agio a ritrarsi il padre avesse
Riparato dal figlio; i suoi compagni
Secondàr con le grida; e con un nembo 1265
D' armi, che gli avventàr tutti in un tempo,
Lo ributtaro. Enea via piü feroce
Infuciendo, sotto al grau pavese
Si tenea ricoverto. E qual, cadendo
Grandine a nembi, il viator talora, 1270
Che in sicuro a l' albergo è già ridotto,
Ogni agricola vede , ogni aratore
Fuggir da la campagna; o qual d' un greppo
D' una ripa, o d' un antro il zappatore,
Piovendo , si fa schermo, e '1 sole aspetta 1275
Jamque assurgentis dextra, plagamque ferentis
ZEneae subiit mucronem, ipsumque morando
Sustinuit: socii magno clamore sequuntur,
Dum genitor nati parma protectus abiret; 800
Telaque coniiciunt, proturbantque eminus hostem
Missilibus. Furit /Eneas, tectusque tenet se.
Ac velut, effusa si quando grandine nimbi
Praecipitant, omnis campis diffugit arator,
Omnis et agricola, et tuta latet arce viator, ^ 805
Aut amnis ripis, aut alti fornice saxi,
Dum pluit in terris; ut possint, sole reducto,
Eneide /ol. II 38
298 ENEIDE
Per compir l'opra, in quella stessa guisa ,
Tempestato da l'armi Enea la nube
Sostenea de la pugna; e Lauso intanto
Minacciando garría: Dove ne vai,
Meschinello, a la morte? A che pur osi 1380
Più che non puoi? la tua pietà t'inganna,
E sei giovine e soro. Ei non per questo,
Folle, meno insultava ; onde più crebbe
L' ira del Teucro Duce. E già la Parca,
Vota la rocca e non pien anco il fuso, 1285
Il suo nitido filo avea reciso.
Trasse Enea de la spada, e ne lo scudo,
Che liev' era e non pari a tanta forza,
Lo colpì, lo passò, passógli insieme
La veste che di seta e d' òr contesta 1290
Gli avea la stessa madre; e lui per mezzo
Exercere diem: sic obrutus undique telis
"Eneas nubem belli, dum detonet, omnem
Sustinet, et Lausum increpitat, Lausoque minatur:
Quo moriture ruis? maioraque viribus audes?
Fallit te incautum pietas tua. Nec minus ille
Exsultat demens: saevae iamque altius irae
Dardanio surgunt ductori; extremaque Lauso
Parcae fila legunt: validum namque exigit ensem
Per medium ;/Eneas iuvenem, totumque recondit;
T'ransiit et parmam mucro, levia arma minacis,
Et tunicam, molli mater quam neverat auro,
Implevitque sinum sanguis: tum vita per auras
LIBRO DECIMO 200
Trafisse, e moribondo a terra il trasse.
Ma poscia che di sangue e di pallore
Lo vide asperso e della morte in preda,
Ne gl’ increbbe e ne pianse; e di paterna 1299
Pietà quasi una imago avanti a gli occhi
Veder gli parve, e ’ntenerito ile core,
Stese la ‘destra e sollevollo , e disse :
Miserabil fariciullo ! e quale aita ,
Quale il pietoso Enea può farti onore 1300
Degno de le tue lodi e del presagio
Che n° hai dato di te? L' armi che tanto
Ti son piaciute, a te lascio, e | tuo corpo
À la cura de’ tuoi, se di ciò cura
Ha pur l'empio tuo padre, acciò di tomba — 1305
E d' esequie t' onori. E tu, meschino,
Poiché dal grand’ Enea morte ricevi,
Di morir ti consola. Indi assecura,
Concessit moesta ad manes, corpusque reliquit. 820
At vero, ut vultum vidit morientis et ora,
Ora modis Anchisiades pallentia miris,
Ingemuit miserans graviter, dextramque tetendit, -
Et mentem patriae strinxit pietatis imago.
Quid tibi nunc, miserande puer, pro laudibus istis,
Quid pius /Eneas tanta dabit indole dignum?
Arma, quibus laetatus, habe tua: teque parentum
Manibus, et cineri (si qua est ea cura) remitto.
Hoc tamen infelix miseram solabere mortem;
4Eneae magni dextra cadis. Increpat ultro 830
294 . ENEIDE
Prese Mezenzio un' altra volta in mano
E turbato squassandola, del campo 1210
Piantossi in mezzo , ad Orion simíle
Quando co’ piè calca di Néreo i flutti,
E sega l' onde, con le spalle sopra
A l'onde tutte; o qual da’ monti a l’ aura
Si spicca annoso cerro, e ’l capo asconde 1215
Infra le nubi. In tal sembianza armato
Stava Mezenzio . Enea tosto che ’1 vede
Ratto incontro gli muove. Ed egli immoto
Di coraggio e di corpo, ad aspettarlo
Sta qual pilastro in sé fondato e saldo. 1220
Poscia ch'a tiro d'asta avvicinato
Gli fu d’avanti, O mia destra, o mio dardo,
Disse, che Dii mi siete, il vostro nume
A questo colpo imploro: ed a te, Lauso,
Turbidus ingreditur campo: quam magnus Orion,
Quum pedes incedit medii per maxima Nerei
Stagna viam scindens , humero supereminet undas;
Aut, summis referens annosam montibus ornum,
Ingrediturque solo, et caput inter nubila condit:
Talis se vastis infert Mezentius armis.
Huic contra /Eneas, speculatus in agmine longo,
Obvius ire parat. Manet imperterritus ille, 779
Hostem magnanimum opperiens, et mole sua stat ;
"tque oculis spatium emensus, quantum satis hastae:
Dextra, mihi Deus, et telum, quod missile libro,
Nunc adsint: voveo praedonis corpore raptis .
LIBRO DECIMO 295
Già di questo ladron le spoglie e l’ armi: 1225
Per mio trofeo consacro. E, così detto ,
Trasse. Stridendo andò per l’ aura il télo ;
Ma giunto, e da lo scudo in altra parte
Sbattuto, di lontan percosse Antore
Fra le costole e ’1 fianco, Antor d' Alcide 1230
Onorato compagno. Era venuto
D' Argo ad Evandro: e qui cadde il meschino
D'altrui ferita. Nel cader le luci
Al ciel rivolse , e d' Argo il dolce nome
Sospirando, le chiuse. Enea con l' asta 1235
Ben tosto a lui rispose. E lo suo scudo
Percosse anch' egli, e l'interzate piastre
Di ferro e le tre cuoia e le tre falde
Di tela, ond' era cinto, infino al vivo
Gli passò de la coscia..Ivi fermossi, 1240
Indutum spoliis ipsum te, Lause, trophaeum 779
4Eneae. Dixit, stridentemque eminus hastam
Iniicit; illa volans clypeo est excussa, proculque
Egregium Antoren latus inter et ilia figit:
Herculis Antoren comitem, qui missus ab Argis
Haeserat Evandro, atque itala consederat urbe. 480
Sternitur infelix alieno vulnere; caelumque
Adspicit, et dulces moriens reminiscitur Argos.
T'um pius /Eneas hastam iacit: illa per orbem
Here cavum triplici, per linea terga, tribusque
Transiit intextum tauris opus, imaque sedit 785
Inguine; sed vires haud pertulit. Ocius ensem
296 ENEIDE
Ché più forza non ebbe. Ma ben tosto’
Ricovrò con la spada, e fiero e lieto,
Visto già del nimico il sangue in terra
E "| terror re la fronte , a lui si strinse.
Lauso, che m tanto rischio ‘il cato padre 1245
Si vide avanti, amor, tema e dolore
Se ne sentì, ne sospirò, ne pianse.
E qui, giovine illustre, il caso indegno
De la tua morte e ’1 tuo zelo e ’1 tuo fato
Non taeeró; se pur tanta pietate - 1250
Fia chi creda de’ posteri, e d' un figlio
D'ur empio padre. Il padre a sì gran colpo -
Si trasse in dietro, chè di già ferito,
Benchè non gravemente, e da l’ intrico
De l asta imbarazzato , era a la pugna 1222
Fatto inutile e tardo. Or mentre cede,
Mentre che de lo scudo il dardo ostile
Di sferrar s' argomenta, il buon garzone
4Eneas, viso Tyrrheni sanguine laetus, —
Eripit a;femine, et trepidanti fervidus instat.
Ingemuit cari graviter genitoris amore,
Ut vidit, Lausus, lacrimaegue per ora veblutae:
Hic mortis durae casum, tuaque optima facta,
Si qua fidem tanto est operi latura vetustas,
Non equidem nec te, iuvenis memorande, silebo.
Ille pedem referens, et inutilis, inque ligatus
Cedebat, olypeoque inimicum hastile trahebat.
Prorupit iuvenis, seseque immiscuit armis:
79°
799
LIBRO DECIMO 207
Succede ne la pugna, e del già mosso
Braccio e del brando che stridente e grave 1260
Calava per ferirlo, il mortal colpo
Ricevé con lo scudo e lo sostenne.
E perch’ agio a ritrarsi il padre avesse
Riparato dal figlio, i suoi compagni
Secondàr con le grida; e con un nembo 1265
D' armi, che gli avventàr tutti in un tempo,
Lo ributtaro. Enea via piü feroce
Infuriando, sotto al grau pavese
Si tenea ricoverto. E qual, cadendo
Grandine a nembi, il viator talora, 1270
Che in sicuro a l’ albergo è già ridotto,
Ogni agricola vede , ogni aratore
Fuggir da la campagna; o qual d' un greppo
D' una ripa, o d' un antro il zappatore,
Piovendo , si fa schermo, e 1 sole aspetta 1275
Jamque assurgentis dextra, plagamque ferentis
"Eneae subiit mucronem, ipsumque morando
Sustinuit: socii magno clamore sequuntur,
Dum genitor nati parma protectus abiret; 800
T'elaque coniciunt, proturbantque eminus hostem
Missilibus. Furit /Eneas, tectusque tenet se.
Ac velut, effusa si quando grandine nimbi
Praecipitant, omnis campis diffugit arator,
Omnis et agricola, et tuta latet arce viator, | 805
Aut amnis ripis, aut alti fornice saxi,
Dum pluit in terris; ut possint, sole reducto,
Eneide /ol. II 38
— ———— ———— —— —_— ——- —.. -
——
296 ENEIDE
Ché più forza non ebbe. Ma ben tosto’
Ricovró con la spada, e fiero e lieto,
Visto già del nimico il sangue in terra
E ’1 terror re la fronte ,. a lui si strinse.
Lauso, che m tanto rischio il cato padre 1245
Si vide avanti, amor, tema e dolore
Se ne sentì, ne sospirò, ne pianse.
E qui, giovine illustre, il caso indegno
De la tua morte e ’1 tuo zelo e ’1 tuo fato
Non taeeró; se pur tanta pietate 1250
Fia chi creda de’ posteri, e d' un figlio
D' un empio padre. Il padre a sì gran colpo :
Si trasse in dietro, chè di già ferito,
Benchè non gravemente, e da l' intrico
De l' asta imbarazzato , era ala pugna 1292
Fatto inutile e tardo. Or mentre cede,
Mentre che de lo scudo il dardo ostile
Di sferrar s' argomenta, il buon garzone
Mineas, viso T'yrrheni sanguine laetus,
Eripit a femine, et trepidanti fervidus instat.
Ingemuit cari graviter genitoris amore,
Ut vidit, Lausus, lacrimaeque per ora volutae. 90
Hic mortis durae casum, tuaque optima facta, '
Si qua fidem tanto est operi latura vetustas,
Non equidem nec te, iuvenis memorande, silebo.
Ille pedem referens, et inutilis, inque ligatus
Cedebat, olypeoque inimicum hastile trahebat. 799
Prorupit iuvenis, seseque immiscuit armis:
LIBRO DECIMO 207
Succede ne la pugna, e del già mosso
Braccio e del brando che stridente e grave 1260
Calava per ferirlo, il mortal colpo
Ricevé con lo scudo e lo sostenne.
E perch’ agio a ritrarsi il padre avesse
Riparato dal figlio, i suoi compagni
Seeondár con le grida; e con un nembo 1265
D' armi, che gli avventàr tutti in un tempo,
Lo ributtaro. Enea via piü feroce
Infuciando, sotto al gran pavese
Si tenea ricoverto. E qual, cadendo
Grandine a nembi, il viator talora, 1270
Che in sicuro a 1’ albergo è già ridotto,
Ogni agricola vede, ogni aratore
Fuggir da la campagna; o qual d’ un greppo
D' una ripa, o d' un antro il zappatore,
Piovendo , si fa schermo, e '1 sole aspetta 1275
Jamque assurgentis dextra, plagamque ferentis
ZEneae subiit mucronem, ipsumque morando
Sustinuit: socii magno clamore sequuntur,
Dum genitor nati parma protectus abiret; 800
Telaque coniciunt, proturbantque eminus hostem
Missilibus. Furit /Eneas, tectusque tenet se.
Ac velut, effusa si quando grandine nimbi
Praecipitant, omnis campis diffugit arator,
Omnis et agricola, et tuta latet arce viator, 805
Aut amnis ripis, aut alti fornice saxi,
Dum pluit in terris; ut possint, sole reducto,
Eneide /ol. II 38
. 422 ENEIDE
E gli altri, come tutti eran feroci,
Dal dolore infiammati, incontanente
Chi la spada impugnó, chi prese il dardo; 470
E contra il feritor tutti in un tempo,
Come ciechi, avventàrsi. Incontro a loro
‘Si mosser de’ Laurenti e de’ Latini
Le genti a schiere, e d' altro lato a schiere
Spinsero i Teucri e gli Arcadi e gli Etrusci. 475
Così d'armi e di sangue uguale ardore
Surse d' ambe le parti; e l' are e ’l foco,
Ch'eran di mezzo, e l'ostie e le patene
N'andàr sossopra; e tal di ferri e d'aste
Denso levossi e procelloso un nembo, 430
Che '] Sol se n'oscuró, sangue ne piovve.
Grida e fugge Latino, e i numi offesi
Se ne riporta, e detestando abborre
Il violato accordo. Armasi intanto
T'ransadigit costas, fulvaque effundit arena.
At fratres, animosa phalanx , accensaque luctu,
Pars gladios stringunt manibus, pars missile ferrum
Corripiunt, caecique ruunt: quos agmina contra
Procurrunt Laurentum. Hinc densirursus inundant
Troes Agyllinique, et pictis Arcades armis.
Sic omnes amor unus habet decernere ferro.
Diripuere aras; it toto turbida caelo
Tempestas telorum, ac ferreus ingruit imber;
Craterasque focosque ferunt. Fugit ipse Latinus
Pulsatos referens infecto foedere Divos.
LIBRO DUODECIMO 423
Il campo tutto; e chi frena i destrieri, 485
Chi ’1 carro appresta; e già con l'aste basse,
E con le spade ad investir si vanno.
Messapo desioso che l’accordo
Si disturbasse, incontro al tosco Auleste
Che, come re, di real fregi adorno 490
E d'ostro, al sacrifizio era assistente,
Spinse il cavallo, e spaventollo in guisa
Che mentre si ritragge infra gli altari
Ch'avea da tergo, urtando, si travolse.
Messapo con la lancia incontanente 495
Gli si fe'sopra, e si com'era in atto
Di supplicarlo, il petto gli trafisse.
Cosi ben va, dicendo: or a'gran numi
Porco piü grato e miglior ostia cadi.
Cadde il meschino, e fu spirante e caldo oo
Sovraggiunto da gl'Itali, e spogliato.
Infrenant alti currus, aut corpora saltu
Subiiciunt in equos, et strictis ensibus adsunt.
Messapus regem, regisque insigne gerentem,
Tyrrhenum Aulesten, avidus confundere foedus ,
Adverso proterret equo: ruit ille recedens,
Et miser oppositis a tergo involvitur aris
In caput, inque humeros: at fervidus advolat hasta
Messapus, teloque orantem multa trabali
Desuper altus equo graviter ferit, atque ita fatur:
Hoc habet, haec melior magnis data victima Divis.
Concurrunt Itali, spoliantque calentia membra.
424 ENEIDE
Diè Corinéo per un gran tizzo a l’ara
Di piglio; e sì com'era ardente e grave,
Ad Ebuso che incontro gli venia,
Nel volto il fulminò. Schizzonne insieme 505
Il foco e ’1 sangue; e di baleno in guisa
Un lampo ne la barba gli refulse
Che diè d'arsiccio odore. Indi gli corse
Sopra senza ritegno; e qual trovollo
Da la percossa abbarbagliato e fermo, 510
L'afferró per la chioma, a terra il trasse,
Col ginocchio lo strinse, e col trafiere
Gli passò ’1 fianco. Podalirio ad Also
Pastor, che fra le schiere infuriava,
S'affiló dietro; e già col brando ignudo 515
Gli soprastava, allor ch'Also rivolto
La gravosa bipenne, ond’ era armato,
Gli piantò ne la fronte, e ’nsino al mento
Il teschio gli spartì, l’armi gli sparse
Obvius ambustum torrem Corynaeus ab ara
Corripit, et venienti Ebuso, plagamque ferenti
Occupat os flammis: olli ingens barba reluxit, 300
Nidoremque ambusta dedit; super ipse sequutus
Caesariem laeva turbati corripit hostis,
Impressoque genu nitens terrae applicat ipsum:
Sic rigido latus ense ferit. Podalirius Alsum
Pastorem, primaque acie per tela ruentem, —305
Ense sequens nudo super imminet : ille securi
Adversi frontem mediam mentumque reducta
LIBRO DUODECIMO 429
Tutte di sangue: ond'ei cadde, e le luci 520
Chiuse al gran buio ed al perpetuo sonno.
Enea senz’ elmo in testa, infra le genti
La disarmata destra alto levando,
E discorrendo, e richiamando 1 suoi ,
Dove, dove ne gite? che tumulto, 525
Dicea, che furia, che discordia è questa
Così repente? Oh trattenete l'ire;
Oh non rompete. Il patto é stabilito:
L'accordo è fatto. Solo a me concesso
È ch'io combatta. A me sol ne lasciate 53o
La cura e ’1 carco. Io, non temete, io solo
Il patto vi ratifico e vi fermo
Con questa sola destra; e Turno a morte
Di già mi si promette, e mi si deve
Da questi sacrificii. In questa guisa
Gridava il Teucro Duce; ed ecco intanto
Ct
(I
uw
Disücit, et sparso late rigat arma cruore.
Olli dura quies oculos et ferreus urget
Somnus, in aeternam clauduntur lumina noctem.
At pius /Eneas dextram tendebat inermem
Nudato capite, atque suos clamore vocabat:
Quo ruitis? quaeve ista repens discordia surgit?
O cohibete iras! ictum iam foedus ,.et omnes
Compositae leges: mihi ius concurrere soli: — 315
Me sinite, atque auferte metus: ego foedera faxo
Firma manu: Turnum iam debent haec mihi sacra .
Has inter voces, media inter talia verba,
Eneide 7l. I 54
426 ENKIDE
Venir d’ alto stridendo una saetta;
Non si sa da qual mano, o da qual arco
Si dipartisse. O caso, o Dio che fosse
Che tanta lode a’ Rutuli prestasse , 540
L'onor se ne celó, né mai s' intese
Chi del ferito Enea vanto si desse.
Turno, poiché dal campo Enea fu tratto,
E turbar vide i suoi, di nuova speme
S'accese, e gridó l'armi, e sopra al carro 545
D'un salto si lanciò, spinse i cavalli
Infra’ nemici, e molti a morte dienne,
Molti nè sgominò , molti n’ infranse,
E con l'aste, fuggendo, ne percosse.
Qual è de l' Ebro in su la fredda riva 920
Il sanguinoso Marte allor, ch'entrando
Ecce viro stridens alis alla psa sagitta est,
Incertum qua pulsa manu, quo turbine adacta; 320
Quis tantam Rutulis laudem casusne, Deusne
Attulerit. Pressa est insignis gloria facti:
Nec sese /Enneae iactavit vulnere quisquam.
Turnus, ut /Enean cedentem ex agmine vidit,
T'urbatosque duces, subita spe fervidus ardet; 325
Poscit equos atque arma simul, saltuque superbus
Emicat in currum, et manibus molitur habenas.
Multa virim volitans dat fortia corpora leto:
Semineces volvit multos, aut agmina curru
Proterit, aut raptas fugientibus ingerit hastas. 330
Qualis apud gelidi quum flumina concitus Hebri
LIBRO DUODECIMO 427
* Ne la battaglia, o con lo scudo intuona,
O fulmina con l'asta, e i suoi cavalli
Da la furia e da lui cacciati e spinti
Ne van co’ venti a gara, urtando i vivi, 5
E calpestando i morti; e fan col suono
De’ piè fino a gli estremi suoi confini
Tremar la Tracia tutta, e van con essi
Lo spavento, il timor, l’insidie e l'ire,
Del bellicoso Iddio seguaci etevni: 560
In così fiera e spaventosa vista
Se ne gía Turno, la campagna aprendo,
Uccidendo, insultando, e di nemici
Miserabil ruina e strage e strazio
Or con l'armi facendo, or co' destrieri, 505
Che sudanti, fumanti e polverosi,
Spargean di sangue e di sanguigna arena
Con le zampe, e con l'ugne un nembo intorno.
Sténelo, ne l'entrar, Tamiro e Polo
Ct
Qt
Sanguineus Mavors clypeo increpat, atque furentes,
Bella movens, immittit equos: illi aequore aperto
Ante Notos Zephyrumque volant: gemit ultima pulsu
T'hraca pedum, circumque atrae formidinis ora, 335
Iraeque, Insidiaeque, Dei comitatus, aguntur.
T'alis equos alacer media inter praelia Turnus
Fumantes sudore quatit, miserabile caesis
Hostibus insultans : spargit rapida ungula rores
Sanguineos, mixtague cruor calcatur arena. 340
Jamque neci Sthenelumque dedit, Thamirimque Pho-
lumque,
428 ENEIDE
Condusse a morte; i due primi da presso, ‘570
L’ultimo da lontano. E da lunge anco
Glauco percosse e Lado; i due famosi
Figli d'Imbràso , ne la Licia nati,
Da lui stesso nutriti, e parimente
A cavalcare e guerreggiare instrutti . 575
Da l’altra parte Eumede, il chiaro germe
De l’antico Dolone. Il nome avea
Costui de l'avo, e l'ardimento e i fatti
Seguia del padre, che de’ Greci il campo
Spiare osando, osò d’ Achille ancora 580
In premio de l'ardir chiedere il carro.
Ma d'altro che di carro premiollo
l| figlio di Tidéo; nè però degno
D' un tanto guiderdone unqua si tenne.
Hunc congress us et hunc; illum eminus: eminus ambo
Imbrasidas Glaucum atque Laden, quos Imbrasus
ipse
Nutrierat Lycia , paribusque ornaverat armis;
Vel conferre manum, vel equo praevertere ventos.
. Parte alia media Eumedes in praelia fertur,
Antiqui proles bello praeclara Dolonis,
Nomine avum referens,animo manibusque parentem;
Qui quondam, castra ut Danatim speculator adiret ,
Ausus Pelidae pretium sibi poscere currus: —— 350
Illum Tydides alio pro talibus ausis
4 ffecit pretio: nec equis adspirat Achillis.
Hunc procul ut campo Turnus prospexit aperto,
LIBRO DUODECIMO 429
Turno, poscia che | vide (che da lunge 585
Lo scorse) con un dardo il giunse in prima:
Indi a terra gittossi : e qual trovollo .
Di già caduto e moribondo, il piede^
Sopr'al collo gl'impresse , e ne la strozza
Lo suo stesso pugnal cacciógli, e disse: 590
T roiano , ecco l'Italia, ecco i suoi campi,
Che tanto desiasti: or gli misura
Costi giacendo. I5 questo si guadagna
Chi contra a Turno ardisce; e'n questa guisa
Si fondan le città. Dietro a costui 595
Bute, e di mano in mau Darete e Cloro
E Sibari e Tersiloco e Timete,
Lanciando , uccise. Ma Timete in terra
Feri, che per sinistro, o per difetto
D' un suo restío cavallo era caduto. Goo
Ante levi iaculo longum per inane sequutus,
Sistit equos biiugis, et curru desilit, atque 355
Semianimi lapsoque supervenit, et, pede collo
Impresso, dextrae mucronem extorquet, et alto
Fulgentem tingit iugulo, atque haec insuper addit:
En agros, et quam bello, Troiane, petisti,
Hesperiam metire iacens: haec praemia, qui me 360
Ferro ausi tentare, ferunt: sic moenia condunt.
Huic comitem Asbuten coniecta cuspide mittit,
Chloreaque, Sybarimque, Daretaque, Thersilochum-
que, |
Et sternacis egui lapsum cervice Thymoeten.
430 ENEIDE
Qual sopra al grande Egéo sonando scorre
Il tracio Borea, che le nubi e i flutti
Si sgombra avanti; e questi a i lidi, e quelle
A l'orizzonte in fuga se ne vanno;
Tal per lo campo, ovunque si rivolge, 605
Fa Turno sgominar l armi e le schiere;
E tal seco ne va furia e spavento,
Che fin anco al cimier morte minaccia.
Fegéo, tanta fierezza e tanto orgoglio
Non sofferendo, al concitato carro 610
Parossi avanti; e lievemente un salto
Spiccando, con la destra al fren s'appese
Del sinistro corsiero. E sì com'era
Da la fuga rapito e da la forza
Di tutti insieme, insiememente a. tutti 615
( Dal sentier divertendoli, e dal corso )
Facea storpio e disturbo. Ed ecco al fianco
Che da la destra parte era scoperto,
Ac velut edoni Boreae quum spiritus alto 365
Insonat /Egaeo, sequiturque ad litora fluctus.
Qua venti incubuere; fugam dant nubila caelo:
Sic Turno, quacumque viam secat, agmina cedunt,
Conversaeque ruunt acies: fert impetus ipsum,
Et cristam adverso curru quatit aura volantem. 370
Non tulit instantem Phegeus, animisque frementem:
Obiecit sese ad currum, et spumantia frenis
Ora citatorum dextra detorsit equorum.
Dum trahitur , pendetque iugis , hunc lata retectum
LIBRO DUODECIMO 431
Cotal sentissi de la lancia un colpo,
Che la corazza , ancor che doppia e forte, 620
Stracciògli, e ’n fino al vivo lo trafisse;
Ma di lieve puntura. Ond' ei rivolto ,
E ’mbracciato lo scudo e stretto il brando,
Contra gli s'affilava, e per soccorso
Gridava intanto. Ma le ruote e l' asse, 625
Ch’ erano in moto, urtandolo, a rovescio
Gittàrlo; e Turno immantinente addosso
Sagliendogli , infra l’ elmo e la gorgiera
Il collo gli recise, e dal suo busto
Tronco il capo lasciógli in su l'arena. 630
Mentre così vincendo, e d’ogni parte
Con tanta strage il campo trascorrendo
Se ne va Turno; Enea dal fido Acate,
Da Memmo e dal suo figlio accompagnato ,
( Come da la saetta era ferito ) 635
Lancea consequitur, rumpitque infixa bilicem 375
Loricam, et summum degustat vulnere corpus.
Ille tamen clypeo obiecto conversus in hostem
Ibat, et auxilium ducto mucrone petebat :
Quum rota praecipitem, et procursu concitus axis
Impulit, effuditque solo; Turnusque sequutus, 330
Imam inter galeam summi thoracis et oras,
Abstulit ense caput, truncumque reliquit arenae,
dique ea dum campis victor dat funera Turnus,
Interea /Enean Mnestheus, et fidus Achates,
4scaniusque comes castris statuere cruentum, 385
432 ENEIDE
Sovr un'asta appoggiato a lento passo
Verso gli alloggiamenti si ritragge.
Ivi contro a lo stral, contro a sé stesso
S' inaspra, e. frange il télo, e di sua mano
Ripesca il ferro. E poiché indarno il tenta, 64o
Comanda che la piaga gli s' allarghi
Con altro ferro, e d' ognintorno s'apra,
Si che tosto dal corpo gli si svelga,
E tosto a la battaglia se ne torni.
Comparso intanto era a la cura lüpi 645
D' Iáso il figlio, sovr' ogn altro amato
Da Febo. E Febo stesso , allor ch'acceso
Era da l'amor suo, la cetra e l'arco
E ’1 vaticinio, e qual de l'arti sue
Più gli aggradasse, a sua scelta gli offerse. 65o
Ei che del vecchio infermo e già caduco
Suo padre la salute e gh anni amava,
"ternos longa nitentem cuspide gressus.
Saevit, et infracta luctatur arundine telum
Eripere, auxiliogue viam, quae proxima, poscit:
Ense secent lato vulnus, telique latebram
Rescindant penitus, seseque in bella remittant. 390
Jamque aderat Phoebo ante alios dilectus lápyx
Jasides; acri quondam cui captus amore
Ipse suas artes, sua munera, laetus Apollo
Augurium citharamque dabat celeresque sagittas.
Ille, ut depositi proferret fata parentis, 393
Scire potestates herbarum, usumque medendi
LIBRO DUODECIMO 433
Saper de l'erbe la possanza, e l'uso
Di medicare elesse, e senza lingua
E senza lode e del futuro ignaro 655
Mostrarsi in pria, che non ritorre a morte
Chi gli dié vita. A la sua lancia Enea
Stava appoggiato, e fieramente acceso
Fremendo, avea di giovani un gran cerchio
Col figlio intorno , al cui tenero pianto 6 60
Punto non si movea. Sbracciato intanto
E con la veste a la cintura avvolta,
Qual de’ medici è l'uso, il vecchio lüpi
Gli era d'intorno; e con diverse prove
Di man, di ferri, di liquori e d' erbe 665
In van s'affaticava, invano ogni opra,
Ogni arte , ogni rimedio, e i preghi c i voti
Al suo maestro Apollo eran tentati.
De la battaglia rinforzava intanto
Lo scompiglio e l'orrore; e già'l periglio 670
Maluit, et mutas agitare inglorius artes.
Stabat acerba fremens, ingentem nixus in hastam
/Eneas, magno iuvenum et moerentis Iuli
Concursu, lacrimis immobilis: ille retorto 400
Paeonium in morem senior succinctus amictu,
Multa manu medica, Phoebique potentibus herbis
Nequidquam trepidat, nequidquam spicula dextra
Sollicitat, prensatque tenaci forcipe ferrum. .
Nulla viam fortuna regit: nihil auctor Apollo 409
Subvenit: et saevus campis magis ac magis horror
Eneide Vol. II 55
302 ENEIDE
Ch' ho macchiato il tuo nome, ch'ho sommerso 1345
La tua fortuna e | mio stato felice
Co’ demeriti miei. Dal mio furore
Son dal seggio deposto. Io son che debbo
Ogni grave supplizio ed ogni morte
A la mia patria, al grand’ odio de miei. 1350
E pur son vivo, e gli uomini non fuggo?
E uon fuggo la luce? Ah fuggirolla
Pur una volta. E, così detto, alzossi
Su la ferita coscia. E benchè tardo
Per la piaga ne fosse e per l’ angoscia, 1355
Non per questo .avvilito, un suo cavallo
Cl’ era quanto diletto e quanta speme
Avea ne l’armi, e quel che in ogni guerra
Salvo. mai sempre e vincitor lo rese,
Addur si fece. E poi che addolorato 1360
Se ’1 vide avanti, in tal guisa gli disse:
Idem ego, nate, tuum maculavi crimine nomen,
Pulsus ob invidiam solio, sceptrisque paternis.
Debueram patriae poenas, odiisque meorum:
Omnes per mortes animam sontem ipse dedissem!
Nunc vivo! neque adhuc homines lucemque relinquo !
Sed linquam. Simul hoc dicens attollit in aegrum
Se femur: et, quamquam vis alto vulnere tardat,
Haud deiectus, equum duci iubet. Hoc decus illi,
Hoc solamen erat: bellis hoc victor abibat
Omnibus. Alloquitur moerentem, et talibus infit:
Rhoebe, diu, res si qua diu mortalibus ulla est,
LIBRO DECIMO 303
Rebo, noi siam fia qui vissuti assai,
Se pur assai di vita ha mortal cosa.
Oggi è quel dì che o vincitori il capo
Riporterem d' Enea con quelle spoglie 1365
Che son de l’ armi (*) del mio figlio infette,
E che tu del mio duolo -e de la morte
Di lui. vendicator meco sarai;
O che meco, se vano è ’l poter nostro,
Finirai parimente i giorni tuoi; — — 1370
Ché la tua fé, cred' io, la tua fortezza
Sdegnoso ti farà d'esser soggetto
À' miel nemici, e di servire altrui.
Così dicendo, il consueto. dorso
Per sè medesmo il buon Rebo gli offerse. 1375
Ed ei l elmo ripreso, il cui cimiero
Era pur di cavallo un' irta coda,
Suvvi, come potè, comodamente
Viximus: aut hodie victor spolia illa cruenta,
Et caput /Eneae referes, Lausique dolorum
Ultor eris mecum: aut, aperit si nulla viam vis,
Occumbes pariter: neque enim, fortissime, credo,
Iussa aliena pati, et dominos dignabere T'eucros.
Dixit, et exceptus tergo consueta locavit
Membra, manusque ambas iaculis oneravit acutis,
Are caput fulgens, cristaque hirsutus equina.
(*) Tutte l' edizioni hanno armi, ma stando al testo
sicuramente apparisce che dovrebbe dire sangue. JI lettore
giudichi di questa osservasione.
304 ENEIDE
Vi s adagió. Poscia d' acuti strali
Ambe carche le mani, infra le schiere 4
Lanciossi. Amor, vergogua, insania e lutto
E dolore e furore e conscienza
Del suo stesso valore accolti in umo
‘ Gli arsero il core e gli avvamparo il volto.
Qui tre volte a gran voce Enea sfidando “i
Chiamò: che tosto udillo, e baldanzoso,
Così piaccia al gran Padre , gli rispose,
Cosi t'inspiri Apollo. Or vien pur via,
Soggiunge. E ratto incontro gli si mosse .
380
385
Ed egli: Ah dispietato! a che minacci, 1390
Già che morto è’ mio figlio? In ciò potevi
Darmi tu morte. Or nè la morte io tenio,
Nè gli tuoi Dei. Non più spaventi. Io vengo
Di morir desioso; e questi doni
Sic cursum in medios rapidus dedit. /Estuat ingens
Uno in corde pudor, mixtoque insania luctu,
* Et furiis agitatus amor, et conscia virtus: *
Atque hic /Enean, magna ter voce vocavit.
4Eneas agnovit enim, laetusque precatur:
Sic pater ille Deum faciat, sic altus Apollo,
Incipias conferre manum.
Tantum effatus, et infesta subit obvius hasta.
Ille autem: Quid me erepto, saevissime, nato
Terres? haec via sola fuit, qua perdere posses:
875
Nec mortem horremus, nec Divám parcimus ulli.
Desine: iam venio moriturus, et haec tibi porta
LIBRO DESGIMO 305
Ti porto in prima. E] primo dardo trasse : 1395
Poi l’altro e l’altro appresso; e via traendo
Gli diseorrea d'intorno. A i colpi tutti
Resse il dorato scudo. E già tre volte
I/ un girato il cavallo, e l'altro il bosco
Avea de dardi nel suo scudo infissi, 1400
Quando il figlio d' Anchise, impaziente
Di tanto indugio e di sferrar tant' aste,
Visto ’l suo disvantaggio, a molte cose
Andò pensando. A) fin di guardia uscito
Addosso se gli spinse, e trasse il télo, 1405
Sì che del corridore il teschio infisse
In mezzo de la fronte. Inalberossi
A quel colpo il feroce, e calci a l'aura
Traendo , scalpitando, el collo e ’1 telo
Scotendo , s' intricò : cadde con l’asta, 1410
Dona prius. Dixit, telumque intorsit in hostem: .-
Inde aliud super atque aliud figitque, volatque
Ingenti gyro: sed sustinet aureus umbo.
Ter circum adstantem laevos equitavit in orbes, 885
T'ela manu iaciens: ter secum troius heros
Immanem aerato circumfert tegmine silvam.
Inde, ubi tot traxisse moras, tot spicula taedet
Vellere, et urgetur pugna congressus iniqua;
Multa movens animo, iam tandem erumpit, et inter
Bellatoris equi cava tempora coniicit hastam.
Tollit se arrectum quadrupes, et calcibus auras
Verberat, effusumque equitem super ipse sequutus
Eneide 7^oi. II 39
306 ENEIDE
Con l'armi, col campione a capo chino
Tutti in un mucchio. Andàr le grida al cielo
De Latini e de’ Teucri. E tosto Enea
Col brando ignudo gli fu sopra e disse:
Or dov'è quel sì fiero e sì tremendo 1415
Merzenzio? Ov' è la sua tanta bravura ?
E | Tosco a lui, poiché l'aflitte luci
Al ciel rivolse, e seco si ristrinse:
Crudele, a che m' insulti? A me di biasmo
Non è ch’ io muoia. Né per vincer teco . 1420
Venni a battaglia. Il mio Lauso morendo
Fe’ con te patto che morissi anch'io.
Solo ti prego (se di grazia alcuna
Son degni i vinti) che 1 mio corpo lasci
Coprir di terra. Io so gli odii immortali 1425
Che mi portano i miei. Dal furor loro
Implicat, eiectoque incumbit cernuus armo.
Clamore incendunt caelum Troesque Latinique.895
Advolat Aneas, vaginaque eripit ensem,
Et super haec: Ubi nunc Mezentius acer, et illa
Effera vis animi? Contra Tyrrhenus, ut auras
Suspiciens hausit caelum, mentemque recepit:
Hostis amare, quid increpitas, mortemque minaris?
Nullum in caede nefas: nec sic ad praelia veni :
Nec tecum meus haec pepigit mihi foedera Lausus.
Unum hoc, per, si qua est victis venia hostibus, oro;
Corpus humo patiare tegi. Scio acerba meorum
Circumstare odia: hunc, oro, defende furorem, 9o5
LIBRO DECIMO 307
Ti supplico a sottrarmi, e col mio figlio
Consentir ch'io mi giaccia. E, ciò dicendo,
La gola per sè stesso al ferro offerse;
E con un fiume che di sangue sparse 1430
Sopra l’ armi versò l' anima e ’l fiato.
Et me consortem nati concede sepulcro.
Haec loquitur, iuguloque haud inscius accipit ensem,
Undantique animam diffundit in arma cruore.
Fine del Libro decimo.
ILLUSTRAZIONI
AL LIBRO DECIMO
. ® CAPUA (Capua Vecchia.)
Veduta degli avanzi dell’antica capitale della Campania,
che dicesi fabbricata dai Tirreni 50 anni prima della fonda-
zione di Roma. Queste ruine sono lontane circa una lega
dalla moderna Capua. Affermasi che l'antica città ricevesse
il suo nome da Capys, duce dei Tirreni che la fondarono.
Vedesi a sinistra il Campidoglio dell'antica città; s'innalza a
destra dietro a questa al nord il monte Tifata, notabile per
essere il luogo in cui i Sanniti disfecero l’ armata di Capua,
perchè su di esso accampò Ahnibale, e perché dalla sua sommità’
Silla battè il proconsole Norbano.
. &NEID. L. x, v. 145.
ILVA ( Elba)
Veduta dell’ Isola d' Z/va chiamata pure Acthalia situata
presso i liti d' Etruria, e cognita fin dai tempi d' Aristotile.
Dovette la sua antica celebrità alle miniere di ferro e di ra-
me, ed alle sue officine che fornivano ogni sorte di strumenti,
aratorj e di utensili domestici, de'quali faceva essa fuori
un commercio molto esteso. La sua capitale chiamavasi Argus
( oggi Porto Ferrajo ) nome che dicesi provenisse dall’ 4rgo
, di Giasone.
BNEID. L. x, v. 173. — 174.
MANTUA (Mantova)
Veduta della parte orientale di Mantova, sul lago formato
dal fiume Mincio. Era secondo Plinio dessa città di origine
etrusca, e la sola fra tutte le altre della medesima deriva-
Vol. II
UOS ey eed e Po. Secondo Virgil
o A GRA M aie Tusi, Om-
BleniBLou Euganei.
amem. 1. x, v. 201.
amp. t. x, v. 205.
E
E
DELL’ ENEIDE
DI VIRGILIO
LIBRO UNDECIMO
—— D
ARGOMENTO
Dassi Il supremo onor di sepoliura
A corpi estinti ; piagne il vecchio Padre
Dei gibvine Pallante il fato acerbo .
Sun contrari i parer di Turno e Drance.
La Vergine Camilla a morte è spinta.
Passò la notte intanto, e già dal mare
Sorgea l’ aurora. Enea, quantunque il tempo,
L' officio e la pietà più lo stringesse
A seppellire i suoi, quantunque offeso
Da tante morti il cor funesto avesse, 5
Tosto che 1 sole apparve, il voto sciolse
De la vittoria. E sovra un piccol colle
Tronca de’ rami una gran quercia eresse ;
De ? armi la rinvolse, e de le spoglie
L’ adornò di Mezenzio, e per trofeo 10
Oceanum interea surgens aurora reliquit.
"Eneas (quamquam et sociis dare tempus humandis
Praecipitant curae, turbataque funere mens est)
Vota Deum primo victor solvebat Eoo.
Ingentem quercum, decisis undique ramis, 5
Constituit tumulo, fulgentiaque induit arma,
310 ENEIDE
A te, gran Marte, dedicolla. In cima
L' elmo vi pose, e'n su l'elmo il cimiero,
Ancor di polve e d' atro sangue aspersò.
L’ aste d’ intorno attraversate e rotte
Stavan quai secchi rami; e'l tronco in mezzo 15
Sostenea la corazza, che smagliata
E da dodici colpi era trafitta .
Dal manco lato gli pendea lo scudo;
Al destr' omero il brando era attaccato,
Che ’1 fodro avea d’ avorio e l’ else d' oro. 20
Indi i suoi duci e le sue genti accolte,
Che liete gli gridàr vittoria intorno,
In cotal.guisa a confortar si diede:
Compagni, il più s' é fatto. A quel che resta
Nulla temete. Ecco Mezenzio è morto 25
Per le mie mani, e queste che vedete,
L' opime spoglie e le primizie sono
Del superbo tiranno. Ora a le mura
Mezentí ducis exsuvias; tibi, magne, trophaeum,
Bellipotens: aptat rorantes sanguine cristas,
T'elaque trunca viri, et bis sex thoraca petitum
Perfossumque locis: clypeumque ex aere sinistrae
Subligat, atque ensem collo suspendit eburnum.
.Tum socios (namque omnis eum stipata tegebat
Turba ducum) sic incipiens hortatur ovantes: .
Maxima res effecta, viri: timor omnis abesto, :
Quod superest; haec sunt spolia, et de rege superbo
Primitiae; manibusque meis Mezentius hic est.
LIBRO UNDECIMO 3rt
Ce n' andrem di Latino. Ognuno a.l' armi
S' accinga : ognun s' affidi, e si prometta Jo
Guerra e vittoria. In: ponto vi mettete ,.
Ché quando da gli augurii ne. s' accenne .
Di muover campo, e: che mestier ne sia
D' inalberar l’ insegne, indugio alcuno
Non c impedisca, -0 ’1 dubbio o la paura 35
Non ci ritardi. In questo mezzo, a’ morti
Diam sepoltura, e quel che lor dovuto
È sol dopo la morte, eterno onore.
Itene adunque, e quell’ anime chiare
Che n° han col proprio sangue e con la vita 4o
Questa patria acquistata e questo impero,
D ultimi doni ornate. E primamente
Al mesto Evandro il figlio si rimandi,
Che, di virtù maturo e d' anni acerbo,
Così n’ ha morte indegnamente estinto . 45
Nunc iter ad regem nobis, murosque latinos.
Arma parate, animis et spe praesumite bellum:
Ne qua mora ignaros, ubi primum vellere signa .
Annuerint Superi, pubemque educere castris, 20
Impediat, segnesve metu sententia tardet. |
Interea socios inhumataque corpora terrae
Mandemus: qui solus honos Acheronte sub imo est.
Jte, ait, egregias animas, quae sanguine nobis
Hanc patriam peperere suo, decorate supremis .25
Muneribus: moestamque Evandri primus ad urbem
Mittatur Pallas, quem non virtutis egentem -
312 ENEIDE
Ciò detta, lagrimando il passo valse
Ver la magione; u' di Pallante il corp»
Dal vecchierello Acete era guardato .
Era costui già del parrasio Evandro
Donzello d’ armi; e poscia per compagno 50
Fu (ma non già con sì lieta fortuna)
Dato al suo caro alunno. Avea can lui
D' Arcadi suoi vassalli e di Troiani
Una gran turba. Scapigliate e meste
Le donne d' Ilio, sì com’ era usanza, 55
Gli piangevano intorno; e non fu prima
Enea comparso, che le strida e i pianti
Si rinnovaro . Il batter de le mani,
Il suon de’ petti, e de l'albergo i mugghi
N° andàr fino a le stelle. Ei poiché vide Go
Il suo corpo disteso, e ’1 bianco volto,
Abstulit atra dies, et funere mersit acerbo.
Sic ait illacrimans, recipitque ad limina gressum,
Corpus ubi exanimi positum Pallantis Acoetes 30
Servabat senior: qui parrhasio Evandro
Armiger ante fuit; sed non felicibus aeque
Tum comes auspiciis caro datus ibat alumno.
Circum omnis famulimque manus ,troianaque turba,
Et moestum Iliades crinem de more solutae. 33
Ut vero /Eneas foribus sese intulit altis:
Ingentem gemitum tunsis ad sidera tollunt
Pectoribus, moestogue immugit regia luctu.
Ipse caput nivei fultum Pallantis et ora
LIBRO UNDECIMO 313
E ]' aperta ferita che nel petto
Di man di Turno avea larga e profonda,
Lagrimando proruppe: O miserando
Fanciullo, e che mi val s' amica e destra 65
Mi si mostra fortuna ? E che .m' ha dato,
Se te m' ha tolto? Or che vincendo ho fatto?
Che regnando faró, se tu non godi
De la vittoria mia, né del mio regno?
Ah! non fec' io queste promesse allora . ^ 7o
Al buon Evandro, ch’ a l’ acquisto venni
Di questo impero. E ben temette il saggio,
E ben ne ricordò che duro intoppo,
E d’ aspra gente avremmo. E forse ancora
Il meschino or fa voti e preci e doni . 7
Per la nostra salute, e vanamente
Vittoria s' impromette. E noi con vana
Pompa gli riportiam questo infelice
[9T
Ut vidit, laevique patens in pectore vulnus
Cuspidis Ausoniae, lacrimis ita fatur obortis:
Tene, inquit, miserande puer, quum laeta veniret,
Invidit fortuna mihi, ne regna videres
Nostra, neque ad sedes victor veherere paternas?
Non haec Evandro de te promissa parenti 43
Discedens dederam, quum me complexus euntem :
Mitteret in magnum imperium, metuensque moneret
Acres esse viros, cum dura praelia gente. —
Et nunc ille quidem spe multum captus inani
Fors et vota facit, cumulatque altaría donis. — 5o
Eneide Vol. II 4o
314 ' ENEIDE
Giovine di già morto, e di già nulla
Più tenuto a’ Celesti. Ahi sconsolato 80
Padre! vedrai tu dunque una sì cruda
Morte del figlio tuo ? Questo ritorno ,
Questo trionfo: ( oimé! ) d' ambi aspettavi ?
E da me questa fede ? O pur, Evandro,
No ’l vedrai già di vergognose piaghe 85
l'erito il tergo; e non gli arai tu stesso
(Se con infamia a te vivo tornasse)
A desiar la morte, Ahi quanto manca
Al sussidio d' Italia, e quanto perdi ,
Mio figlio Iulo! E, posto al pianto fine, 90
Ordine diè che'l miserabil corpo
Via si togliesse; e del suo campo tutto
Scelse di mille una pregiata schiera
Che scorta gli facesse e pompa intorno,
E d'Evandro a le lagrime assistesse , 95
Nos iuvenem exanimum, ei nil iam caelestibus ullis
Debentem, vano moesti comitamur honore.
Infelix! nati funus crudele videbis?
Hi nostri reditus, exspectatique triumphi?
Haec mea magna fides? 4t non, Evandre, pudendis
Vulneribus pulsum adspicies: néc sospite dirum
Optabis nato funus pater. Hei mihi, quantum
Praesidium, Ausonia, et quantum tu perdis, Iule!
Haec ubi deflevit, tolli miserabile corpus
Imperat, et toto lectos ex agmine mittit Go
Mille viros, qui supremum comitentur honorem,
. LIBRO UNDECIMO 315
E le sue gli mostrasse: a tanto lutto
Assai debil conforto , e pur dovuto
Al suo misero padre. Altri al suo corpo,
Altri a la bara intenti avean di quercia,
D' arbuto e di tali altri agresti rami 100
Fatto un ferétro di virgulti intesto,
E di frondi coperto, ove altamente
Del giovinetto il delicato busto
Composto si giacea qual di viola,
O di giacinto un languidetto fiore |^ 102
Colto per man di vergine, e serbato
Tra le sue stesse foglie allor che scemo
Non è del tutto il suo natío colore,
Né la sua forma; e pur da la sua madre
Punto di cibo e di vigor non ave. 110
Enea due preziose vesti intanto |
L' una d' ór fino e l’altra di scarlatto
Intersintque patris lacrimis: solatia luctus
Exigua ingentis, misero sed debita patri.
Haud segnes alii crates, et molle feretrum
Arbuteis texunt virgis et vimine querno, 65
Exstructosque toros obtentu frondis inumbrant.
Hic iuvenem agresti sublimem stramine ponunt:
Qualem virgineo demessum pollice florem,
Seu mollis violae, seu languentis hyacinthi,
Cui neque fulgor adhuc, necdum sua forma recessit;
Non iam mater alit tellus, viresque ministrat. |
T'um geminus vestes, auroque ostroque rigentes
316 ENEIDE .
Addur si fece: ambe ornamenti e doni
De la sidonia Dido, e da lei stessa
Con dolce studio e con mirabil arte 115
Ricamate e distinte. E l'una in dosso
Gli pose, e l’ altra in capo, ultimo onore
Con che dolente la dorata chioma
Allor velógli, ch’ era additta al foco.
° De le prede oltre a ciò di Laürento 120
Gli fa gran parte. Fagli in ordinanza
Spiegar l armi, i cavalli e l'altre spoglie
Tolte a’ nimici. Gli fa gir legati
Con le man dietro i destinati a morte
Per onoranza del funereo rogo. - 125
Portar gli fa d’ avanti a i duci loro
L' armi a i tronchi sospese, e i nomi scritti
De gli uccisi e de vinti. Il vecchio Acete
Extulit Aneas, quas illi, laeta laborum,
Ipsa suis quondam manibus sidonia Dido
F'ecerat, et tenui telas discreverat auro. )5
Harum unam iuveni, supremum moestus konorem
Induit, arsurasque comas obnubit amictu;
Multaque praeterea Laurentis praemia pugnae
Aggerat, et longo praedam iubet ordine duci:
"Addit equos et tela, quibus spoliaverat hostem. 80
Vinxerat et post terga manus, quos mitteret umbris
Inferias, caeso sparsuros sanguine flammam;
Indutosque iubet truncos hostilibus armis
Ipsos ferre duces, inimicaque nomina figi.
LIBRO UNDECIMO 317
Che, sì com'era afflitto e d’anni grave,
Gli era appresso condotto, or con le pugna 130
Si battea "| petto, ed or con l' ugna il volto
Si lacerava, e tra la polve e ’l fango
Si volgea tutto. Ivano i carri aspersi
Del sangue de’Latini. Iva lugùbre,
E d' ornamenti ignudo Eto, il più fido 135
Suo caval da battaglia, che gemendo
In guisa umana e lagrimando andava.
Seguian le meste squadre i Teucri, i Toschi
E gli Arcadi, con l'armi e con l' insegne
Rivolte a terra. Or poi ch' oltrepassata 140
Con quest' ordine fu la pompa tutta,
Enea fermossi, e verso il morto amico
Ad alta voce sospirando disse :
Noi quinci ad altre lagrime chiamati
Ducitur infelix aevo confectus Acoetes, 85
Pectora nunc foedans pugnis, nunc unguibus ora:
Sternitur et toto proiectus corpore terrae.
Ducunt et rutulo perfusos sanguine currus.
Post bellator equus, positis insignibus, /Ethon
It lacrimans, guttisque humectat grandibus ora. 9o
Hastam alii galeamque ferunt; nam cetera Turnus
Victor habet. Tum moesta phalanx, Teucrique
sequuntur,
Tyrrhenique duces, et versis Arcades armis.
Postquam omnis longe comitum processerat ordo,
Substitit Eneas, gemituque haec addidit alto: — 95
318 ENEIDE
Dal medesimo fato, altre battaglie 145
Imprenderemo. E tu, magno Pallante,
Vattene in pace, e con eterna gloria
Godi eterno riposo. Indi partendo
Ver l'alte mura, al campo si ritrasse.
Eran nel campo già co rami avanti 150
Di pacifera oliva ambasciadori
De la città latina a lui venuti,
Che tregua a’ vivi e sepoltura a’ morti
Pregando, gli mostràr che più co’ vinti
Ne co’ morti è contrasto , e che Latino 155
Gli era d’ospizio amico, e che chiamato
L’ avea genero in prima. Il buon Troiano
A le giuste preghiere, a i lor quesiti,
Che di grazia eran degni, incontanente
Grazioso mostrossi; e da vantaggio 160
Nos alias hinc ad lacrimas eadem horrida belli
Fata vocant. Salve aeternum mihi, maxime Palla,
4Eternumque vale. Nec plura effatus, ad altos
T'endebat muros, gressumque in castra ferebat.
Jamque oratores aderant ex urbe latina, - 100
Velati ramis oleae, veniamque rogantes:
Corpora, per campos ferro quae fusa iacebant,
Redderet, ac tumulo sineret succedere terrae:
Nullum cum victis certamen, et aethere cassis:
Parceret hospitibus quondam socerisque vocatis. 105
Quos bonus /Eneas, haud aspernanda precantes,
Prosequitur venia, et verbis haec insuper addit:
LIBRO UNDECIMO 319
Così lor disse: E qual’ indegna sorte
Contra me, miei Latini, in tanta guerra
Cosi v'intrica? che pur vostro amico
Son qui venuto; nè venuto ancora
Vi sarei, se da'Fati e da gli Dei 165
Mandato io non vi fossi. E non pur pace,
Siccome voi chiedete, io vi concedo
Per color che son morti, ma co' vivi
Ve l' offro, e la vi chieggo. E la mia guerra
Non è con voi: mal vostro re s' è tolto 170
Da l'amicizia mia; s' è confidato
Più ne l'armi di Turno. E Turno ancora
Meglio e più giustamente in ciò farebbe,
S'a questa guerra sol con suo periglio
Ponesse fine. E poiché si dispose 175
Di cacciarmi d'Italia, il suo dovere
Fóra stato che meco, e con quest armi
Difinita l'avesse. E saria visso
Quaenam vos tanto fortuna indigna, Latini,
Implicuit bello, qui nos fugiatis amicos?
Pacem me exanimis et Martis sorte peremtis — 110
Oratis? equidem et vivis concedere vellem.
Nec veni, nisi fata locum sedemque dedissent;
Nec bellum cum gente gero: rex nostra reliquit,
Hospitia, et T'urni potius se credidit armis.
4Equius huic Turnum fuerat se opponere morti,
Si bellum finire manu, si pellere Teucros
Apparat; his mecum decuit concurrere telis:
320 ENEIDE
Cui la sua propria destra, e Dio concesso
Più vita avesse; e i vostri cittadini 180
Non sarian morti. Or poiché morti sono,
Io me ne dolgo, e voi gli seppellite .
Restaro al dir d' Enea stupidi e cheti
I latini oratori, e l' un con P altro
Si guardarono in volto. Indi il più vecchio, 185
Drance nomato , a cui Turno fu sempre
Per sua natura e per sua colpa in ira,
Rotto il silenzio in tal guisa rispose:
O di fama e più d' arme eccelso e grande
Troiano Eroe, qual mai fia nostra lode 190
Che ’1 tuo gran merto agguagli? E di che prima
Ti loderemo ? ch' io non veggio quale
In te maggior si mostri, o la giustizia,
O la gloria de l'armi. A questa tanta
Grazia, che tu ne fai, grati saremo: 199
Rapporto ne faremo; e s'al consiglio
Vixet, cui vitam Deus, aut sua dextra dedisset.
Nunc ite, et miseris supponite civibus ignem.
Dixérat /Eneas. Olli obstupuere silentes: 120
Conversique oculos inten se atque ora tenebant.
T'um senior, semperque odiis et crimine Drances
Infensus iuveni Turno, sic ore vicissim
Orsa refert: O fama ingens, ingentior armis,
Fir troiane, quibus caelo te laudibus aequem? 125
lustitiaene prius mirer, belline laborum?
Nos vero haec patriam grati referemus ad urbem:
LIBRO UNDECIMO 321
Nostro è fortuna amica, amico ancora’
Ti fia Latino. E cerchisi d'altronde
Turno altra lega. A noi co'sassi in collo
Gioverà di trovarne a fondar vosco 200
Questa vostra fatal novella Troia .
Poiché Drance ebbe detto, a i detti suoi
Tutti gli altri fremendo acconsentiro ,
E per dodici dì commercio e pace
Fu tra l’un oste e l’altro. E senza offesa 205
Entrambi si mischiaro, e per gli monti
E per le selve a lor diletto andaro.
Allor sonare accette, e strider carri
Per tutto udissi. In ogni parte a terra
Ne giro i cerri e gli ovni e gli alti pini 210
E gli odorati cedri al funebre uso
Svelti, squarciati e tronchi. E già la fama,
Et te, si qua viam dederit fortuna, Latino
lungemus regi. Quaerat sibi foedera Turnus.
Quin et fatales murorum attollere moles, 130
Saxaque subvectare humeris troiana iuvabit.
Dixerat haec, unoque omnes eadem ore fremebant.
Bis senos pepigere. dies, et pace sequestra
Per silvas Teucri, mixtique impune Latini ,
Erravere iugis: ferro sonat icta bipenni 135
F'raxinus: evertunt actas ad sidera pinus:
Robora nec cuneis, et olentem scindere cedrum,
Nec plaustris cessant vectare gementibus ornos.
Et iam fama volans, tanti praenuntia luctus,
Eneide Vol. Il 41
322 ENEIDE
Che di Pallante e Pallantèo volata
Dicea pria le sue prove, e vincitore
L' avea gridato, or d' ogni parte grida 215
Che morto si riporta. In ció commossa
La città tutta, in vedovile aspetto
Di funeste facelle, e d'atri panni
Si vide piena; e vér le porte ognuno
Gli usciro incontro. $i vedea di lumi 220
E. di genti una fila che le strade
E i campi in lunga pompa attraversava .
I Frigii e gli altri col suo corpo intanto
Piangendo ne venian da l'altra parte,
E con pianto incontràrsi. Indi rivolti 225
Tutti vér la città, non pria fur giunti
Che di pianti di donne e d" ululati
Risonar d’ ognintorno il cielo udissi.
Né forza, nè consiglio, nè decoro
Fu ch’ Evandro tenesse. Uscì nel mezzo 230
Evandrum, E vandrique domos, et moenia complet,
Quae modo victorem Latio Pallanta ferebat.
Arcades ad portas ruere, et de more vetusto
F'unereas rapuere faces. Lucet via longo
Ordine flammarum, et late discriminat agros.
Contra turba Phrygum veniens plangentia iungit
Agmina. Quae postquam matres succedere tectis
F. iderunt, moestam incendunt clamoribus urbem.
4t non Evandrum potis est vis ulla tenere,
Sed venit in medios: feretro Pallanta reposto
LIBRO UNDECIMO | 323
Di tutta gente; e la funerea. bara
Fermando, addosso al figlio in abbandono
Si gittó, l'abbracció , stretto lo tenne
Lunga fiata, e da l’ angoscia oppresso
Pria lagrimando, e sospirando tacque . 235
Poscia la strada al gran dolore aperta
Cosi proruppe: O mio Pallante, e queste
Fur le promesse tue, quando partendo
Il tuo padre lasciasti? In questa guisa
D' esser guardingo e cauto mi dicesti 240
Ne' perigli di Marte? Ah! ben sapeva,
Ben sapev' io quanto ne l' armi prime
‘ Fosse in cor generoso, ardente e dolce
Il desio de la gloria e de l'onore.
Primizie infauste, infausti fondamenti 245
De la tua gioventù! Vane preghiere,
Voti miei non accetti e non. intesi
Da niun Dio! Santissima consorte,
Procubuit super, atque haeret lacrimansquegemens-
que, 190
Et via vix tandem voci laxata dolore est:
Non haec, o Palla, dederas promissa parenti,
Cautius ut saevo velles te credere Marti!
Haud ignarus eram, quantum nova gloria in armis,
Et praedulce decus primo certamine posset. 199
Primitiae iuvenis miserae, bellique propinqui
Dura rudimenta, et nulli exaudita Deorum
Vota precesque meae! tuque, o sanctissima coniux,
324 ENEIDE
Che, morendo, fuggisti un dolor tale,
Quanto sei tu di tua morte felice! 250
Quanto infelice e misero son io,
Che vecchio e padre al mio diletto figlio
Sopravvivendo, i miei fati e i miei giorni
Prolungo a mio tormento! Ah! foss'io stesso
Uscito co' Troiani a questa guerra: 255
Ch' io sarei morto; e questa pompa avrebbe
Me cosi riportato, e non Pallante.
Né per questo di voi, né de la lega,
Né de l'ospizio vostro io mi rammarco,
Troiani amici. Era a la mia vecchiezza 260
Questa sorte dovuta. E se dovea
Cader mio figlio, perché tanta strage
lo vedessi de' Volsci, e perche Lazio
Fosse a' Teucri soggetto , in pace io soffro
Che sia caduto. É più compito onore 265
Felix morte tua, neque in hunc servata dolorem!
Contra ego vivendo vici mea fata, superstes 160
Restarem ut genitor. Troum socia arma sequutum
Obruerent Rutuli telis! animam ipse dedissem,
"tque haec pompa domum me, non Pallanta referret !
Nec vos arguerim, Teucri, nec foedera, nec, quas
lunximus hospitio, dextras: sors ista senectae — 165
Debita erat nostrae. Quod si immatura manebat
Mors natum, caesis Volscorum millibus ante,
Ducentem in Latium Teucros cecidisse iuvabit.
Quin ego non alio digner te funere, Palla,
LIBRO UNDECIMO 325
Non aresti da me, Pallante mio,
Di questo che ’] pietoso e magno Enea
E i suoi magni Troiani e i Toschi duci
E tutte insieme le toscane genti
T' ha procurato. Con si gran trofei
Del tuo valor sì chiara mostra han fatto,
E de'vinti da te. Né fóra meno
Tra questi il tuo gran tronco, s'a te fosse,
Turno, stato d'età pari il mio figlio,
E par de la persona e de le forze 275
Che ne dan gli anni. Ma che più trattengo
Quest’ armi a’ Teucri? Andate, e da mia parte
Riferite ad Enea, che quel ch'io vivo
Dopo Pallante, è sol perchè l'invitta
Sua destra, come vede, al figlio mio 250
Ed a me deve Turno, E questo solo
Gli manca per colmar la sua fortuna
E 'l suo gran merto; ché per mio contento
SÌ
-d
©)
Quam pius /Eneas, et quam magni Phryges, et quam
Tyrrhenique duces, Tyrrhenum exercitus omnis.
Magna trophaea- ferunt, quos dat tua dextera leto;
Tu quoque nunc stares immanis truncus in arvis,
Esset par aetas, et idem si robur ab annis,
Turne. Sed infelix Teucros quid demoror armis?
Vadite, et haec memores regi mandata referte.
Quod vitam moror invisam, Pallante peremto,
Dextera caussa tua est; Turnum gnatoque patrique
Quam debere vides. Meritis vacat hic tibi solus
326 ENEIDE
No | curo; e contentezza altra non deggio
Sperare io più, che di portare io stesso 285
Questa novella di Pallante a l ombra.
Avea l’ Aurora col suo lume intanto
Il giorno e l' opre e le fatiche insieme
Ricondotte a’ mortali. Il padre Enea
E 1 buon Tarconte, ambi, in su ’l curvo lito 290
I cadaveri addotti, a’ suoi ciascuno,
Com’ era l' uso, un’ alta pira eresse,
La compose e l'incese. E mentre il foco
Di fumo e di caligine coverto
Tenea l'aére intorno, in ordinanza 295
Tre volte armati a piè la circondaro,
E tre volte a cavallo, in mesta guisa
Ululando , piangendo , e l'armi e] suolo
Di lagrime spargendo. Infino al cielo
Fortunaeque locus. Non vitae gaudia quaero: 180
Nec fas: sed gnato manes perferre sub imos.
Aurora interea miseris mortalibus almam
Extulerat lucem, referens opera atque labores.
Jam pater /Eneas, iam curvo in litore Tarchon
Constituere pyras. Huc corpora quisque suorum
More tulere patrum: subiectisque ignibus atris
Conditur in tenebras altum caligine caelum.
T'er circum accensos, cincti fulgentibus armis,
Decurrere rogos: ter moestum funeris ignem
Lustravere in equis, ululatusque ore dedere. 190
Spargitur et tellus lacrimis, sparguntur et arma.
LIBRO UNDECIMO 327
Penetràr de le genti e de le tube 300
I dolorosi accenti. Altri gridando
Le pire intorno, elmi, corazze e dardi
E ben guarnite spade e freni e ruote
Avventaron nel foco, e de’ nemici
Armi d’ogni maniera, arnesi e spoglie; 305
Altri i lor propri doni, e de gli uccisi
Medesmi vi gittàr l’ aste infelici,
E gl'infelici scudi, ond essi in vano
S' eran difesi. A le cataste intorno
Molti gran buoi, molti setosi porci, 310
Molte fur pecorelle uccise ed arse.
A sì mesto spettacolo in su ’l lito
Stavan altri piangendo, altri osservando
Ciascuno i suoi più cari, infin che "| foco
Gli consumasse. E questi l’ ossa, e quelli 315
Le ceneri accogliendo , il giorno tutto
In sì pietoso officio trapassaro:
It caelo clamorque virum, clangorque tubarum.
Hinc alii spolia occisis derepta Latinis
Coniiciunt igni, galeas, ensesque decoros
F'renaque, ferventesque rotas: pars munera nota,
Ipsorum clypeos, et non felicia tela.
Multa boum circa mactantur corpora Morti:
. Saetigerosque sues, raptasque ex omnibus agris
In flammam iugulant pecudes. Tum litore toto
Ardentes spectant socios, semiustaque servant 200
Busta: neque avelli possunt, nox humida donec
328 ENEIDE
Nè se ne tolser finchè, spenti i fochi,
Non s'acceser le stelle. In altra parte
I miseri Latini a i corpi loro 320
Fér cataste infinite. Altri sotterra
Ne seppelliro; altri a le ville intorno,
Ed altri a la città ne trasportaro .
E quei che senza numero confusi
Giacean nel campo, senza onore a mucchi 3a
Furon combusti; onde i villaggi insieme
E le campagne di funesti incendi
Lucean per tutto. E tre luci, e tre notù
Duràr gli afflitti amici e i dolorosi
Parenti a ricercar le tiepid’ ossa, 330
E ne l'urne riporle e ne’ sepolcri.
Ma la confusione e ’1 pianto e'1 duolo
Era ne la città per la più parte,
Ut
Invertit caelum stellis fulgentibus aptum.
Nec minus et m iseri diversa in parte Latini
Innumeras struxere pyras, et corpora partim
Multa virim terrae infodiunt, avectaque partim 205
F'initimos tollunt in agros, urbique remittunt.
Cetera, confusaeque ingentem caedis acervum,
Nec numero nec honore cremant: tunc undique vasti
Certatim crebris collucent ignibus agri.
Tertia lux gelidam caelo dimoverat umbram: | 210
Moerentes altum cinerem et confusa ruebant
Ossa focis, tepidoque onerabant aggere terrae.
Jam vero in tectis, praedivitis urbe Latini,
LIBRO DUODECIMO 403
Ed essi urtando, con le corna intanto
Si dan ferite, che le spalle e i fianchi
. Ne grondan sangue , e ne rimugghia il bosco: 1170
Tal del Troiano e dell’ Ausonio duce
Era la pugna, e tal de le percosse
E de gli scudi il suono. À questo assalto
Il gran Giove nel ciel librate e pari
Tenne le sue bilance, e d'ambi il fato 1179
Contrappesando , attese a qual di loro
Desse la sua fatica e '1 suo valore
De la vittoria o de la morte il crollo.
Qui Turno a tempo, ché sicuro e destro
Gli parve, alto levossi, e con la spada 1180
Di tutta forza a l'avversario trasse,
E ne l'elmo il feri. Gridaro i Teucri,
Trepidaro i Latini, e sgomentàrsi
Tutte d'ambi gli eserciti le schiere.
Cornuaque obnixi infigunt, et sanguine largo
Colla armosque lavant; gemitu nemus omne remugit.
Haud aliter tros Eneas, et daunius heros
Concurrunt clypeis. Ingens fragor aethera complet
Juppiter ipse duas aequato examine lances 725
Sustinet, et fata imponit diversa duorum,
Quem damnet labor, et quo vergat pondere letum.
Emicat hic, impune putans, et corpore toto
Alte sublatum consurgit Turnus in ensem, |
Et ferit. Exclamant T'roes trepidique Latini, ‘730
Arrectaeque amborum acies. At perfidus ensis
330 | ENEIDE
Con la fama de’ suoi tanti trofei
Sostenean la sua causa. Ed ecco, intanto
Che così si tumultua e si travaglia,
Mesti sopravvenir gl’ imbasciadori 355
Che in Arpi a Diomede avean mandati;
E riportàr, che le fatiche e i passi
Avean perduti: che nè dono alcuno,
Né promesse, né preci, né ragioni
Furon bastanti ad impetrar soccorso 360
Né da lui, nè da’ suoi. Cl’ era d' altronde
Di mestiero a’ Latini avere altr’ armi,
O trattar co’ nimici accordo e pace.
Gran cordoglio sentinne, e gran rammarco
Ne fece il re Latino. E ben conobbe . 369
Che manifestamente Enea da’ Fati
Era portato; e via più manifesta .
Si vedea de gli Dei !' ira davanti
In tanta che de’ suoi ne gli: occhi avea
Multa virum meritis sustentat fama trophaeis.
Hos inter motus medio in flagrante tumultu 225
Ecce super moesti magna Diomedis ab urbe
Legati responsa ferunt: nihil omnibus actum
Tantorum impensis operum; nil dona, neque aurum,
Nec magnas valuisse preces; alia arma Latinis
Quaerenda, aut pacem troiano ab rege petendam.
Deficit ingenti luctu rex ipse Latinus.
F'atalem Éinean manifesto numine ferri
Admonet ira Deum, tumulique ante ora recentes.
- ———Ruamgr——— I ay-— n
LIBRO DUODECIMO 465
Qual di ghiaocio, si franse, e ne la sabbia
Ne rifulsero i pezzi. E così Turno 1 202
Fuggendo, or quinci or quindi per lo campo
Qual forsennato indarno s' aggirava,
D'ogni parte rinchiuso; chè da l una
Lo serravano i Frigii e la palude,
E ’1 fosso e la muraglia era da l’altra. 1210
E non men ch'ei fuggisse, il Teucro duce
( Come che da la piaga ancor tardato
Fosse de la saetta, e le ginocchia
Si sentisse ancor fiacche ) il seguitava.
L'ardente voglia, e la speranza eguale 1215
A la tema di lui, sì lo spingea,
Che già già gli era sopra, e già ’l fería.
Così cervo fugace o da le ripe
Cliiuso d'un alto fiume, o circondato :
Da le vermiglie abbominate penne, 1220
Dissiluit: fulva resplendent fragmina arena.
Ergo amens diversa fuga petit aequora T'urnus:
Et nunc huc, inde huc incertos implicat orbes.
Undique enim densa T'eucri inclusere corona :
"tque hinc vasta palus, hinc ardua moenia cingunt
Nec minus /Eneas (quamquam tardata sagitta
Interdum genua impediunt, cursumque recusant)
Insequitur, trepidique pedem pede fervidus urget.
Inclusum veluti si quando flumine nactus
Cervum, aut puniceae septum formidine pennae, 750
F'enator cursu canis et latratibus instat:
Eneide /ol. II 59
332 ENEIDE
Vedemmo al fine; e quell’ invitta destra
Toccammo, ond' è "| grand’ Ilio arso e distrutto.
In Iapigia il trovammo a le radici
Del gran monte Gargàno, ove fondava, 390
Già vincitore, Argiripa, una terra
Ghe dal patrio Argirippo ha nominata.
Intromessi che fummo, il presentammo;
Gli esponemmo la patria, il nome e'l fine
De la nostra imbasciata, e la cagione 399
Onde a lui venivámo. ll tutto udito,
Cosi benignamente ne rispose:
0 fortunate genti, o di Saturno
Felice regno, e de gli antichi Ausóni
Famosa terra! E quale iniqua sorte 400
Da la vostra quiete or vi sottragge ?
Qual consiglio, qual forza vi costringe
Di nemicarvi, e guerreggiar con gente
Che non v'è nota? Noi quanti già fummo
Contigimusque manum, qua concidit ilia tellus. 345
Jlle urbem Argyripam, patriae cognomine gentis,
Victor Gargani condebat iapygis arvis.
Postquam introgressi, et corum data copia fandi,
Munera praeferimus, nomen patriamque docemus;
Qui bellum intulerint, quae causa attraxerit Arpos.
Auditis ille haec placido sic reddidit ore:
O | fortunatae gentes, saturnia regna,
Antiqui Ausonii, quae vos fortuna quietos
Sollicitat, suadetque ignota lacessere bella?
LIBRO DUODECIMO 467
Di sovvenirlo e d'appressarlo osasse, 1240
Che faria de le genti occisione
Senza pietà, ch'a sacco, a ferro, a foco -
Metteria la cittade e ’1 regno tutto,
Sì com'era ferito il seguitava. |
Cinque volte girando il campo tutto, 1245
E cinque rigirando, e molte e molte
Di qua, di là correndo, imperversaro :
Chè non per gioco, non per lieve acquisto
D' onor, ma per l'impero, per lo sangue,
Per la vita di Turno era il contrasto. 12
Per sorte in questo loco anticamente
Era a Fauno sacrato un oleastro
D'amare foglie, venerabil legno
A° naviganti che dal mare usciti
A salvamento, al tronco, a i rami suoi 1259
Lasciavano i lor voti e le lor vesti
A questo Dio de'Laürenti appese.
Ct
eo
Exitium, si quisquam adeat: terretque trementes ,
Excisurum urbem minitans, et saucius instat.
Quinque orbes explent cursu, totidemque retexunt
Huc illuc: neque enim levia aut ludicra petuntur
Praemia; sed Turni de vita et sanguine certant. 765
Forte sacer l'auno foliis oleaster amaris :
Hic steterat, nautis olim venerabile lignum;
Servati ex undis ubi figere dona solebant
Laurenti Divo, et votas suspendere vestes.
Sed stirpem T'eucri nullo discrimine sacrum 430
334 ENEIDE
. Ne lasciò Pirro. Idomenéèo cacciato
Ne fu dal patrio seggio. Esso re stesso,
Condottier de gli Achivi, il piede a pena 425
Nel suo regno ripose, che del regno,
Del letto e de la vita anco privato
Fu da la scelerata sua consorte.
Né gli giovó che doma l’ Asia e spento
L'uno adultero avesse, che de l' altro 430
Scherno e preda rimase. A me l’ invidia
Ha de gli Dei di più veder disdetto
La mia bella città di Calidona,
E la mia cara e desiata donna.
Né di cià sazii , orribili spaventi $35
Mi danno ancora. E pur dianzi in augelli
Conversi i miei compagni (0 miseranda
Lor pena!) van per l'aura e per gli scogli
Di lagrimosi accenti il cielo empiendo .
Questi sono i profitti e le speranze 440
Idomenei? libycone habitantes litore Locros? 2065
Ipse mycenaeus magnorum ductor Achivum
Coniugis infandae prima intra limina dextra
Oppetiit: devictam Asiam subsedit adulter.
Invidisse Deos, patriis ut redditus aris
Coniugium optatum et pulcram Calydona viderem?
Nunc etiam horribili visu portenta sequuntur:
Et socii amissi petierunt aethera pennis,
Fluminibusque vagantur aves, (heu dira meorum
Supplicia!) et scopulos lacrimosis vocibus implent.
LIBRO UNDECIMO 335
Ch’ io fin qui ne ritraggo, da che, folle!
Stringer contro a’ Celesti il ferro osai,
E che di Citeréa la destra offesi.
Or ch’ io di nuovo una tal pugna imprenda
Testé con voi? no, no, ch'io co' Troiani, 445
Dopo Troia espugnata, altra cagione
Non ho di guerra; e de’ passati mali
Volentier . mi dimentico, e dolore
Ancor ne sento. E, quanto a’ doni, andate ,
Riportateli vosco, e ’© magno: Enea 430
Ne presentate. E solo a me credete
Del valor suo, che fui con esso a fronte
Con l' armi in mano; e so di scudo e d' asta
Qual mi rese buon conto, e quanto vaglia.
Se due tali altri avea la terra Idéa, 459
D' Ida fòra più tosto ita la gente
Haec adeo ex illo mihi iam speranda fuerunt 279
Tempore, quum ferro caelestia corpora demens
Appetii, et Veneris violavi vulnere dextram.
Ne vero, ne me ad tales impellite pugnas.
Nec. mihi cum T'eucris ullum. post eruta bellum
Pergama, nec eeterum memini laetorve malorum.
Munera, quae patriis ad me portatis ab oris,
Fertite ad /Enean. Stetimus tela aspera contra,
Contulimusque manus: experto credite, quantus .
In clypeum assurgat, quo turbine torqueat hastam.
St duo praeterea tales idaea tulisset 285.
T'erra viros, ultro inachias venisset ad urbes
336 ENEIDE
Ai danni de la Grecia; e'] Troian fato
‘Piangerebb’ ella. Enea sol con Ettorre
Fu la cagion che tanto s' indugiasse
La ruina di Troia, e che diece anni 460
Durammo a conquistarla. Ambedue questi
Eran di cor, di forze e d' arme eguali,
Ma ben fu di pietate Enea maggiore .
Io vi consiglio che, comunque sia,
Lega seco, amicizia e pace aggiate , 465
E l’incontro fuggiate e l' armi sue.
Questa è la sua risposta; e quinci avete,
Ottimo re, qual sia di questa guerra
Il suo parere e 1 nostro. A pena uditi
Furo i Legati, che bisbiglio e fremito 470
Infra i turbati Ausonii udissi, in guisa
Che di rapido fiume un chiuso gorgo
Mormora allor, che fra gli opposti sassi
Dardanus, et eersis lugeret Graecia fatis.
Quidquid apud durae cessatum est moenia Troiae,
Hectoris /Eneaeque manu victoria Graiùm
Haesit, et in decimum vestigia rettulit annum. 290
Ambo animis, ambo insignes praestantibus armis;
Hic pietate prior. Coeant in foedera dextrae,
Qua datur: ast, armis concurrant arma, cavete.
Et responsa simul quae sint, rex optime, regis
Audisti, et quae sit magno sententia bello. 295
F'ix ea legati: variusque per ora cucurrit
Ausonidiim turbata fremor: ceu saxa morantuc
LIBRO UNDECIMO 337
S' apre la strada, e gorgogliando cade,
E frange e rugghia e le vicine ripe 479
Ne risonan d’ intorno. Or poiché un poco
Restò '| tumulto , e gli animi acquetàrsi,
Gli Dei prima invocando, un'altra volta
Il re da l'alto seggio a dir riprese:
Latini miei, lo mio parere e | meglio 480
Sarebbe stato, che d'un tanto affare
Si fosse prima consultato, e fermo
Il nostro avviso; e non chiamar consiglio ,
Quando il nimico in su le porte avemo.
Una importuna e perigliosa guerra 482
S'é, cittadini, impresa, e per nimica
Tolta una gente, che dal ciel discesa
Da' Celesti e da' Fati é qui mandata;
Feroce, insuperabile, indefessa,
Ne l'armi invitta, che né vinta ancora 490
Cessa dal ferro. Se speranza alcuna
Quum rapidos amnes, fit clauso gurgite murmur,
F'icinaeque fremunt ripae crepitantibus undis.
Ut primum placati animi, et trepida ora quierunt;
Praefatus Divos solio rex infit ab alto:
Ante equidem summa de re statuisse, Latini,
Et vellem, et fuerat melius; non tempore tali
Cogere concilium, quum muros assidet hostis.
Bellum importunum, cives, cum gente Deorum 305
Invictisque viris gerimus, quos nulla fatigant
Praelia, nec victi possunt absistere ferro.
Eneide /ol. II 43
338 EXEIDE
Negli esterni soccorsi e ne l' aita
Aveste de gli Eléli, ora del tutto
La deponete; e sia speme a sè stesso
Ciascun per sé. Ma noi per noi, che speme 495
E che possanza avemo? Ecco davanti
A gli occhi vostri, e fra le vostre mani
Vedete la strettezza e la ruina
In che noi siamo. Né però ne ’ncolpo
Alcun di voi. Tutto ’1 valor s è mostro 500
Che mostrar si potea; con tutto ] corpo,
E con quanto ha di forza il nostro regno
S'è combattuto. Or quale in tanto dubbio
Sia la mia mente, udite. È nel mio stato
Vicino al Tebro un territorio antico, 509
Che in vér l’ occaso per lunghezza attinge
Fin dove de’ Sicani era il confine.
Da gli Rutuli è colto e da gli Aurunci,
Spem, si quam accitis /Etolum habuistis in armis,
Ponite. Spes sibi quisque. Sed, haec quam angusta,
videtis.
Cetera qua rerum iaceant perculsa ruina, 310
Ante oculos interque manus sunt omnia vestras.
Nec quemquam incuso. Potuit quae plurima virtus
Esse, fuit: toto certatum est corpore regni.
Nunc adeo, quae sit dubiae sententia menti,
Expediam, et paucis (animos adhibete) docebo. 315
Est antiquus ager, tusco mihi proximus amni,
Longus, in occasum, fines super usque sicanos:
LIBRO UXDECIMO 339
Che i duri colli e i più deserti paschi
Ne tengon da l’ un canto. A questo aggiungo 510
Quella piaggia di pini e quella costa
De la montagna. E tutto è mio disegno
Che si ceda a' Trotani, e ch' amicizia,
Accordo e patti e lega e leggi eguali
Abbiam con essi. E qui, 6 a qui fermarsi 515
Sono o da’ Fati o dal desire indotti,
Ferminsi; e i loro alberghi e le lor mura
Fondino a lor diletto. E s' altra parte
Cercano ed altre genti (se pur ponno
Torsi da noi) quando di venti nawi, 520
O di più sovvenir ne gli bisogni,
Su la stessa marina apparecchiata
È la materia. Essi de’ legni il modo,
E'l] numero diranno; e noi le selve,
La meestranza, i ferramenti, e tutto 529
Aurunci Rutulique serunt, et vomere duros
Exercent colles, atque horum asperrima pascunt.
Haec omnis regio, et celsi plaga pinea montis 320
Cedat amicitiae T'eucrorum, et foederis aequas
Dicamus leges, sociosque in regna vocemus:
Considant, si tantus amor, et moenia condant.
Sin alios fines, aliamque capessere gentem
Est animus, poscuntque solo decedere nostro: — 3a5
Bis denas italo tezxamus robore naves,
«Seu plures complere valent: iacet omnis ad undam
Materies; ipsi numerumque modumque carinis
340 ENEIDE
Che fia lor di mestiero , appresteremo .
Con questa offerta io manderei de primi
De la nostra città cento oratori
Co' rami de la pace, col mandato
Di contrattarla, co' presenti appresso
53o
D' avorio e d'oro, e col seggio e col manto
Del nostro regno. Consultate or voi,
Ed a l'afflitte e mal condotte cose
D'aita provvedete e di soccorso.
Surse allor Drance, quei che già s'é detto
Avversario di Turno. Era costui
Del regno de’ Latini un de’ più ricchi
E de’ più riputati cittadini,
Di fazion, di seguito e di lingua
Possente assai; ne le consulte avuto
Di qualche stima; nel mestier de l’ armi
Codardo, anzi che no. La sua chiarezza
Praecipiant: nos aera, manus, navalia demus.
935
540
Praeterea, qui dicta ferant, et foedera firment, 330
Centum oratores prima de gente latinos
Ire placet, pacisque manu praetendere ramos,
Munera portantes aurique eborisque talenta,
Et sellam regni trabeamque insignia nostri.
Consulite in medium, et rebus suocurrite fessis.
Tum Drances idem infensus, quem gloria Turni
Obliqua invidia, stimulisque agitabat amaris,
335
Largus opum, et lingua melior, sed frigida bell
Dextera, consiliis habitus non futilis auctor,
LIBRO UNDECIMO 341
E ’1 suo fasto venía da la sua madre
Ch' era d' alto legnaggio. Il padre a pena
Era noto a le genti. Or questi infesto 545
A la gloria di Turno, asperso il core
D' amarezza e d' invidia, in questa guisa
Il suo fatto aggravando, e l’ ire altrui
Irritando parló: Chiaro, evidente
E necessario, ottimo re, n’ è tanto 550
Quel che tu ne consigli, che bisogno .
D' altro non ha che di comune assenso .
Ognun vede, ognun sa quel che conviene
In si dura fortuna; e nullo ardisce
Pur d'aprir bocca. Libertate almeno 555
Di parlar ne si dia. Scemi una volta
Tanta sua tracotanza e tanto orgoglio
Chi co'suoi male avventurosi auspíci,
Co' sinistri suoi modi (io pur dirollo,
Benché d'armi e di morte mi minacci) 560
N° ha qui condotti, e per cui tanti duci,
Seditione potens (genus huic materna superbum
Nobilitas dabat, incertum de patre ferebat)
Surgit, et his onerat dictis, atque aggerat iras:
Rem nulli obscuram, nostrae nec vocis egentem,
Consulis, o bone rex. Cuncti se scire fatentur,
Quid fortuna ferat populi; sed dicere mussant. 345
Det libertatem fandi, flatusque remittat,
Cuius ob auspicium infaustum, moresque sinistros
( Dicamequidem, licet arma mihi mortemque minetur)
342 ENEIDE
Tanta gente è perita, e tutta in pianto
Questa cittade e questo regno è vélto;
Mentre ne la sua furia, o ne la fuga
Confidando più tosto, il Troian campo 565
Ha d’ assalire osato, e fin nel Cielo
Posto ha con l' armi sue tema e scompiglio .
Solo un dono, signor, fra tanti doni
Che si mandano a’ Teucri, un sol n' aggiungi ;
Né consentir che violenza altrui 570
Te | proibisca. Da’, buon padre, ancora
Questa tua figlia a genero sì degno,
E con sì degno maritaggio eterna
Fa' questa pace. E se "|l. terrore è tanto
Che s' ha di lui, da lui stesso impetriamo 575
Grazia e licenza che la patria sua,
Che ’1 suo re prevaler si possa almeno
Del suo sangue a suo modo. E tu cagione,
Lumina tot cecidisse ducum, totamque videmus
Consedisse urbem luctu: dum troia tentat 350
Castra, fugae fidens, et caelum territat armis.
Unum etiam donis istis, quae plurima mitti
^ Dardanidis, dicique iubes, unum, optime regum,
Adiicias: nec te ullius violentia vincat,
Quin natam egregio genero dignisque hy menaeis
Des, pater, et pacem hanc aeterno foedere iungas.
Quod sí tantus habet mentes et pectora terror,
Jpsum obtestemur, veniamque oremus ab ipso;
Cedat, ius proprium regi patriaeque remittat.
LILRO UNDECIMO 343
Tu di tanta ruina autore e capo
A che pur tante volte a tanti strazi, 580
A tanti rischi, a manifesta morte
Questi tuoi meschinelli cittadini
Esponi indarno? E qual'è ne la guerra
Più salute, o speranza? A te noi tutti
Pace, Turno, chiedemo, e de la pace 985
Quel ch’ è sol fermo e ’nviolabil pegno.
.Ed io prima di tutti, io cui tu fingi
Che nimico ti sia ( né tal mi curo
Che tu mi tenga) a supplicar ti vegno
Umilemente. Abbi pietà de' tuoi: 590
Pon giü la stizza; e poiché sei cacciato,
Vattene. Ássai di strage, assai di morti
"è visto; assai ne son le genti afflitte,
Vedovi i tetti, e desolati i campi.
Ma se l' onor ti muove, e se concepi 599
Di te tanto in te stesso, e tanto agogni
Quid miseros toties in aperta pericula cives 360
Proiicis? o Latio caput horum et caussa malorum!
Nulla salus bello: pacem te poscimus omnes,
T'urne; simul pacis solum inviolabile pignus.
l’rimus ego, invisum quem tu tibi fingis, et esse
Nil moror, en supplex venio: miserere tuorum, 365
Pone animos, et pulsus abi. Sat funera fusi
Vidimus, ingentes et desolavimus agros.
Aut, si fama movet, si tantum pectore robur
Concipis, et si adeo dotalis regia cordi est:
344 ENEIDE
O la donna, o la dote, a che non osi
Contro a chi te ne priva? A Turno adunque
Regno col nostro sangue e regia moglie
Procureremo: e noi vili alme, e turba 600
Non sepolta e non pianta, a'cani in preda
Giaceremo in su' campi? Or tu, tu stesso,
Se tanto hai d'ardimento e di valore
Dal paterno legnaggio, a lui rispondi,
A lui ti volgi, che ti sfida e chiama. 605
Turno, ch’ impetuoso e violento
Era da sè, questo parlare udito,
Alto un gemito trasse, e d’ ira acceso
Così proruppe: Usanza tua fu sempre,
Drauce, allor che di mani è più bisogno — 610
Oprar la lingua, essere in corte il primo,
L' ultimo in campo. Ma non più parole
In questo loco, che già pieno troppo
Aude, atque adversum fidens fer pectus in hostem.
Scilicet, ut Turno contingat regia coniux,
Nos, animae viles, inhumata infletaque turba,
Sternamur campis. Et iam tu, si qua tibi vis,
Si patrii quid Martis habes, illum adspice contra,
Qui vocat. 379
Talibus exarsit dictis violentia Turni,
Dat gemitum, rumpitque has imo pectore voces:
Larga quidem, Drance, semper, tibi copia fandi,
T'um quum bella manus poscunt; patribusque vocatis
Primus ades. Sed non replenda est curia verbis, 380
LIBRO UNDECIMO 345
Ne l'hai; pur troppo grandi e troppo gonfie
L'avventi, e senza rischio or che i nemici 615
Son lunge, e ‘buone fosse e buone mura
Ci son di mezzo, e non c' inonda il sangue.
Apri qui bocca al solito, e rintuona
Con la facondia tua. Tu, che sei Drance,
Me, che son Turno, imbelle e vile appella; 620
Tu la cui dianzi sanguinosa destra
Pieni i campi di morti, e pieni i colli
Ha di trofei. Ma che non provi ancora
Questa tua gran virtù? Forse ch’ avemo
A cercar de’ nemici? Ecco d' intorno 635
Ci sono, e ’n su le porte. Andrem lor contra?
Che badi: Ov'é la tua tanta prodezza?,
Sempre è nel vento; sempre è ne la fuga
De la lingua e de’ piè? Tu mi rinfacci
Quae tuto tibi magna volant, dum distinet hostem
Agger murorum, nec inundant sanguine fossae.
Proinde tona eloquio, solitum tibi; meque timoris
Argu® tu, Drance; quando tot stragis acervos
Teucrorum tua dextra dedit, passimque trophaeis
Insignis agros. Possit quid vivida virtus,
Experiare licet: nec longe scilicet hostes
Quaerendi nobis: circumstant undique muros.
Imus in adversos? quid cessas? an tibi Mavors
Ventosa in lingua, pedibusque fugacibus istis 390
Semper erit?
Pulsus ego? aut quisquam, merito , foedissime, pulsum
Eneide Vol. Il 44
346 ENEIDE
Ch' io sia cacciato? Tu, vituperoso, ‘630
Di. dirlo osasti? E chi meritamente
Sarà che ’l dica? Oh! non s' è visto il Tebro
Fatto gonfio da me del frigio sangue?
Non s' è vista la casa e ’l seme tutto
Spento d' Evandro? e gli Arcadi spogliati 635
D'armi e di vita? Io non fui già da Pandaro
Cacciato , né da Bizia, né da mille
Che in un di vincitore a morte io diedi ,
Circondato da loro e cinto e chiuso
Da le lor mura. Nulla é ne la guerra Gío
Più salute, o speranza. Al Teucro Duce,
A te, folle, al tuo capo, a le tue cose
Fa' questo annunzio. E, non tutto in soqquadro
Por con tanta paura, e tanta stima
Che fai de la prodezza e de le forze 645
D' una gente, che già due volte é vinta;
E non tanto avvilir da l’ altro canto
Arguet, iliaco tumidum qui crescere Thybrim
Sanguine , et Evandri totam cum stirpe vtdebit
Procubuisse domum, atque exsutos Arcadas armis?
Haud ita me experti Bitias et Pandarus ingens,
Et quos mille die victor sub Tartara misi,
Inclusus muris, hostilique aggere septus .
Nulla salus bello: capiti cane talia demens
Dardanio, rebusque tuis. Proinde omnia magno 4oo
Ve cessa turbare metu, atque extollere vires
Gentis bis victae, contra premere arma Latini.
LIBRO UNDECIMO 347
L' armi del re Latino. A i Mirmidoni
Son ora, al gran Diomede, al grande Achille
I Teucri formidabili e tremendi : 650
E dal mar se ne torna per paura
L' Aufido indietro. E forse che non finge
Temer di me, perchè il mio fallo aggravi?
Malvagia astuzia | Ma non più per nulla
Vo’ che ne tema. Un' anima sì vile 655
Non ti torrà la mia destra giammai.
Stiesi pur teco, e nel tuo petto alloggi,
Di lei ben degno albergo. Or a te vegno,
. Gran padre, e'l tuo parer discorro, e dico.
Se tu più non t'affidi, e più non credi 660
Ne l’ armi tue; s' abbandonati affatto
Siam d'ogni parte; s' una volta rotti
Siam per sempre perduti; e se fortuna,
Nunc et Myrmidonum proceres phrygia arma tremi-
scunt,
Nunc et Tydides, et larissaeus Achilles:
Amnis et hadriacas retro fugit Aufidus undas; 405
Vel quum se pavidum contra mea iurgia fingit
Artificis scelus, et formidine crimen acerbat.
: Numquam animam talem dextra hac (absiste moveri)
"mittes: habitet tecum, et sit pectore in isto.
Nunc ad te, et tua, magne pater, consulta revertor.
Si nullam nostris ultra spem ponis in armis;
Si tam deserti sumus, et semel agmine verso
F'unditus occidimus, nec habet fortuna regressum,
348 ENEIDE
Variando le veci, unqua non cangia,
Signor, pace imploriamo; e l' armi in terra 665
Gittando, a giunte mani accordo e venia
Impetriam da' nemici. Ancorché, quando
Oh! del nostro valor punto in noi fosse,
Sopra tutt felice, riposato,
E glorioso spirito sarebbe 670
Chi, per ció non veder, morto si fosse.
Ma se le nostre forze ancor son verdi,
La nostra gioventù florida, intatta,
Disposta e pronta a l' armi, e per sussidio
I popoli d'Italia e le cittadi 675
Son con noi tutte; e s' a’ nemici ancora
Sanguinosa, dannosa e poco lieta
È questa gloria; ed han de' morti anch’ essi
La parte loro; e la tempesta è pari
D' ambe le parti; a che nel primo intoppo 680
Con tanto scorno, a noi stessi mancando,
Oremus pacem, et dextras tendamus inertes.
Quamquam o, si solitae quidquam virtutis adesset,
lile mihi ante alios, fortunatusque laborum,
Egregiusque animi, qui, ne quid tale videret,
Procubuit moriens, et humum semel ore momordit.
Sin et opes nobis, et adhuc intacta iuventus,
Auxilioque urbes italae, populique supersunt; 420
Sin et Troianis cum multo gloria venit
Sanguine; sunt illis sua funera, parque per omnes
Tempestas; cur indecores in limine primo
LIBRO UNDECIMO 349
Gittarne a terra? A che tremare avanti
Che la tromba si senta? A la giornata
Il tempo stesso, il variar de’ casi,
L’ industria, le vicende, il moto e ’1 gioco 685
Potria de la fortuna in molte guise,
Come suol l' altre cose, ancor le nostre,
Cangiando , risarcire, e porre in saldo.
Non avrem Diomede in nostro aiuto:
Avrem Messápo; avremo il fortunato 690 -
Tolunnio; avrem tant’ altri incliti. duci -
Di tant altre città. Né di men gloria,
Né di minor virtù saranno i nostri
Di Laurento e di Lazio. Avrem Camilla,
La gran volsca virago, che n’ addusse 695
Di cavalieri e di caterve armate
Si bella gente. E se me solo appella
. Il nemico a battaglia, e se v' aggrada
Deficimus? cur ante tubam tremor occupat artus?
Multa dies, variique labor mutabilis aevi 429
Rettulit in melius: multos alterna revisens
Lusit, et in solido rursus fortuna locavit.
Non erit auxilio nobis /Etolus, et Arpi:
At Messapus erit, felixque Tolumnius, et quos
Tot populi misere duces: nec tarda sequetur 430
Gloria delectos Latio, et laurentibus agris.
Est et Volscorum egregia de gente Camilla,
Agmen agens equitum, et florentes aere catervas.
Quod si me solum Teucri in certamina poscunt,
350 ENEIDE
Che sol io gli risponda, ed io sol osto
Al ben comune, io solamente assumo 700
Sopra me questa impresa. E già non credo
Che le mie man sì la vittoria abborra,
Che per tanta, ch'io n’ aggio, e speme e gioia
Accettar non la deggia. Andrógh incontro
Con } animo, se fosse anco maggiore 705
Del magno Achille, e come Achille anch’ egli
L' armi di Mongibello indosso avesse.
Jo Turno, io che non punto a qual si fosse
Mai de gli antichi di valor non cedo,
Questa mia vita stessa a voi, Latini, 710
Ed a Latin mio suocero consacro
Solennemente. Enea me solo invita.
L' accetto, il bramo e"! prego, anzi che Drance,
S'ira è questa di Dio, con la sua morte
La purghi, o che la gloria me ne tolga, — 715
S'é pur gloria e virtute. In cotal guisa
Idque placet, tantumque bonis communibus obsto:
Non adeo has exosa manus victoria fugit,
Ut tanta quidquam pro spe tentare recusem.
Ibo animis contra: vel magnum praestet Achillem,
lactaque Vulcani manibus paria induat arma
llle licet. Vobis animam hanc, soceroque Latino
Turnus ego, haud ulli veterum virtute secundus,
Devovi. Solum /Eneas vocat; et vocet, oro.
Nec Drances potius, sive est haec ira Deorum,
Morte luat: sive est virtus et gloria, tollat.
LIBRO UNDECIMO 351
Consultando i Latini, avean tra loro
Dispareri e tenzoni. Usciti a campo
Erano i Teucri intanto. Ed ecco un messo
Venir volando, che la reggia tutta 720
E tutta la città pose in tumulto,
Annunziando che dal tosco fiume
Già mosso de’ Troiani e de’ Tirreni
Se ne venía l’ esercito in battaglia
In vér Laurento; e che di genti e d' armi 725
Si vedean piene le campagne e i colli.
Gli animi incoutanente si turbaro ;
. Sgomentossene i] volgo; a i valorosi
S' acceser l' ire. Trepidando ognuno
Discorrea per le strade: arme fremea 730
La gioventù: dolenti e lagrimosi
. I padri discordando, e chi per Turno
‘ Sentendo e chi per Drance, avean tra loro,
Vari bisbigli. E tutto il corpo insieme
Ct
Illi haec inter se dubiis de rebus agebant 44
Certantes: castra /Eneas aciemque movebat.
Nuntius ingenti per regia tecta tumultu
Ecce ruit, magnisque urbem terroribus implet:
Instructos acie tiberino a flumine Teucros,
Tyrrhenamque manum totis descendere campis. 450
Extemplo turbati animi, concussaque vulgi
Pectora, et arrectae stimulis haud mollibus irae.
Arma manu trepidi poscunt: fremit arma inventus.
F'lent moesti mussantque patres. Hic undique clamor
352 . ENEIDE
Facea de la città tale un trambusto, 735
E tal ne l’ aura unitamente un suono,
Qual è se spaventata esce d'un bosco
Torma di rochi augelli, o qual talora
Da Je pescose rive di Padusa
Van per gli stagni schiamazzando a schiere 740
.Turbati i cigni. In tale occasione
Gridava Turno: Or questo è, Padri, il tempo
Di sedere a consiglio: or consigliate
Agiatamente : aggiate sopra tutto
Cura a la pace or che i nemici armati 745
Ne son già sopra. E, cosi detto a pena,
Saltò fuor de la reggia; e vólto a torno,
Arma, disse, tu, Vóluso, i tuoi Volsci;
E tu, Messápo, i rutuli cavalli.
Tu, Catillo, e tu, Cora, uscite a campo: 750
Va’ tu con la tua gente a la muraglia
Dissensu vario magnus se tollit in auras. 455
Haud secus atque alto in luco quum forte catervae
Consedere avium, piscosove amne Padusae
Dant sonitum rauci per stagna loquacia cycni.
Immo, ait, o cives, arrepto tempore, T'urnus,
Cogite concilium, et pacem laudate sedentes: 460
Illi armis in regna ruant. Nec plura loquutus,
Corripuit sese, et tectis citus extulit altis.
Tu, Voluse, armari Volscorum edice maniplis:
Duc, ait, et Rutulos: equitem Messapus in armis,
Et cum fratre Coras, latis diffundite campis. $65
LIBRO UNDECIMO 353
Incontanente ; e tu dispensa i luoi
Fra le porte e le torri. Ite voi meco,
Che rimanete; e ciascun arini 1 suoi.
Per tutta la città si va scorrendo 759
A le mura. A l' insegne, a i capitani
Ognun s adduce. I Padri irresoluti
Se n' escon dal Consiglio. Il re turbato
Si ritira, e si pente che non aggia
Per sè, senza consulta, il frigio duce 700
Per amico e per genero acceltato.
Dansi lutti a munire, a cavar fosse,
Tutti a somministrar chi sassi e travi,
E chi dardi, e chi strali. E già la roca
Tromba ne va per la città squillando 765
De la battaglia il sanguinoso accento .
Le matrone, i fanciulli, i vecchi; ognuno
D' ogni età, d' ogni sesso e d' ogni grado
Pars aditus urbis firment, turresque capessant:
Cetera, qua iusso, mecum manus inferat arma.
Jlicet in muros tota discurritur urbe.
Concilium ipse pater, et magna incepta Latinus .
Deserit, ac tristi turbatus tempore differt: 479
Multaque se incusat, qui non acceperit ultro
Dardanium Anean, generumque adsciverit urbi.
Praefodiunt alii porias, aut saxa sudesque
Subvectant: bello dut signum rauca cruentum
Buccina. T'unc muros varia cinxere corona 479
Matronae puerique: vocat labor ultimus omnes.
Eneide /”ol. IL 49
354 ENEIDE
A l’ultimo periglio, al gran bisogno
Corrono a la muraglia. E d' altra parte 779
Da gran cortéo di donne accompagnata
Con doni e preci di Minerva al tempio
Va la regina, ed ha Lavinia seco,
La vergine sua figlia, onde venuta
Era tanta ruina; e, di ció mesta,
Porta i begli occhi lagrimosi e chini.
Seguon le madri, e d' odorati incensi
Vaporando il delubro in flebil voce
Pregano in su la soglia: Ármipotente
Tritonia, tu che puoi, la possa e l'armi — 780
Frangi al frigio ladrone, e di tua mano
Anciso in su la porta ne lo stendi.
Esso re Turno da la furia spinto
Ricorre a l’ armi; e di squamoso acciaio
n |
3
wt
Nec non ad templum, summasque ad Palladis arces
Subvehitur magna matrum regina caterva,
Dona ferens, iuxtiaque comes Lavinia virgo,
Caussa mali tanti, oculos deiecte decoros. 480
Succedunt matres, et templum ture vaporant,
Et moestas alto fundunt de limine voces:
Armipotens, praeses belli, tritonia virgo,
Frange manu telum phrygii praedonis, et ipsum
Pronum sterne solo, portisque effunde sub altis.
Cingitur ipse furens certatim in praelia Turnus:
Jamque adeo rutulum thoraca indutus, aenis
Horrebat squamis, surasque incluserat auro;
LIBRO UNDECIMO 355
E d'ór già tutto orribile e splendente , 785
Cinto di brando, e sol del capo ignudo
Lieto mostrossi, e di speranza altero
Di vedere il nemico. E "n quella guisa
Da Ja rocca scendea che da’ presepi
Sciolto destriero esce ruzzando in campo, 790
O ch' amor di giumente, o che vaghezza
Di verde prato, o pur desio lo tragga
Del noto fiume; che sbuffando freme,
E ringhia e drizza il collo e squassa il crine.
A l' uscir de la porta ecco davanti 799
Gli si fa co’ suoi volsci cavalieri
La vergine Camilla. E sì com’ cra
Non men gentil che valorosa e bella,
Tosto che l’ incontrò , con tutti i suoi
Dismontò da cavallo, e vér lui disse: 800
Tempora nudus adhuc, laterique accinxerat ensem;
Fulgebatque alta decurrens aureus arce; 490
Exsultatque animis, et spe iam praecipit hostem.
Qualis, ubi abruptis fugit praesepia vinclis
Tandem liber equus, campoque potitus aperto,
Aut ille in pastus armentaque tendit equarum,
Aut, assuetus aquae perfundi flumine noto, 495
Emicat, arrectisque fremit cervicibus alte
Luxurians, luduntque iubae per colla, per armos.
Obvia cui, Volscorum acie comitante, Camilla
Occurrit, portisque ab equo regina sub ipsis |
Desiluit: quam tota cohors imitata relictis 500
356 ENEIDE
Turno, se degnamente vom forte ardisce,
lo mi rincoro, e ti prometto io sola
Di gire a i cavalier toscani incontro.
Lascia me col mio stuolo assalir prima
La Troiana oste, e che primiera io tragga 805
Di questa pugna e de' suoi rischi un saggio.
E tu qui co' pedoni a pié rimanti
A guardia de la terra. A tal proposta
Turno ne la terribile virago
Gli occhi fissando, O de l'Italia, disse, — 810
Ornamento e sostegno, e di che lode,
E di che premio al tuo gran merto eguale
Ristorar ti poss' io? Ma (poiché cosa
Non è che la pareggi) abbi, famosa
Guerriera , in grado ch’ io con te. comparta 815
Questa fatica. Enea, come dal grido
Avemo e da le spie fin qui ritratto,
Ad terram defluxit equis. Tum talia fatur:
Turne, sui merito si qua est fiducia forti,
Audeo, et /Eneadum promitto occurrere turmae,
Solaque tyrrhenos equites ire obvia contra.
Me sine prima manu tentare pericula belli; 502
J'u pedes ad muros subsiste, et moenia serva.
T'urnus ad haec, oculos horrenda in virgine fixus,
O decus Italiae, virgo, quas dicere grates,
Quasve referre parem? sed nunc (est omnia quando
Iste animus supra) mecum partire laborem. 510
4Eneas, ut fama fidem missique reportant
LIBRO UNDECIMO 327
Spinte ha le schiere de' cavalli avanti
Per batter la campagna; ed egli altronde
Presa la via del monte, per alpestro 820
Sentiero a la città di sopra al giogo
Vien con l’ altre sue genti. Il mio disegno
E fargli agguato, e collocarmi appresso
Là've sopra la foce il doppio bosco
Del curvo monte ambe le strade accoglie. 825
Tu, raünati i tuoi con gli altri tutti
Nostri cavalli, i suoi nel piano assagli
A spiegate bandiere. Il fier Messàpo
Sarà con te: saranvi de' Latini,
Vi saran di Coràce e di Catillo 83o
Le squadre tutte; e tu con essi il carco
Prendi di comandarle. Indi esortando
Parimente Messàpo e gli altri duci
A la lor fazione, egli a la sua
Tostamente si volse. È tra due branche 835
Exploratores, equitum levia improbus arma
Praemisit, quaterent campos: ipse ardua montis '
Per deserta iugo superans adventat ad urbem.
F'urta paro belli convexo in tramite silvae, 519
Ut bivias armato obsidam milite fauces.
T'u tyrrhenum equitem collatis excipe signis;
Tecum acer Messapus erit, turmaeque latinae,
Tiburnique manus: ducis et tu concipe curam.
Sic ait, et paribus Messapum in praelia dictis 520
Hortatur , sociosque duces , et pergit in hostem.
350 E >
Turno, se degna: ambi i lati
Jo mi rincoro. ti e chiusi,
Di gire a ic. ati.
Lascia me teza0
La Troia 1
Di que: offe
E tu
A < ui
"Y . ,ortuni
«stro 0 dal sinisti.
4 rincontri o che s' aspetti
.1cà gente, o pur che di gran sassi
Si tempesti di sopra. A questo loco,
Di cui ben era pratico, in agguato
Turno si pose, e i suoi nemici attese. 850
Diana intanto timorosa e mesta
Favellando con Opi, una del coro
Est curvo anfractu valles, accommoda fraudi
Armorumque dolis, quam densis frondibus atrum
Urget utrimque latus; tenuis quo semita ducit ,
Angustaeque ferunt fauces aditusque maligni. 525
Hanc super in speculis, summoque in vertice montis
Planities ignota iacet, tutique receptus;
Seu dextra laevaque velis occurrere pugnae;
Sive instare iugis, et grandia volvere saxa.
Huc iuvenis nota fertur regione viarum, 53)
Arripuitque locum, et silvis insedit iniquis.
Velocem interea superis in sedibus Opim,
mum net
? UNDECIMO 361
-— le
Qum edi Si rivolse, e disse:
j Sitatrice
^ >| i ,i, io padre stesso
' ’glioletta
P 4 4)
- : Der. serva. ‘890
- - rmi tue
"e prima
. * sperando
Da tua
Che g. sempre. — 895
Nel suo n.. lo,
Questa sola ba. l vento
Di Casmilla sua ni. nbo.
Fu Camilla nomata. A.
Con essa in braccio per gu 900
Unam ex virginibus sociis sacraque cater
Compellabat, et has tristis Latonia voces
Ore dabat: Graditur bellum ad crudele Camilla,
O virgo, et nostris nequidquam cingitur armis,
Cara mihi ante alias: neque enim novus iste Dianae
Venit amor, subitaque animum dulcedine movit. .
Pulsus ob invidiam regno viresque superbas,
Priverno antiqua Metabus quum excederet urbe,
Infantem, fugiens media inter praelia belli,
Sustulit exsilio comitem, matrisque vocavit
Nomine Casmillae, mutata parte, Camillam.
Ipse, sinu prae se portans, iuga longa. petebat
360 ENEIDE
E per le selve, e de’ nemici Volsci
Sempre d’ intorno avea l’ insidie e l' armi.
Ecco un giorno assalito con la caccia
Dietro, fuggendo a l' Amaseno arriva.
Per pioggia questo fiume era cresciuto ,
E rapido spumando infino al sommo
Se ne gia de le ripe ondoso e gonfio;
Tal che, per tema de l’ amato peso
Non s' arrischiando di passarlo a nuoto,
Fermossi; e poiché a tutto ebbe pensato,
Con un subito avviso entro una scorza
Di salvatico suvero rinchiuse
La pargoletta figlia. E poscia in mezzo
D' un suo nodoso, inarsicciato e sodo
Telo, ch' avea per avventura in mano,
Legolla acconciamente ; e l' asta e lei
Con la sua destra poderosa in alto
83o
885
Solorum nemorum: tela undique saeva premebant,
Et circumfuso volitabant milite Volsci.
Ecce fugae medio summis Amasenus abundans
Spumabat ripis: tantus se nubibus imber
Ruperat. Ille, innare parans, infantis amore
T'ardatur, caroque oneri timet. Omnia secum
Versanti subito vix haec sententia sedit.
550
Telum immane, manu valida quod forte. gerebat
Bellator, solidum nodis et robore cocto;
Huic natam, libro et silvestri subere clausam,
Implicat, atque habilem mediae circumligat hastae;
LIBRO UNDECIMO 361
Librando, a l'aura si rivolse, e. disse:
+ Alma Latonia virgo, abitatrice.
De le selve e de’ monti, io padre stesso
Questa -mia sfortunata figlioletta
Per ministra ti dedico e per. serva.
Ecco ch’ a te. devota, a l’ armi tue
Accomandata, dal nimico in prima.
Sol per te la sottraggo. In te sperando
A VP aura.la commetto; e tu. per tua
Prendila, te ne prego, e tua sia sempre.
Ciò detto, il braccio in dietro ritraendo,
. Oltre il fiume lanciolla: e ’1 fiume e ’1 vento
E 1 dardo ne fér suono e fischio e rombo.
Metabo da la turba sovraggiunto
De' suoi nemici a nuoto al fin gittossi
E salvo a P altra riva st condusse.
Ivi d un verde cespo, ove piantato
Avea Trivia il suo dono, il dardo e lei
890
895
900
Quam dextra ingenti librans ita ad aethera fatur:
Alma, tibi hanc, nemorum cultrix, Latonia virgo,
Jpse pater famulam voveo: tua prima per auras
Tela tenens supplex hostem fugit: accipe, testor ,
Diva, tuam, quae nunc dubiis committitur auris.
Dixit, et adducto contortum hastile lacerto
Immittit: sonuere undae: rapidum super amnem
Infelix fugit in iaculo stridente Camilla.
560
"4t Metabus, magna propius iam urgente caterva ,
Dat sese.fluvio, atque hastam cum. virgine victor
Eneide 7/ol. II 46
565
362 ENEIDE
Divelse, e via fuggissi; e più mai poscia
Non fu da tetti, o da cittadi accolto: 905
Ché per natía fierezza a legge altrui
Non si fora unqua additto. Il tempo tutto
De la sua vita, di pastore in guisa,
Menò per monti solitari ed ermi ;
E per grotte e per dumi e per orrende — 910
Selve e tane di fere ebbe ricetto
Con la fanciulla, a cui fu cibo un tempo
Ferino latte, e balia una d' armento
Ancor non doma e pavida giumenta.
Ne le tenere labbra il padre stesso 915
De la fera premea l’ orride mamme.
Né pria tenne de’ piè salde le piante,
Che d' arco, di faretra e di nodosi
Dardi le mani e gli omeri gravolle.
Non d'ór le chiome, o di monile il collo, 920
Gramineo donum Triviae de cespite vellit.
Non illum tectis ullae, non moenibus urbes
Accepere; neque ipse manus feritate dedisset:
Pastorum et solis exegit montibus aevum.
Hic natam, in dumis interque horrentia lustra, 570
Armentalis equae mammis et lacte ferino
Nutribat, teneris immulgens ubera labris.
Utque pedum primis infans vestigia plantis
Institerat, iaculo palmas oneravit acuto,
Spiculaque ex humero parvae suspendit et arcum.
Pro crinali auro, pro longae tegmine pallae,
LIBRO UNDECIMO 303
Né men di lunga, o di fregiata gonna
La ricoverse; ma di tigre un cuoio
Le facea veste intorno, e cuflia in capo.
Il fanciullesco suo primo diletto
E ’1 primo studio fa lanciar di palo, 925
E trar d' arco e di fromba; en fin d' allora
Facea strage di gru ,. d' oche e di cigni.
Molte la desiàr tirrene madri
Per nuora indarno. Ed ella di me sola
Contenta, intemerata e pura e casta 93o
La sua verginità, l' amor de l’ armi
Sol ebbe in cale. Or mio fóra disío
Che di questa milizia e de la pugna,
Che presa ha co’ Troiani e co’ Tirreni,
Fosse digiuna; per sì cara io l’ aggio, 935
E tale or mi saria grata compagna.
Ma poiché acerbo fato la persegue ,
T'igridis exsuviae per dorsum a vertice pendent.
Tela manu iam tum tenera puerilia torsit,
Et fundam tereti circum caput egit habena,
Strymoniamque gruem, aut album deiecit olorem.
Multae illam frustra tyrrhena per oppida matres
Optavere nurum: sola contenta Diana
Aternum telorum et virginitatis amorem
Intemerata colit. Vellem haud correpta fuisset
Militia tali, conata lacessere Teucros: 585
Cara mihi, comitumque foret nunc una mearum.
Verum age, quandoquidem fatis urgetur acerbis,
364 _.. ENEIDE
Scendi, Ninfa, dal cielo, e nel paese
Va’ de’ Latini. Ivi al conflitto assisti,
Che per Lazio e per lei mal s' apparecchia . 940
Prendi quest' arco, e prendi questa mia
Stessa faretra, e di qui traggi il télo
Per vendicarmi di qualunque ardito
Sarà di violar quest' a me sacra
E devota virago: Italo, o Teucro 945
Che sia. Poscia io verrò di nube involta
A provveder che ’l miserabil corpo
Non sia d’ armi spogliato, e che raccolto
Sia ne la patria, e seppellito e pianto.
Così dicendo, entro un sonoro nembo, 990
Da' molti occhi non veduta a terra
Lievemente calossi. I Teucri intanto,
E i Toschi duci le lor genti avanti
Spingendo , a la città s' avvicinaro.
Labere, Nympha, polo, finesque invise latinos, |
Tristis ubi infausto comittitur omine pugna.
Haec cape, et ultricem pharetra deprome sagittam.
Hac, quicumque sacrum violarit vulnere corpus, .
T'ros Italusve, mihi pariter det sanguine poenas.
Post ego nube cava miserandae corpus et arma
Inspoliata feram tumulo, patriaeque reponam.
Dixit: at illa leves caeli demissa per auras 595
Insonuit, nigro circumdata turbine corpus.
4t manus interea muris troiana propinquat,
Etruscique duces, equitumque exercitus omnis,
LIBRO UNDECIMO 365
Piena d' armi, d' insegne, di cavalli 955
E di schierati fanti e di squadroni
‘ Si vedea la campagna. Eran per tutto
Gualdane, giramenti, scorribande
Di cavalieri: in secche selve i colli
Parean conversi: ardea la terra e ’l cielo — 960
Di ferrigni splendori; d’ ogni parte
S' udía fremer cavalli, e squillar trombe.
Incontro a lor da l’ altra parte usciro
Il fier Messápo, i cavalier latini,
Corace col suo frate, e di Camilla 965
La bellicosa banda. Era il concorso
Tuttavia de le genti, e de’ cavalli
Il fremito maggiore. E già la massa
Ristretta, e ‘già vicine ambe le parti
A tiro d' asta, a fronte si fermaro 979
L' una de l'altra; e con le lance in resta,
Con saette e con dardi incominciaro
Compositi numero in turmas. Fremit aequore toto
Insultans sonipes, et pressis pugnat habenis —6oo
Huc obversus et huc: tum late ferreus hastis
Horret ager, campique armis sublimibus ardent.
Necnon Messapus contra, celeresque Latini,
Et cum fratre Coras, et virginis ala Camillae,
Adversi campo apparent; hastasque reductis 605
Protendunt longe dextris, et spicula vibrant:
Adventusque virim, fremitusque ardescit equorum.
lamque intra iactum teli progressus uterque
366 ENEIDE
Primamente da lunge a salutarsi .
Poi di subite grida udito un tuono
Al ciel levossi; e due contrari nembi 975
De la terra sorgendo, armi fioccaro
Di neve in guisa, e coprir d' ombra il sole.
Alfin da ciascun lato i destrier punti
Andar tutli con tutti a rincontrarsi .
Era Tirreno al fiero Aconte opposto 980
Ne la battaglia; e questi primamente
S' urtaro, e per la furia e per la forza
De l' urto ambe le lance, ambi i cavalli,
Ed ambi i corpi infrauti, stramazzati,
L' un da l’altro disgiunti, quai percossi 985
Da fulmine o da macchine avventati,
Caddero a terra. E pria ne l' aura Aconte
Lasció la vita. Conturbate e sparse
Le schiere de' Latini, incontanente
Con le targhe rivolte, a tutta briglia 990
Substiterat: subito erumpunt clamore, frementesque
Exhortantur equos: fundunt simul undique tela 610
Crebra, nivis ritu: caelumque obtexitur umbra.
Continuo adversis T'yrrhenus, et acer Aconteus
Connixi incurrunt hastis; primique ruinam
Dant sonitu ingenti; perfractaque quadrupedantum
Pectora pectoribus rumpunt. Excussus Aconteus,
Fulminis in morem, aut tormento, ponderis acti,
Praecipitat longe, et vitam dispergit in auras.
Extemplo turbatae acies, versique Latini
LIBRO UNPECIMO 364
Vér le mura spronando, in fuga andaro.
Gli seguiro i Troiani; e prima Asila
Gli assalse, e gli cacciò fin su le porte.
Qui fermi e rincorati alzan le grida ,
Volgon le teste, e si rifan lor sopra, 999
Ch’ eran lor contra. Cosi quando questi,
E quando quelli or cacciano, or cacciati
Tornano; in quella guisa ch' a vicenda
Il mare or d' alto a riva i flutti increspa,
E ne l| ultima arena ondeggia e spuma; 1000
Or da Ja riva indietro se ne torna,
E le stess’ onde, e la commossa ghiara
Sorbendo e voltolando, si ritragge.
Due volte i Toschi i Rutuli incalzaro
Fino a le mura; e i Rutuli due volte 1005
Risospinsero i Toschi. Al terzo assalto
Reiiciunt parmas, et equos ad moenia vertunt.
T'roes agunt, princeps turmas inducit Asylas. 620
Jamque propinquabant portis, rursusque Latini
. Clamorem tollunt, et mollia colla reflectunt.
Hi fugiunt, penitusque datis referuntur habenis.
Qualis ubi alterno procurrens gurgite pontus
Nunc ruit ad terras, scopulosque superiacit undam
. Spumeus, extremamque sinu perfundit arenam:
Nune rapidus retro, atque aestu revoluta resorbens
Saxa fugit, litusque vado labente relinquit.
Bis Tusci Rutulos egere ad moenia versos:
Bis reiecti armis respectant terga tegentes. 63o
368 ENEIDE
Mischiàrsi ambe le schiere, e l’ un cen l’ altro
Vennero a zuffa. Allor le grida e i magghi
Si sentir de’ cadenti: allor si vide
Il pian tutto di sangue, e tutto d'armi 1010
E d' uomini coverto e di cavalli
Feriti e morti. Orsiloco a rincontro
Di Remolo trovossi; e non osando
Di star seco a le mani, al suo cavallo
Trasse del dardo, e’n su l' orecchio il colse. 1015
Del colpo impaziente e per se fiero
Si scosse, s' avventò, col petto in alto
E con le zampe il corridor levossi,
E ’n su l’arena il cavalier distese. :
Catillo Tola e '| grande Erminio uccise; 1020
Erminio che di corpo e d' armi e d' animo
Era de’ più robusti, de’ più chiari
E de’ più riguardevoli guerrieri
Tertia sed postquam congressi in praelia totas
Implicuere inter se acies, legitque virum vir;
Tum vero et gemitus morientum, et sanguine in alto
Armaque corporaque, et permixti caede virorum
Semianimes volvuntur equi: pugna aspera surgit.
‘ Orsilochus Remuli, quando ipsum horrebat adire,
Hastam intorsit equo, ferrumque sub aure reliquit.
Quo sonipes ictu furit arduus, altaque iactat
Vulneris impatiens arrecto pectore crura: !
Volvitur ille excussus humi. Catillus Iolan, ^ 640
'' Ingentemque animis, ingentem corpore et armis
INDICE DELLE MATERIE 501
Remulo Tiburte 180.
Reno, fiume 146.
Rufra, oggi Ruvo 72.
Sabine rapite 437.
Sabino, Re dell’ Italia 24.
Sacrani, popoli 77.
Saliiî , "sacerdoti 405. 140.
Samotracia, isola 23.
Sarno, fiume 72.
Sarrano 477.
Sarrasti, popoli 72.
Saticola, oggi Caserta, città 74.
Satura , palude 77.
Saturno, Re del Lazio 23.
— è cacciato da Creta 408.
Sedia curule 340.
Secondar l' augurio 127.
Severo , monte 69.
Sicani, popoli 77. 409.
Sidicine, campagne 74.
Sila, monte 462.
Silvia, pastorella 54.
Simeto, fiume 200.
Simoente, fiume 333.
Similitudine del paleo 39.
— dell’ acqua, che bollendo trabocca 47.
— del mare, che comincia a sollevarsi -in tempe-
sta 53.
— dello scoglio battuto dall’ onde agitate 58.
— de’ Centauri, che scendono dal monte 66.
— de’ Cigni, che volan cantando 68.
— de’ flutti che si agitan nella tempesta, e delle spighe
mature nel campo 70.
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ABS e ed altre illustri
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attra pesi 4 dirigit arcu.
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cif emina T'hermodontis
ézatsr Amazones armis: 660
T quum se martia curru.
ue ululante tumultu
s. agmina peltis.
AS bostremum, aspera virgo,
6&iientia corpora fundis?
server ver ene
LIBRO UNDECIMO 371
Di Clizio il figlio, da costei trafitto.
Fu d' un colpo: di lancia in mezzo al petto.
Cadde il meschino, e fe' di sangue un rivo,
Sopra cui voltolandosi, e mordendo í
Il sanguigno terren, di vita uscio. 1060
Indi va sopra a Liri e sopra a Pègaso
Quasi in un tempo, a l'un mentre, inciampando
Il suo destriero, il fren raccoglie; a l’altro
Mentre a lui, che trabocca ,.il braccio stende
Per sostenerlo: onde in un gruppo entrambi 1065
Precipitaro. A cui d' Ippóta il figlio
Amastro aggiunse, e via seguendo, . Arpatico,
E Téreo e Cromi e Demofonte uccise.
Quanti dardi.lanció, tanti Troiani
Gittò per terra. Ornito, un cacciatore, . 1070
Eunaeum Clytio primum patre, cuius apertum
Adversi longa transverberat abiete pectus.
Sanguinis ille vomens rivos cadit, atque cruentam
Mandit humum, moriensque suo se in vulnere versat
Tum Lirim , Pagasumque super: quorum alter ha-
benas 670
Suffosso revolutus equo dum colligit, alter.
Dum subit, ac dextram labenti tendit inermem,
Praecipites pariterque ruunt. His addit 4mastrum
Hippotaden: sequiturque incumbens eminus hasta
Tereaque Harpalycumque et Demophoonta : Chro-
mimque; 675
Quotque emissa. manu contorsit spicula virgo,
372 ENELDE
Gli gia davanti, e stranamente armato
Cavalcava di Puglia un gran destriero:
Per sua corazza.avea d'ispido toro
Un duro tergo; per celata un teschio
. Di lupo, che dal capo insino al mento 1075
Sbarrava le mascelle, e digrignando
Mostrava i denti. In man portava, ad uso
:Dì contadini, un nodoroso palo
‘ Di grave ronca. armato. Egli nel mezzo
. De gli. altri suoi con le due teste andava 1080
Sovrano a tutti; e le ferine orecchie
Ergea di cresta e di: pennacchi in vece .
Camilla il giunse, lo fermò, l’ uccise
Senza contrasto; già che volta .in fuga
Era la schiera sua. Sovra al suo corpo 1085
Disse rimproverando. E che pensasti,
Tosco insolente ? Di venire a caccia
In qualche selve, e seguir dammie imbelli? |
Tot phrygii cecidere viri. Prooul Ornytus armis
. Ignotis, et equo. venator iapyge fertur;
Cui pellis latos humeros erepta iuvenco
Pugnatori operit: caput ingens oris hiatus, . 680
Et malae texere lupicuin dentibus albis ,
Agrestisque manus armat sparus: ipse catervis
Fertitur in mediis, et loto vertice supra est.
Hunc illa exceptum (neque enim labor agmine verso)
Traiicit, et super haec inimico pectore fatur: 685
Silvis te, T'yrrhene, feras agitare putasti?
LIBRO UNDECIMO 373
Venuto sei là 've una dama armata
Col ferro amaramente vi rintuzza 1090
La superbia e la lingua. Oh pur non poco
Ti fia di vanto, riferendo a l’ ombre
De’ tuoi: Per man fui di Camilla ucciso .
Iudi Orsiloco assalse, e Bute appresso,
Due corpi de’ maggiori e de’ più forti 1095
Del Troian oste. A Bute un colpo trasse
Che '] giunse ove tra l’ elmo e la corazza
Si scopre il collo, onde. lo scudo appeso
Sta da sinistra. Orsiloco, fuggendo
E gridando, gabbò; ch’ al giro interno 1100
S' attenne e strinse; e là v era seguita,
Seguitò lui. Gli fa sopra in un tempo.
A colpi di secure, e l' armi e Possa ©
Gli pestò sì che per suo scampo a’ prieghi
Si volse. Al fine un tal sopra la testa 1105
"Advenit qui vestra dies muliebribus armis
Verba redarguerit: nomen tamen haud leve patrum
Manibus hoc referes, telo cecidisse Camillae.
| ProtenusOrsilochum et Buten, duo maxima T'eucrum
. Corpora: sed Buten aversum cuspide fixit
Loricam galeamque inter, qua. colla sedentis
Lucent, et laeva dependet. parma lacerto: ©
Orsilochum, fugiens magnumque agitata per orbem
Eludit gyro interior, sequiturque sequentem. 6095
T'um validam perque arma viro, perque ossa securim
Altior exsurgens, oranti et multa precanti
374 ENEIDE
Ne gli piantò, che le cervella infrante
Gli schizzàr da la fronte e da le tempie.
D’Aino montanar de l' Appennino
Il bellicoso figlio a l’ improvviso
Fu da lei colto: un Ligure scaltrito, I110
Che per ordire inganni (infinché 1 fato
Gliel concede) non de gli estremi avuto
Era tra' suoi. Costui nel primo incontro
Sbigottito fermossi. E poiché vide
Non poter con la fuga a lei sottrarsi, 1115
Che gli era sopra, a la malizia usata
Ricorrendo , Oh! gran prova, a dir comincia,
Sarà la tua, se ben femina sei,
Di sfidar me, quando un caval t' affidi
Sì fugace e sì forte. Or al vantaggio 1120
Rinuncia de la fuga, e meco a piede
Prendi zuffe del pari; e poi vedrassi
Congeminat: vulnus calido rigat ora cerebro.
Incidit huic, subitoque adspectu territus haesit
Apenninicolae bellator filius Auni, 700
Haud Ligurum extremus, dum fallere fata sinebant.
Isque, ubi se nullo iam cursu evadere pugnae
Posse, neque instantem reginam avertere cernit;
Consilio versare dolos ingressus et astu,
Incipit haec: Quid tam egregium, si femina forti
Fidis equo? dimitte fugam, et te cominus aequo
Mecum crede solo, pugnaeque accinge pede stri:
Iam nosces, ventosa ferat cui gloria laudem.
al
LIBRO UNDECIMO 379
A cui questa ventosa tua bravura
Onore acquisti. A cotal dir Camilla
Di furia , di dolor, di sdegno ardendo, 1125
Ratto dismonta ; e }’ corridor deposto
In ‘man de la compagna, a piè si pianta.
Stringe la spada, imbracciasi lo scudo,
E con pari armi intrepida l’ attende.
Il giovine, che ‘vinto si credette 1130
Aver con quello avviso, incontanente
La groppa le mostró del suo cavallo,
E via spronando a tutta briglia il pinse.
Ligure vano, vano orgoglio in prima
Ti mosse; or vana astuzia e vana fuga 1135
Sarà la tua; ché l’arte del fallace
Tuo padre, o di tua patria, a far non basta
Che vivo da le man mi ti ritolga.
Disse la virgo, e qual da cocca strale
Dietro gli si spiccó: ratto l’ aggiunse, ‘1140
Dixit: At illa furens, acrique accensa dolore,
Tradit equum comiti, paribusque resistit in armis
Ense pedes nudo, puraque interrita parma.
At iuvenis, vicisse dolo ratus, avolat ipse,
Haud mora, conversisque fugax aufertur habenis,
Quadrupedemque citum ferrata calce fatigat.
Vane Ligur, frustraque animis elate superbis, 715
Nequidquam patrias tentasti lubricus artes,
Nec fraus te incolumem fallaci perferet Auno.
Haec fatur virgo, et pernicibus ignea plantis
376 ENEIDE
Passollo , attraversollo , al fren di piglio
Diedegli; lo feri, l' ancise al fine.
Così d’ un alto sasso agevolmente
Sparvier grifagno al timido colombo
S' avventa , e lo ghermisce ; onde in un tempo 1145
Sangue e piuma dal ciel nevica e piove.
In questa de’ mortali e de’ Celesti
L' eterno Regnator, che pur talvolta
Alcun de’ raggi suoi vér noi rivolge,
Non con lieve disdegno, o picciol ira 1150
Mosse Tarconte a sovvenir le schiere
De’ suoi ch’ erano in volta. Egli per mezzo
Va de l’ occisioni e de le mischie,
Or il destrier contra i nemici urtando,
Or le sue squadre inanimando, insieme — 1155
Le ristringe, le instiga, le garrisce ,
T'ransit equum curso, frenisque adversa prehensis
Congreditur, poenasque inimico a sanguine sumit.
Quam facile accipiter saxo sacer ales ab alto
Consequitur pennis sublimem in nube columbam,
Comprensamque tenet, pedibusque eviscerat uncis;
T'um cruor et vulsae labuntur ab aethere plumae.
At non haec nullis hominum sator atque Deorum
Observans oculis summo sedet altus Olympo.
Tyrrhenum genitor Tarchonem in praelia saeva
Suscitat, et stimulis haud mollibus inücit iras.
Ergo inter caedes cedentiaque agmina T'archon
Fertur equo, variisque instigat vocibus alas, 730
LIBRO UNDECIMO 377
E per nome ciascun chiamando ,, Ah, disse,
Tirreni, e che timore e che spaverito
È '1 vostro? che viltà, che codardia
V' ha presi? e quando mai fia che vi panga: 4 160
O dolore , q vergogna? Adunque in fuga
Gite per una femmina 1 una femmina
Vi disperge, e v' aneide? A che di ferro
In van cosi le destre € i petti armate? —
De le donne temete? E pur di loro 1165
Si timidi di notte, .né sì fiacchi |
Ne gli assalti di Venere non siete,
Ne quando a suon di pifferi intimati
Vi sqno i Baccanali. Or via, campioni,
Da letti e da bottiglie, a nozze, a pasti, 1170
A sacrificu allor che ne le sacre
Foreste è da l’ Aruspice intonato
Che la vittima è grassa: itene tutti
Seco a goder del saginato bue
Nomine quemque vocans, reficitque in praelia pulsos.
Quis metus, o numquam dolituri, o semper inertes
Tyrrheni, quae (anta animis ignavia venit?
, ,F'emina palantes agit, atque haec agmina vertit?
Quo ferrum? quidve haec gerimus tela irrita dextris?
dt non in. Venerem segnes, nocturnaque bella;
Aut, ubi curea choros indixit tibia Bacchi,
Exspectare dapes, et plenae pocula mensae.
Hic amor, hoc studium; dum sacra secundus haruspea:
Nuntiet, ac lucos vocet hostia pinguis in altos. 7 4o
Eneide 7l. II
378 ENEIDE
A piena pancia, ché nnll' altro amore 1175
Null altro studio è "1 vostro. E, ciò dicendo,
Ne va come devoto a morte anclr egli.
Con Venolo s' affronta; e sì com’ era
Turbato, l' aggavigna, e fuor lo tragge
Del suo cavallo. Alto levossi un grido. 1180
Tal, che tutti a veder le ciglia alzaro
I Latini e i Tirreni. Iva Tarconte
Per la campagna con la preda in grembo
Del nimico e de Y armi; e n° mezzo al corso
Svelle da l’ asta sua medesma il ferro, 1185
E cerca ove è di piastra il corpo ignudo
Per dargli morte. E mentre ne la gola
Tenta ferirlo, ei con le braccia in alto
Si scherma, regge il colpo, e da Ja forza
Quanto può con la forza si districa. 1190
Come ne l’ aria insieme avviticchiati
Haec effatus, equum in medios moriturus et ipse
Concitat, et Venulo adversum se turbidus infert,
Dereptumque ab equo dextra complectitur hostem,
Et gremium ante suum multa vi concitus aufert.
Tollitur in caelum clamor: cunctique Latini — 445
Convertere oculos. Volat igneus aequore Tarchon,
Arma virumque ferens; tum summa ipsius ab hasta
Defringit ferrum, et partes rimatur apertas,
Qua vulnus letale ferat: contra ille repugnans
Sustinet a iugulo dextram, et vim viribus exit. 450
Utque volans alte raptum quum fulva draconem
LIBRO UNDECIMO 379
Si son visti talor l’ aquila e ’l1 serpe
Pagnar volando, e l' una aver con l' ugne.
E col becco ghermito e morso l’ altro;
E ’ altro co' suoi giri e co’ suoi nodi 1195
Farle vincigli a’. piè, volumi a l' ali;
E questo con la testa alto fischiando,
E quella schiamazzando e dibattendo ,
Ambedue voltolarsi, ambedue stretti
Far di squame e di piume un sol viluppo; 1200
Cosi Tarconte per lo campo a volo, ‘’
Vincitor de le schiere di Tiburte ,
Venolo sen portava. E questo esempio
Del suo duce seguendo, e del successo
Assecurata, la meonia torma 1205
. Tutta contra i Latini impeto fece.
Tra questi Arunte, un che di già dovuto
Era al suo fato, con un dardo in mano
Camilla astutamente insidiando,
Si diede a seguitarla, a circuirla; 1210
Fert aquila,implicuitquepedes atque unguibus haesit:
Saucius at serpens sinuosa volumina versat,
"rrectisque horret squamis, et sibilat ore, .
Arduus insurgens: illa haud minus urget obunco
. Luctantem rostro, simul aethera verberat alis:
Haud aliter praedam T'iburtum ex agmine Tarchon
Portat ovans. Ducis exemplum, eventumque sequuti
Maeonidae incurrunt. Tum fatis debitus Arruns
Velocem iaculo et multa prior arte Camillam ‘760
380 ENEIDE
A cercar destra e comoda fortuna
Di darle ‘morte. Ovunque ella, o per mezzo
Fendea le schiere, o vincitrice in dietro
Si ritraca, l' era vicino Arunte;
E tutti i moti suoi, tutte le vie 1215
Osservando, attendea che netto il colpo.
Gli riuscisse, e da fellone intanto
Avea l' asta a ferir librata e pronta.
Giva per avventura a lei davanti |
Cloro, un giovine idéo; che sacerdote 1220
Era già di Cibele. I Frigü tutti
Non avean chi di lui fosse ne l’ armi
Più riccamente adorno. Un suo cotsiet'o
Per lo campo spingea, di spuma asperso, '
Cinto di barde e d' acciarine lame 1235
Come di scaglie, e ‘di leggiadre piume
Leggiadramente inteste. Un arco ‘dl’ oto
Circuit, et, quae sit fortuna facillima, tentat.
Qua se cumque furens medio tulit agmine virgo,
Hac Arruns subit, et tacitus vestigia lustrat.
Qua victrix redit illa, pedemque ex hoste reportat:
Hac iuvenis furtim celeres detorquet habenas. ‘765
Hos aditus, iamque hos aditus, omnemque pererrat
Undique circuitum,et certam quatit improbus hastam.
Forte sacer Cybelae Chloreus, olimque sacerdos,
' Insignis longe phrygiis fulgebat in armis,
Spumantemque agitabat equum, quem pellis aenis
In plumam squamis, auro conserta tegebat.
LIBERO UNDECIMO 381
Gli pendea da le spalle, una faretra
A la cretese. In testa, in gargbe, in dosso
D' armi e d’ arnesi in barbara sembianze, , 1230 -
Di peregrina porpora e di seta,
Di bisso, di teletta e d' ostro e d" oro
Tutto coverto , tutto ricamato, |
Tutto trinciato ; e saettando andava.
Costui veduto, ogni altra impresa indietto — 1235
Lasciando , a lui si volse o per vaglregza
Di consecrar le sue bell armi al tempio,
O pur che di sì vago ostile atmese
Di gir pomposa cacciutrice amasse.
Basta che per le schiere incauta, ardente, ‘1240
E come donna vogliolosa e folte
De l amor de la preda e de le spoglie
Contro a lui se ne giva; allor ch' Arunte,
‘Ipse, peregrina ferrugine clarus et ostro,
Spicula torquebat lycio gortynia cornu:
Aureus ex humeris sonat arcus, et aurea vati
Cassida: tum croceam chlamydemque, sinusque cre-
pantes 779
Carbaseos fulvo in nodum collegerat auro,
Pictus acu tunicas, et barbara tegmina crurum.
Hunc virgo, sive ut templis praefigeret arma
Troia, captivo sive ut se ferret in auro,
Venatrix unum ex omni certamine pugnae ‘980
Caeca sequebatur; totumque incauta per agmen -
F'emineo praedae et spoliorum ardebat amore:
392a ENEIDE
Dopo molto appostarla, alfin le trasse,
In tal guisa pregando: O di Soratte 1245
Sommo custode Apollo, a cui devoti
Noi fummo in prima, a cui di sacri pini
Nutrimmo il foco, e per cui nudi e scalzi
Tra le fiamme saltando e per le brage
Securamente e senza offesa andiamo; 1250
Dammi, chè tutto puoi, Padre benigno,
Che questa infamia per mia man si tolga
De ) armi nostre. Io di costei non bramo
Armi, spoglie o trofeo. Gli altri miei fatti
Mi sian di lode, e pur che questo mostro 1255
Caggia spento da me, ne la mia patria
Senza più gloria andrò, di questa guerra
Pago e contento. Udì Febo del voto
Parte, e parte per l’aura ne disperse.
Telum ex insidiis quum tandem tempore capto
Concitat, et Superos Arruns sic voce precatur:
Summe Deum, sancti custos Soractis Apollo, ‘785
Quem primi colimus, cui pineus ardor acervo
Pascitur; et medium freti pietate per ignem
Cultores multa premimus vestigia pruna;
Da, pater, hoc nostris aboleri dedecus armis,
Omnipotens. Non exsuvias, pulsaeve trophaeum 790
Virginis, aut spolia ulla peto: mihi cetera laudem
. Facta ferent: haec dira meo dum vulnere pestis
Pulsa cadat, patrias remeabo inglorius urbes.
Audiit, et voti Phoebus succedere partem
LIBRO UNDECIMO 383.
Udì che morta da quel colpo fosse 1260
La vergine Camilla; e non udío
Di lui, ch' ei vivo in patria -ne tornasse,
Che ciò per l’ aura ne portaro i venti.
Tosto che da le man l' asta ronzando
Gli uscío, fur gli occhi e glianimie le grida 1265
De’ Volsci tutti a la regina intenti.
Ed ella né del télo, né de } aura
Moto o fischio senti; né vide il colpo,
Mentre già discendea, finché non giunse.
Giunsele a punto ove divelta e nuda 1270
Era la poppa; e del vergineo sangue,
Non già di latte, sitibonda scese
Sì che '| petto l’ apri. Le sue compagne
Le fur trepide intorno; e già che morta
Cadea , la sostentaro. Árunte in fuga 1275
Mente dedit; partem volucres dispersit in auras.
Sterneret ut subita turbatam morte Camillam,
Annuit oranti: reducem ut patria alta videret,
Non dedit, inque Notos vocem vertere procellae.
Ergo, ut missa manu sonitum dedit hasta per auras,
Convertere animos acres, oculosque tulere. 800
Cuncti ad reginam Volsci. Nihil ipsa neque auras
Nec sonitus memor, aut venientis ab aethere teli;
Hasta sub exsertam donec perlata papillam
Haesit, virgineumque alte bibit acta cruorem.
Concurrunt trepidae comites, dominamque ruentem
Suscipiunt: fugit ante omnes exterritus. Arruns,
384 ENEIDE
Ratto si volge, di paura insieme
Turbato e dj letizia; ché ne l’ asta
Più non confida, e più di star non osa
Incontro a lei. Qual affamato lupo
Che, ucciso de l’ armento un gran giovenco, 1280
O lo stesso pastore, in sè confuso
Di tanta audacia, anzi che da' villaggi
Gli si levin le grida, infra le gambe
Si rimette la coda, e ratto a’ monti
Fuggendo, si rinselva: ia cotal guisa 1285
Arunte dopo ’l tratto impaürito,
Solo a salvarsi inteso, in mezzo a l armi
Si mischiò tra le schiere, Ella morendo,
Di sua man fuor del petto il crudo ferro
Tentò svellersi indarno; ché la punta 1290
S' era altamente ne le coste infissa:
Onde languendo abbandonossi, e fredda
Laetitia mixtoque metu: nec iam amplius hastae
Credere, nec telis occurrere virginis audet.
Ac velut ille, prius quam tela inimica sequantur,
Continuo in montes sese avius abdidit altos, 810
Occiso pastore, lupus, magnove iuvenco,
Conscius audacis facti, caudamque remulcens
Subiecit pavitantem utero, silvasque petivit.
Haud secus ex oculis se turbidus abstulit Arruns;
Contentusque fuga mediis se immiscuit armis. 813
Illa manu moriens telum trahit: ossa sed inter
F'erreus ad castas alto stat vulnere mucro.
LIBRO UNDECIMO 385
Giacque supina: e gli occhi, che pur dianzi
Scintillavano ardor, grazia e fierezza,
Si fer torbidi e gravi. Il volto, in prima 1295
Di rose e d' ostro, di pallor di morte
Tutto si tinse. In tal guisa spirando,
Acca a sé chiama, una tra l' altre sue
La più fida di tutte e la più cara;
E dice: Acca sorella, i giorni miei 1300
Son qui finiti: questa acerba piaga |
M' adduce a morte, e già nero mi sembra
Tutto che veggio. Or vola, e da mia parte
Di per l’ ultimo a Turno, che succeda
A questa pugna, e la città soccorra: 1303
E tu rimanti in pace. À pena detto
Ebbe cosi, che abbandonando il freno
E l' arme e sé medesma, a capo chino
Traboccó da cavallo. Allora il freddo
Labitur exsanguis: labuntur frigida leto
Lumina: purpureus quondam color ora reliquit.
Tum sic exspirans Accam, ex aequalibus unam,
Alloquitur; fida ante alias quae sola Camillae,
Quicum partiri curas; atque haec ita fatur:
Hactenus, 4cca soror, potui: nunc vulnus acerbum
Conficit, et tenebris nigrescunt omnia circum.
Effuge, et haec Turno mandata novissima perfer,
Succedat pugnae, Troianosque arceat urbe .
lamque vale. Simul his dictis linquebat habenas,
Ad terram non sponte fluens. Tum frigida toto
Eneide Zol. II 49
386 ENEIDE
Le occupò de la morte a poco a poco 1310
Le membra tutte. E dechinato il collo
Sopra un verde cespuglio, alfin di vita
Sdegnosamente sospirando uscío.
Camilla estinta, per lo campo un grido
Levossi che n'andó fino a le stelle , 1315
E surse al cader suo zuffa maggiore ; ;
Ché i Teucri e i Toschi e gli Arcadi in un tempo
Pinsero avanti . Opi, ministra intanto
Di Trivia, che nel monte era discesa
Vicino alla battaglia, indi il conflitto 1320
Stava mirando intrepida e sicura,
E visto di lontan tra molte genti
Nascer nuovo tumulto e nuove grida,
Poscia in mezzo di lor caduta e morta
La vergine Camilla, Ah, sospirando 1325
Paullatim exsolvit se corpore, lentaque colla,
Et captum leto posuit caput, arma relinquens: 830
Vitaque cum gemitu fugit indignata sub umbras.
Tum vero immensus surgens ferit aurea clamor :
Sidera: deiecta crudescit pugna Camilla. |
Incurrunt densi, simul omnis copia Teucrum,
Thyrrhenique duces, Evandrique arcades alae. 835
At, Triviae custos iamdudum in montibus Opis
Alta sedet summis, spectatque interrita pugnas:
Utque procul medio iuvenum in clamore furentum
Prospexit tristi mulctatam morte Camillam, .
Ingemuitque, deditque has imo pectore voces: 840
LIBRO UNDECIMO 387
Disse, virgo infelice! troppo, troppo
Crudel supplizio hai de l' ardir soflerto,
Se d’ irritar l’ armi Troiane osasti.
E di che pro t é stato a viver nosco
Solinga vita, armar de l' armi nostre, 1330
Gradire i boschi, e venerar Diana?
Ma te non lascerà la tua regina
Giacer disonorata in questa fine
De la tua vita; e la tua morte oscura
Non sarà tra le genti; e non dirassi 133)
Che non è chi di te vendetta faccia;
Chè chiunque di ferro avrà ferito
Il corpo tuo, sarà meritamente
Di ferro anciso. Era a Dercenno, antico
Re de’ Laurenti, un gran sepolcro eretto, 1340
Cui sopra era di terra un monte imposto
E d' elci annosi e folti un bosco opaco.
Heu nimium, virgo, nimium crudele luisti
Supplicium, Teucros conata lacessere bello !
Nec tibi desertae in dumis coluisse Dianam
Profuit, aut nostras humero gessisse pharetras:
Non tamen indecorem tua te regina reliquit — 845
Extrema iam in morte: neque hoc sine nomine letum
Per gentes erit; aut famam patieris inultae.
Nam, quicumque tuum violavit eulnere corpus,
Morte luet merita. Fuit ingens monte sub alto
Regis Dercenni terreno ex aggere bustum 850
Antiqui Laurentis, opacaque ilice tectum:
388 ENEIDE
Qui la veloce Dea dal ciel calossi
Al primo volo; e di qui visto Arunte
Splender ne l’ armi, e gir di sua follía 1345
Superbo e gonfio, Ove ne vai? diss' ella,
Qui convien che ti fermi, e qui morendo
De la morta Camilla il premio avrai
Degno di te, se di perir sei degno
De l’ armi di Diana. E, ciò dicendo, 1350
La buona arciera del turcasso aurato
Trasse un acuto strale, e l' arco tese,
E tirò sì ch’ ambe le corna estreme
Vennero al mezzo, ed ambe parimente
Le mani, una tirata e l’ altra spinta, 1355
Quella toccò la poppa e questa il ferro.
L' arco, l’ aura, lo stral sonare udfo,
E ferir e morir sentissi Árunte
Hic Dea se primum rapido pulcherrima nisu
Sistit, et Arruntem tumulo speculatur ab alto.
Ut vidit fulgentem armis, ac vana tumentem;
Cur, inquit, diversus abis? huc dirige gressum.
Huc periture veni, capias ut digna Camillae
Praemia. Tune etiam telis moriere Dianae ?
Dixit, et aurata volucrem Threissa sagittam
Depromsit pharetra, cornuque infensa tetendit,
Et duxit longe, donec curvata coirent 860
Inter se capita, et manibus iam tangeret aequis,
Laeva aciem ferri, dextra nervoque papillam.
Extemplo teli stridorem, aurasque sonantes
LIBRO UNDECIMO 389
Tutto in un tempo. I suoi quasi in oblfo
Cosi, come spirava, in mezzo al campo 1360
Lo lasciàr fra la polve in abbandono:
Ed Opi al ciel tornando a volo alzossi.
Caduta lei, la schiera di Camilla
Primieramente in fuga si rivolse:
Indi turbàrsi i Rutuli, e dier volta. 1365
Diè volta il fiero Atina; e i duci tutti,
E tutte fur le insegne abbandonate .
Cerca ognun di salvarsi, e vér le mura
Ne vanno a tutta briglia, e più nel campo
Alcun non è che di far testa ardisca 1370
Contra la strage e contra la ruina
Che fanno i Teucri. Se ne van con gli archi
Scarichi in su le terga e spenzoloni; .
E più che di galoppo invér Laurento
Audiit una Arruns, haesitque in corpore ferrum.
Illum exspirantem socii atque extrema gementem ,
Obliti ignoto camporum in pulvere linquunt:
Opis ad aetherium pennis aufertur Olympum.
Prima fugit, domina amissa, levis ala Camillae :
Turbati fugiunt Rutuli: fugit acer Atinas:
Disiectique duces, desolatique manipli 870
Tuta petunt, et equis aversi ad moenia tendunt.
Nec quisquam instantes Teucros, letumque ferentes
Sustentare valet telis, aut sistere contra:
Sed laxos referunt humeris languentibus arcus:
Quadrupedumque putrem cursu quatit ungula cam-
pum. | 875
390 ENEIDE
Battono il campo, e fan nubi di polve. 1375
Le madri da’ balconi e da’ torrazzi ,
Percossi i petti, alzano al ciel le grida
Con femineo ululato. E quei che primi
Giunti trovàr le porte ancor non chiuse
Mischiati co’ nemici, ove più salvi 1380
Si credean, ne l' entrata e fra le mura
De la stessa lor patria, anzi a gli alberghi
Lor propri e da’ nemici e da la morte
Fur sopraggiunti. In cotal guisa in prima
Stette la porta a gli avversari aperta. 1385
Poi chiusa, escluse i suoi, che fuori in preda
Restando de' nemici, a i lor piü cari,
Che morir gli vedean, perché s'aprisse
Supplicavano indarno. E qui tra quelli
Che n’ erano a difesa, e quei ch' a forza, 1390
Anzi a furia, a ruina incontro a loro
S' avventavan ne l’ armi, orrenda strage
Volvitur ad muros caligine turbidus atra
Pulvis, et e speculis pe rcussae pectora matres
Femineum clamorem ad caeli sidera tollunt.
Qui cursu portas primi irrupere patentes,
Hos inimica super mixto premit agmine turba: 880
Nec miseram effugiunt mortem, sed limine in ipso,
Moenibus in patriis, atque inter tuta domorum,
Confixi exspirant animas. Pars claudere portas ,
Nec sociis aperire viam, nec moenibus audent
Accipere orantes: oriturque miserrima caedes 885
LIBRO UNDECIMO 391:
Si fece e miseranda. E de gli esclusi
Altri in cospetto de gli stessi padri, |
E de le madri che dogliose grida 1395
Ne facean da le torri e da le mura,
Da l’impeto cacciati o da la calca-
Precipitàr ne’ fossi, e giù da’ ponti
Cadder sospinti; ed altri ne la fuga
Da’ sfrenati cavalli e da la cieca 1400
Lor furia trasportati, a dar di cozzo
Gir ne le chiuse porte. In su’ ripari
Ancor le donne (chè le donne ancora
Il vero de la patria amore infiamma)
Come giunte a l’ estremo, allor che morta 1405
Vider Camilla, il femminil timore
Volgono in sicurezza; e sassi e dardi
Lanciando, e con aguzzi inarsicciati
Pali il ferro imitando, osano anch’ elle
Per la difesa de le patrie mura 1410
Defendentum armis aditus, inque arma ruentum.
Exclusi ante oculos lacrimantumque ora parentum,
Pars in praecipites fossas, urgente ruina,
Volvitur: immissis pars caeca et concita frenis
Arietat in portas, et duros obiice postes. . . 890
Ipsae de muris summo certamine matres,
(Monstrat amor verus patriae) ut videre Camillam,
Tela manu trepidae iaciunt, ac robore duro
Stipitibus ferrum, sudibusque imitantur obustis
Praecipites, primaeque mori pro moenibus audent.
392 ENEIDE
Gir le prime a morir morte onorata.
A Turno intanto ne le selve arriva
Acca, la già spedita messaggiera
Con l’ amara novella, un gran tumulto
Portando, che l' esercito è sconfitto, 1415
Morta Camilla, annichilati i Volsci,
E i Teucri d' ogni cosa impadroniti
Stanno in campagna col favor che porta
Seco de la vittoria il corso e ’l1 nome;
Spingonsi avanti; e già pianto e paura 1420
Assalgon la città. D' ira, di sdegno,
E di furore il giovine infiammato,
(Ché tale era il voler empio di Giove)
Da l' insidie si toglie, esce de’ boschi
Ov' era ascoso, e giù scende da' colli. 1425
Smarriti non gli avea di vista a pena,
A pena era nel piano, allor ch' Enea
Prese del monte; e là 'v' era l’ agguato,
Trovando aperto, senz’ offesa anch’ egli
Interea Turnum in silvis saevissimus implet
Nuntius, et iuveni ingentem fert Acca tumultum:
Deletas Volscorum acies, cecidisse Camillam,
Ingruere infensos hostes, et Marte secundo
Omnia corripuisse: metum iam ad moenia ferri.
Ille furens (et saeva Iovis sic numina poscunt )
Deserit obsessos colles, nemora aspera linquit.
Vix e conspectu exierat, campumque tenebat,
Quum pater Aeneas, saltus ingressus apertos,
LIBRO UNDECIMO
Superò | giogo, e de la selva uscío .
. Cosi con passi frettolosi entrambi
Con tutte le lor genti, e l’ un da l’altro
Poco lontani a la città sen vanno.
E 'nsiememente da l’ un canto Enea
Vide di polverfo fumare i campi,
E di Laurento sventolar l’ insegne;
Turno da l' altro Enea scoperse, udendo
L' annitrir de’ cavalli e| calpestio
Crescer di mano in mano. Eran vicini
Sì che venuto a zuffa ed a battaglia
Si fóra anco quel di, se non che Febo
Fatto vermiglio , i suoi stanchi destrieri
Stava già per tuffar ne l’ onde Ibere.
Onde avanti a le mura ambi accampati
Di trincee si muniro e di ripari.
E xsuperatque iugum, sileaque evadit opaca.
Sic ambo ad muros rapidi totoque feruntur
Agmine, nec longis inter se passibus absunt.
Ac simul /Eneas fumantes pulvere campos
Prospexit longe, laurentiaque agmina vidit;
393
1430
1435
14 19
902
Et saevum /Enean agnovit Turnus in armis, 910
Adventumque pedum, flatusque audivit equorum:
Continuoque ineant pugnas, et praelia tentent,
Ni roseus fessos iam gurgite Phoebus Hibero
Tingat equos, noctemque die labente reducat.
Considunt castris ante urbem , et moenia vallant.
Fine del Libro undecimo,
Fol. II 50
DELL’ ENEIDE
DI VIRGILIO
LIBRO DUODECIMO
— per
ARGOMENTO
L' esercito Latino , i sacri paitt
Rompendo , perde la giornata: Enea
Ferito, col Ditammo è risanato ;
Poi con Turno s° abbatte , e lul di vita
Privando, fine alle fatiche impone.
Turno, poscia che vede afflitti e domi
Già due volte i Latini, e non pur scemi
Di forze, ma di speme e di baldanza ,
Da lui farsi rubelli, e che a lui solo
Ognun rivolto in tanto affare attende
Le prove, le promesse e i vanti suoi,
Furioso, implacabile , inquieto
Arde, s' inanimisce, e si rinfranca
Prima in sè stesso. Qual massila fera
Ch' allor d' insanguinar gli artigli e il ceffo
Disponsi, allor s'adira , allor si scaglia
T'urnus ut infractos adverso Marte Latinos
Defecisse videt, sua nunc promissa reposci,
Se signari oculis; ultro implacabilis ardet,
Attollitque animos. Poenorum qualis in arvis,
Saucius ille gravi venantum vulnere pectus,
IO
Tue d
dr
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Pia & «Ze
Re sa»
KSETT TEEN lui si sente
BHE godendo
#bsa e fiera
ih con le rampe 15
E) graflia e rugge;
‘urno
ec i&5;entossi
3) Pigindugio, o scusa 20
o e stabilito,
zxirarsi omai.
WU Padre, che ’1 patto 25
seo; e i sacrifici
n. Oggi, Signore,
mie mani a morte
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m3 violentia T'urno.
s 4Bque ita turbidus infit: 10
eges est quod dicta retractent
diu Arne pepigere, recusent.
idrsliplter, et concipe foedus.
Lp c Tartara mittam,
PETERE esee Lab) 15
ems ame uas qne
LIBRO DUODECIMO . 397
E 1 difetto di tutti io solo ammendo; Jo
(Stiansi pure a vedere i tuoi Latini)
O ch' ei vincendo fia padrone a voi,
E marito a Lavinia. A cui Latino
Col cor sedato in tal guisa rispose:
Giovine valoroso, al tuo valore, . 35
A la ferocia tua, che tanto eccede
Ne l’ armi, io deferisco. E tu dovrai
Appegarti di me, s io, d' ogni cosa
Temendo, con ragione e con maturo
Consiglio in tutti.i casi inveglio, e curo 40
Che ’1 mio stato si salvi e la tua vita.
A te, del vecchio Dauno erede e figlio,
Seggio e regno non manca, oltre a le terre
Di cui tu fatto bai da te stesso acquisto
Per forza d' armi. Oro, favori e gradi 49
Da Latino avrai sempre; e maritaggi
E donne d'alto affar son per lo Lazio,
E per le terre di Laurento assai.
Et solus ferro crimen commune refellam;
Aut habeat victos; cedat Lavinia coniux.
Olli sedato respondit corde Latinus:
O praestans animi iuvenis, quantum ipse feroci —
F'irtute exsuperas, tanto me impensius aequum est
Consulere, atque omnes metuentem expendere casus.
Sunt tibi regna patris Dauni, sunt. oppida capta
Multa manu: necnon aurumque animusque Latino est.
Sunt aliae innuptae Latio et laurentibus agris,
398 ENEIDE
Ma soffri ch'io ti parli, e senti, e nota
Poscia quel ch' io diró; che diró vero, 50
Ben che noia ti sia. Fatal divieto
Mi proibiva, e gli uomihi e gli Dei
M' avean: vaticinando in molte guise
Denunciato , che mia figlia a nullo
Io maritassi di color che chiesta 55
Me l'avean prima. E pur dall'amor vinto
Che ti port'io, dal parentado astretto
C' ho con la casa tua, mosso dal pianto
E da le preci de la donna mia,
Dandola a te mi sono al fato opposto; 6o
Ho rotto fede al genero; ho con lui
‘Presa non giusta e non sicura guerra.
Da indi in qua tu stesso, tu che primo
Soffri tante fatiche e tanti affanni,
Hai veduto in che rischi, in che travagli 65
Siam noi caduti; chè due volte rotti
Nec genus indecores. Sine me haec haud mollia fatu
Sublatis aperire delis; simul hoc animo hauri.
Me natam nulli veterum sociare procorum
Fas erat, idque omnes Divique hominesque canebant.
Victus amore tui, cognato sanguine victus,
Coniugis et moestae lacrimis, vinola omnia rupi; 30
Promissam eripui genero, arma impia sumsi.
Ex illo qui me casus, quae, Turne, sequantur
Bella, vides; quantos primus patiare labores.
Bis magna «icti pugna, vix urbe tuemur
LIBRO DUODECIMO 399
In due sì gran battaglie, in questo cerchio
Ne siam rinchiusi a sostentare a pena
La speranze d’Italia. Il Tebro è caldo
Del nostro sangue. I campi son già bianchi 70
De le nostr’ ossa. Ed io, folle, a che torno
Taute fiate al precipizio mio?
Chi così da me stesso mi sottragge ?
Se, Turno estinto, io nel mio regno deggio
I Troiani accettar , ché non gli accetto 75
Or ch'egli è vivo e salva? E ché non pongo
Fine a la guerra, a la ruina espressa
Del mio regno e de' miei? Che ne diranno
I Rutuli parenti? Che diranne
Italia tutta, quando a morte io lasci 80
(Voglia Dio che non sia) gir un che tanto
Ama la parentela e'] sangue mio?
Rimira de la guerra come vana
Sia la fortuna. Abbi pietà del vecchio
Spes italas: recalent nostro tiberina fluenta 35
Sanguine adhuc, campique ingentes ossibus albent.
Quo referor toties? quae mentem insania mutat?
Si Turno exstincto socios sum accire paratus,
Cur non incolumi potius certamina tollo?
Quid consanguinei Rutuli, quid cetera dicet 4o
Jtalia? ad mortem si te (fors dicta refutet!)
Prodiderim, natam et connubia nostra petentem?
Respice res bello varias; miserere parentis
Longaevi, quem nunc moestum patria Ardéa longe
400 ENEIDE
Dauno tuo padre, che, da te lontano, 85
In Ardea se ne sta mesto e dolente.
Turno a questo parlar nulla si mosse
De la ferocia sua: crebbe più tosto
Il suo furore; e lo rimedio stesso
Gli aggravò | male. Ei, come pria poteo 90
Formar parola, in tal guisa rispose :
Nulla per conto mio di me ti caglia’,
Signor benigno: anzi, ti prego, in grado
Prendi ch'io per la lode e per l'onore
Patteggi con la morte. Ed anch’ io, Padré, 93
Ho le mie mani; ed anco il ferro mio
Ha taglio e punta, e fa ferita e sangue.
Non sempre avrà, cred'io, la madre a canto,
Che di nube lo copra e lo trafugga
Come vil femminella, e di van' ombre 100
Seco s'involva. E, ciò detto, si tacque,
Ma la regina de l'audace impresa
Dividit. Haudquaquam dictis violentia Turni — 45
Flectitur: exsuperat magis, aegrescitque medendo.
Ut primum fari potuit, sic institit ore:
Quam pro me curam geris, hanc precor ,optime,pro me
Deponas, letumque sinas pro laude pacisci.
Et nos tela, pater, ferrumque haud debile dextra
Spargimus, et nostro sequitur de vulnere sanguis.
Longe illi Dea mater erit, quae nube fugacem
F'eminea tegat, et vanis sese occulat umbris,
At regina, nova pugnae conterrita sorte,
LIBRO DUODECIMO 401
Del genero dolente e spaventata,
Piangendo, e per angoscia a morte giunta,
Lo tenea, lo pregava, e gli dicea: 105
Turno, per queste lagrime, per quanto
T'é, se pur t'è, de l'infelice Amata
L’onor, l' amore e la salute in pregio;
(Già che tu sola speme, e sol riposo
Sei de la mia vecchiezza: a te s' appoggia, 110
In te si fonda di Latino il regno,
E la sua dignitade, e la sua casa
Che ruina minaccia) in don ti chieggio,
Astienti di venir co’ Teucri a l’ arme;
Chè qualunque ne segua avverso caso 115
Sopra me cade. Ch' io teco di vita
Uscirò pria che mai suocera o serva
Io mi veggia d'Enea. Queste parole
De la madre sentì Lavinia virgo,
Di rugiadose ‘lagrime e d' un foco 120
Flebat, et ardentem generum moritura tenebat: 55
Turne, per has ego te lacrimas, per si quis Amatae
Tangit honos animum: (spes tu nunc una, senectae
Tu requies miserae; decus imperiumque Latini
Te penes; in te omnis domus inclinata recumbit)
Unum oro, desiste manum committere Teucris. 6o
Qui te cumque inanent isto certamine casus,
Et me, Turne, manent: simul haec invisa relinquam
Lumina, nec generum /Enean captiva videbo.
"ccepit vocem lacrimis Lavinia matris,
Eneide Vol. II DI
402 ENEIDE
Di vergineo rossor le guance aspersa,
Qual fóra se di porpora macchiato
Fosse un candido avorio, o che di rose
Si spargessero i gigli. In lei mirando
Il giovine, d' amor non men che d' ira 125
Acceso, a la regina brevemente
Così rispose: Ah! madre mia, ti prego,
In così perigliosa e dura impresa
Non mi far col tuo pianto e col tuo duolo
Sinistro annunzio. Ché s' a Turno è dato 130
Che muoia , in suo poter più non è posto
Che di morire indugi. Indi a l’ araldo
Rivolto, Va’, gli disse, e da mia parte
Quest’ ingrata e spiacevole imbasciata
Porta al frigio tiranno , che dimsne 135
Tosto che fia la ruhiconda Aurora
Flagrantes perfusa genas, cui plurimus ignem 65
Subiecit rubor, et calefacta per ora cucurrit.
Indum sanguineo veluti violaverit ostro
Si quis ebur, aut mixta rubent ubi lilia multa
Alba rosa: tales virgo dabat ore colores.
Illum turbat amor, figitque in virgine vultus; 70
Ardet in arma magis, paucisque affatur Amatam:
Ne, quaeso, ne me lacrimis, neve omine tanto
Prosequere in duri certamina Martis euntem,
O mater: neque enim T'urno mora libera mortis.
Nuntius haec Idmon phrygio mea dicta tyranno 45
Haud placitura refer: Quum primum crastina caelo
LIBRO DUODECIMO 403
A l' oriente apparsa, i Teucri suoi
Contr' a Rutuli addur più non s! affanni.
Stiensi l’ armi de’ Rutuli e de’ Teucri
Per mio conto in riposo. Chè tra noi . 140
Col nostro sangue a difinir la guerra,
E di Lavinia le bramate nozze
In su quel campo a procurarci avemo.
Detto così, vér la magion s' invia
Rapidamente; addur si face avanti 145
I suoi cavalli, e le fattezze e ’l fremito
Notando, se ne gode, e ne concepe
Speme e vittoria; ché di razza usciti
Eran già d' Orizía, da cui Pilunno ,
Ebbe giumente e corridori in dono, 150
Che di candor la neve, e di prestezza
Superavano il vento. Avean d' intorno
I valletti e gli aurighi che palpando,
Forbendo e vezzeggiando, in varie guise
Puniceis invecta rotis Aurora rubescit;
Non Teucros agat in Rutulos. Teucrim arma
quiescant,
Et Rutul m: nostro dirimatur sanguine bellum:
Illo quaeratur coniux Lavinia campo. . 8o
Haec ubi dicta dedit, rapidusque-in tecta recessit,
Poscit equos, gaudetque tuens ante ora frementes;
Pilumno quos ipsa decus dedit Orithyia,
Qui candore nives anteirent, cursibus auras.
Circumstant properi aurigae, manibusque lacessunt
404 0 ENEIDE
Gli facean lieti, baldanzosi e fieri. 155
Fatte poscia venir l' armi, si veste
La sua corazza d' oricalco e d' oro,
E dentro vi s' adatta e vi si vibra
Con la persona. Imbracciasi lo scudo,
Provasi l’ elmo; e la vermiglia cresta 160
Squassando , il brando impugna, il fido brando
Da lo stesso Vulcano al padre Dauno
Temprato in Mongibello a tutte prove.
Al fine un' asta poderosa e grave,
Cl’ appo un’ alta colonna era appoggiata — 165
In mezzo de la casa, in man si pianta,
Spoglio d' Attóre Aurunco. E poichè l’ ebbe
‘ Brandita e scossa, Asta, gridando disse,
Ch’ a le mie fazioni unqua non fosti
Chiamata indarno, ora al maggior bisogno 170
Da te soccorso imploro. Il grande Attóre
Pectora plausa cavis, et colla comantia pectunt.
Ipse dehinc auro squalentem, alboque orichalco
Circumdat loricam humeris : simul aptat habendo
Ensemque clypeumque et rubrae cornua cristae;
Ensem, quem Dauno ignipotens Deus ipse parenti
' Fecerat, et stygia candentem tinxerat unda.
Exin, quae mediis ingenti annixa columnae
JEdibus adstabat, validam vi corripit hastam,
Actoris aurunci spolium; quassatque trementem,
Vociferans: Nunc, o numquam frustrata vocatus
Hasta meos, nunc tempus adest: te maximus Actor,
LIBRO DUODECIMO 405
Armasti in prima, or sei di Turno in mano.
Dammi che ’l corpo atterri , e la corazza
Dischiodi, e ’l petto laceri e trapassi
Di questo frigio effeminato eunuco . 175
Dammi che ’Î profumato, inanellato ,
Col ferro attorcigliato zazzerino
Gli scompigli una volta, e ne la polve
Lo travolga e nel sangue. In cotal guisa
Dicendo, infuriava, ardea nel volto, 180
Scintillava ne gli occhi, orribilmente
Fremea, qual mugghia il toro allor che irato
Si prepara a battaglia, e l' ira in cima
Si reca de le corna: indi !' arruota
A qualche tronco, e’l tronco e l' aura in prima 185
Ferendo, alto co’ piè sparge l’ arena,
E del futuro assalto i colpi impara.
Da l’altro canto Enea, non men feroce
Te Turni nunc dextra gerit. Da sternere corpus,
Loricamque manu valida lacerare revulsam
Semiviri phrygis, et foedare in pulvere crines
V'ibratos calido ferro myrrhaque madentes. 100
His agitur furiis: totoque ardentis ab ore
Scintillae absistunt: oculis micat acribus ignis.
Mugitus veluti quum prima in praelia taurus
Terrificos ciet, atque irasci in cornua tentat,
Arboris obnixus trunco, ventosque lacessit 105
Ictibus, et sparsa ad pugnam proludit arena.
Nec minus interea maternis saevus in armis
406 ENEIDE
Ne } armi di sua madre, al fiero Marte
S' inanima e s' accinge, e del partito 190
Che gli era per compor la guerra offerto,
Si rallegra, l' accetta; e i suoi compagni
E ’lsuo figlio assicura , or di sé stesso
La franchezza mostrando, or le venture
De' fati raminentando e le promesse . 199
Indi con la risposta al re Latino
Manda chi la disfida e'l patto accetti,
E del patto i capitoli e le leggi
Stabilisca e confermi. Era de’ monti
In su la cimaa pena il sole apparso 200
De l'altro giorno, allot che i suoi destrieri
Sorgon da l' onde, e con le nari in alto
Fiamme anelando , il mondo empion di luce;
Quando nel campo i Rutuli discesi
E i Teucri insieme, sotto a l' alte mura 205
Fabbricàr lo steccato, a cui nel mezzo
Eneas acuit Martem, et se suscitat ira,
Oblato gaudens componi foedere bellum.
T'um socios, moestique metum solatur Iuli, 110
Fata docens; regique iubet responsa Latino
Certa referre viros, et pacis dicere leges. '
Postera vix summos spargebat lumine montes
Orta dies, quum primum alto se gurgite tollunt
Solis equi, lucemque elatis naribus efflant: 115
Campum ad certamen magnae sub moenibus urbis
Dimensi rutulique iri, teucrique parabant;
LIBRO DUODECIMO 407
I fochi e l' are di gramigna asperse
Furo a gli Dei d' ambe le parti eretti
Comunemente ; e d’ ambi i sacerdoti
Di bianco lino involti, e di verbena 210
Cinti le tempie, andaro altri con.l’ acqua,
Altri con le facelle intorno accese .
Poscia ecco de gli Ausoni da l’ un canto
A piene porte l’ ordinate schiere
Uscir da la città di picche armate; 215
Da l'altro de Troiani e de’ Tirreni
Gir l’ esercito tutto in varie guise
D' abiti e d' armi; e questi incontro a quelli
Non altramente ch’ a battaglia instrutti.
Fra mezzo a tante mila i condottieri 220
Ciascun da la sua parte si vedea
Gir d’ oro e d’ ostro alteramente adorni.
E'l gran Memmo con questi e ’l forte Asila,
E Messapo con quelli, de’ cavalli
In medioque focos, et Dis communibus aras
Gramineas: alii fontemque ignemque ferebant,
Velati lino, et verbena tempora vincti. 120
Procedit legio Ausonidim, pilataque plenis
"Agmina se fundunt portis. Hinc troius omnis,
T'yrrhenusque ruit variis exercitus armis;
Haud secus instructi ferro, quam si aspera Martis
Pugna vocet. Nec non mediis in millibus ipsi 125
Ductores auro volitant ostroque decori,
Et genus Assaraci Mnestheus, et fortis Asylas,
408 ENEIDE
Il domatore e di Nettuno il figlio . 225
Poscia che, dato il segno, ebbe ciascuno
Chi di qua chi di là preso il suo loco,
Piantàr le lance, dechinàr gli scudi.
Le donne, i vecchi, i putti e ’l volgo inerme
Di veder desiosi, altri in su’ tetti, — 230
Altri in-.su’rivellini. e'n su le torri
Stavan mirando. E. non dal campo lunge
Sedea Giuno in un colle, Albano or detto,
Ch' allor :né. d' Alba .il nome avea, né "l pregio,
Né 1 sacrifici. In questo monte assisa 235
Vedea de' Láurenti e de’ Troiani
L/ accolte: genti, e: di Latino il seggio.
Ivi la Dea di Turno -a la sirocchia,
Che Dea de’ laghi era e de’ fiumi anch’ ella,
Et Messapus equum domitor, neptunia proles.
Utque dato signo spatia in sua quisque recessit,
Defigunt tellure hastas, et scuta reclinant. 130
Tum studio effusae matres, et vulgus inermum,
Invalidique senes, turres et tecta domorum
Obsedere; alii portis sublimibus adstant.
At Iuno e summo (qui nunc albanus habetur,
T'um neque nomen erat, nec honos, aut gloria monti)
Prospiciens tumulo, campum adspectabat, et ambas
Laurentum Troumque acies, urbemque Latini.
Extemplo: Turni sic est affata sororem,
Diva Deam, stagnis quae fluminibusque sonoris
Praesidet; hunc illi rex aetheris altus honorem 140
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LIBRO DUODECIMO 409
(Privilegio che Giove allor le diede 240
Che de la pudicizia il fior le tolse)
Disse così: Ninfa, de' fiumi onore,
Sovr' ogni Ninfa a me gioconda e cara,
Tu sai come te sola ho preferita
A tutte l’altre, che di Giove in Lazio 245
L’ ingrato letto han di salire osato;
E come volentier del cielo a parte
Meco t ho posta. Ascolta i tuoi dolori,
Perchè di me dolerti unqua non possa.
Finchè di Lazio la fortuna e ’l fato 250
Me l han concesso, io prontamente e Turno
E la tua terra e i tuoi sempre ho difeso.
Or veggio questo giovine a duello
Con disegual destino esser chiamato :
Veggio il dì de la Parca e la nemica 25
Forza che gli è vicina. Io questo accordo,
Questa pugna veder con gli occhi miei
Juppiter erepta pro virginitate sacravit:
Nympha, deous fluviorum, animo gratissima nostro,
Scis, ut te cunctis unam, quaecumque latinae
Magnanimi Iovis ingratum adscendére cubile,
Praetulerim, caelique libens in parte locarim: 145
Disce tuum, ne me incuses, Iuturna, dolorem.
Qua visa est fortuna pati, Parcaeque sinebant
Cedere res Latio, Turnum et tua moenia texi.
Nunc iuvenem imparibus video concurrere fatis,
Parcarumque dies, et yis inimica propinquat, — 150
Eneide Zool. I 52
cosa' ardisci
cx. ora è mestiero
TN si percosse.
[i h:non è tempo — 265
91a; e da la morte
, e te n'affido. 270
yr trafitta .
"Xiegi intanto;
"S
TI oculis, non foedera
if aesentius audes,
Ts meliora sequentur.
iplis Iuturna profudit,
fetus percussit honestum.
|i mentis. 160
UT EE
LIBRO DUODECIMO 401
Latino il primo, alto in un carro assiso,
Che da quattro suoi nitidi corsieri 275
Di gran macchina in guisa era tirato,
E, di dodici raggi il fronte adorno,
Del Sole, avo di lui, sembianza avea.
Turno traean due candidi destrieri,
Con due suoi dardi in mano, agili e forti. 280
Enea, de la romana stirpe autore,
Con l’armi sue celesti e con lo scudo
Che dianzi da le stelle era venuto,
Uscio da l' altro canto, e seco a pari
Ascanio il figlio suo, de la gran Roma 28:
La seconda speranza. A mano a mano
Il sacerdote in pura veste involto
Anzi a gli accesi altari il nuovo parto
D' una setosa porca, ed una agnella
Ancor non tosa al sacrificio addusse ; 200
E vólti a l' oriente, in atto umile
wt
Quadriiugo vehitur curru, cui tempora circum
Aurati bis sex radii fulgentia cingunt,
»-olis avi specimen: bigis it Turnus in albis,
Dina manu lato crispans hastilia ferro. 165
Hinc pater /Eneas, romanae stirpis origo,
Sidereo flagrans clypeo et caelestibus armis,
. Et iuxta Ascanius, magnae spes altera Romae)
Procedunt castris, puraque in veste sacerdos
Setigerae fetum suis, intonsamque bidentem 170
Attulit, admopitque pecus flagrantibus aris.
412 ENEIDE
S' inchinàr tutti; e vino e farro e sale
Sparser d' ambe le parti; ambe col ferro,
Sì com’ era uso, a le devote belve
Segnàr le tempie. Allor il padre Enea 295
Strinse la spada, e, gli occhi al ciel rivolti,
Così disse pregando: Io questo Sole
Per testimone invoco e questa terra,
Per cui tanti ho fin qui sofferti affanni:
Invoco te, celeste, onnipotente , 300
Eterno Padre, e te, Saturnia Giuno,
Già vér me più benigna, e ben ti prego
Che mi sii tale, e te gran Marte invoco,
Ch’ a l'armi imperi; e voi fonti, e voi fiumi,
E voi tutti del mar, tutti del cielo 305
Numi possenti; e vi prometto e giuro
Che se Turno per sorte è vincitore
Jlli ad surgentem conversi lumina solem
Dant fruges manibus salsas, et tempora ferro
Summa notant pecudum, paterisque altaria libant.
Tum pius "Eneas stricto sic ense precatur: 179
Esto nunc Sol testis, et haec mihi T'erra vocanti,
Quam propter tantos potui perferre labores:
Et pater omnipotens, et tu, saturnia Iuno,
Jam melior , iam, Diva, precor; tuque, inclyte Mavors,
Cuncta tuo qui bella, pater, sub numine torques ;
Fontesque, l'lueiosque voco, quaeque JEtheris alti
Religio, et quae caeruleo sunt Numina ponto:
Cesserit ausonio si fors victoria Turno;
LIBRO DUODECIMO 413
Di questa pugna, il successor del vinto
Gli cederà; ch’ a la città d' Evandro
Si ritrarrà; che mai poscia ribelle 310
Non gli sarà: che guerra, o lite o sturbo
Alcun altro più mai non gli farà.
Ma se piuttosto, come io prego, e come
Spero che mi succeda, al nostro Marte
La dovuta vittoria non sifroda; — 319
Io non vo' già che gl’ Itali soggetti
Siano a’ miei Teucri, né d' Italia io solo
Tener l’ impero: io vo’ ch’ ambi del pari
Questi popoli invitti aggian tra loro
Governo, e leggi eguali, e pace eterna. — 320
A me basta ch'io dia ricetto e culto
A' miei Numi, a' miei Teucri, e sia Latino
Suocero mio, del suo regno e de l' armi
Signor, rettore, e donno; lo poscia altrove
Altre mura ergerommi, e de’ miei stessi — 325
Convenit, Evandri victos discedere ad urbem:
Cedet Iulus agris; nec post arma ulla rebelles 185
ZEneadae referent, ferrove haec regna lacessent.
Sin nostrum annuerit nobis victoria Martem,
Ut potius reor, et potius Di numine firment,
Non ego nec Teucris Italos parere iubebo,
Nec mihi regna peto: paribus se legibus ambae 190
Invictae gentes aeterna in foedera mittant.
Sacra Deosque dabo: socer arma Latinus habeto,
Imperium solemne socer: mihi moenia Teucri
415 RNEIDE
Fien le fatiche, e di Lavinia il nome.
Cosi pria disse Enea: cosi Latino
Seguitó poi con gli occhi e con la destra
Al ciel rivolto, Ed io giuro, dicendo,
Le stesse Deità, la terra, il mare, 33o
. Le stelle, di Latona ambi i Gemelli,
Di Giano ambe le fronti , il chiuso centro,
E la gran possa degl inferni Dii.
Odami di là su l’ eterno Padre,
Che fulminando stabilisce e ferma 333
Le promesse e gli accordi. I Numi tutti
Chiamo per testimoni: e tocco l' ara,
E tocco il foco, e questa pace approvo
Dal canto mio. Nè mai, che che si sia
Di questa pugna, nè per forza alcuna, 3 {o
Né per tempo sarà ch’ ella si rompa
Di voler mio, non se la terra in acqua
Constituent, urbique dabit Lavinia nomen.
Sic prior /Eneas; sequitur sic deinde Latinus, 195
Suspiciens caelum, tenditque ad sidera dextram:
Haec eadem, /Enea, Terram, Mare, Sidera, iuro,
Latonaeque genus duplex, lanumque bifrontem,
Vimque Dem infernam, et duri sacraria Ditis:
Audiat haec genitor, qui foedera fulmine sancit;
Tango aras; medios ignes et Numina testor:
Nulla dies pacem hanc ftalis, nec foedera rumpet,
Quo res cumque cadent: nec me vis ulla volentem
Avertet; non, si tellurem effundat in. undas,
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LIBRO DUODECIMO 415
Si dileguasse , non se "l ciel cadesse
Ne l' imo abisso : così come ancora
Questo mio scettro (chè lo scettro in mano 345
Avea per sorte) più nè frorida mai
Né virgulto farà, poichè reciso
Dal vivo tronco, o:da radice svelto
Mancó di madre, e già d' arbore ch'era,
Sfrondato, diramato e secco legno 350
Di già venuto, e d'oricalco adorno, ©
E per man de l’ artefice ridotto
In questa forma, e per quest’ uso in mano
De i re Latini è posto. In cotal guisa
Fermati i patti, e l' ostie in mezzo addotte, 355
Tra i più famosi, anzi a l’accese fiamme
Le svenàr, le smembràr, le svisceraro.
E sì com'eran palpitanti e vive,
Le fibre ne spiàr, le diero al foco,
di
Diluvio miscens, caelumve in Tartara solvat: — 205
Ut sceptrum hoc (dextra sceptrum nam forte gerebat)
Numquam fronde levi fundet virgulta, nec umbras,
Quum semel in silvis imo de stirpe recisum
Matre caret, posuitque comas et brachia ferro;
Olim arbos, nunc artificis manus aere decoro — 210
Inclusit, patribusque dedit gestare latinis. ——
Talibus inter se firmabant foedera dictis,
Conspectu in medio procerum. Tum rite sacratas
In flammam iugulant pecudes, et viscera vivis
Eripiunt, cumulantque oneratis lancibus aras. 215
416 ENEKIDE
N’ empiér le quadre, e ne colmár gli altari. 360
Di già disvantaggioso e diseguale
Questo duello a’ Rutuli sembrava;
E già vari bisbigli, e vari moti
N' eran tra loro; e com’ più sanamente
Si rimirava, più di forze impàri 365
Si vedea Turno; ed egli stesso indizio
Ne dié, che lento e tacito e sospeso
Entrò nel campo. E come ancor di pelo
Avea le guance lievemente asperse,
Orando anzi a l' altar pallido il volto 370
Mostrossi , e chino il fronte, e grave il ciglio.
Tale una languidezza rimirando,
E tal del volgo un susurrare udendo
Giuturna sua sorella, infra le schiere
Gittossi, e di Camerte il volto prese. 375
D' alto legnaggio, di valor paterno,
E di propria virtute era Camerte
ift vero Rutulis impar ea pugna videri
Jamdudum, et vario misceri pectora motu:
Tum magis, ut propius cernunt, non viribus aequis.
Adiuvat incessu tacito progressus, et aram
Suppliciter venerans, demisso lumine, Turnus, 220
Tabentesque genae, et iuvenali in corpore pallor.
Quem simul ac Iuturna soror crebrescere vidit
Sermonem, et vulgi variare labantia corda,
In medias acies formam assimulata Camerti;
Cui genus a proavis ingens, clarumque paternae
LIBRO DUODECIMO 417
Famoso infra la gente. E tal sembrando,
Già de gli animi accorta, iva Giuturna
Rumor diversi e tai voci spatgendo: 380
Ahi! che vergogna, che follia , che fallo,
Rutuli, è '] nostro, che per tanti e tali
Sola un alma s' arrischi? Or siam noi forse
Di numero a’ nemici inferiori,
O d'ardir o di forze ? Ecco qui tutti ‘380
Accolti i Teucri e gli Arcadi e gli Etruschi
Che sono anco per fato a Turno infensi.
A due di noi contra un di loro a mischia
Che si venisse, di soverchio ancora
Fórano i nostri. Ei che per noi combatte, 390
Ne sarà fra gli Dei, cui s' è devoto,
In ciel riposto; e qui tra noi famoso
Viverà sempre. Ma di noi che fia,
Ch' or ce ne stiam si neghittosi a bada ?
Nomen erat virtutis, et ipse acerrimus armis;
In medias dat sese acies, haud nescia rerum,
Rumoresque serit varios, ac talia fatur:
Non pudet, o Rutuli, pro cunctis talibus unam
Obiectare animam? numerone, an viribus aequi 230
Non sumus? En, omnes et (Troes et Arcades hi sunt,
* Fatalisque manus, infensa Etruria Turno. *
Vix hostem, alterni si congrediamur, habemus.
Ille quidem ad Superos, quorum se devovet aris,
Succedet fama, vivusque per ora feretur: 235
Nos, patria amissa, dominis parere superbis
Eneide 7^ol. II 53
418 ENEIDE
La patria perderemo? e da stranieri, 395
E da superbi in servitute addotti,
Preda e scherno d' altrui sempre saremo?
Da questo dir la gioventù commossa
Via più s' accende, e ’l mormorio serpendo
Più cresce per le squadre. Onde i Latini — 4oo
E gli stessi Laurenti, che pur dianzi
Di pace eran sì vaghi e di quiete,
Pensier cangiando e voglie, or l’ arme tutti
Gridano, tutti pregan, che l’ accordo
Sia per non fatto; e tutti han de l' iniqua 405
Sorte di Turno ira, pietate e sdegno.
In questa ecco apparir ne l' aria un mostro
Per opra di Giuturna, onde turbati
E dal primo proposito distolti
Fur da vantaggio de’ Latini i cuori. 410
Videsi per lo lito e per lo cielo
Cogemur, qui nunc lenti consedimus arvis.
Talibus incensa est iuvenum sententia dictis,
Jam magisatquemagis; serpitqueper agminamurmur.
Ipsi Laurentes mutati, ipsique Latini, 240
Qui sibi iam requiem pugnae, rebusque salutem
Sperabant, nunc arma volunt, foedusque precantur
Infectum, et Turni sortem miserantur iniquam.
His aliud maius Iuturna adiungit, et alto
Dat signum caelo; quo non praesentius ullum 245
Turbavit mentes italas, monstroque fefellit.
Iamque yolans rubra fulvus Iovis ales in aethra
LIBRO DUODECIMO 419
Di roggio asperso un di palustri augelli
Impaürito e strepitoso stuolo.
Dietro un’ aquila avea, ch’ a mano a mano
Giuntolo de lo stagno in su la riva, 415
Un cigno ne ghermì ch'era di tutti
Il maggiore e ’1 più bello. A cotal vista
Gli occhi e gli animi alzàr Y itale squadre;
E gli augei, che pur dianzi erano in fuga,
(Mirabile, a vedere!) in un momento 420
Stridendo si rivolsero, e ristretti
In densa nube, ond’ era il ciel velato,
La nimica assaliro. E sì d' intorno
La cinser, l' aggiràr, l' attraversaro,
Ch’ a cielo aperto, u' dianzi erano in fuga, 425
Le fér gabbia, ritegno e forza, al fine
Che, gravata dal peso e stretta e vinta,
De la lena mancasse e de la preda.
Il cigno dibattendosi, da l' ugne
Sovra l' onde gli cadde; ed ella scarca, 430
Litoreas agitabat aves, turbamque sonantem
Agminis aligeri; subito quum lapsus ad undas
Cycnum excellentem pedibus rapit improbus uncis.
Arrexere animos Itali, cunctaeque volucres
Convertunt clamore fugam, (mirabile visu)
4Etheraque obscurant pennis, hostemque per auras
F'acta nube premunt: donec vi victus, et ipso
Pondere defecit, praedamque ex unguibus ales 255
Proiecit fluvio, penitusque in nubila fugit.
420 ENEIDE
Da la turba fuggendo, al cielo, alzossi.
I Rutuli a tal vista con le grida
Salutàr pria l’ augurio; indi a la pugna
Si prepararo. E fu Tolunnio il primo,
Ch’ augure, incontro al patto anzi a le schiere 435
Si spinse armato, e disse: Or questo è, questo
Ch’ io desiava; e questo è quel ch’ io cerco
Ho ne’ mici voti. Accetto e riconosco
Il favor de gli Dei. Me, me seguite,
Rutuli miei. Con me l'armi prendete 440
Contro al malvagio che di strana parte
Venuto con la guerra a spaventarci,
Ha voi per vili augelli, e i vostri lidi
Così scorre e depreda. Ma ritolto
Questo cigno gli fia; di nuovo al mare 445
In fuga se n' andrà. Voi combattendo
In guisa de la pria fugace torma,
Ristringetevi insieme, e riponete
Il vostro re, che v'è rapito, in salvo.
Tum vero augurium Rutuli clamore salutant,
Expediuntque manus: primusque Tolumnius augur,
Hoc erat, hoc votis, inquit, quod saepe petivi;
Accipio, agnoscoque Deos; me, me duce ferrum 260
Corripite, o miseri, quos improbus advena bello
Territat, invalidas ut aves, et litora vestra
Vi populat: petet ille fugam, penitusque profundo
Vela dabit. Vos unanimi densate catervas,
Et regem vobis pugna defendite raptum. 265
LIBRO DUO DECIMO 421
Detto così, spinse il destriero, e trasse 450
Contro a’ nemici. Andò stridendo e dritto
L' aura secando il fulminato dardo;
E insieme udissi col suo rombo un grido,
Che insino al ciel, de’ Rutuli, sentissi.
Insieme scompigliossi il campo tutto,
Turbàrsi i petti, ed infiammàrsi i cuori.
L' asta volando giunse ove a rincontro
Nove fratelli eran per sorte accolti ,
Che tutti d'una sola etrusca moglie
Da Y arcadio Gilippo eran creati. | 460
Un di lor ne colpì là ’ve per mezzo
Il cinto s' attraversa, e con la fibbia
S' afferra al fianco. lvi tra costa e costa
Penetrando, altamente lo trafisse,
E morto in su l' arena lo distese. 465
Questi il più riguardevole ne l' armi
Era degli altri, e ’] più bello el più forte.
a
Ct
Qt
Dixit, et adversos telum contorsit in hostes
Procurrens: sonitum dat stridula cornus, et auras
Certa secat: simul hoc, simul ingens clamor, et omnes
Turbati cunei, calefactaque corda tumultu.
Hasta volans, ut forte novem pulcherrima fratrum
Corpora constiterant contra , quos fida crearat
Una tot arcadio coniux tyrrhena Gylippo;
Horum unum, ad medium, teritur qua sutilis alvo
Balteus, et laterum iuncturas fibula mordet,
Egregium forma iuyenem, et fulgentibus armis,
422 ENEIDE
E gli altri, come tutti eran feroci,
Dal dolore infiammati, incontanente
Chi la spada impugnó, chi prese il dardo; 470
E contra il feritor tutti in un tempo,
Come ciechi, avventàrsi. Incontro a loro
Si mosser de’ Laurenti e de’ Latini
Le genti a schiere, e d' altro lato a schiere
Spinsero i Teucri e gli Arcadi e gli Etrusci. 475
Così d'armi e di sangue uguale ardore
Surse d' ambe le parti; e l' are e 1 foco,
Ch'eran di mezzo, e l'ostie e le patene
N'andàr sossopra; e tal di ferri e d'aste
Denso levossi e procelloso un nembo, 430
Che ’] Sol se n'oscuró, sangue ne piovve.
Grida e fugge Latino, e i numi offesi
Se ne riporta, e detestando abborre
Il violato accordo. Armasi intanto
Transadigit costas, fulvaque effundit arena.
At fratres, animosa phalanx, accensaque luc tu,
Pars gladios stringunt manibus, pars missile ferrum
Corripiunt, caecique ruunt: quos agmina contra
Procurrunt Laurentum. Hinc densirursus inundant
Troes Agyllinique, et pictis Arcades armis.
Sic omnes amor unus habet decernere ferro.
Diripuere aras; it toto turbida caelo
Tempestas telorum, ac ferreus ingruit imber;
Craterasque focosque ferunt. Fugit ipse Latinus
Pulsatos referens infecto foedere Divos.
LIBRO DUODECIMO 423
Il campo tutto; e chi frena i destrieri, 485
Chi ’1 carro appresta; e già con l'aste basse,
E con le spade ad investir si vanno.
Messapo desioso che l’accordo
Si disturbasse, incontro al tosco Auleste
Che, come re, di real fregi adorno 490
E d'ostro, al sacrifizio era assistente,
Spinse il cavallo, e spaventollo in guisa
Che mentre si ritragge infra gli altari
Ch'avea da tergo, urtando, si travolse.
Messapo con la lancia incontanente 495
Gli si fe'sopra, e si com'era in atto
Di supplicarlo, il petto gli trafisse.
Cosi ben va, dicendo: or a'gran numi
Porco piü grato e miglior ostia cadi.
Cadde il meschino, e fu spirante e caldo ^ 5oo
Sovraggiunto da gl'Itali, e spogliato.
Infrenant alii currus, aut corpora saltu
Subiiciunt in equos, et strictis ensibus adsunt.
Messapus regem, regisque insigne gerentem,
Tyrrhenum Aulesten, avidus confundere foedus ,
Adverso proterret equo: ruit ille recedens,
Et miser oppositis a tergo involvitur aris
In caput, inque humeros: at fervidus advolat hasta
Messapus, teloque orantem multa trabali
Desuper altus equo graviter ferit, atque ita fatur:
Hoc habet, haec melior magnis data victima Divis.
Concurrunt Itali, spoliantque calentia membra.
424 ENEIDE
Die Corinéo per un gran tizzo a l’ara
Di piglio; e si com'era ardente e grave,
Ad Ebuso che incontro gli venía,
Nel volto il fulminó. Schizzonne insieme
Il foco e ’1 sangue; e di baleno in guisa
Un lampo ne la barba gli refulse
Che dié d'arsiccio odore. Indi gli corse
Sopra senza ritegno; e qual trovollo
Da la percossa abbarbagliato e fermo,
L'afferró per la chioma, a terra il trasse,
Col ginocchio lo strinse, e col trafiere
Gli passò "| fianco. Podalirio ad Also
Pastor, che fra le schiere infuriava,
S'aflilò dietro; e già col brando ignudo
Gli soprastava, aller ch’Also rivolto
La gravosa bipenne, ond' era armato,
Gli piantò ne la fronte, e ’nsino al mento
Il teschio gli spartì, l'armi gli sparse
Obvius ambustum torrem Corynaeus ab ara
Corripit, et venienti Ebuso, plagamque ferenti
Occupat os flammis: olli ingens barba reluxit,
Nidoremque ambusta dedit; super ipse sequutus
Caesariem laeva turbati corripit hostis,
Impressoque genu nitens terrae applicat ipsum:
Sic rigido latus ense ferit. Podalirius Alsum
Pastorem, primaque acie per tela ruentem,
Ense sequens nudo super imminet : ille securi
Adversi frontem mediam mentumque reducta
510
300
305
LIBRO DUODECIMO 429
Tutte di sangue: ond'ei cadde, e le luci 520
Chiuse al gran buio ed al perpetuo sonno.
Enea senz’ elmo in testa, infra le genti
La disarmata destra alto levando,
E discorrendo, e richiamando 1 suoi ,
Dove, dove ne gite? che tumulto, 525
Dicea, che furia, che discordia è questa
Così repente? Oh trattenete l'ire;
Oh non rompete. Il patto è stabilito:
L'accordo è fatto. Solo a me concesso
È ch'io combatta. A me sol ne lasciate 530
La cura e] carco. Io, non temete, io solo
Il patto vi ratifico e vi fermo
Con questa sola destra; e Turno a morte
Di già mi sì promette, e mi si deve
Da questi sacrificii. In questa guisa 53
Gridava il Teucro Duce; ed ecco intanto
wt
Disticit, et sparso late rigat arma cruore.
Olli dura quies oculos et ferreus urget
Somnus, in aeternam clauduntur lumina noctem.
At pius /Eneas dextram tendebat inermem
Nudato capite, atque suos clamore vocabat:
Quo ruitis? quaeve ista repens discordia surgit?
O cohibete iras! ictum iam foedus ,.et omnes
Compositae leges: mihi ius concurrere soli: — 315
Me sinite, atque auferte metus: ego foedera faxo
Firma manu: Turnum iam debent haec mihi sacra .
Has inter voces, media inter talia verba,
Eneide 77ol. Il 54
426 ENEIDE
Venir d' alto stridendo saetta;
Non si sa da qual mano, o da qual arco
Si dipartisse. O caso, o Dio che fosse
Che tanta lode a' Rutali prestasse , 540
L'onor se ne celò, né mai s' intese
Chi del ferito Enea vanto si desse.
Turno, poichè dal campo Enea fu tratto,
E turbar vide i suoi, di nuova speme
S'accese, e gridò l'armi, e sopra al carro 545
D'un salto si lanció, spinse i cavalli
Infra' nemici, e molti a morte dienne ,
Molti né sgominó, molti n'infranse,
E con l'aste, fuggendo, ne percosse.
Qual é de l'Ebro in su la fredda riva 550
Il sanguinoso Marte allor, ch’ entrando
Ecce viro stridens alis alla psa sagitta est,
Incertum qua pulsa manu, quo turbine adacta; 320
Quis tantam Rutulis laudem casusne, Deusne
Attulerit. Pressa est insignis gloria facti:
Nec sese /Eneae iactavit vulnere quisquam.
Turnus, ut /Enean cedentem ex agmine vidit,
T'urbatosque duces, subita spe fervidus ardet; 325
Poscit equos atque arma simul, saltuque superbus
Emicat in currum, et manibus molitur habenas.
Multa virum volitans dat fortia corpora leto:
Semineces volvit multos, aut agmina curru
Proterit, aut raptas fugientibus ingerit hastas. 330
Qualis apud gelidi quum lumina concitus Iebri
LIBRO DUODECIMO 427
* Ne la battaglia, o con lo scudo intuona,
O fulmina con l'asta, e 1 suoi cavalli
Da la furia e da lui cacciati e spinti
Ne van co' venti a gara, urtando i vivi, 55
E calpestando i morti; e fan col suono
De piè fino a gli estremi suoi confini
Tremar la Tracia tutta, e van cou essi
Lo spavento, il timor, l’insidie e l'ire,
Del bellicoso Iddio seguaci eterni: 560
In cosi fiera e spaventosa vista
Se ne gía Turno, la campagna aprendo,
Uccidendo, insultando, e di nemici
Miserabil ruina e strage e strazio
Or con l'armi facendo, or co destrieri, 565
Che sudanti, fumanti e polverosi,
Spargean di sangue e di sanguigna arena
Con le zampe, e con l’ugne un nembo intorno.
Sténelo, ne l'entrar, Tamiro e Polo
GI
Sanguineus Mavors clypeo increpat, atque furentes,
Bella movens, immittit equos: illi aequore aperto
Ante Notos Zephyrumque volant: gemit ultima pulsu
T'hraca pedum, circumque atrae formidinis ora, 335
Jraeque, Insidiaeque, Dei comitatus, aguntur.
J'alis equos alacer media inter praelia Turnus
Fumantes sudore quatit, miserabile caesis
Hostibus insultans : spargit rapida ungula rores
Sanguineos, mixtaque cruor calcatur arena. 340
Jamque neci Sthenelumque dedit, T'hamirimque Pho-
lumque,
-
rc MÀ n ——À—À—
428 ESEIDE
Condusse a morte; i due primi da presso, 570
L'ultimo da lontano. E da lunge anco
Glauco percosse e Lado; i due famosi
Figli d'Imbràso , ne la Licia nati,
Da lui stesso nutriti, e parimente
A cavalcare e guerreggiare instrutti. 575
Da l’altra parte Eumede, il chiaro germe
De l'anüco Dolone. Il nome avea
Costui de l'avo, e l'ardimento e i fatti
Seguía del padre, che de’ Greci il campo
Spiare osando, osò d'Achille ancora 580
In premio de l'ardir chiedere il carro.
Ma d'altro che di carro premiollo
ll figlio di Tidéo; né però degno
D' un tanto guiderdone unqua si tenne.
Hunc congress us et hunc; illum eminus: eminus ambo
Imbrasidas Glaucum atque Laden, quos Imbrasus
ipse
Nutrierat Lycia, paribusque ornaverat armis;
Vel conferre manum, vel equo praevertere ventos.
Parte alia media Eumedes in praelia fertur,
Antiqui proles bello praeclara Dolonis,
Nomine avum referens animo manibusque parentem;
Qui quondam, castra ut Danam speculator adiret ,
"Ausus Pelidae pretium sibi poscere currus: | 350
Illum Tydides alio pro talibus ausis
44 ffecit pretio: nec equis adspirat Achillis.
Hunc procul ut campo Turnus prospexit aperto,
LIBRO DUODECIMO 429
Turno, poscia che '| vide (che da lunge — 585
Lo scorse ) con un dardo il giunse in prima:
Indi a terra gittossi : e qual trovollo
Di già caduto e moribondo, il piede^
Sopr'al collo gl’impresse, e ne la strozza
Lo suo stesso pugnal cacciògli , € disse: 590
Troiano ,. ecco l'Italia, ecco i suoi campi,
Che tanto desiasti: or gli misura
Costi giacendo. E questo si guadagna
Chi contra a Turno ardisce; e ’n questa guisa
Si fondan le città. Dietro a costui 592
Bute, e di mano in man Darete. e Cloro
E Sibari e Tersiloco e Timete,
Lanciando, uccise. Ma Timete in terra
Feri, che per sinistro, o per difetto
D' un suo restío cavallo era caduto. Goo
Ante levi iaculo longum per inane sequutus,
Sistit equos biiugis, et curru desilit, atque 359
Semianimi lapsoque supervenit, et, pede collo
Impresso, dextrae mucronem extorquet, et alto
Fulgentem tingit iugulo, atque haec insuper addit:
En agros, et quam bello, Troiane, petisti,
Hesperiam metire iacens: haec praemia, qui me 360
Ferro ausi tentare, ferunt: sic moenia condunt.
Huic comitem Asbuten coniecta cuspide mittit,
Chloreaque, Sybarimque, Daretaque, T'hersilochum-
que,
Et sternacis equi lapsum cervice T'hymoeten.
430 ENEIDE
Qual sopra al grande Egéo sonando scorre
Il tracio Borea, che le nubi e i flutti
Si sgombra avanti; e questi a i lidi, e quelle
A l'orizzonte in fuga se ne vanno;
Tal per lo campo, ovunque si rivolge, Go5
Fa Turno sgominar l' armi e le schiere;
E tal seco ne va furia e spavento,
Che fin anco al cimier morte minaccia .
Fegéo, tanta fierezza e tanto orgoglio
Non sofferendo, al concitato carro Gio
Parossi avanti; e lievemente un salto
Spiccando , con la destra al fren s' appese
Del sinistro corsiero. E sì com'era
Da la fuga rapito e da la forza
Di tutti insieme, insiememente a. tutti 615
( Dal sentier divertendoli, e dal corso)
Facea storpio e disturbo. Ed ecco al fianco
Che da la destra parte era scoperto,
Ac velut edoni Boreae quum spiritus alto 365
Insonat /Egaeo, sequiturque ad litora fluctus.
Qua venti incubuere; fugam dant nubila caelo:
Sic Turno, quacum que viam secat, agmina cedunt,
Conversaeque ruunt acies: fert impetus ipsum,
Et cristam adverso curru quatit aura volantem. 370
Non tulit instantem Phegeus, animisque frementem:
Obiecit sese ad currum, et spumantia frenis
Ora citatorum dextra detorsit equorum.
Dum trahitur , pendetque iugis , hunc lata retectum
LIBRO DUODECIMO 431
Cotal sentissi de la lancia un colpo,
Che la: corazza, ancor che doppia e forte, 620
Stracciógli , e ’n fino al vivo lo trafisse;
Ma di lieve puntura. Ond' ei rivolto ,
E 'mbracciato lo scudo e stretto il brando,
Contra gli s'affilava, e per soccorso
Gridava intanto. Ma le ruote e l’ asse, 625
Ch’ erano in moto, urtandolo, a rovescio
Gittàrlo; e Turno immantinente addosso
Sagliendogli , infra l' elmo e la gorgiera
Il collo gli recise, e dal suo busto
Tronco il capo lasciógli in su l'arena. 630
Mentre cosi vincendo, e d'ogni parte
Con tanta strage il campo trascorrendo
Se ne va Turno; Enea dal fido Acate,
Da Memmo e dal suo figlio accompagnato ,
( Come da la saetta era ferito ) 635
Lancea consequitur, rumpitque infixa bilicem 375
Loricam, et summum degustat vulnere corpus.
Jile tamen clypeo obiecto conversus in hostem
Ibat, et auxilium ducto mucrone petebat :
Quum rota praecipitem, et procursu concitus axis
Impulit, effuditque solo; Turnusque sequutus, 330
Imam inter galeam summi thoracis et oras,
Abstulit ense caput, truncumque reliquit arenae,
dtque ea dum campis victor dat funera Turnus,
Interea /Enean Mnestheus, et fidus Achates,
dscaniusque comes castris statuere cruentum, — 385
432 ENEIDE
Sovr' un'asta appoggiato a lento passo
Verso gli alloggiamenti si ritragge .
Ivi contro a lo stral, contro a sè stesso
S' inaspra , e frange il télo, e di sua mano
Ripesca il ferro. E poiché indarno il tenta, 6jo
Comanda che la piaga gli s' allarghi
Con altro ferro, e d' ognintorno s' apra,
Si che tosto dal corpo gli si svelga,
E tosto a la battaglia se ne torni.
Comparso intanto era a la cura làüpi 645
D' Iáso il figlio , sovr' ogn' altro amato
Da Febo. E Febo stesso , allor ch' acceso
Era da l'amor suo, la cetra e l'arco
E ’l vaticinio, e qual de l'arti sue
Più gli aggradasse, a sua scelta gli offerse. 650
Ei che del vecchio infermo e già caduco
Suo padre la salute e gh anni amava,
Alternos longa nitentem cuspide gressus.
Saevit, et infracta luctatur arundine telum
Eripere, auxilioque viam, quae proxima, poscit:
Ense secent lato vulnus, telique latebram
Rescindant penitus, seseque in bella remittant. 390
Jamque aderat Phoebo ante alios dilectus lápyx
Jasides; acri quondam cui captus amore
Ipse suas artes, sua munera, laetus Apollo
Augurium citharamque dabat celeresque sagittas.
Ille, ut depositi proferret fata parentis,
Scire potestates herbarum, usumque medendi
LIBRO DUODECIMO 433
Saper de l'erbe la possanza, e l'uso
Di medicare elesse, e senza lingua
E senza lode e del futuro ignaro 655
Mostrarsi in pria, che non ritorre a morle
Chi gli dié vita. A la sua lancia Enea
Stava appoggiato, e fieramente acceso
Fremendo, avea di giovani un gran cerchio
Col figlio intorno , al cui tenero pianto 6 60
Punto non si movea. Sbracciato intanto
E, con la veste a la cintura avvolta,
Qual de' medici è l'uso, il vecchio Iipi
Gli era d’intorno; e con diverse prove
Di man, di ferri, di liquori e d' erbe 665
In van s'affaticava, invano ogni opra,
Ogni arte, ogni rimedio, e i preghi e i voti
Al suo maestro Apollo eran tentati.
De la battaglia rinforzava intanto
Lo scompiglio e l'orrore; e già'l periglio 670
Maluit, et mutas agitare inglorius artes.
Stabat acerba fremens, ingentem nixus in hastam
"Eneas, magno iuvenum et moerentis Iuli
Concursu, lacrimis immobilis: ille retorto 400
Paeonium in morem senior succinctus amictu,
Multa manu medica, Phoebique potentibus herbis
Nequidquam trepidat, nequidquam spicula dextra
Sollicitat, prensatque tenaci forcipe ferrum. .
Nulla viam fortuna regit: nihil auctor Apollo 409
Subvenit: et saevus campis magis ac magis horror
Eneide /ol. JI 99
434 ENEIDE
S' avvicinava; già di polve il cielo,
Di cavalieri il campo era coverto ;
Ché fin dentro a'ripari e fra le tende
Ne cadevano i dardi; e già da presso
S' udian de’ combattenti e de’ caduti 675
I lamenti e le grida. Il caso indegno
D' Enea suo figlio, e ’l suo stesso dolore
In sè Ciprigna e nel suo cor sentendo,
Ratto v'accorse, e fin di Creta addusse
Di dittamo un cespuglio , che recente 680
Di sua man colto, era di verde il gambo,
Di tenero le foglie, e d' ostro i fiori
Tutto.cosperso e rugiadoso ancora.
Quest erba per natura a i capri e nota,
E da lor cerca allor che 1 tergo, o ’l fianco 685
Ne van di dardo o di saetta infissi.
Con questa Citerea per entro un nembo
Ne venne ascosa, e col salubre sugo
Crebrescit,propiusque malum est. lam pulvere coelum
Stare vident: subeuntque equites, et spicula castris
Densa cadunt mediis: it tristis ad aethera clamor
Bellantum iuvenum, et duro sub Marte cadentum.
Hic Venus, indigno nati concussa dolore,
Dictamnum genitrix cretaea carpit ab Ida,
Puberibus caulem foliis et flore comantem
Purpureo: non illa feris incognita capris
Gramina, quum tergo volucres haesere sagittae . 415
Hoc Venus, obscuro faciem circumdata nimbo ,
LIBRO DUODECIMO 435
D' ambrosia e d' odorata panacea
Mischiolla ; e poscia. i tepidi liquori 690
Ch’ eran già presti in tal guisa ne sparse
Che niun se n° avvide. E n’ ebbe a pena
La piaga infusa, che l angoscia e ’1 duolo
Cessó repente: il sangue d' ogni parte
De la ferita in fondo si raccolse; 695
E seguendo la mano, il ferro stesso
Come da sé n'uscío. Spedito e forte,
E nel pristino suo vigor ridotto,
Enea dritto levossi. Iipi il primo,
A che, disse, badate? e perchè l' arme 700
Tosto non gli adducete? Indi a lui vólto,
Contro a’ nemici in tal guisa infiammollo:
Enea, non è, non è per possa umana,
O per umano avviso, o per mia cura
Detulit: hoc fusum labris splendentibus amnem
Inficit, occulte medicans: spargitque salubris
Ambrosiae succos, et odoriferam panaceam.
Fovit ea vulnus lympha longaevus Iapyx 420
Ignorans, subitoque omnis de corpore fugit
Quippe dolor; omnis stetit imo vulnere sanguis.
lamque sequuta manum, nullo cogente, sagitta
Excidit, atque novae rediere in pristina vires.
: Arma citi properate viro! quid statis? lapyx 425
Conclamat, primusque animos accendit in hostem.
Non haec humanis opibus, non arte magistra
Proyeniunt. Neque te, /Enea, mea dextera seryat:
436 ENEIDE
Questo avvenuto, Un Dio certo, un gran Dio 705
A gran cose ti serba. In questo mezzo
Ei già di pugna desioso, entrambi
S' avea gli stinchi di dorata piastra,
Il dorso di lorica, e la sinistra
Di scudo armata. E già l' asta squassando , 710
D'indugio impaziente in su la soglia
Tanto sol de la tenda si ritenne,
Che, si com'era di tutt' armi involto,
Il caro Iulo caramente accolse ,
E con le labbia a pena entro l’elmetto 715
Baciollo, e disse: Figlio mio, da me
La sofferenza e la virtute impara;
La fortuna da gli altri. Io, quel che posso,
Or con questa mia destra ti difendo:
Onor, grandezza e signoria t'acquisto 720
Col sangue mio. Tu poi, quando maturi
Maior agit Deus, atque opera ad maiora remittit.
Ille avidus pu gnae suras incluserat auro 430
Hinc atque hinc, oditque moras, hastamque coruscat.
Postquam habilis lateri clypeus, loricaque tergo est,
Ascanium fusis circum complectitur armis,
Summaque per galeam delibans oscula fatur:
Disce, puer , virtutem ex me, verumque laborem;
Fortunam ex aliis. Nunc te mea dextera bello
Defensum dabit, et magna inter praemia ducet.
Tu facito, mox quum natura adoleverit aetas,
Sis memor, et te,animo repetentem exempla tuorum,
LIBRO DUODECIMO 437
Fian gli anni tuoi, fa’ che d' Enea tuo padre
E d'Ettore tuo zio sì ti rammenti,
Che ti sian le fatiche e i gesti loro
A gloria, ed a virtute esempi e sproni. 725
Detto così, fuor de le porte uscendo
Brandì la lancia, e tutti in un drappello
Ristrinse i suoi. Memmo ed Antèo con esso,
E quanti altri del vallo erano in prima
Lasciati a guardia, il vallo abbandonando, 730
Dietro gli s inviaro. Allor di polve
Levossi un nembo, e d’ognintorno scossa
Al calpitar de’ piè tremò la terra.
Turno di sopra un argine mirando ,
Questa gente venir si vide incontro. 735
Viderla, e ne temero e ne tremaro
Gli Ausonii tutti. Udinne il suon da lunge
Iuturna in prima, e per timore indietro
Se ne ritrasse. Enea volando, al campo
. Et pater /E neas, et avunculus excitet Hector. 440
Haec ubi dicta dedit, portis sese extulit ingens,
T'elum immane manu quatiens: simul agmine denso
Antheusque Mnestheusque ruunt, omnisque relictis
T'urba fluit castris: tum caeco pulvere campus
Miscetur, pulsugue pedum tremit excita tellus. 445
Vidit ab adverso venientes aggere Turnus,
Videre Ausonii, gelidusque per ima cucurrit
Ossa tremor. Prima ante omnes Iuturna Latinos
Audiit, agnoyitque sonum, et tremefacta refugit.
438 ENEIDE
Spinse lo stuol, che polveroso e scuro -jo
Tal se n'andó qual d'alto mare a terra
Squarciato nembo, quando, ohimeé! che segno
E che spavento, e che ruina apporta
A i miseri coloni; e quanta strage
A gli alberi, a le biade, a la vendemmia 75
Se ne prepara; e qual se n’ode intanto
Sonar procella, e venir vento a riva!
Cotal contro a’ nemici il Teucro Duce
Co' suoi, come in un gruppo insieme uniti,
Entrò ne la battaglia. Al primo incontro — 750
Osiri, Archezio, Ufente ed Epulone
Ne gir per terra. Ácate e Memmo e Gia
E Timbréo gli affrontaro: e ciascun d' essi
Atterró "| suo. Cadde Tolunnio appresso,
L'augure che primiero il dardo trasse 75
et
Ille volat, campoque atrum rapit agmen aperto.
Qualis, ubi ad terras abrupto sidere nimbus
Jt mare per medium: miseris heu ! praescia longe
Horrescunt corda agricolis: dabit ille ruinas
"Arboribus, stragemque satis: ruet omnia late:
Ante volant, sonitumque ferunt ad litora venti.
Talis in adversos ductor rhoeteius hostes
Agmen agit: densi cuneis se quisque coactis
Agglomerant. Ferit ense gravem Thymbraeus Osirim,
Archetium Mnestheus, Epulonem obtruncat Achates,
Ufentemque Gyas: cadit ipse Tolumnius augur, 460
Primus in adversos telum qui torserat hostes.
LIBRO DUODECIMO 439
Nel turbar de l'accordo. Al suo cadere
Tutto in un tempo empiessi il ciel di grida ,
La campagna di polve; e vólti in fuga
Se ne giro i Latini. Enea sdegnando
E di seguire e d' incontrar qual fosse 760
Pedone o cavalier, che o lunge o presso
Di provocarlo e di ferirlo osasse,
Sol di Turno cercando iva per entro
Quella densa caligine , e ’l suo nome
Solamente gridando, a la battaglia 765
Lo disfidava. Impaürita e mesta
Di ció Iuturna, la virago ardita,
Tosto di Turno al carro appropinquossi ,
E giù Metisco il suo fedele auriga
Subito trabocconne. Ed ella in vece 770
En sembianza di lui, lui stesso al corpo,
A l'armi, a la favella, ad ogni moto
Rassomigliando , in seggio vi si pose,
l'ollitur in caelum clamor, versique vicissim
Pulverulenta fuga Rutuli dant terga per agros.
Ipse neque adversos dignatur sternere morti,
Nec pede congressos aequo, nec tela ferentes 465
Insequitur: solum densa in caligine Turnum
Vestigat lustrans: solum in certamina poscit.
Hoc concussa metu mentem Iuturna virago
Aurigam Turni media inter lora Metiscum
Excutit, et longe lapsum temone relinquit. 470
Ipsa subit, manibusque undantes flectit habenas,
446 ENEIDE
E l’ ancisero al fine. Ilo, che fiero
E minaccioso avanti gli si fece, 880
Seguì Turno a ferir di dardo, in guisa
Che de l’ elmetto la dorata piastra
E le tempie e ’l cerébro gli trafisse.
Né tu, Cretèo, di man di Turno uscisti ,
Perchè de’ più robusti e de’ più forti 885
Fosti de’ Greci. Nè di man d' Enea
Scampàr Cupento i suoi numi invocati:
Ché nel petto ferillo, e non gli valse
Lo scudo che di bronzo era coverto .
E tu che contro a tante argive schiere, 890
E contro al domator di Troia Achille,
Eólo, non cadesti; in questi campi
Fosti, qual gran colosso, a terra steso.
Ma che? Quest’ era il fin de giorni tuoi:
Ille ruenti Hyllo, animisque immane frementi 535
Occurrit, telumque aurata ad tempora torquet :
Olli per galeam fixo stetit hasta cerebro.
Dextera nec tua te, Graium fortissime Creteu,
Eripuit Turno: nec Di texere Cupencum,
Enea veniente, sui: dedit obvia ferro 540
Pectora, nec misero clypei mora profuit aerei.
Te quoque laurentes viderunt, /Eole, campi
Oppetere, et late terram consternere tergo.
Occidis, argivae quem non potuere phalanges
Sternere, nec Priami regnorum eversor Achilles.
Hic tibi mortis erant metae: domus alta sub Ida,
LIBRO DUODECIMO 44t
Così com'eran dissipate e sparse ,
Indarno ricercandolo , 11 chiamava
Ad alta voce. E mai gli occhi non torse
Ov'ei si fusse, e dietro non gli mosse, 792
Ch' ella co'suoi corsieri m più diversa
E più lontana parte non fuggisse.
Or che farà, ch'ogni pensiero, ogni opra,
Ogni disegno gli riesce invano?
E i pensier son diversi? Ecco Messàpo, 800
Che per lo campo discorrendo intanto
D' improvviso l' incontra. E sì com' era
D'una coppia di dardi a la leggiera
Ne la sinistra armato, un ne gli trasse
Dritto sì che ferfa, se non ch’ Enea 805
Gli fece schermo, e rannicchiato e stretto
Chinossi alquanto. E pur ne l'elmo il colse,
Vestigatque virum, et disiecta per agmina magna
Voce vocat. Quoties oculos coniecit in hostem,
Alipedumque fugam cursu tentavit equorum:
Aversos toties currus Iuturna retorsit. 485
Heul! quid agat? vario nequidquam fluctuat aestu,
Diversaeque vocant animum in contraria curae.
Huic Messapus, uti laeva duo forte gerebat
Lenta, levis cursu, praefixa hastilia ferro,
Horum unum certo contorquens dirigit ictu. — 49o
Substitit Eneas, et se collegit in arma;
Poplite subsidens; apicem tamen incita summum
Hasta tulit, summasque excussit vertice cristas,
Eneide /ol. I1 56
442 ENEIDE
E | cimier ne divelse. Irato surse ;
E poichè da’ nemici attorneggiato
Si vide, e che i cavalli eran di Turno 810
Di già spariti, a Giove, ai sacri altari
Del violato accordo e de l' insidie
Molto si protestò: poscia tra loro
Gittossi impetuoso , e strazio e strage
Prosperamente , ovunque si rivolse , 815
Ne fece a tutto corso; e senza freno
Si diede a l'ira ed a la furia in preda.
Or qual nume sarà ch'a dir m' aiti
° Le tante uccisioni e sì diverse
Che di duci e di schiere e di falangi 820
Fecer quel giorno, Enea da l’una parte,
Turno da l’ altra? Ah Giove! sì crudele,
Sì sanguinosa guerra infra due genti
Che saran poscia eternamente in pace ?
T'um vero assurgunt irae, insidiisque subactus,
Diversos ubi sensit equos currumque referri, 495
Multa Iovem, et laesi testatus foederis aras,
lam tandem invadit medios et Marte secundo
Terribilis, saevam nullo discrimine caedem
Suscitat, Irarumque omnes effundit habenas.
Quis mihi nunc tot acerba Deus, quis carmine caedes
Diversas, obitumque ducum, quos aequore toto
Inque vicem nunc T'urnus agit, nunc troius heros,
Expediat? tanton’placuit concurrere motu,
luppiter, aeterna gentes in pace futuras?
LIBRO DUODECIMO 443
Enea Sucrone, un de’ più forti Ausonii, 825
Uccise in prima, e primamente i Teucri
Fermò, ch' eran da lui rivolti in fuga.
L’ incontrò , lo e , senza dimora
Morto a terra il gittó; che in un de’ fianchi
Con la spada lo colse, e ne le coste 830
E ne la vita stessa ne gl’ immerse.
Turno a piè dismontsto, Amico in terra,
Che da cavallo era caduto, infisse;
E seco il frate suo Dioro estinse.
L' un di lancia ferì, l'altro di brando; 835
E d'ambi i capi da i lor tronchi avulsi,
| com' eren di polvere e di sangue
Stillanti e lordi, per le chiome appesi
Anzi al carro si pose. E via seguendo
Quegli Talone e Tanai e Cetégo 840
Tre feroci Latini ad uno assalto
Si stese avanti, e ’l1 mesto Onite appresso,
Aneas Rutulum Sucronem, (ea prima ruentes 505
Pugna loco statuit Teucros) haud multa moratus,
Excipit in latus, et, qua fata celerrima, crudum
T'ransadigit costas et crates pectoris ensem.
Turnus equo deiectum Amycum, fratremque Diorem
Congressus pedes; hunc venientem cuspide longa,
Hunc mucrone ferit; curruque abscisa duorum
Suspendit cápita, et rorantia sanguine portat.
Ille Talon, Tanaimque,neci, fortemque Cethegum,
T'res uno congressu, et moestum mittit Onyten,
441 ENCIDE
Figlio di Peritia, gloria di Tebe.
E tre dal canto suo questi n ancise
Ch' eran fratelli de la Licia usciti
E de campi d' Apollo; a cui per quarto
Menete aggiunse. Ah come il fato indarno
Si fugge! Infin d' Arcadia fu costui
Qui condotto a morire. E "n su la riva
Era nato di Lerna, ove pescando
Da l armi, da le corti e da’ pelagi
Si tenea lunge; e solo il suo tugurio
Avea per reggia , e per signore il padre,
Povero agricoltor de’ campi altrui.
Come due fochi in due diverse parù
D' un secco bosco accesi ardon sonando
Le querce e i lauri; o due rapidi e gonfi
Torrenti che nel mar da gli alti monti
Precipitando , se ne va ciascuno
Il suo cammino aprendo, e ciò che trova
Nomen Echionium, matrisque genus Peridiae:
Hic fratres Lycia missos, et Apollinis agris,
85
850
855
515
Et iuvenem exosum nequidquam bella Menoeten
«rcada, piscosae cui circum flumina. Lernae
Ars fuerat, pauperque domus; nec nota potentum
Limina, conductaque pater tellure serebat.
Ac velut immissi diversis partibus ignes
Arentem in silvam, et virgulta sonantia lauro;
Aut ubi decursu rapido de montibus altis
520
Dant sonitum spumosi amnes, et in aequora currunt,
LIBRO DUODECIMO 445
Sì caccia avanti, e rumoreggia e spuma;
Così per la campagna, ambi fremendo,
Le schiere sgominando , e questi e quelli
Atterrando ne gian, da l' una parte |
Enea, Turno da l’altra. Or si che d'ira, 865
Or sì che di furor si bolle e scoppia,
E con tutte le forze a ferir vassi;
Che 1’ esser vinto, e non la morte è morte.
E qui Murrano (un che superbo e gonfio
Del nome e de l' origine vantando 870
Se ne gia de gli antichi avi e bisavi
Latini regi) fu d'un balzo a terra
Da la furia d' Enea spinto e travolto;
Sì che di lui, del carro e de le ruote
Fatto: un viluppo, i suoi stessi cavalli, 875
Il signore obliando, incradelirsi,
E sotto al giogo e sotto a i calci accolto
L/ infranser, lo piagàr, lo strascinaro
Quisque suum populatus iter: non segnius ambo
Aneas T'urnusque ruunt per praelia. Nunc, nunc
Fluctuat ira intus: rumpuntur nescia vinci
Pectora: nunc totis in vulnera viribus itur.
Murranum hic, atavos et avorum antiqua sonantem
Nomina, per regesque actum genus omne latinos,
Praecipitem scopulo, atque ingentis turbine saxi
Excutit, effunditque solo: hunc lora et iuga subter
Provolvere rotae; crebro super ungula pulsu
Incita, nec domini memorum, proculcat equorum.
446 ENEIDE
E l’ ancisero al fine. Ilo, che fiero
E minaccioso avanti gli si fece, 880
Seguì Turno a ferir di dardo, in guisa
Che de l’ elmetto la dorata piastra
E le tempie e ’l cerèbro gli trafisse.
Né tu, Cretéo, di man di Turno uscisti ,
Perchè de’ più robusti e de’ più forti 885
Fosti de’ Greci. Nè di man d’ Enea
Scampàr Cupento i suoi numi invocati:
Ché nel petto ferillo, e non gli valse
Lo scudo che di bronzo era coverto .
E tu che contro a tante argive schiere, 890
E contro al domator di Troia Achille,
Eólo, non cadesti; in questi campi
Fosti, qual gran colosso, a terra steso.
Ma che? Quest’ era il fin de' giorni tuoi:
Ille ruenti Hyllo, animisque immane frementi 535
Occurrit, telumque aurata ad tempora torquet :
Oili per galeam fixo stetit hasta cerebro.
Dextera nec tua te, Graium fortissime Creteu, :
Eripuit T'urno: nec Dí texere Cupencum,
Enea veniente, sui: dedit obvia ferro 940
Pectora, nec misero clypei mora profuit aerei.
Te quoque laurentes viderunt, Atole, campi
Oppetere, et late terram consternere tergo.
Occidis, argivae quem non potuere phalanges
Sternere, nec Priami regnorum eversor Achilles.
Hic tibi mortis erant metae: domus alta sub Ida,
LIBRO DUODECIMO 447
Qui cader t’ era dato. Appo Lirnesso 895
Altamente nascesti: appo Laurento
Umil sepolcro avesti. Eran già tutti
Quinci i Latini e quindi i Teucri a fronte,
E tra lor mescolati Asila e Memmo,
E Seresto e Messàpo, e le falangi , 900
De gli Arcadi e de' Toschi, oguun per sé,
E tutti insieme con estrema possa,
Con estremo valor, senza riposo
Facean mortale e sanguinosa mischia .
Qui nel pensiero al travagliato figlio 905
Pose Ciprigna di voltar le schiere
Subitamente a le nemiche mura,
E con quel nuovo inopinato avviso
Assalir , disturbare, e l’ oste insieme
E la città por de’ Latini in forse. 910
E si come, di Turno investigando ,
Lyrnessi domus alta; solo laurente sepulcrum.
T'otae adeo conversae acies, omnesque Latini,
Omnes Dardanidae: Mnestheus, acerque Serestus,
Et Messapus equiím domitor, et fortis Asylas, 550
Tuscorumque phalanx, Evandrique arcadis alae ,
Pro se quisque viri summa nituntur opum vi.
iVec mora, nec requies; vasto certamine tendunt.
Hic mentem /Eneae genitrix pulcherrima misit,
Iret ut ad muros, urbique adverteret agmen 559
Ocius, et subita turbaret clade Latinos.
lile, ut vestigans diversa per agmina Turnum,
448 ENEIDE
Volgea le luci in questa parte e ’n quella,
Vide Laurento che non tocco ancora
Stava da tanta guerra immune e scevro.
E da l’ occasion subitamente 915
Preso consiglio, a sé Memmo, Seresto
E Sergesto chiamando, indi vicino
Sovr' un colle si trasse, ove de’ Teucri
À mano a mau si raünar le schiere .
E sì come raccolti, armati e stretti 920
S' eran già fermi, in mezzo alto levossi
E cosi disse: Udite , e senza indugio
Fate quel ch'io dirò. Giove è con noi.
E perché sì repente io mi risolva
A questa impresa, non però di voi 925
Alcun sia che men pronto vi si mostri.
Oggi o che re Latino al nostro impero
Converrà ch'obhedisca, e freno accetti;
Huo atque huc acies circumtulit, adspicit urbem
Immunem tanti belli , atque impune quietam.
Continuo pugnae accendit maioris imago: —— 560
Mnesthea Sergestumque vocat fortemque Serestum,
Ductores , tumulumque capit : quo cetera Teucrüm
Concurrit legio ; nec scuta aut spicula densi
Deponunt. Celso medius stans aggere fatur :
Ne qua meis esto dictis mora: Iuppiter hac stat :
Neu quis ob inceptum subitum mihi segnior ito.
Urbem hodie , caussam belli , regna ipsa Latini ,
Ni frenum accipere , et victi parere fatentur ,
LIBRO DUODECIMO 449
O che questa città, seme e cagione
Di questa guerra, e questa regno tutto 930
A foco, a ferro ed a ruina andraune.
E che deggio aspettar? Che non più Turno
Fugga, siccome fà , la pugna mia?
E che vinto una volta , si contenti
Di combattere un'altra? Il capo e ’l fine, | 935
Cittadin miei, di questa guerra è questo.
Via, cal foco a le mura e con le fiamme
Ne vendichiam del violato accordo.
Avea ciò detto, quando ognuno a gara
E tutti insieme inanimati e stretti 940
Di conio in guisa, qual intera massa,
Appressàr la città. Vi furon preste
Le scale e| foco. Altri assalir le porte,
E questi e quelli uccisero e cacciaro,
Come pria s' abbattero. Altri lanciando 443
Oppugnàr la muraglia; onde levossi
Eruam , et aequa solo fumantia culmina ponam.
Scilicet exspectem, libeat dum praelia Turno 570
Nostra pati; rursusque velit concurrere victus ?
Hoc caput, o cives, haec belli summa nefandi.
Ferte faces propere, foedusque reposcite flammis.
Dixerat: atque animis pariter certantibus omnes
Dant cuneum, densaque ad muros mole feruntur.
Scalae improviso , subitusque apparuit ignis.
Discurrunt alii ad portas , primosque trucidant :
Ferrum alii torquent, et obumbrant aethera telis.
Eneide 7ol. II | 97
444 ! ENEIDE
Figlio di Peritia, gloria di Tebe.
E tre dal canto suo questi n° ancise
Ch’ eran fratelli de la Licia -usciti
E de campi d' Apollo; a cui per quarto
Menete aggiunse. Ah come il fato indarno
Si fugge! Infin d' Arcadia fu costui
Qui condotto a morire. E 'n su la riva
Era nato di Lerna, ove pescando
Da l’ armi, da le corti e da’ palagi
Si tenea lunge; e solo il suo tugurio
Avea per reggia, e per signore il padre,
Povero agricoltor de’ campi altrui.
Come due fochi in due diverse parti
D' un: secco bosco accesi ardon sonando
Le querce e i lauri; o due rapidi e gonfi
Torrenti che nel mar da gli alti monti
Precipitando, se ne va ciascuno
Il suo cammino aprendo, e ció che trova
Nomen Echionium, matrisque genus Peridiae:
Hic fratres Lycia missos, et "Apollinis agris,
845
850
855
860
515
Et iuvenem exosum nequidquam bella Menoeten
"frcada, piscosae cui circum flumina Lernae
Ars fuerat, pauperque domus; nec nota potentum
Limina, conductaque pater tellure serebat.
Ac velut immissi diversis partibus ignes
Arentem in. silvam, et virgulta sonantia lauro;
Aut ubi decursu rapido de montibus altis
520
Dant sonitum spumosi amnes, et in aequora currunt,
LIBRO DUODECIMO 445
Si caccia avanti, e rumoreggia e spuma;
Così per la campagna, ambi fremendo ,
Le schiere sgominando , e questi e quelli
Atterrando ne gían, da l' una parte
Enea, Turno da l’altra. Or sì che d' ira, 865
Or sì che di furor si bolle e scoppia,
E, con tutte le forze a ferir vassi;
Ché l’ esser vinto, e non la morte è morte.
E qui Murrano (un che superbo e gonfio
Del nome e de l' origine vantando 870
Se ne gía de gli antichi avi e bisavi
Latini regi) fu d' un balzo a terra
Da la furia d' Enea spinto e travolto;
Sì che di lui, del carro e de le ruote
Fatto un viluppo, 1 suoi stessi cavalli, 875
Il signore obliando, incrudelirsi ,
E sotto al giogo e sotto a i calci accolto
L/ infranser , lo piagàr, lo slrascinaro
Quisque suum populatus iter: non segnius ambo
Aneas Turnusque ruunt per praelia. Nunc, nunc
F'luctuat ira intus: rumpuntur nescia vinci
Pectora: nunc totis in vulnera viribus itur.
Murranum hic, atavos et avorum antiqua sonantem
Nomina, per regesque actum genus omne latinos,
Praecipitem scopulo, atque ingentis turbine saxi
Excutit, effunditque solo: hunc lora et iuga subter
Provolvere rotae; crebro super ungula pulsu
Incita, nec domini memorum, proculcat equorum.
452 ENEIDE
Jo l'origine son di tanto male.
E dopo molto affliggersi e dolersi ,
Già furiosa e di morir disposta
Il petto aprissi, e la parpurea vesta
Si squarció, si percosse, e dell’ infame 985
Nodo il collo s avvinse, e strangolossi.
Udito il caso, la diletta figlia
I biondi crini e le rosate guance
Prima si lacerò, poscia la turba
V'accorse de le donne, e di tumulto 990
Di pianti, di stridori e d' ululati
La reggia tutta e la cittade empiessi.
Ognun si sgomentó. Latino, afflitto
De la morte d' Amata e del periglio
Del regno tutto , laniossi il manto, 995
Bruttossi il bianco e venerabil crine
D'immonda polve; amaramente pianse
Multaque per moestum demens effata furorem ,
Purpureos moritura manu discindit amictus ,
Et nodum informis leti trabe nectit ab alta.
Quam cladem miserae postquam accepere Latinae,
Filia prima manu flavos Lavinia crines , 605
Et roseas laniata genas; tum cetera circum
Turba furit : resonant latae plangoribus aedes.
Hinc totam infelix vulgatur fama per urbem:
Demittunt mentes. It scissa veste Latinus
Coniugis attonitus fatis , urbisque ruina, — 610
Canitiem immundo perfusam pulvere turpans:
LIBRO DUODECIMO 453
Che per suocero dianzi e per amico
Non si confederò col Frigio duce.
Turno, che in questo mezzo combattendo 1000
Rimaso. era del campo in su l'estremo
Incontro a pochi, e quelli anco dispersi,
Già scemo di vigore, e trasportato
Da’ suoi cavalli, che ritrosi e stanchi
Ognor più se n'andavano e lontani, 1005
In sé confuso e dubbio se ne stava.
Quando ecco di Laurento ode le grida
Con un terror che, non compreso ancora,
Gli avea da quella parte il vento addotto.
Porse l'orecchie, e '| mormorío sentendo 1010
De la città, che tuttavia più chiaro
Di tumulto sembrava e di travaglio,
Oh, disse, che sent' io? che novitate
E che rumore e che trambusto é questo
Che di dentro mi fere? E, quasi uscito — 1015
* Multaque se incusat , qui non acceperit ante *
* Dardanium /Enean, generumque adsciverit ultro. *
Interea extremo bellator in aequore Turnus
Palantes sequitur paucos, iam segnior , atque 615
Iam minus atque minus successu. laetus equorum.
Attulit hunc illi caecis terroribus aura
Commixtum clamorem , arrectasque impulit aures
Confusae sonus urbis , et illaetabile murmur.
Hei mihi! quid tanto turbantur moenia luctu? 620
Quisve ruit tantus diversa clamor ab urbe ?
4ok ENEIDE
Di sé, mirando ed ascoltando stette.
Cui la sorella ( come già conversa
Era in Metisco, e come i suoi cavalli
Stava reggendo } si rivolse, e disse:
Di qua, Turno, di qua Quinci la strada 1020
Ne s'apre a la vittoria. Altri a difesa
Saran de la città. Se d’altra parte
Enea de’ tuoi fa strage, e tu da questa
Distruggi i suoi; chè non men gloria aremo,
E più sangue faremo. E Turno a lei: 1025
O mia sorella! ( ché mia suora certo
Sei tu ) ben ti conobbi infin da l'ora
Che turbasti l'accordo, e che poi meco
Ne la battaglia entrasti Or, benchè Dea,
Indarno mi t'ascondi. E chi dal cielo 1030
Sic ait, adductisque amens subsistit habenis.
Atque huic, in faciem soror ut conversa Metisci
urigae , currumque et equos et lora regebat,
Talibus occurrit dictis: Hac , Turne , sequamur
Troiugenas , qua prima viam victoria pandit:
Sunt alit, qui tecta manu defendere possint.
Ingruit /Eneas Italis , et praelia miscet;
Et nos saeva manu mittamus funera Teucris.
Nec numero inferior, pugnae nec honore recedes.
Turnus ad haec :
O soror, et dudum agnovi, quum prima per artem
Foedera turbasti , teque haec in bella dedisti :
Et nunc nequidquam fallis Dea: sed quis Olympo
LIBRO DUODECIMO 455
Così qua giù ti manda a soffrir meco
Tante fatiche? A veder forse a morte
Gir tuo fratello ? E che, misero! deggio
Far altro omai? qual mi si mostra altronde
O salute o.speranza? Io stesso ho visto 1035
Con gli occhi miei, lo mio nome chiamando,
Cadere. il gran Murrano. E chi mi resta
Di lui più fido e. più caro -compagno ?
E ’1 magnanimo Ufente anco è perito,
Credo, per non veder.le mie vergogne; 1040
E'l corpo e l'armi sue, lasso! in potere
Son de’ nemici. E soffrirò ( ché questo
Sol ci mancava ) di vedermi avanti
Aprir le mura, e ruinare i tetti
De la nostra città? Né fia che Drance 1049
Menta de la mia fuga? E fia che Turno
Volga le spalle, e quella terra il vegga ?
Demissam tantos voluit te ferre labores? | 635
An fratris miseri letum ut crudele videres ?
Nam quid ago?aut quae iam spondet fortuna salutem?
Vidi oculos ante ipse meos, me voce vocantem,
Murranum , quo non superat mihi carior alter,
Oppetere ingentem, atque ingenti vulnere victum.
Occidit infelix , ne nostrum dedecus Ufens
Adspiceret: Teucri potiuntur corpore et armis.
Exscindine domos ( id rebus defuit unum.)
Perpetiar ? dextra nec Drancis dicta refellam ?
Terga dabo ? et Turnum fugientem haec terra vi-
debit ? 645
456 ENEIDE
Si gran male è morire? Inferni Dii!
Accoglietemi voi, poiché i superni
Mi sono infesti. À voi di questa colpa 1050
Scenderó spirto intemerato e santo,
E non sarò de' miei grand' avi indegno.
Ciò disse a pena, ed ecco a tutta briglia
Venir per mezzo a le nemiche schiere
Un cavalier che Sage era nomato. 1055
Di spuma e di sudore il suo cavallo,
Fi di sangue era sparso. In volto infissa
Portava una saeita, e con gran furia
Turno chiamando e ricercando andava.
Poscia che '"| vide, In te, disse, è riposta 1060
Ogni speranza; abbi pietà de’ tuoi.
Enea va come folgore atterrando
Tutto ciò che davanti gli si para;
E le mura e le torri e | regno tutto
Usque adeone mori miserum est? vos o mihi Manes
Este boni; quoniam Superis aversa voluntas.
Sancta ad vos anima , atque istius inscia culpae
Descendam, magnorum haud unquam indignus avo-
rum.
Fix ea fatus erat ; medios volat ecce per hostes 650
Vectus equo spumante Saces , adversa sagitta
Saucius ora, ruitque implorans nomine Turnum:
Turne , in te suprema salus; miserere tuorum .
Fulminat JE neas armis, summasque minatur
Deiecturum arces Italuim , excidioque daturum ;
LIBRO DUODECIMO 457
Di ruinar minaccia; e già le faci 1065
Volano a i tetti. A te gli occhi rivolti
Son de’ Latini. E già Latino stesso
Vacilla, e fra due stassi a qual di voi
S'attenga, e di cui suocero s appelli.
La regina, che solo era sostegno 1070
De la tua parte, di sua propria mano,
Per timore e per odio de la vita,
S'è strangolata. Solamente Atina
E Messapo a difesa de le porte
Fan testa; ma gli vanno i Teucri a schiere 1075
Con tant'aste a rincontro e tante spade
Serrati insieme, quante a pena in campo
Non son le biade. E tu per questa vóta
E deserta campagna il carro: indarno
Spingendo e volteggiando te ne stai ! 1080
Turno da tante orribili novelle
Jamque faces ad tecta volant. In te ora Latini ,
In te oculos referunt ; mussat rex ipse Latinus ,
Quos generos vocet, aut quae sese ad foedera flectat.
Praeterea regina , tui fidissima , dextra
Occidit ipsa sua , lucemque exterrita fugit. 660
Soli pro portis Messapus , et acer Atinas
Sustentant aciem. Circum hos utrimque phalanges
Stant densae, strictisque seges mucronibus horret
F'errea : tu currum deserto in gramine versas.
Obstupuit varia confusus imagine rerum 665
T'urnus, et obtutu tacito stetit. /Estuat ingens
Eneide 7/ol. II 98
458 ENEIDE
Sopraggiunto in un tempo e spaventato,
Si smagò, s'ammuti , col viso a terra
Chinossi. Amor, vergogna, insania e lutto
E dolore e furore e conscienza 1085
Del suo stesso valore accolti m uno,
Gli arsero il core e gli avvamparo il volto.
Ma poscia che gli fu la nebbia e l’ ombra
De la mente sparita, e che la luce
Gli si scoprì de la ragione in parte; 1090
Così com'era ancor turbato e fero,
Di sopra al carro a la città rivolse
L'ardente vista. Ed ecco in su le mura
Vede ch’una gran fiamma al cielo ondeggia,
Gli assiti, i ponti e le bertesche ardendo 1095
D' una torre ch'a guardia era da lui
De la muraglia in su le ruote eretta.
E disse: Già, sorella, già son vinto
Dal mio destino. A che più m'attraversi ?
Uno in corde pudor, mixtogque insania luctu,
Et Furiis agitatus amor, et conscia virtus.
Ut primum discussae umbrae, et lux: reddita menti,
Ardentes oculorum orbes ad moenia torsit G70
Turbidus, eque rotis magnam respexit ad urbem.
Ecce autem flammis inter tabulata volutus
Ad caelum undabat vortex, turrimque tenebat:
T'urrim, compactis trabibus quam eduxerat ipse,
Subdideratque rotas, pontesque instraverat altos.
Jam iam fata, soror, superant; absiste morari;
LIBRO DUODECIMO 459
Via, dove la fortuna e Dio ue chiama. 1100
Fermo son di venir col Teucro a l'armi,
E soffrir de la pugna e de la morte
Ogni acerbezza, anzi che tu mi vegga
De la gloria de' miei, sorella , indegno.
Or al fato mi lascia; e sostien ch'io 1105
Disfoghi infuriando il mio furore.
Così dicendo, fuor del carro a terra
Gittossi incontanente, e la sirocchia
Lasciando afflitta, via per mezzo a l'armi
E'per mezzo a’ nemici a correr diessi. 1110
Qual di cima d' un monte in precipizio
Rotolando si volge un sasso alpestro,
Che dal vento o da gli anni o da la pioggia
Divelto, per le piagge a scosse, a balzi
Vada senza ritegno, e de le selve 1112
E de gli armenti e de' pastori insieme
Quo Deus, et guo dura vocat fortuna, sequamur.
Stat conferremanum /Eneae; stat, quidquidacerbiest,
Morte pati; nec me indecorem, germana, videbis
"Amplius. Hunc, oro, sine me furere ante furorem.
Dixit, et e curru saltum dedit ocius arvis:
Perque hostes, per tela ruit, moestamque sororem
Deserit, ac rapido cursu media agmina rumpit.
Ac veluti, montis saxum de vertice praeceps
Quum ruit, avulsum vento, seu turbidus imber 685
Proluit, aut annis solvit sublapsa vetustas,
Fertur in abruptum magno mons improbus actu,
460 ENEIDE
Meni guasto, ruina e strage avanti;
Tal per l'opposte e sbaragliate schiere
Se ne gia Turno. E giunto ove in conspetto
De la città di molto sangue il campo 1120
Era già sparso, e pien di dardi il cielo;
Alzò la mano, e con gran voce disse:
State, Rutuli, a dietro; e voi, Latini,
Toglietevi da l’armi Ogni fortuna,
Qual ch’ ella sia di questa pugna, è mia. 1125
A me la colpa, a mesi dee la pena
Del violato accordo; a me per tutt
Pugnar debitamente si conviene.
À questo dir di mezzo ognun si tolse,
Ognun si ritirò. Di Turno il nome 1130
Enea sentendo, il cominciato assalto
Dismesse , e da le mura e da le torri
E da tutte l’imprese si ritrasse.
Exsultatque solo; silvas, armenta , virosque
Involvens secum: disiecta per agmina Turnus
Sic urbis ruit ad muros, ubi plurima fuso 690
Sanguine terra madet, striduntque hastilibus aurae;
Significatque manu, et magno simul incipit ore:
Parcite iam, Rutuli; et vos tela inhibete, Latini;
Quaecumque est fortuna, mea est: me verius unum
Pro vobis foedus luere, et decernere ferro. 695
Discessere omnes medii, spatiumque dedere.
At pater /Eneas, audito nomine Turni,
Deserit et muros, et summas deserit arces,
LIBRO DUODECIMO 461
Per letizia esulto, terribilmente
Fremè, si rassettó , si vibró tutto 1135
Ne l'armi, e ’n sé medesmo si raccolse ;
Quanto il grand'Ato, o | grand'Erice a l'aura
Non sorge a pena, o ’l gran padre Appennino,
Allor che d’elci la fronzuta chioma
Per vento gli si crolla, e che di neve 1140
Gioioso alteramente s' incappella.
I Rutuli, i Latini, i Teucri, e tutti
O ch'a la guardia o ch'a l'offesa in prima
Fosser dela muraglia, ognuno a gara
L'armi deposte, a rimirar si diero. 1145
Latino esso re stesso spettatore
Ne fu con meraviglia ch’ anzi a lui
Altri due re sì grandi, e di due parti
Del mondo sì diverse e sì remote,
Fosser de l'armi al paragon venuti. 1150
Praecipitatque moras omnes; opera omnia rumpit,
Laetitia exsultans, horrendumque intonat armis:
Quantus Athos, aut quantus Eryx, aut ipse coruscis
Quum. fremit ilicibus quantus, gaudetque nivali
Vertice se attollens pater Apenninus ad auras.
Jam vero et Rutuli certatim et Troes et omnes
Convertere oculos Itali; quique alta tenebant — 505
Moenia, quique imos pulsabant ariete muros:
Armaque deposuere humeris. Stupet ipse Latinus,
Ingentes, genitos diversis partibus orbis,
Inter se coiisse viros, et cernere ferro.
462 ENEIDE
Eglino, poiché largo e sgombro il campo
Ebber davanti, non si fur da lunge
Veduti a pena, che correndo entrambi
Mosser l'un contra l'altro. I dardi in prima
S'avventàr di lontano, indi $' urtaro; 1155
E ’l tonar de gli scudi e 1 suon de gli elmi
Fe' la terra tremare, e l'aura a i colpi
Fischiò de’ brandi. La fortuna insieme
Si mischiò col valore. In cota] guisa
Sopra al gran Sila o del Taburno in cima 1160
D'amore accesi , con le fronti avverse
Van due tori animosi a rincontrarsi;
Che pavidi in disparte se ne stanno
I lor maestri, s' ammutisce e guarda
La torma tutta, e le giovenche intanto 1165
Stan dubbie a cui di lor marito e donno
Sia de l'armento a divenir concesso;
Atque illi, ut vacuo patuerunt aequore campi, 710
Procursu rapido, coniectis eminus hastis,
Invadunt Martem clypeis atque aere sonoro.
Dat gemitum tellus: tum crebros ensibus ictus
Congeminant. Fors et virtus miscentur in unum.
Ac velut ingenti Sila, summove Taburno, 719
Quum duo conversis inimica in praelia tauri
Frontibus incurrunt, pavidi cessere magistri:
Stat pecus omne metu mutum, mussantque iuvencae,
Quis nemori imperitet, quem tota armenta sequantur:
llli inter sese multa vi vulnera miscent, 720
LIBRO DUODECIMO 463
Ed essi urtando, con le corna intanto
Si dan ferite, che le spalle e i fianchi
. Ne grondan sangue , e ne rimugghia il bosco: 1170
Tal del Troiano e dell' Ausonio duce
Era la pugna, e tal de le percosse
E de gli scudi il suono. A questo assalto
Il gran Giove nel ciel librate e pari
Tenne le sue bilance, e d'ambi il fato 1175
Contrappesando , attese a qual di loro
Desse la sua fatica e ’1 suo valore
De la vittoria o de la morte il crollo.
Qui Turno a tempo, chè sicuro e destro
Gli parve, alto levossi, e con la spada 1180
Di tutta forza a l’avversario trasse,
E ne l'elmo il ferì. Gridaro i Teucri,
Trepidaro i Latini, e sgomentàrsi
Tutte d'ambi gli eserciti le schiere.
Cornuaque obnixi infigunt, et sanguine largo
Colla armosque lavant; gemitu nemus omne remugit.
Haud aliter tros AEneas, et daunius heros
Concurrunt clypeis. Ingens fragor aethera complet
Juppiter ipse duas aequato examine lances 725
Sustinet, et fata imponit diversa duorum,
Quem damnet labor, et quo vergat pondere letum.
Emicat hic, impune putans, et corpore toto
Alte sublatum consurgit Turnus in ensem,
Et ferit. Exclamant Troes trepidique Latini, ‘730
Arrectaeque amborum acies. At perfidus ensis
464 ENEIDE
Ma la perfida spada in mezzo al colpo 1185
Si ruppe, e'n sul fervore abbandonollo ,
Sì, che la fuga in sua vece gli valse:
Ch'a fuggir diessi , tosto che la destra
Disarmata si vide, e che da l’else
L'arme conobbe che la sua non era. 1190
È fama, che da l'impeto accecato,
Allor che prima a la battaglia uscendo
Giunse Turno i cavalli, e "| carro ascese,
Per la confusione e per la fretta
Lasciato il patrio brando, a quel di piglio 1195
Diè per disavventura, che davanti
Gli s'abbatté del suo Metisco in prima.
I questo, fin che dissipati e rotti
N’ andaro i Teucri, assai fedele e saldo
Lungamente gli resse. Ma venuto 1200
Con l'armi di Vulcano a paragone
( Come quel che di mano era costrutto
Di mortal fabro ) mal temprato e frale,
Frangitur, in medioque ardentem deserit ictu,
Ni fuga subsidio subeat. Fugit ocior Euro,
Ut capulum ignotum, dextramque adspexit inermem.
Fama est, praecipitem, quum primain praeliaiunctos
Conscendebat equos, patrio mucrone relicto,
Dum trepidat, ferrum aurigae rapuisse Metisci,
Idque diu, dum terga dabant palantia Teucri,
Suffecit; postquam arma Dei ad vulcania ventum,
Mortalis mucro, glacies ceu futilis, ictu 740
LIBRO DUODECIMO 405
Qual di ghiaocio, si franse , e ne la sabbia
Ne rifulsero i pezzi. E così Turno 1205
Fuggendo, or quinci or quindi per lo campo
Qual forsennato indarno s'aggirava,
D'ogni parte rinchiuso; ché da l'una
Lo serravano i Frigii e la palude,
E ’l1 fosso e la muraglia era da l'altra. 1210
E non men ch'ei fuggisse, il Teucro duce
( Come che da la piaga ancor tardato
Fosse de la saetta, e le ginocchia
Si sentisse ancor fiacche ) il seguitava.
L'ardente voglia, e la speranza eguale 1219
A la tema di lui, sì lo spingea,
Che già già gli era sopra, e già ’l feria.
Così cervo fugace o da le ripe
Chiuso d'un alto fiume, o circondato :
Da le vermiglie abbominate penne, 1220
Dissiluit: fulva resplendent fragmina arena.
Ergo amens diversa fuga petit aequora T'urnus:
Et nunc huc, inde huc incertos implicat orbes.
Undique enim densa T'eucri inclusere corona :
"tque hinc vasta palus, hinc ardua moenia cingunt
Nec minus /Eneas (quamquam tardata sagitta
Interdum genua impediunt, cursumque recusant)
Insequitur, trepidique pedem pede fervidus urget.
Inclusum veluti si quando flumine nactus
Cervum, aut puniceae septum formidine pennae, 750
F'enator cursu canis et latratibus instat:
Eneide 7o. II 59
466 ENEIDE
Se da veltro è cacciato o da molosso
Che correndo e latrando lo persegua,
Di qua di lui, di là del precipizio
Temendo e de gli strali e de gli agguati,
Fugge, rifugge, si travolge, e torna 1225
Per mille vie; nè dal feroce Alano
È però meno atteso e men seguito,
Che mai non l' abbandona; e già gli è presso
A bocca aperta, e già par che l’aggiumga,
E 'l prenda e'l tenga, e come se '| tenesse, 1230
Schiattisce, e'1 vento morde e i denti inciocca.
Allor le grida alzarsi, a cui le rupi
De' monti e ilaghi intorno rispondendo,
L' aria e'] ciel tutto di tumulto empiero.
Mentre cosi fuggia Turno, gridando 1235
E rampognando i suoi, del proprio nome
Ciascun chiamava, e "| suo brando chiedea.
Enea da l'altra parte, minacciando
A tutti unitamente ed a qualunque
Ille autem insidüs, et ripa territus alta,
Mille fugit refugitque vias: at vividus Umber
Haeret hians, iam iamque tenet, similisque tenenti
Increpuit malis, morsuque elusus inani est. 755
T'um vero exoritur clamor; ripaeque lacusque
Responsant circa, et caelum tonat omne tumultu.
Ille simul fugiens, Rutulos simul increpat omnes,
Nominequemque vocans, notumque efflagitat ensem.
Aneas mortem contra, praesensque minatur 760
LIBRO DUODECÌMO 467
Di sovvenirlo e d'appressarlo osasse, 1240
Che faria de le genti occisione
Senza pietà, ch'a sacco, a ferro, a foco
Metteria la cittade e '| regno tutto,
Si com'era ferito il seguitava.
Cinque volte girando il campo tutto, 1245
E cinque rigirando, e molte e molte
Di qua, di là correndo, imperversaro:
Chè non per gioco, non per lieve acquisto
D' onor, ma per l'impero, per lo sangue,
Per la vita di Turno era il contrasto. 1250
Per sorte in questo loco anticamente
Era a Fauno sacrato un oleastro
D'amare foglie, venerabil legno
A” naviganti che dal mare usciti
A salvamento, al tronco, a i rami suoi 1259
Lasciavano i lor voti e le lor vesti
A questo Dio de’ Lairenti appese.
Exitium, si quisquam adeat: terretque trementes,
Excisurum urbem minitans, et saucius instat.
Quinque orbes explent cursu, totidemque retexunt
Huc illuc: neque enim levia aut ludicra petuntur
Praemia; sed T'urni de vita et sanguine certant. 765
Forte sacer l'auno foliis oléaster amaris :
Hic steterat, nautis olim venerabile lignum;
Servati ex undis ubi figere dona solebant
Laurenti Divo, et votas suspendere vestes.
Sed stirpem Teucri nullo discrimine sacrum — 430
408 ENEIDE
Non ebbero i Troiani a questo sacro
Più ch'a gli altri profani arbori o sterpi
Alcun riguardo; onde con gli altri tutti 1260
Lo distirpàr, perchè netto e spedito
Restasse il campo al marziale incontro.
De l' oleastro in loco era caduta
L/ asta d' Enea: qui l'impeto la trasse;
Qui si tenea tra le sue barbe infissa. 1 265
E. qui per ricovrarla il Teucro duce
Chinossi, e per far prova se con essa
Lanciando lo fermasse almen da lunge,
Poich' appressar correndo no ’l potea.
Allor per tema in sé Turno confuso, 1270
Abbi, Fauno, di me cura e pietate,
Disse pregando, e tu benigna terra,
Sii del suo ferro a mio scampo tenace,
Se i vostri sacrificii e i vostri onori
lo mai sempre curai, che pur da’ Frigii 1275
Son così vilipesi e profanati.
Sustulerant, puro ut possent concurrere campo.
Hic hasta /Eeneae stabat: huc impetus illam
Detulerat fixam, et lenta in radice tenebat.
Incubuit, voluitque manu convellere ferrum
Dardanides, teloque sequi, quem prendere cursu 775
Non poterat. Tum vero amens formidine Turnus,
Faune ,precor miserere ,inquit:tugue optima ferrum
Terra tene; colui. vestros si semper honores,
Quos contra /Eeneadae bello fecere profanos.
LIBRO DUODECIMO 469
Ciò disse, e non fu’l detto e’l voto in vano:
Ch’ Enea molta fatica e molto indugio
Mise intorno al suo télo, nè con forza
Né con industria alcuna ebbe possanza 1280
Mai di sferrarlo. Or mentre vi s' affanna
E vi studia e vi suda, ecco Giuturna
Un' altra volta ne lo stesso auriga
Mutata gli si mostra, e la sua spada
Al fratello appresenta. E d' altra parte 1285
Venere, disdegnando che la Ninfa
Cotanto osasse, incontanente anch’ ella
Accorse al figlio, e l’ asta gli divelse.
Così d' arme, di speme e d' ardimento
Ambidue rinforzati, e l'un del brando, 1290
L' altro de l'asta altero, un'altra volta
À vittoria anelando s' azzuffaro .
Stava Giuno a mirar questa battaglia
Dixit, opemque Dei non cassa in vota vocavit. ‘780
Namque diu. luctans, lentoque in stirpe moratus,
Viribus haud ullis valuit discludere morsus
Roboris /Eneas. Dum nititur acer, et instat,
Rursus in aurigae faciem mutata Metisci
Procurrit, fratrique ensem Dea daunia reddit. 785
Quod Venus audaci Nymphae indignata licere,
Accessit, telumque alta ab radice revellit.
Olli sublimes armis, animisque refecti,
Hic gladio fidens, hic acer et arduus hasta,
Assistunt contra certamina Martis anheli. 790
470 ENEIDE
Sovr un nembo dorato, allor che Giove
Così le disse: E che faremo al fine, 1295
Donna? E che far ci resta? Io so che sai,
E tu l’ affermi, che da’ fati Enea
Si deve al cielo, e che tra noi s' aspetta.
Che agogni più? Che macchini , e che speri?
A che tra queste nubi or ti ravvolgi? 1300
Convenevol ti sembra e degna cosa
Che mortal ferro a violar presuma
Un che fia Divo? E ti par degno e giusto
Ch’ a Turno in man la spada si riponga
Quando egli stesso la si tolse, e ruppe? 1305
E lavria senza te Giuturna osato,
Non che potuto, crescer forza a’ vinti ?
Togliti giù da questa impresa omai,
Togliti; e me, che te ne prego, ascolta:
Né soffrir che '1 dolor, ch’ entro ti rode, 1310
Iunonem interea rex omnipotentis Olympi
Alloquitur, fulva pugnas de nube tuentem:
Quae iam finis erit, coniux? quid denique restat?
Indigetem /£nean scis ipsa, et scire fateris,
Deberi caelo, fatisque ad sidera tolli. 795
Quid struis? aut qua spe gelidis in nubibus haer es?
Mortalin’ decuit violari eulnere Divum?
Aut ensem (quid enim sine te Iuturna valeret?)
Ereptum reddi T'urno, et vim crescere victis?
Desine iam tandem, precibusque inflectere nostris:
Nec te tantus edat tacitam dolor, et mihi curae
LIBRO DUODECIMO 471
Cangiando il dolce tuo sereno aspetto,
Sì ti conturbi, e sì spesso cagione
Mi sia d’ amaritudine e di noia.
Quest è l' ultima fine. Assai per mare,
Assai per terra hai tu fin qui potuto 1315
A vessare i Troiani, a muover guerra
Così nefanda, a scompigliar la casa
Del re Latino, e’ntorbidar le nozze,
Si come hai fatto. Or più tentar non lece ;
Ed io te'l vieto. E qui Giove si tacque. 1320
Abbassó ’1 volto, ed umilmente a lui
Così Giuno rispose : Jo, perchè noto
M'è, Signor mio, questo tuo gran volere,
Ancor contra mia voglia abbandonata
Ho l' aita di Turno , e qui da terra 1325
Mi son levata. Che se ciò non fosse,
Me così solitaria non vedresti ,
Com’ or mi vedi, in queste nubi ascosa,
Saepe tuo dulci tristes ex ore recursent.
Ventum ad supremum est. Terris agitare vel undis
T'roianos potuisti, infandum accendere bellum,
Deformare domum, et luctu miscere hymenaeos. 805
Ulterius tentare veto. Sic Iuppiter orsus,
Sic Dea submisso contra saturnia vultu:
Ista quidem quia nota mihi tua, magne, voluntas ,
luppiter, et Turnum et terras invita reliqui.
Nec tu me aeria solam nunc sede videres 810
Digna indigna pati; sed flammis cincta sub ipsa
72 EEEIPE
E disposta a soffrir tutto ch' io soffro
Degno e non degno; ma di fiamme cinta 133o
Mi rimescolerei per la battaglia
A danno de’ Troiani. Io solo in questo,
Te 1 confesso, a Giuturna bo persuaso
Ch’ al suo misero frate in sì grand uopo
Non manchi di soccorso, e ch’ ogni cosa 1335
Tenti per la salute e per lo scampo
De la sua vita. E non però le dissi
Giammai che l' arco e le saette oprasse
Incontr' Enea. Te | giuro per la fonte
Di Stige, quel ch' a noi celesti nomi 13 fo
Solo è nume implacabile e tremendo .
Ora per obbedirti, e perchè stanca
Di questa guerra e fastidita io sono,
Cedo , e più non contendo. E sol di questo
Desio che mi compiaccia (e questo al fato 1345
Non è soggetto ) che per mio contento,
Per onor de’ Latini, per grandezza
Starem acie, traheremque inimica in praelia Teucros -
Iuturnam misero (fateor) succurrere fratri
Suasi, et pro vita maiora audere probavi:
Non ut tela tamen, non ut contenderet arcum, 815
Adiuro stygii caput implacabile fontis,
Una superstitio superis quae reddita Divis.
Et nunc cedo equidem, pugnasque exosa relinquo.
Illud te, nulla fati quod lege tenetur,
Pro Latio obtestor, pro maiestate tuorum: 820
LIBRO DUODECIMO 473
E maestà de’ tuoi, quando la pace,
‘ L/ accordo e'1 maritaggio fia conchiuso
( Che sia felicemente ) il nome antico 1350
Di Lazio e de le sue native genti,
L’ abito e la favella non si mute:
Né mai Teucri si chiamino, o Troiani.
‘Sempre Lazio sia Lazio, e sempre. Albani
Sian d' Alba i regi, e la romana stirpe — 1355
D' italica virtù possente e chiara.
Poiché Troia peri, lascia che péra
Anco il suo nome. À ció Giove sorrise,
E così le rispose: Ah! sei pur nata
Ancor tu di Saturno, e mia sorella. 1360
E consenti che l’ira e l' acerbezza
Così ti vinca? or come follemente
Le concepisti, il cor te ne disgombra
Quum iam connubiis pacem felicibus (esto)
Component, quum iam leges et foedera iungent,
Ne vetus indigenas nomen mutare Latinos,
Neu Troas fieri iubeas, Teucrosque vocari;
Aut vocem mutare viros, aut vertere vestes. 825
Sit Latium; sint albani per saecula reges;
Sit romana potens itala virtute propago .
Occidit, occideritque, sinas, cum nomine Troia.
Olli subridens hominum rerumque repertor:
Et germana lovis, Saturnique altera proles, 830
Jrarum tantos volvis sub pectore fluctus?
Verum age, et inceptum frustra submitte furorem.
Eneide Zool. II Go
474 ENEIDE
Omai del tutto. E tutto io ti concedo
Che tu domandi, e vinto mi ti rendo. 1365
La favella, il costume e ’1 nome lore
Ritengansi gli Ausoni, e solo i corpi
Abbian con essi i Teucri uniti e misti.
D' ambedue questi popoli i costumi,
I riti, i sacrificii in uno accolti, 1370
Una gente farò ch’ ad una voce
Latini si diranno. E quei che d' ambi
Nasceran poi, sovr' a l' umana gente
Si vedran di possanza e di pietade
Girne a’ Celesti uguali; e non mai tanto 1375
Sarai tu colta e riverita altrove.
Di ciò Giuno appagossi, e lieta e mite
Già verso i Teucri, al ciel fece ritorno.
Giove poscia Giuturna da l' aita
Do, quod vis, et me victusque volensque remitto .
Sermonem Ausonii patrium moresque tenebunt.
Utque est, nomen erit: commixti corpore tanto 835
Subsident Teucri. Morem ritusque sacrorum
Adiiciam, faciamque omnes uno ore Latinos.
Hinc genus, ausonio mixtum quod sanguine surget ,
Supra homines, supra ire Deos pietate videbis:
Nec gens ulla tuos aeque celebrabit honores. 840
Annuit his Iuno, et mentem laetata retorsit:
Interea excedit caelo, nubemque reliquit.
His actis, aliud genitor secum ipse volutat,
Iuturnamque parat fratris dimittere ab armis.
LIBRO DUODECIMO 479
Distor pensò di suo fratello, e ’1 fece 1380
In questa guisa. Due le pesti sono,
Che son Dire chiamate , al mondo uscite
Gon Megera ad un parto, a lei sorelle,
Fighe a la Notte, e di Cocito alunne,
Che d'aspi han parimente irte le chiome, 1385
E di ventose bucce i dorsi alati.
Queste di Giove al tribunale intorno,
E de la sua gran reggia anzi a la soglia
Si presentano allor che pena e pesti
E morti a noi mortali, e guerre a'luoghi 1390
Che ne son meritevoli apparecchia.
Una di loro a terra im mantinente
Spinse il Padre celeste , onde Giuturna
De la fraterna morte augurio avesse.
Mosse la Dira, e di tempesta in guisa 1395
Ch' impetuosamente trascorresse ,
Dicuntur geminae pestes, cognomine Dirae, . 845
Quas, et tartaream Nox intempesta Megaeram,
Uno eodemque tulit partu, paribusque revinxit
Serpentum spiris, ventosasque addidit alas.
Hae Iovis ad solium, saevique in limine regis
Apparent, acuuntque metum mortalibus aegris, 850
Si quando letum horrificum morbosque Deum rex
Molitur, meritas aut bello territat urbes.
Harum unam celerem demisit ab aethere summo
Juppiter, inque omen Iuturnae occurrere iussit.
Illa volat, celerique ad terram turbine fertur: 855
476 ENEIDE
Voló come saetta che da Parto,
O da Cidone avvelenata uscisse,
E non vista, ronzando e !' ombre aprendo,
Ferita immedicabile portasse . I {00
Giunta là ’ve di Turno e de’ Troiani
Vide le schiere, in forma si ristrinse
Subitamente di minore augello,
Ed in quel si cangiò che da’ sepolcri
E da gli antichi e solitari alberghi 1 {05
Funesto canta, e sol di notte vola .
Tal divenuta, a Turno s' appresenta ,
Gli ulula, gli svolazza, gli s' aggira
Molte volte d' intorno; e fin con V'ali
Lo scudo gli percuote, e gli fa vento. t {10
Stupì, sì raggricciò, muto divenne
Non secus ac nervo per nubem impulsa sagitta,
Armatam saevi Parthus quam felle veneni,
Parthus, sive Cydon, telum immedicabile, torsit;
Stridens et celeres incognita transilit umbras.
Talis se sata Nocte tulit, terrasque petivit. 860
Postquam acies videt Iliacas, atque agmina Turni,
Alitis in parvae subitam collecta figuram,
Quae quondam in bustis, aut culminibus desertis
Nocte sedens, serum canit importuna per umbras:
Hanc versa in faciem, Turni se pestis ob ora 865
Fertque refertque sonans, clypeumque everberat alis.
Illi membra novus solvit formidine torpor,
Arrectaeque horrore comae, et vox faucibus haesit.
LIBRO DUODECIMO 477
Turno per la paura. E la sorella,
Tosto che lo stridor sentinne e l' ali,
Le chiome si stracció, graffiossi il volto,
E con le pugna il petto si percosse. 1415
Or che, dicendo, omai, Turno, più puote
Per te la tua germana? E che più resta
A far per lo tuo scampo, o per l' indugio
De la tua morte ? E come a cotal mostro
Oppor mi posso io più? Già già mi tolgo 1420
Di qui lontano. A che più spaventarmi ?
Assai di tema, sventurato augello,
Nel tuo venir mi desti. E ben conosco
A i segni del tuo canto e del tuo volo
Quel che m' apporti. E non punto m' inganna
Il severo precetto e ’1 voler empio
Del superbo Tonante. E questo è ’l pregio
De la verginità che m' ha rapita?
E perchè vita mi concesse eterna ?
e
At, procul ut Dirae stridorem agnovit et alas,
Infelix crines scindit Iuturna solutos, 870
Unguibus ora soror foedans, et pectora pugnis:
Quid nunc te tua, T'urne, potest germana iuvare?
Aut quid iam durae superat mihi? qua tibi: lucem
Arte morer? talin’ possim me opponere monstro?
Jam iam linquo acies. Ne me terrete timentem, 875
Obscenae volucres: alarum verbera nosco,
Letalemque sonum: nec fallunt iussa superba
Magnanimi Iovis. Haec pro virginitate reponit?
478 ENEIDE
Perchè ’1 morir mi tolse? Acciò morendo 1430
Non finissi il mio duolo? acciò com
Gir non potessi al misero fratello?
Immortal io? Che valmi? E che mi puote
Ne l’ immortalità parer soave
Senza il mio Turno? Or qual mi s' apre terra
Che seco mi riceva e mi rinchiugga
Tra l’ ombre inferne; e non più Ninfa e Dea
Ma sia mortale e morta ? E così detto,
Grama e dolente di ceruleo ammanto
Il capo si coverse. Indi correndo 1440
Nel suo fiume gittossi , ove s' immerse
Infino al fondo, e ne mandò gemendo
In vece di sospir gorgogli a l’ aura.
Intanto il suo gran télo Enea vibrando
Col nimico s' azzuffa, e fieramente 1445
Lo rampogna, e gli dice: Or qual più, Turno,
*
Quo vitam dedit aeternam? cur mortis ademta est
Conditio? possem tantos finire dolores 880
Nunc certe, et misero fratri comes ire per umbras.
Immortalis ego, aut quidquam mihi dulce meorum
Te sine, frater, erit? O quae satis alta dehiscat
Terra mihi, manesque Deam demittat ad imos?
Tantum effata, caput glauco contexit amictu, 885
Multa gemens, et se fluvio Dea condidit alto.
"Eneas instat contra, telumque coruscat
Ingens arboreum, et saevo sic pectore fatur:
Quae nunc deinde mora est? aut quid iam, Turne,
retractas ?
LIBRO DUODECIMO 479
Farai tu mora, o sotterfugio , o schermo?
Con !' armi, con le man, Turno, e da presso,
Non co' pié si combatte e di lontano.
Ma fuggi pur, diléguati, trasmütati, 1490
Unisci le tue forze e '] tuo valore,
Vola per l’aria, appiàttati sotterra,
Quanto puoi t' argomenta, e quanto sai,
Che pur giunto vi sei. Turno, squassando
Il capo, Ah, gli rispose, che per fiero 1455
Che mi ti mostri, io de la tua fierezza,
Orgoglioso campion, punto non temo,
Né di te: de gli Dei temo, e di Giove,
Che nimici mi sono e meco irati.
Nulla pià disse; ma rivolto, appresso 1460
Si vide un sasso, un sasso antico e grande
Ch’ ivi a sorte per limite era posto
A spartir campi e tor lite ai vicini.
Era sì smisurato e di tal peso,
Non cursu, saevis certandum est cominus armis.
Verte omnes te te in facies; et contrahe, quidquid
Sive animis, sive arte vales: opta ardua pennis
Astra sequi, clausumve cava te condere terra.
Ille caput quassans: iVon me tua fervida terrent
Dicta, ferox: Di me terrent et Iuppiter hostis. 895
Nec plura effatus, saxum circumspicit ingens,
Saxum antiquum, ingens, campo quod forte iacebat
Limes agro positus, litem ut discerneret arvis.
Fix illud lecti bis sex cervice subirent,
480 ENEIDE
Che dodici di quei, ch' oggi produce 1463
1l secol nostro, e de’ più forti ancora,
Non l’ avrebbon di terra alzato a pena.
Turno diegli di piglio, e con esso alto
Correndo se ne gia verso il nimico,
Senza veder né come indi il togliesse, 1470
Né come lo levasse, né se gisse,
Ne se corresse. Disnervate e fiacche
Gii vacillàr le gambe, e freddo e stretto
Gli si fe ’1 sangue. Il sasso andò per l' aura,
Sì che ’1 colpo non giunse, e non percosse. 1475
Come di notte, allor che ’1 sonno chiude
I languid’ occhi a l’ affannata gente,
Ne sembra alcuna volta essere al corso
Ardenti in prima, e poi freddi in su’l mezzo
Manchiam di lena sì che i piè, la lingua, 1480
Qualia nunc hominum producit corpora tellus. 9oo
Ille manu raptum trepida torquebat in hostem,
Altior insurgens, et cursu concitus heros.
Sed neque currentem se, nec cognoscit euntem,
Tollentemve manu, saxumque immane moventem.
Genua labant, gelidus concrevit frigore sanguis.
Tum lapis ipse viri, vacuum per inane volutus,
Nec spatium evasit totum, nec pertulit ictum.
dc velut in somnis, oculos ubi languida pressit
Nocte quies, nequidquam avidos extendere cursus
Velle videmur, et in mediis conatibus aegri 910
Succidimus; non lingua valet, non corpore notae
LIBRO DUODECIMO 481
La voce, ogni potenza ne si toglie
Quasi in un tempo; così Turno invano
Tutte del suo valor le forze oprava
Da la Dira impedito. Allora in dubbio
Fu di sé stesso, e molti per la mente 1.435
Gli andaro e vari torbidi pensieri .
Tórse gli occhi a' suoi Rutuli, e le mura
Miró de la città: poscia sospeso
Fermossi, e pauroso; e sopra il télo
Vistosi del gran Teucro, orror ne prese , 1490
Non più sapendo o dove per suo scampo
Si ricovrasse, o quel che per suo schermo,
O per offesa del nimico oprasse.
Mentre cosi confuso e forsennato
Si sta, la fatal asta Enea vibrando, 1499
Apposta ove colpisca , e con la forza
Del corpo tutto gli l' avventa e fere.
Macchina con tant' impeto non pinse
Sufficiunt vires, nec vox, aut verba sequuntur:
Sic Turno, quacumque viam virtute petivit,
Successum Dea dira negat. Tum pectore sensus
Vertuntur varii. Rutulos aspectat et urbem, — 915
Cunctaturque metu, telumque instare trenuscit:
Nec quo se eripiat, nec qua vi tendat in hostem,
Nec currus usquam videt, aurigamve sororem.
Cunctanti telum. AEneas fatale coruscat,
Sortitus fortunam oculis; et corpore toto 920
Eminus intorquet. Murali concita numquam
Eneide 7l. II 6:
482 ENEIDE
Mai sasso, e mai non fu squarciata nube
Che sì tonasse. Andò di turbo in guisa 1300
Stridendo , e con la morte in su la punta
Furiosa passó di sette doppi
Lo rinforzato scudo; e la corazza
Aprendo, ne la coscia gli s' infisse.
Diè del ginocchio a questo colpo in terra 1505
Turno ferito. I Rutuli gridaro;
E tal surse fra lor tumulto e pianto,
Che 1 monte tutto e le foreste intorno
Ne rintonaro. Allor gli occhi e la destra
Alzando in atto umilmente rimesso , 1510
E supplicante: Io, disse, ho meritato
Questa fortuna; e tu segui la tua;
Ché né vita, né venia ti dimando.
Ma se pietà de’ padri il cor ti tange,
Tormento sic saxa fremunt, nec fulmine tanti
Dissultant crepitus. Volat atri turbinis instar,
Exitium dirum hasta ferens, orasque recludit
Loricae, et clypei extremos septemplicis orbes; 925
Per medium stridens transit femur. Incidit ictus
Ingens ad terram duplicato poplite Turnus.
Consurgunt gemitu. Rutuli, totusque remugit
Mons circum, et vocem late nemora alta remittunt.
lile humilis supplexqueoculosdextramqueprecantem
Protendens, Equidem merui, nec deprecor, inquit:
Utere sorte tua. Miseri te si qua parentis
Tangere cura potest, oro, (fuit et tibi talis
LIBRO DUODECIMO 483
( Ché ancor tu padre avesti, e padre sei) 1515
Del mio vecchio parente or ti sovvenga.
E se morto mi vuoi, morto ch'io sia
Rendi il mio corpo a' miei. Tu vincitore,
Ed io son vinto. E già gli Ausoni tutti
Mi ti veggiono a’ piè, che supplicando 1520
Mercè ti chieggio. E già Lavinia ‘è tua.
A che più contro un morto odio e tenzone ?
Enea ferocemente altero e torvo
Stette ne l’ arme, e vólti gli occhi a torno,
Frenó la destra; e con l’ indugio ognora 1525
Più mite, al suo pregar si raddolciva ;
Quando di cima a l' omero il fermaglio
Del cinto infortunato di Pallante
Ne gli occhi gli rifulse. E ben conobbe
A le note sue bolle esser quel desso, 1530
Di che Turno quel di l' avea spogliato,
Anchises genitor) Dauni miserere senectae.
Et me, seu corpus spoliatum lumine mavis, 935
Redde meis: vicisti, et victum tendere palmas
Ausonii videre: tua est Lavinia coniux:
Ulterius ne tende odiis. Stetit acer in armis
4Eneas, volvens oculos, dextramque repressit.
Et iam iamque magis cunctantem flectere sermo g4o
Coeperat; infelix humero quum apparuit alto
Balteus, et notis fulserunt cingula bullis
Pallantis pueri: victum quem vulnere Turnus
Straverat, atque humeris inimicum insigne gerebat.
434 ENEIDE
Che gli dié morte; e che per vanto poscia
Come nimica e gloriosa spoglia
Lo portò sempre al petto attraversato .
Tosto che | vide, amara rimembranza 1535
Gli fu di quel, ch' ei n' ebbe, affanno e doglia ;
E. d' ira e di furore il petto acceso,
E terribile il volto, Ah, disse, adunque
Tu de le spoglie d' un mio tanto amico
Adorno, oggi di man presumi uscirmi 1540
Si che non muoia? Muori. E questo colpo
Ti dà Pallante , e da Pallante il prendi.
A lui, per mia vendetta e per sua vittima,
Te, la tua pena, el tuo sangue consacro.
E, ciò dicendo, il petto gli trafisse. 1545
Allor da mortal gelo il corpo appreso
Abbandonossi ; e l’ anima di vita
Sdegnosamente sospirando useio .
lile, oculis postquam saevi monumenta doloris, 945
Exsuviasque hausit, furüs accensus, et ira
Terribilis: Tune hinc spolüs indute meorum
Eripiare mihi? Pallas te hoc vulnere, Pallas
Immolat, et poenam scelerato ex sanguine sumit.
Hoc dicens, ferrum adverso sub pectore condit. 950
F'ervidus. dst illi solvuntur frigore membra,
Vitaque cum gemitu fugit indignata sub umbras.
FINE
ILLUSTRAZIONI
AL LIBRO DUODECIMO
MONS ALBANUS ( Monte Albano. )
Veduta nord-ovest di tale celebre montagna presa dalla
parte della Porta Latina nell'antica Roma. Il dinanzi mostra
prima la Porta Latina fra una parte delle antiche mura di
Roma, nell’ attuale suo stato, ed il mezzo a sinistra una
parte dell'acquedotto Claudio, ed a destra un tratto della
celebre pianura detta per eccellenza Latium antiquissimum.
Nel contorno del monte presentato colla massima precisione,
si affacciano in fondo dalla destra alla sinistra i seguenti pun-
ti: monte Savelli, Gandolfo, monte Gentili, Palazzuola, la
cima del monte Cavo, Rocca di Papa, ed a sinistra finalmente
sì veggono i monti Toscolani sui quali sorge Frascati.
ENEID. L. xn, v. 434 — 137.
BENACUS ( Lago di Garda.)
Veduta settentrionale dell'ampio lago si noto pel cantor
dell' Eneide e delle Georgiche, da cui nasce il Mincio, ed in
vicinanza del quale stavano Mantova ed Andes. Plinio il vecchio
lo colloca nel territorio veronese. E assai profondo e soggetto a
burrasche , non meno forti delle marine, le quali mettono
sossopra le sue onde.
ENEID. L. Xu v. 159.
LAVINIUM ( Pratica )
Veduta dell' antica città di Lavinio, nell' antico Lazio sulla
spiaggia del mare, tra Laurento ed Ardea, che Enea secondo
la tradizione deve aver fondata in onere della moglie sua La-
vinia, figlia del re Latino. Entro alle sue mura v'era un fa-
RA-— "A
moso tempio coi Penati del popolo Romano, che a’ tempi della
repubblica furono portati a Roma, e là collocati nel Foro.
Ergevasi pure ne'suoi dintorni un tempio di Venere non meno
rinomato a cui tutte le genti o tribù del Lazio soleano re-
care abbondanti olocausti.
AENEID. L. xi, v. 194.
INDICE
DEI LIBRI
CONTENUTI NEL PRESENTE VOLUME
Libro VII
Libro VIII.
Libro IX.
Libro X.
Libro XL
Libro XII.
— RECON
Ct
79
147
223
309
395
INDICE
DELLE COSE PIÙ NOTABILI
CONTENUTE IN QUESTO SECONDO VOLUME
A
Abella, oggi Avellino città 72.
Acca, compagna di Camilla 385.
— porta a Turno l' avviso della morte di Camilla 392.
"cesta, città 167.
Accettare gli augurii 420.
Achille, detto Larisseo 347.
Acrisio, Re d' Argo 39.
Accordo convenuto tra i Troiani, e i Latini rotto da
Giuturna 418.
Adige, fiume 210.
Agamennone, Re di Micene ucciso dopo la vittoria di
Troia 334.
Agillina,con altro nome Cere, oggi Cerveteri 64. 4123.
Agrippa, genero di Augusto 444.
Alba, predetta da Apollo 206.
Albano, monte, ora Monte Cavo 408.
+ Albula, oggi Tevere 109.
Albunea, selva 43.
Aleso, fondatore di Falisco 70.
Aletto, chiamata da Giunone 34.
— accende Amata al furore 36.
— comparisce nel sonno a Turno 42.
— passa a sollevare i Troiani 48.
— chiama i contadini a soccorrere Tirro 51.
— è da Giunone rimandata all Inferno 56.
Alfeo, fiume 239.
488 INDICE DELLE MATERIE
Allia, oggi rio di Mossò, fiume 70.
Almone, figliuolo di Tirro 53.
Amata, viene inspirata da Aletto del suo furore 36.
— nasconde Lavinia ne’ boschi, fingendo i baccanali 40.
— sconsiglia Turno dal duello con Enea 450.
— si uccide appiccandosi 452.
— con Lavinia al Tempio di Pallade 354.
Amaseno, oggi la Toppia, fiume 67. 360.
Amazzoni 370.
Amicla, città 276.
Amiterno, città 69.
Amsanto, valle, oggi detta Mufiti 56.
Anagni, città 67.
Anchise, venerato qual nume 47.
Ancile, specie di scudo 22. 140.
Angizia, selva 73.
Aniene, oggi Teverone 67.
Anima, dagli Epicurei riposta nel sangue 179.
Antemna, città 62. .
Anubi, Dio degli Egizii 143.
Api, predicono la venuta de’ Troiani nell’ Italia 14.
Apollo, parla ad Ascanio 206.
— venerato nel monte Soratte 382.
Appennini, monti 374.
Ara Massima, in Roma 103.
Arabi, vinti da Augustg 59.
Arasse, fiume 4146.
Ardea, città 42. 62.
Argileto, in Roma 110. .
Argiripa, città con altro nome Arpo 332.
Argo, città 30.
Aricia, oggi la Riccia, il di cui lago era sacro a Dia-
na 52.
Arisba, città 471.
Arunte, uocide Camilla .383.
— è ucciso da Opi 388.
INDICE DELLE MATERIE - 489
Aruspice, ossia quegli, che dal mirare le viscere della
vittima predicea l’ avvenire 124.
Ascanio, regna in Alba 83.
— accetta l'offerta di Niso e d' Eurialo 170.
— uccide Numano cognominato Remulo 205.
— sì fa vedere tra’ combattenti col capo disarmato 235.
Asia, palude 68.
Asila, augure e indovino 239.
Asilo, in Roma 110.
Assaraco 470.
Atina, città 62.
Atlante, padre di Elettra 91.
Ato, monte 461.
Aufido, fiume 347.
Augurio, preso dall’ Aquila, che perseguita i Cigni 119.
Augurii, donde prendevansi 239.
accettati 420. |
Augusto, trionfa. per tre giorni in Roma 141.
— intima la supplicazione dopo la vittoria ad Azio, e
finisce il tempio di Apollo nel Palatino 115.
— pácificatore del mondo 206.
Aurora, chiede l' armi per Mennone 114.
Aurunci, popoli del Lazio 23. 74. 77.
Ausonii, popoli dell’ Italia 109.
Aventino, figliuolo di Ercole 64.
colle di Roma 65.
— ov era lo speco del Ladrone Caco 104.
4zzio, promontorio nel golfo di Leucate famoso per
la vittoria di Augusto 1414.
B
Baccanali, ec. 40.
Baia 212.
Batulo, paese 72.
Bellona 143.
Eneide ol. II 62
— ams >
490 INDICE DELLE MATERIE
Benaco, oggi Lago di Garda 242.
Bianore, detto ancora Ocno 241.
Borea, e sua discendenza 255.
C
Caco, Ladrone 96.
— ruba i buoi ad Ercole, e da lui è ucciso 97, € seg.
Cadaveri, dagli Antichi mettevansi alla porta 312.
Cale, oggi Calvi, terra 74.
Calibe, Sacerdotessa 43.
Calibi, popoli 147.
Calidonii, popoli 32.
Calzari, Tirreni 424.
Camilla, Regina de’ Volsci 77.
— storia della sua vita 359, e seg.
— è uccisa da Arunte 383.
Campidoglio, prima detto Rupe Tarpea 139.
— ne è custode Manlio Capitolino ivi.
Capena, città 68.
Capretti, costellazioni 208.
Capua, trasse il nome da Capi 236.
Capri, isola 71.
Cari, popoli 145.
Carine, strada principale di Roma 412.
Carmenta , detta Nicostrata, ninfa 110.
Cartagine, nemica di Roma 224.
— voluta signora del mondo da Giunone 228.
Casperia, città 69.
Catilina, ribelle alla patria 440.
Catillo 66.
Catone , il minore 140.
Cecolo, fondatore di Preneste 66. 130.
Celenne, paese 72.
Cere, o Agillina, oggi Cerveteri 64. 123. 434.
Cervo, inseguito da’ cani di Ascanio 49, e seg.
INDICE DELLE MATERIE 491
Chiusi, città 284.
Cibele 246. 380.
— chiede a Giove sicurezza per le navi fabbricate
con gli alberi a se consacrati 155.
Ciclopi, servono nella fucina a Vulcano 118.
Cidone, città 476.
Cigno, Re de’ Liguri 240.
Cimino, Lago 68.
Cinto di Pallante tolto da Turno 269.
Circe, figliuola del Sole 6.
— ruba i cavalli al Sole 30.
Circello , monte 6. 77.
Circensi, giuochi 437.
Citera, oggi Cerigo, isola 228.
Città nuove; segnavano gli Antichi le mura di esse col-
l'aratro 19.
Clauso , Sabino, capo della famiglia Claudia 69.
Clelia, Romana, fugge da Porseuna 139.
Cleopatra, moglie di M. Antonio 142.
Cocìto, fiume infernale 56.
Compagni di Diomede mutati in uccelli 334.
Consiglio degli Dei 223.
Cora 66.
Corito, patria di Dardano 23.
Crustumerio, città 62.
D
Dai, popoli della Gallia Belgica 1 15.
Dardano, vato in Corito nell'Italia 23.
Dei, giurano per la Palude Stigia 156.
Dei, comuni alle genti 407.
Dercenno, Re 387.
Diana, distrugge Calidona 32.
— detta Trivia 75.
— detta Latonia 358.
492 INDICE DELLE MATERIE
Diomede, figliuolo di Tidéo fondatore di Arpi 80.
— è invitato a venire contro i Troiani nel Lazio 226.
— ricusa di venire contro di Enea 330.
— non potè tornare alla patria dopo l’ assedio di
Troia 334.
— ferisce Venere, e perde i compagni trasformati in
uccelli 334. e seg.
Dire, sono le Furie nel Cielo 34. 143.
Discordia 443.
Dittamo, Cretéo 134.
Dolone, 'Troiano ucciso da Ulisse 428.
Drance, nel consiglio parla contro di Turno 340.
E
Ecuba, figliuola di Cisseo 34.
Egeone, gigante 276.
Egeria, ninfa 75.
Elba, isola 239.
Elettra, madre di Dardano 91.
Elena, rapita da Paride 38.
Enea, seppellisce Gaeta 5.
— entra nel Tevere 8.
— descrive la nuova città 49.
— manda ambasciatori a Latino 49, e seg.
— discendente da Giove 24.
— il Tevere gli parla nel sonno 82.
— incontra la porca bianca 86.
— scende dalle navi per parlare ad Evandro 90.
— si dice consanguineo di Evandro 914.
— ha da Venere un segno , onde accettare le proposte
di Evandro 127.
— parte da Evandro in compagnia di Pallante 132.
— riceve dalla madre le armi lavorate da Vulcano 135.
— suo scudo in cui sono scolpiti molti fatti della
Storia Romana 436, e seg.
INDICE DELLE MATERIE 493
Enea, alza sulle spalle lo scudo scolpito da Vulca-
no 146.
— essendo egli lontano, Turno assedia la nuova Troia
154, e seg.
— per formare le navi, con cui parti da Troia, ebbe
da Cibele in dono piante a lei consacrate 154, e seg.
— le sue navi si cambiano iu Ninfe marine 157, e seg.
— torna col soccorso degli Etrusci navigando il ma-
re 237.
— è incontrato dalle Ninfe marine, in cui furon cam-
biate le navi 244.
— giunge col soccorso di Tarconte al lido 249.
— è avvisato della morte di Pallante 274.
— ferisce la prima volta Mezenzio 294, e aeg.
— uccide Lauso 298. e seg.
— combatte la seconda volta con Mezenzio e l'ucci-
de 305.
— alza l'armi di Mezenzio in trofeo 309. |
— va a trovare il cadavere di Pallante per rimandarlo
al padre 344.
— s' invia alla città di Latino 351.
— sale per la montagna per attaccare Laurento 393.
— va agli altari per fare il giuramento, e poi combat-
tere con Turno solo a solo 414.
— giura di osservare tali patti 412.
— procura di fermare i suoi dal combattere perchè non
rompasi l' accordo , ed è ferito da una sactta 125,
e seg.
— Venere accorre, e non veduta porta rimedio alla
di lui ferita 434.
— medicato dalla madre torna alla battaglia 436.
— risolve improvvisamente di assaltare Laurento 4:18.
— comincia a combattere solo a solo con Turno 163.
— ricupera l’ asta confitta in una pianta 469,
— è destinato per salire tra gli Dei 470.
— ferisce Turno coll'asta 481.
494 INDICE DELLE MATERIE
Enea, uccide Turno 484.
Episodio, di Eurialo e Niso 162. 163.
Erato, invocata 8.
Ercole, figliuolo di Giove e di Alcmena 266.
— detto Anfitrioniade 88.
— detto Tirintio 65.
— uccide Caco 401. e seg.
— sue fatiche 105.
Ereto, paese 69.
Erice, monte 464.
Erilo, fondatore di Preneste 130.
Ermo , fiume 70.
Esione, sorella di Anchise 93.
Esculapio, inventore della medicina 74. 75.
Etruria 64.
Etrusci, si uniscono ad Enea, e lo seguitano colle lor
navi 237.
Evandro, detto Palatino 148.
— consegna ad Enea il figliuolo Pallante 434.
Eufrate, fiume 145.
Eurialo, sì offre compagno a Niso per andare ad E-
nea 164. 465.
— raccomanda la madre ad Ascanio 473.
— esce con Niso dalle mura 175.
— perde Niso 182, e seg.
— è ucciso da Volscente 486.
— la notizia della sua morte arriva alla madre 490.
F
Fabari , oggi la Farfa, fiume 70.
Falisci, popoli di Faleria o Falisco città 68.
Fame, sofferta da' Troiani, fine de’ loro viaggi 16.
Fatiche d' Ercole 105.
Fauno, re del Lazio 9.
Feneo, città 94.
INDICE DELLE MATERIE 495
Feronia, Dea 77. 134.
Fescennini, popoli di Fescennia castello presso il Te-
vere 68.
Fetonte, cangiato in augello 240, e seg.
Flamini, sacerdoti 4140.
Flavinio, paese 68.
Foro romano 112.
Foruli, paese 69.
Fucino, lago, oggi Lago di Celano 74.
Fulmine, formato da Virgilio 119, e seg.
Funerali, degli Antichi 326, e seg.
Furie 34.
G
Gabinii , e loro costume nel sacrificare 60.
Gaeta, nutrice d' Enea 5.
Galeso, pastore 54.
Galli , e loro armatura 139.
Gange, fiume 150.
Gargano, oggi Monte di S. Angelo 332.
Gerione , Re della Spagna 65. 97.
Geti, popoli 59.
Gianicolo, monte, e città fabbricatavi da Giano 111.
Giano, e suo Tempio 60.
Giove, detto Ansuro 77.
— promette a Cibele di cambiare in ninfe le navi di
Enea 156.
— chiama gli Dei a consiglio 223.
— decide del fato d' Enea e di Turno 470.
Giunone , detta Gabina 67.
— nemica a’ Troiani 30. 217.
— chiama Aletto dall' Inferno 34.
— apre il Tempio di Giano 61.
— nel consiglio de’ Numi risponde a Venere 229.
— domanda a Giove la vita di Turno 280.
496 | INDICE DELLE MATERIE
Giunone, forma una fantasma per salvar la vita a Tur-
no 282.
— domanda che duri la lingua, il nome, i costumi del
Lazio ec. 472, e seg.
Giuturna, sorella di Turno 264.
— fingendo esser Camerte solleva i Latini e' Rutuli a
romper l’ accordo 416, e seg.
— Dea de’ fonti 408.
— porta la spada a Turno 469.
Guerra , come intimavasi da' Romani 59, e seg.
Gravisca , città 240.
I
lapi, medica Enea della ferita 432.
Ida, monte nella Troade, sacro a Giove e Cibe-
le 454. 209.
Imella , fiume 69.
Inaco, Re d' Argo 39.
Inarime, oggi Ischia, isola 213.
Indi, sono forse gli Etiopi 144.
Insepolti , stimavansi miseri presso gli Antichi 341.
Io, figliuola d’ Inaco 76.
Ippolite, Amazzone 370.
Ippolito, figliuolo di Teseo 74.
Ircani, popoli 59.
Iride, mandata a Turno 141.
— mandata a Giunone 224.
Ismaro, monte 255.
Italia, cambiò molti nomi 409.
Italo, Re d' Italia 24.
L
Labico, oggi Zagarolo 77.
Lapiti, popoli 32.
INDICE DELLE MATERIE 497
I
Latino, Re del Lazio 9.
— rinfaccia a Turno la sua follia 59.
—- sente in Consiglio le risposte di Diomede 184.
— offre un terreno da donarsi a’ Troiani, e qual sia
questo terreno 338. e seg.
— interrompe il consiglio essendo la città attaccata da
Enea 354.
—sconsiglia Turno di venire a duello con Enea 397.e seg.
— va all'altare per fare il giuramento in riguardo d’ E-
nea e di Turno 411.
— giura ec. 414.
Lavinia, figliuola di Latino 44.
— le si accendono le chiome 12.
Laurento, città 44.
Lauso, figliuolo di Mezenzio 64.
— entra nella battaglia 262.
— ripara il padre dalla spada di Enea, che poi l' ucci -
de 296.
— è riportato sullo scudo 304.
Lelegi, popoli dell’ Asia minore 145.
Lerna, palude 444.
Leucate, golfo 144.
Licia, provincia 70. 444.
Lipari , una delle Isole Vulcanie 117.
Lirnesso , città 235.
Lituo , augurale 22.
Locresi, venuti in Italia 334*
Lupa, allatta Romolo e Remo 137.
Lupercale in Roma 440.
Luperci, sacerdoti 140.
M
M. Antonio 142.
Manlio, detto Capitolino per esser custode del Campi-
doglio 139.
Eneide 7/ol. II 63
3=
498 INDICE DELLE MATERIE
Mantua, città 2414.
Marica , ninfa 9.
Marrubi, oggi Marsi 73.
Marte, distrugge i Lapiti 32.
Massico , monte 74.
Medusa, nello scudo di Pallade 4149.
Menelao , disperso dopo Troia distrutta 333.
Meonia, provincia 125.
Mercurio, nato nel M. Cillene 94.
Messapo 67. 149. 195.
— incontra Enea nella zuffa, e contro i patti tenta fe-
rirlo 441.
Metabo , padre di Camilla 359.
Mezenzio 64. 195.
— sua crudeltà 123.
— entra in battaglia 287.
— è ferito da Enea 296.
— udita la morte del figliuolo torna alla battaglia ed
é ucciso da Enea 304. e seg.
— suo trofeo alzato da Enea 310.
Mezio, albanese 138.
Micene, città 39..
Mignone, oggi Mugnone fiume 240.
Mnesteo 162.
— discendente d’ Assaraco 407.
Morini, popoli 145.
Morire, per mano illustre stimata consolazione tra gli
‘Antichi 265. 299.
Morti, sono soggetti agli Dii Infernali 344.
Muse, invocate 63. 238.
Mutusca, paese 69.
N
Navi Tirrene in soccorso di Enea 238. e seg.
Nemici, fatti prigionieri svenati dagli Antichi al se-
polcro de’ vincitori 271.
INDICE DELLE MATERIE 499
Nera, fiume 52.
Nilo, fiume 150.
Niso, determina di portarsi ad Enea 163.
— va con Eurialo al consiglio 469.
— esce con Eurialo dalle mura 175.
— si accorge di aver perduto Eurialo 483.
— tenta soccorrere Eurialo 183. e seg.
— muore dopo vendicato l’amico 187.
Nomento, oggi Lamentana 69.
Numano, ucciso da Ascanio 205.
Numico, fiume 48.
Nursa, città 72.
Nursia, oggi Norcia 70.
0
Ocno, detto ancora Bianore 244.
Ofelte, padre di Eurialo 163.
Omole, monte altissimo della Tessaglia 66.
Opi, ninfa seguace di Diana 358.
— scende in terra per vendicare la morte di Cammil-
la 364.
— uccide Arunte 388.
Orazio Coclite 138.
Orgie, o Baccanali 44.
Orione, costellazione 70. 294.
Orizia 403.
Ortini , popoli di Orta, città dell' Etruria 70.
Osci , popoli 74.
Otri , monte altissimo della Tessaglia 66.
P
Pachino, oggi Capo Passaro 31.
Palico , tempio degli Dei Palici 200.
Pallade, detta Tritonia 354.
5oo INDICE DELLE MATERIE
Pallante, figliuolo di Evandro 88.
— naviga con Enea 238.
— entra nella battaglia 258.
— muore per mano di Turno 268.
— è riportato nello scudo 270.
— è riportato morto ad Evandro 322. e seg.
Pallanteo, città 84. 169.
Panacea, erba 435.
Pandaro, ucciso da Turno 246.
Paride, rapisce Elena 38.
Parti, popoli 476.
Pattolo, fiume 236.
Pentesilea, Amazzone 370.
Pico, Re del Lazio 22.
Pilumno, Re 4147. 280.
Pinaria, famiglia ebbe cura de'sacrifizii di Ercole 103.
Pioppo, sacro ad Ercole 104.
Pirgi, popoli di Pirgo, castello prossimo a Cerete 240.
Pisa, nella Toscana 239.
Piume , usate dagli Antichi sull' elmo 154.
Po, fiume 210.
Populonia , oggi Piombino città 239.
Porco , ucciso in sacrifizio 138.
Porsenna , Re degli Etrusci ivi.
Porta Carmentale in Roma 110.
Potizia, famiglia, ebbe in cura i sacrifizii d' Ercole 103.
Preneste, oggi Palestrina 66.
Priamo , compra il corpo d' Ettore 166.
Procida , isola 213.
R
Rami d'ulivo segni di pace 89.
Rannete, Re 176. 480.
Rea. Silvia vestale 65.
Rebo, cavallo di Mezenzio 303.
INDICE DELLE MATERIE
Remulo Tiburte 180.
Reno, fiume 446.
Rufra, oggi Ruvo 72.
Sabine rapite 437.
Sabino, Re dell’ Italia 24.
Sacrani, popoli 77.
Salii ,'sacerdoti 405. 140.
Samotracia, isola 23.
Sarno, fiume 72.
Sarrano 477.
Sarrasti, popoli 72.
. Saticola , oggi Caserta, città 74.
Satura , palude 77.
Saturno, Re del Lazio 23.
— è cacciato da Creta 408.
Sedia curule 340.
Secondar Y augurio 127.
Severo , monte 69.
Sicani, popoli 77. 409.
Sidicine, campagne 74.
Sila, monte 462.
Silvia, pastorella 54.
Simeto, fiume 200.
Simoente, fiume 333.
Similitudine del paleo 39.
— dell’ acqua, che bollendo trabocca 47.
bor
— del mare, che comincia a sollevarsi in tempe-
sta 53.
— dello scoglio battuto dall’ onde agitate 58.
— de’ Centauri, che scendono dal monte 66.
— de'Cigni, che volan cantando 68.
— de’ flutti che si agitan nella tempesta, e delle spighc
mature nel campo 70.
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| Luna , che riflette da un
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e notte al lavoro 146.
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INDICE DELLE MATERIE 503
Similitudine del Toro, che si prepara alla pugna 405.
— del ramo reciso, che non rinverdisce 415.
—. di Marte infuriato sul carro 426.
— delle nuvole che fuggono innanzi alla tramontana 430.
— del turbine di mare che si accosta alla terra 438.
— della RondineHa 440.
— di due fuochi accesi alla campagna 444.
— delle Api perseguitate dal fumo 450.
— del masso che rovina dal monte 459.
— de' due Tori che combattono insieme 462.
—. del cervo inseguito dal cane 465.
— della saetta scagliata 476.
— del sogno 480.
Soratte , monte, oggi S. Silvestro 68. 382.
Spoglie opime 265.
Stella, veduta nella morte di G. Cesare 444.
Stigia, palude, per cui giuravano gli Dei 233.
T
Taburno, monte 462.
Tarpeia rupe 140.
Tarconte , Re Tirreno 130.
— unitosi ad Enea lo seguita colle sue genti 237.
— arriva alle sponde del Tevere 250.
— entra nella battaglia 376.
— leva da cavallo Venulo e se lo porta in braccio 378.
Tarquinio Superbo, Re 138.
Tazio, Re de’ Sabini 137.
Tebro ,'o Tevere Re dell’ Etruria 409.
Tegea, città dell’ Arcadia 424.
Telone , signore de’ Capri 74. .
Termodonte', fiume 370.
Testuggine', fatta da' soldati 193.
Teti, chiese l' armi per Achille 144.
Tevere, fiume 8. 122.
504 | —INDICE DELLE MATERIE
Tevere, (Dio del) parla ad Enea, che vi si era addor-
mentato 82.
Tiara, usata da’ Re Orientali 27.
Tibure, oggi Tivoli 62.
Tibie, specie di flauti 204.
Tiburno , o Tiburto, fondatore di Tivoli € 66.
Tifeo, gigante 243.
Tirreni, popoli 44.
Tirro, pastore 49.
Titone, sposo dell’ Aurora 189.
Tolunnio augure s inganna nel prender l' augurio 420.
— muore nella battaglia 438.
Tripode 474.
Trofeo di Mezenzio alzato da Enea 309.
Tullio Ostilio fa morire Mezio 138.
Turno 40.
— nipote di Amata 38.
— giunge a Laurento, e accresce la confusione 57.
— in mezzo alle sue schiere 75. .
— avvisato da Iride s'incammina contro i Troiani 149.
— si assicura di vincere i Troiani vedute la navi cam-
biarsi in ninfe 458.
— uccide Lico 4198.
— è chiuso dentro la nuova Troia 243. e seg.
— è obbligato a ritirarsi, e finalmente si getta nel fid-
me 224. e seg.
— va incontro alle navi sulle quali tornava Enea col
soccorso 248. e seg.
— uccide Pallante, e sua superbia in quell’atto 268. e seg.
— credendosi inseguire Enea sale sopra la nave, ed è
trasportato in Ardea 284.
— nel consiglio risponde a Drance 344.
— dati gli ordini di opporsi a' nemici si mette in un’im-
boscata 357.
— esce dall' imboscata all’ udire la morte di Camilla 392.
— si offerisce a venire a duello con Enea 396.
an mu Ls TO
INDICE DELLE MATERIE 505
Turno manda la disfida ad Enea 402.
— va all'altare per fare il suo giuramento e poi com-
battere con Enea 411. |
— accostandosi per fare il giuramento comparisce tur-
bato 446.
— prende animo vedendo Enea ferito ritirarsi 426.
— smonta dal carro, abbandona la sorella, e corre a
difendere la città 459.
— si batte solo a solo con Enea 463.
— racquista la spada portatagli da Giuturna 469.
— è ferito da Enea e cade 482.
V
Velino, lago, oggi lago di piè di Luco 52. 69.
Venulo, mandato a Diomede 80.
— ritorna da Diomede 330.
Venere, chiede a Vulcano l' armi per Enea 225.
Verbena, erba usata nei sacrifizii 407.
Vesta, Dea 170.
Vesulo, monte 289.
Ufente , fiume 77.
Virbio, figliuolo d'Ippolito 75.
Firgilio, prendendo a numerare le genti venute al cam-
po di Turno comincia con l’invocazione alle Mu-
se 63.
—. invoca di nuovo le Muse 154.
—. invoca la terza volta le Muse 195.
— numerando le genti etrusche unite ad Enea invoca
di nuovo le Muse 238.
— mirabilmente fa informare Enea dell’ avvenuto nella
sua lontananza 244.
Ulisse, errante dopo Troia vinta 333.
Ulivo salvatico consacrato a Fauno 467.
Umbrone , capitano 73.
Eneide /ol, II . 64
506 INDICE DELLE MATERIE
Volturno, fiume 74.
Volsci, popoli 77.
Volscente 184.
Uomini creduti nati dagli alberi 407.
Vulcano , promette a Venere l’ armi per Enea 115.
e seg.